ve lo meritate celentano

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Potete immaginare come ci si sente ad amare la musica mentre qui c’è il Festival e di là ci sono Erikah Badu e Mark Ronson dal vivo al Letterman Show.

una sorta di filtro verso l’esterno

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Sei persone prendono posto in una sala riunioni in rappresentanza di tre aziende e come da prassi inizia lo scambio dei biglietti da visita. Ogni membro dell’azienda A, tre in tutto, estrae tre biglietti da visita e li consegna ai due dipendenti dell’azienda B e all’unico presente dell’azienda C. I due dipendenti dell’azienda B estraggono quattro biglietti da visita a testa e li fanno scivolare sulla superficie di vetro del tavolo verso i tre membri dell’azienda A e l’unico rappresentante dell’azienda C. Quest’ultimo prende cinque biglietti da visita dalla sua ventiquattrore e ne consegna uno ciascuno alle persone presenti alla riunione. I biglietti da visita sono un divertimento che è appannaggio degli adulti, ci si possono inventare giochi che nemmeno le carte dei Pokemon. Il classico lancio contro il muro, il biglietto che copre gli altri vince. Oppure il numero di caratteri del job title: si girano i biglietti e chi ha il job title più lungo si prende il biglietto dell’avversario. Per non parlare del celo-manca. Io li metto tutti in un cassetto, potrei dire che li colleziono ma in realtà non è vero perché non saprei dire se nel frattempo ne ho perso uno. ma intanto li tengo lì come si tengono oggi i contatti sui socialcosi, arrivi a cinquecento e poi perdi il conto, non sai nemmeno più di averli. E non sai nemmeno a chi possano appartenere, dovrebbero essere come le figurine dei calciatori, con la foto delle persone magari in azione: il sales che stringe la mano dopo un contratto firmato da un cliente, il responsabile CED che smadonna su un dispositivo capriccioso, quelli del marketing fermi a far nulla. E magari con l’album in cui attacchi i biglietti adesivi, al posto della suddivisione in società calcistiche c’è la suddivisione in società punto e basta. Il portiere potrebbe essere l’AD, con la maglia diversa e lo sguardo fiero come quello di Zoff. Ma non è così. Per fortuna è il sorriso il migliore biglietto da visita quando incontri gente per lavoro, la prima volta. La stretta di mano, uno sguardo diritto negli occhi e quella luce che (non a tutti) ti esce per presentarti, una sorta di flash che illumina la stanza e i presenti ne approfittano per memorizzare la foto del momento, non importa chi e che ruolo, siamo qui e parliamoci ché il cartoncino è triste e se è stampato a due colori è meglio dimenticarselo poi in qualche tasca e non pensarci più. O farci quello che ci si faceva da ragazzi, che è meglio non specificarlo qui che mi leggono anche i colleghi.

Sanremo 2012, ecco chi vincerà il Festival

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Sembra ieri, ma è già passato un anno da questo post in cui il vostro affezionatissimo aveva raccolto le cose più originali, dal suo punto vista, passate dal palco di Sanremo alla cultura pop nazionale senza necessariamente passare dalle classifiche dei dischi più venduti. La mia amica S. nel frattempo è appena diventata mamma, per sua fortuna il giornale per cui lavora le ha risparmiato la trasferta nella riviera dei fiori a fare indigestione di rime baciate e giri di accordi banali. A me è bastato accendere la tv in un momento a caso durante la prima serata e subire gli imbarazzanti gorgheggi di un Renga vestito in un modo indecente e la discesa al rallenty di Chiara Civello che sarà anche una grande gezzista ma anche due palle. Per distrarci un po’ da tutto il gossip che già in giro si sta diffondendo, ecco raccolti in questo post da un titolo acchiappa-clic (ma chissà se già si sa chi sarà il vincitore dell’edizione 2012) alcune delle performance migliori degli ospiti internazionali intervenuti nelle precedenti edizioni. Compresa quella dell’eroe mascherato che, contro il palco del Festival, ha lasciato probabilmente qualche vertebra.

Dire Straits, 1981

Peter Gabriel, 1983

Depeche Mode, 1986

The Smiths, 1987

Blur, 1996

Goran Bregovic, 2000

the doctor is online

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Ho fatto così tante cazzate nella mia vita da riempire un blog come il tuo, mi dice. Bell’idea quella di mettere per iscritto le cose di cui ci si vergogna, le faccio notare, per poterle vedere lì nero su bianco su un supporto virtuale diverso e separato dalla propria coscienza. Mi ricorda la tendenza delle aziende di dare i processi in outsourcing o utilizzare i servizi sul web pay-per-use, o as-a-service, in cui si spostano a terzi intere aree di competenza e si paga solo quando serve consultare il materiale o utilizzare un applicativo.

Oppure, questo me lo fa notare lei tanto per rimanere in tema, la rete che svolge la funzione di cassetta di sicurezza. Scrivi le cose e poi torni qui per rileggerle e vedere se nel frattempo sei stato perdonato, quelli a cui hai mancato di rispetto se ne sono dimenticati, o semplicemente riapri la pagina per avere la conferma se quello di cui ancora oggi provi imbarazzo soprattutto da solo è successo per davvero. Sbirciarsi da fuori è uno dei sogni dell’umanità da quando esiste, come volare, essere invisibile, possedere occhiali a raggi x o parlare con i morti, è il mito della telecamera puntata su di sé e la tv a circuito chiuso che vedi solo tu in esclusiva, un reality personale con un’audience ridotta all’osso, al massimo una persona e quella persona sei tu.

Ma vedi, chi non ha commesso errori? Dovresti essere meno severa con te stessa, le dico, e poi ho come l’impressione che questa bocca della verità collegata a un sistema di content management dinamico alla fine sarà piena solo del peggio di te. E a quel punto cancello tutto, semplice no? aggiunge. Sì però ricordati che per questo scopo esistono professionisti che paghi e interagiscono meglio con te rispetto a un tumblr, per esempio. L’aiuto di uno psicologo può essere quello che ci vuole se non te la senti di proseguire con questo fardello che ti porti appresso. E poi, mi chiedo, che cosa sarà mai? La mia è una domanda retorica, so solo una parte di tutto quello che hai combinato e posso immaginare il resto, ma è roba morta e sepolta che appartiene a una te stessa di venti anni fa, nel frattempo è successo di tutto, si è sparato anche Kurt Cobain, ti sei laureata e non hai più il piercing sul labbro perché era sconveniente per il lavoro che fai. E se ti può essere di conforto, il tizio che sappiamo entrambi è più adulto di quanto tu possa immaginare anche se non lo vedo da qualche anno.

Non ti ho convinta, vero? Beh allora provaci, scrivi tutto, usa nomi fittizi mi raccomando, e fammi sapere, sarà un piacere linkarti qui sotto.

valentine’s day is over

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Lo diceva anche Billy Bragg, e domani sarà un altro giorno di non-San Valentino. Per fortuna.

spensierato

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Il giorno di San Valentino inizia con i blister monodose di vegetali in nylon, ovvero i fiori incellofanati ammassati alla rinfusa sulla stuoia del primo ambulante che vedi alla fermata della metro linea verde in Garibaldi. Il venditore di nazionalità non pervenuta ci ricorda con un mantra di santificare la festa e di non dimenticare l’amata, basta un pensiero. Ma basta lo dico io, perché mi immagino cosa possa accadere a presentarsi con uno di quei sbiaditi esemplari di fauna dozzinale al cospetto del proprio partner, che sono l’equivalente romantico di una mela dell’Esselunga al sapore di acqua e zucchero quando siete fortunati. L’amore dev’essere proprio al parossismo totale perché il partner sia disposto ad accettare un presentino così cheap (o cost effective, come si usa dire). Nel calderone delle feste di serie B, insieme a quella del papà, della mamma, Halloween e compagnia celebrando, il santo protettore della coppia eterosessuale è l’ennesima tappa della calendarizzazione dei consumi superflui, ed è facile cadere nel panico da acquisto dopo che fantasia e risorse sono ancora in sordina ridimensionate dai fasti della tredicesima volatilizzata con gli acquisti dell’ultimo Natale. Beati i poveri di spirito (e i poveri tout court) che saltano a piè pari l’occasione di riempire i cruscotti altrui di peluche, cineserie e altri ammennicoli tendenzialmente rossi, cosa non si farebbe per compiacere l’intero mercato prima ancora della propria metà. Meglio davvero un pensiero, se la vostra memoria breve è come la mia è facile dimenticarsene nel giro di qualche minuto. E se non ricordo male, il prossimo appuntamento è per l’8 marzo, la mimosa la trovate presso lo stesso venditore plurimandatario in metropolitana sempre che non piova, ché gli ombrelli sono più redditizi.

vissi d’arte

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C’è stato un momento nella mia vita in cui ho creduto veramente che il mondo potesse aver bisogno di me in qualità di consulente musicale. Che cioè esistessero aziende o persone in grado di pagarti per consigliare la musica più adatta. Per esempio per una pubblicità, o per una campagna elettorale, per qualche manifestazione, come sottofondo per immagini, per iniziare e finire un film, per correre sentendo di meno la fatica, per riuscire ad addormentarsi o per svegliarsi nel migliore dei modi. Insomma, ritenevo di poter far parte di quella categoria di persone che svolgono funzioni grazie alla quali gli altri possono vivere con maggiore agio, si sentono più in forma, riescono a rilassarsi, alzano il volume dell’autoradio e cantano una canzone con gli occhi chiusi che li porta via dalla coda in tangenziale e dalla neve sporca accumulata ai bordi della strada.

Una attività diversa dal fare il disc jockey, lì devi abbinare un pezzo a quello successivo e lo devi fare secondo numerose variabili come il momento della serata, se devi portare più gente in pista o se gente ce n’è troppa, se devi calmare quelli che sono in procinto di darsi gli spintoni o se il pubblico è troppo ubriaco per capire le finezze. Il consulente musicale invece ha tutto il tempo per scegliere il pezzo da proporre a seconda della richiesta che gli è stata fatta, può mettere a punto il suo menù come quelli che propongono i vini a seconda del piatto deciso dal cliente al ristorante.

Adatto a chi lavora in televisione, o nell’industria cinematografica, nel mondo della moda. Grandi agenzie che operano nei media che hanno bisogno di conferire valore aggiunto ai loro messaggi con il giusto tocco di commento sonoro, ma che solo una conoscenza a trecentosessanta gradi di tutto quello che c’è e c’è stato (e sta per esserci, non dimentichiamolo) scremato dal buon gusto e da una visione oggettiva degli input che ogni singolo elemento musicale può trasmettere alla ricettività emotiva umana in tutta la sua casistica è in grado di fornire.

Ma anche singoli, perché no. Ricchi esteti che subappaltano ad altri decisioni e responsabilità di scelte che da soli non sono in grado di prendere. Ci sono gli assistenti per lo shopping? Ci sono i personal trainer? Esistono i wedding planner? Quelli che ti curano il look? Bene, non vedo perché non ci possa essere spazio per un esperto di playlist contestuali, e non lo dico solo perché c’è stato un momento in cui ho creduto veramente che il mondo potesse aver bisogno di me in qualità di consulente musicale. Quel momento, è stato un attimo, è accaduto poco fa, ma sono certo ricapiterà presto, con la stessa frequenza con cui succede da quarant’anni a questa parte ogni mattina, quando indosso le cuffie e scelgo il disco della giornata.

ma io lo so chi è mark lanegan, quello che fa i pezzi con gli unkle

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gesummariacatena

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Qualche disco l’ho comprato perché andava di moda, questo ve lo confesso. Avere questo o quell’altro ellepi era un green card per godere di maggior credito dalla massa, quando ancora quello che eri era anche il riflesso di quello che possedevi e lo so cosa state per dirmi, che mai come ora sei quello che hai e che gli oggetti sono status symbol per cui che differenza c’è nell’avere una copia di un prodotto dell’industria o dell’artigianato culturale e avere uno smartphone o l’ultimo gadget hi-tech? A proposito, ieri in occasione della sua seconda festicciola per gli otto anni, un sobrio aperitivo casalingo organizzato per parenti e amici stretti adulti, mia figlia ha ricevuto un lettore mp3 Teac rosa piuttosto carino, e il mio ottuagenario suocero, nell’atto di capire cosa fosse e a seguito di una veloce spiegazione sul suo utilizzo, lo ha portato all’orecchio come se si trattasse di una radiolina, inconsapevole del fatto che a) fosse spento, b) avesse la memoria scarica, c) non vi fossero le cuffie collegate e d) fosse pure vuoto, senza nemmeno una canzone. Che tenerezza. Questo per ribadire anche che l’ipod non lo comprerò mai perché detesto l’idea di dover utilizzare itunes e per me un lettore mp3 dev’essere un hard disk con un robo tipo winamp installato sopra. E forgio le personalità altrui con questi miei principi.

Tornando alla musica come specchio della personalità ma anche come accessorio alla moda – quando si fanno le superiori, eh – dicevo che ho qualche disco di certo sopravvalutato già ai tempi e che anche ora, in piena nostalgia canaglia ove tutto ciò uscito sotto la categoria post-punk negli anni 80 è un capolavoro, viene venerato come pietra miliare. Ci sono dischi su cui ho sempre nutrito le mie perplessità e malgrado ciò ne sono in possesso, perché magari l’ho comprato per ascoltarlo con qualche darkettina ai tempi. Per esempio i Jesus and Mary Chain. Sono nelle top ten globali di un sacco di persone che stimo, ma a me boh. Li trovo piuttosto piatti e va bene Some candy talking, va bene Just like honey, va bene anche Never understanding. Tre pezzi sono abbastanza, ok un disco come Psychocandy ma poi gli altri sono tutti uguali e non resisto, skippo  la J perché dopo viene la K di Killing Joke. Arf arf.

i dolori del giovane

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Ho visto una collega in lacrime raccogliere la solidarietà delle persone a lei più vicine in ufficio, una la stava stringendo a sé e altre ragazze, chi con le braccia conserte e chi con la mano sulla sua spalla, cercavano di recare conforto anche con la sola presenza. Ho chiesto informazioni, e quando ho saputo che le è mancato il papà nel Paese lontano di origine ho tirato un sospiro di sollievo, a caldo avevo temuto che fosse stata licenziata. A freddo mi sono vergognato un po’.