la domotica che non ti aspetti

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Voglio acquistare quel numero della Settimana Enigmistica in cui, nella celeberrima rubrica “Strano ma vero”, è pubblicata la notizia secondo cui sembra essere in crescita il numero di adulti tra i 20 e i 40 anni che sono vittime di espressioni di incredulità da terzi nei casi in cui rivelano di essere sposati o avere dei figli. Ho assistito a una specie di ribellione contro un’isterica che è riuscita a parlare con un amico immaginario dall’altra parte del suo auricolare per una quindicina di fermate dall’estremo sud agli antipodi settentrionali della metropoli, e tutto perché ha il vizio di sedersi nel vano superiore dei treni ad alta frequentazione dove all’ora del rientro ci sono tutti i manovali dell’est che, rientrando dai cantieri di Milanofiori, prendono l’aperitivo con la birra quella con il simbolo dell’euro sopra, che dev’essere la non-marca più a buon prezzo del supermercato, e qualche fonzie tarocco acquistato alle macchinette della stazione. Io la capisco, si tratta di una fobia plausibile che ti spinge alla conversazione estrema per avere un testimone in caso di approccio o di molestia, anche se i manovali a metà bottiglia si abbioccano, e come biasimarli. Ne consegue che nel frattempo l’isterica ci prende gusto alla conversazione fantasma – ci sono tutti gli indizi, a partire dai tempi di alternanza delle battute, troppo poco credibili fino al monologo verso il finale con il quale stacca ogni possibile concorrente – e il resto dei passeggeri è costretto a soverchiare il tono con qualunque mezzo, lettura a voce alta della Settimana Enigmistica compresa, ci siamo capiti.

Mi piacerebbe quindi che si trattasse di quella copia finta che avevo stampato con me in copertina, la foto in bianco e nero con la cravatta vintage che qualcuno mi ha scattato al matrimonio di mia cognata, ma poi capisco che non è possibile, e comunque, a parte il fatto che non sfiguravo per nulla nel ruolo di quindici orizzontale, non è uscita dall’ufficio in cui lavoravo allora. Ma il punto è che quella spigolatura che è davvero degna di nota mette a nudo un pregiudizio secondo cui si dà per scontato che alla fascia di età più bistrattata degli ultimi anni, con la scusa dei contratti farlocchi e dei socialcosi, non gliene importi nulla di prendere marito o moglie e, soprattutto, di riempirsi la vita con i figli. Io non la penso così, il mondo è pieno di community manager che schedulato l’ultimo tweet devono ricordarsi di passare in farmacia a prendere l’olio per frizionare le gambe della secondogenita che, in preda ai dolori della crescita – c’è poco da ridere, ne ho sofferto anch’io – ha bisogno di massaggi prima di addormentarsi. E poi perché vi stupite se c’è chi non si omologa al trend di imbarcarsi in quel modo che non ha senso di esistere di acquistare biglietti di voli per mete casuali e in giorni improbabili solo perché costano meno che una pizza margherita. Ne esistono molti, sapete, che non possono prevedere come possono stare le cose nel giorno della partenza. Basta una febbriciattola o un malattia esantematica per far saltare persino un apericena.

E anche in questi nuclei famigliari di giovani che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco, a questi eroi del quotidiano resta il dubbio dei silenzi quando tutti sono addormentati, ciascuno esausto per le proprie fatiche proporzionali all’età e quindi alla propria resistenza, certo. Nel vuoto cosmico della pianificazione delle attività per il giorno successivo – nulla che vada al di fuori dell’economia domestica, sia chiaro – solo il frigo con quel sistema che poi non lo devi più sbrinare emette un sottile codice morse che solo l’assonanza con l’acufene ne consente la percezione, l’elettrodomestico più elettronico di tutta la casa che ancora a mezzanotte cerca di dirci qualcosa, un segnale che facciamo presto a dimenticarci ed è per questo che è sempre utile segnarselo qui. Dovremmo ringraziare il frigo no-frost, quindi, chiudendo un occhio sulla stima dei decibel non rispondenti alla realtà con cui è stato venduto, ma almeno per la fatica da cui ci solleva, ad ogni età, che poi è il vero senso per il quale è stato progettato.

anche prima esperienza

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Uno potrebbe dire che si tratta di esseri in via di estinzione se non fosse che è paradossale, perché almeno loro la continuità della specie se la sono assicurata e quel marmocchio che spingono su un carrozzino vecchio modello ne è la prova tangibile. Incontrare giovani coppie che si sono riprodotte potrebbe essere una nuova disciplina, una branca dello human watching, esemplari che si scorgono raramente ed è bene appostarsi e munirsi di binocolo e borraccia perché l’attesa potrebbe essere lunga. E a quel punto fotografarle in barba alla privacy, perché quando le vedi ispirano tenerezza con quello sguardo ancora incredulo che dice diamine, non ci possiamo credere, ce l’abbiamo davvero fatta. Che poi non è che siano proprio giovanissimi. Gente di trent’anni che indossa la maglietta dei Radiohead e che viene da pensare che almeno con l’educazione musicale quel bebè è a posto ma si sa, se hanno atteso così tanto non è del tutto colpa loro. Un po’ forse è proprio l’abbigliamento ancora da sciamannato che trasmette inadeguatezza ma non è che una volta che diventi papà e mamma devi tapparti con quel decoro di apparenza quando dentro sei ancora un tumulto tutto da liberare. Così uno pensa in che modo quella coppia che avanza portando con sè quella sorta di trofeo honoris causa sia riuscita a emanciparsi dalla schiavitù socioculturale che lega un progetto privato come quello del moltiplicarsi (per uno) a una disponibilità economica più o meno costante e, in altri casi, a una realizzazione personale per la quale il sacrificio genitoriale costituisce un ostacolo. Oppure semplicemente sono due che a un certo punto si sono detti chi se ne fotte, in qualche modo ce la caveremo. Ecco, spero sia così perché se stai a fare calcoli e aspetti a vedere che succede alla fine ti ritrovi che la natura ti mette i bastoni tra le ruote e non c’è più niente da fare. E ciò non vale solo per la famiglia, perché comunque si tratta di un’esperienza che come tante altre può essere anche perdibile, però se un minimo minimo ce l’hai dentro e hai tutte le carte in regola e pensi che ci puoi credere veramente, è bene di darci dentro e farlo. La coppia che vedo ora deve solo acquisire un po’ più di dimestichezza con la situazione a tre, si vede che entrambi non sanno da dove sia meglio sottrarre l’attenzione che il nuovo arrivato richiede, se da sé stessi o dal partner o un po’ e un po’, è solo questione di prenderci la mano. Il caldo è quello delle migliori occasioni e i due, anzi, i tre si fermano all’ombra di un albero, c’è la tregua che precede l’invasione delle zanzare e c’è pure l’aria che si muove e che porta ristoro. Lei prende tra le braccia il piccolino e poi lo passa al compagno che gli fa il solletico con la barba. Vedete, non è difficile, proprio per niente.

ti faremo sapere

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Ieri a un colloquio qui in agenzia si è presentato un ragazzo che conoscevo e frequentavo saltuariamente almeno vent’anni fa, ora uomo adulto e poco più giovane di me. Il caso ha voluto che ci fossi io dall’altra parte del tavolo insieme a una collega (più in virtù del fatto che sono tutti in ferie che alla mia seniority), e che ci fosse lui di fronte. Non mi ha riconosciuto, però. Vuoi il tempo, vuoi la barba, vuoi il fatto che concentrarsi troppo su sé stessi – cosa che non biasimo se non nelle conseguenze – impedisce di fare propri molti dei dettagli esterni e quando tra i dettagli trascurabili e trascurati dal prossimo ci siamo noi, un po’ la nostra autostima ne risente. E non è un problema di personalità che impressiona o no la pellicola sentimentale altrui. Sono convinto che catturare l’attenzione dipenda solo in parte dal soggetto, mentre subentri spesso la sensibilità dell’oggetto.

Era da qualche giorno che mi rigiravo in mano il suo curriculum e il nome e la foto, oltre alla città di nascita, mi sembravano famigliari. Così quando me lo sono trovato davanti e lui, senza capire chi fossi, è partito con la presentazione standard in ordine cronologico dal liceo all’altro ieri, ho lentamente riordinato tutti i collegamenti e ricostruito una mappatura di esperienze davvero remote perché provate con un corpo e una mente così differenti da quelli che ho in dotazione ora. Lui e i suoi amici artistoidi tiratardi mantenuti e quel modo di vedere il futuro che si è palesato come presente davanti a me, scorrendo la lista delle sue esperienze professionali e raccontate in diretta con un po’ di incespicamenti, il tutto a decretare un fallimento umano se confrontato con il manifesto artistico di allora fatto di provocazioni del calibro di “se non ho successo mi sveno” per uno statuto di norme più che altro estetiche che si vede che con il tempo è stato soggetto a cambiamenti, vista la sua presenza in carne, ossa e liquidi venosi e arteriosi a un metro da me, tutt’altro che avvolto dall’aura della fama. Anzi, messo piuttosto malino.

E io che invece mi ricordo tutto e nei minimi particolari – cose minuscole come la compagna di corso che avvalendosi delle sue canottiere striminzite mi ha estorto il libro di Storia Medievale per dare un esame senza mai restituirmelo o la quantità di mix dei Depeche Mode che una mia ex ha tenuto immeritatamente per sé al momento della separazione dei beni a conclusione del nostro rapporto, quindi fate attenzione a come vi comportate nei miei confronti – sono stato tentato di svelare la mia identità. E lo avrei fatto se man mano che la sua inadeguatezza al profilo qui ricercato, che si andava confermando parola dopo parola, sguardo dopo sguardo, non avesse reso uno spostamento del piano relazionale su un livello più profondo molto pericoloso. Non volevo introdurre elementi tali da rendere poi difficile l’ammissione dell’incompatibilità che si stava profilando. D’altronde sono fatto così, mi sobbarco il lato umano quando invece è importante non lasciarsi coinvolgere. Per esempio poco prima si era presentato un ragazzone che ha dovuto abbandonare gli studi al Politecnico al primo anno per motivi economici e diceva di essere pronto ad accettare qualunque cosa. Se dipendesse da me l’avrei preso subito perché mi ha fatto tenerezza, ma non è così che si conduce un’azienda, non sta a me dispensare ammortizzatori sociali.

E a fatica ce l’ho fatta: sono giunto indenne al “grazie ti avviseremo anche in caso negativo” senza svelare la mia identità, tutti noi presenti a quell’incontro eravamo consapevoli che nulla era andato bene e che non ci saremo rivisti mai più. Così ho pensato a come si è prima, come si diventa dopo, come si cresce durante. E pur avendo dimostrato che è possibile mettere a tacere questa parte di noi solo perché si sta lavorando e si indossa un abito temporaneo professionale, ho pensato che no, l’addetto alle risorse umane non è proprio un mestiere che fa per me.

la dismissione

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Qui non c’è un impianto industriale da rimuovere pezzo per pezzo e da portare in oriente, c’è solo un capitale intellettuale e professionale che fattori diversi stanno smantellando ma che non verrà ricostruito altrove con le stesse macchine, bensì con apparati e competenze anche meno convenienti di quelle che si trovavano qui. Vaglielo spiegare tu a ‘sti colossi delle multinazionali che mandare il loro personale in Italia dalla loro sede centrale per fare un lavoro da tradurre poi in inglese per poi ritradurlo in italiano costa molto di più che farlo direttamente in italiano con un’agenzia esterna che peraltro conosce meglio le tecnologie, i clienti per non dire il territorio e il mercato in cui la multinazionale opera da quindici anni. Così mentre mi sforzo di non mettere il mio valore aggiunto in un lavoro fatto da altri e che fino a l’anno scorso svolgevo io con un livello di professionalità e di qualità che vi sfido a eguagliare, ripenso a Vincenzo Buonocore, l’operaio che rilegge la sua vita nei brandelli di macchinari che va smontando per l’acquirente cinese nel libro di Ermanno Rea. Pezzo per pezzo, nel mio caso riga per riga, una vita di sforzi per limitare le ripetizioni e refusi nel racconto del lavoro degli altri, pensando che presto sarà un lavoro di altri anche questo.

tra parentesi

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C’è quel posto che si vede dall’autostrada che ti affitta uno spazio in cui accatastare tutte le tue cose quando per esempio devi liberare un appartamento e in quello nuovo non ci sta tutto, oppure non ne hai ancora trovato uno e non sai dove piazzare i mobili, o magari inizi una nuova vita e vai a convivere con qualcuno che ha già una casa a cui non manca nulla, non puoi permetterti di tenere la tua o ti sembra di cattivo augurio. Ma come, uno si butta senza indugio in una storia d’amore e si tiene una copia di back-up del proprio passato, non si sa mai che qualcuno ci ripensi? Comunque non fa al caso tuo, anzi per il nuovo appartamento uno dei tuoi coinquilini si è offerto di occuparsi dell’acquisto del materasso Ikea perché ne avevi bisogno, quello che lo vendono tutto accartocciato e poi si gonfia da sé. Per le poche cose che hai c’è posto in abbondanza, avrete a disposizione una camera a testa. Oggi è l’ultimo giorno della sistemazione temporanea con gli amici di Anna, e mentre state rientrando dal Lido è lei che ti suggerisce di abbassare il volume della musica mentre avvisi al telefono Leo che c’è coda e arriverai in stazione con almeno una mezz’ora di ritardo. Ma anche il suo treno non è in orario, così quando sta per estrarre il libro dalla borsa per ammazzare il tempo in tua attesa lo scorgi nell’atrio e già stavi componendo il suo numero perché non lo vedevi.

A cena, con Anna e il suo moroso in un ristorante etnico senza aria condizionata, ti scusi con Leo del fatto che il trasloco anticipato al giorno dopo è stato un caso, ma per lui non c’era problema, avrebbe incontrato lo stesso il mattino seguente il tuo capo per avviare la collaborazione che gli aveva proposto. Semmai dover gestire un ospite avrebbe potuto generare una complicazione in più, oltre a portare vestiti e libri nel nuovo appartamento. Mi hai detto però che Leo si è perfino offerto di darti una mano nel pomeriggio con tutta la roba, e che già che era lì gli hai proposto di fermarsi una sera più. Che cosa strana. L’ultima notte nella vecchia casa e la prima nella nuova le passerete insieme. Tanto tutti sanno tutto, il moroso di Anna poi ci scherza su perché mentre uscivate dal posto dello spritz ti ha sentito dirgli una cosa tipo stanotte però devi dormire nel mio letto e Leo che ha fatto quel gesto con le mani sopra la testa come i grilli quando sfregano le zampette.

La mattina dopo tu sei uscita presto per andare in ufficio anche se non avevi chiuso occhio, e hai lasciato a Leo tutte le indicazioni per raggiungere la sede dello studio, quale autobus e il numero della fermata. L’appuntamento di Leo è in tarda mattina, quindi fa le cose con calma e saluta gli sconosciuti futuri tuoi ex-coinquilini. Tu lo aspetti giù in strada perché lo studio è una zona industriale e non è facile orientarsi. Fa un caldo surreale, c’è persino quell’effetto dell’asfalto che da lontano sembra che esca del vapore. Quello che non capisco è perché né tu né Leo, al momento di rivedervi, avete fatto il minimo accenno a quello che era successo fino a poche ore prima, a parte una battuta allusiva sull’addormentarsi sul computer per il sonno. L’esito della riunione comunque va bene, non avevi la minima preoccupazione anche se tu avevi creato quel contatto e mescolare amicizie e lavoro non sempre è conveniente.

Leo quindi torna in centro, la temperatura è ancora salita, se possibile, e lui è uno di quelli che quando fa caldo non riesce a mangiare. Solo liquidi. Lo rivedi comunque a metà pomeriggio, insieme caricate tutte le tue cose sull’auto dei tuoi genitori che sono venuti a dare rinforzo. E la situazione fa un po’ ridere, Leo lì per caso che sembra il tuo partner ufficiale mentre carica la lampada nel bagagliaio aiutato da tuo padre. Ma chissà i tuoi quanti amici maschi ti avevano già visto intorno. Poi tutti su per le scale della casa nuova, che è bella ma è in una palazzina d’epoca al secondo piano e non c’è l’ascensore. Arrivano anche i tuoi nuovi coinquilini con il materasso, e in quattro e quattr’otto la stanza è sistemata. Tua madre propone di bere qualcosa di fresco insieme. Al tavolino del chiosco all’aperto chiacchierate un po’ di tutto, i tuoi genitori sono molto a loro agio anche con Leo, non è che pensino chissà che cosa, Leo stesso non si imbarazza. Il fatto di aver trascorso una notte in bianco e l’afa e la fatica del trasloco fanno la differenza, anche tu hai quella specie di ubriacatura che ti viene quando si dorme poco. E la sera, dopo una pizza e una birra, sei ko. Meglio coricarsi presto, Leo deve prendere il treno all’alba per tornare a Milano perché anche se è sabato lavorerà e lo aspetta quel tizio per cui sta facendo una consulenza che va avanti da mesi. Il materasso non è male, Leo dice di preferire quello della sera prima ma tanto vi addormentate entrambi subito, meglio così.

aspetto che si libera

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Credimi, ti capisco. Capisco quanto sia alienante stare seduto tutto il giorno in un ufficio in centro davanti a un Macbook Pro a scrivere cose nelle quali non credi perché fare comunicazione è principalmente una finzione. Lo so, nessuno è convinto che tu abbia interiorizzato così tuoi i prodotti dei quali esalti le caratteristiche, non per questo quando il tuo lavoro che ormai è industrializzato quanto la produzione di un’automobile arriva a destinazione, le persone e le aziende che leggono quello che ti sei inventato decidono grazie a te che compreranno quello che consigli tu ed è questo che conta. Ma tra gli addetti ai lavori è chiaro che il tuo ruolo è pari a quello di un attore che a seconda del copione recita la sua parte. Il che, come dici tu, è oltremodo avvilente. Per questo sono convinto che sia ovvio che dopo tutti questi anni tu sia giunto al capolinea, che i clienti e i loro product manager ti abbiano spremuto a sufficienza. E sempre per questo quando mi dici che basta, che vuoi licenziarti da un impiego a tempo indeterminato per metterti in proprio, io sono orgoglioso di te e non posso che ammettere che tu stia facendo la cosa migliore. Davvero. Avrai facoltà di scelta, avrai pieno controllo della tua vita professionale che per un errore che è tutto nostro coincide sempre più con quella personale, potrai dire si o no a quello che i clienti ti proporranno. Finalmente libero. È giusto che sia così: dai le dimissioni, intraprendi la tua strada, sii artefice del tuo futuro. E avvertimi quando lo farai, così potrò inviare il mio curriculum e candidarmi al tuo posto.

pretty vacant

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Nei loro video, nelle loro foto, sulle pagine delle aziende a cui prestano la loro faccia come parte integrante del loro capitale intellettuale, nei profile picture in cui si mostrano in campo lungo, in primo piano, o solo per un particolare che fa anche di quei pochi pixel un dettaglio creativo e curato magari da un’app i cui effetti fanno parte del loro immaginario quotidiano, tanto che riescono a filtrare le esperienze come se fossero Polaroid viventi. Nei loro scritti che intasano i risultati dei motori di ricerca come volantini promozionali in cassette della posta di case disabitate e nel grottesco tentativo di riproporre live tutto questo giorno per giorno con gli amici, in famiglia, con sconosciuti in appartamenti in condivisione. Tutto questo entusiasmo a rimborso spese se va bene, ecco, io uomo di mezza età mi chiedo dove lo trovino.

non lavorare stanca di più

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Lei che è una grafica fa anche la fotografa ma in questo momento in cui non trova un impiego né come grafica tantomeno come fotografa monta dei filmati animando delle slide di Powerpoint per un’azienda in cui lavora una sua amica, una società a cui occorrono presentazioni un po’ più accattivanti di una normale sequenza di immagini, grafici e keyword alternate dalle transizioni standard che l’applicativo di Office consente. Lara nelle ultime due settimane ne ha già preparati due, una buona media che se viene confermata per il resto del mese le consente di tirare su quasi uno stipendio. Fino a poco tempo fa aveva un impiego part time a progetto in un’agenzia come esecutivista e impaginatrice e per tutto il periodo in cui ha lavorato lì, nove mesi, ha fatto la pendolare ogni giorno dalla casa di Bologna all’ufficio di Milano, sfruttando ogni tanto l’ospitalità di amici a metà settimana per spezzare il ritmo.

Poi Lara e Paola, la sua compagna, hanno deciso di trasferirsi in pianta stabile a Milano perché c’è più lavoro. Ma poco prima di lasciare la città in cui hanno vissuto per anni per andare a vivere in un bilocale in affitto all’Isola e per il quale avevano firmato un contratto e versato una caparra, a Lara è stato comunicato che il suo posto di grafica non c’era più, l’agenzia va male e deve tagliare i costi a partire dal personale. Lara e Paola hanno deciso comunque di andare a fondo e sono venute lo stesso qui, aiutate dal padre di Lara che ha noleggiato un furgone e le ha dato una mano nel trasloco. Il padre di Lara è partito da Napoli – entrambe sono nate e cresciute lì dove vivono ancora le loro famiglie di origine – ha fatto tappa a Bologna, dove hanno caricato i mobili, e hanno trasportato il tutto qui nel nuovo appartamento avvalendosi anche dell’ausilio di qualche amico. Sono riuscite ad avere un po’ di sconto sulla tariffa mensile dell’affitto portando le loro cose ed evitando alla padrona di casa la spesa di un arredo completo.

Paola invece ha studiato per diventare restauratrice ma vista la penuria di opportunità si è iscritta a un corso di make up artist perché c’è più richiesta, nel frattempo non trovando un’occupazione fissa ha messo su un blog dedicato al cibo in cui pubblica ricette illustrate, nel senso che essendo molto brava a disegnare e anche a preparare cibi scrive le ricette e correda il tutto illustrando i passaggi dell’allestimento dei piatti. Paola ogni tanto fa l’hostess alle fiere e viene contattata per occuparsi di promozioni commerciali. Il corso di trucco naturalmente lo frequenta a Bologna, così una volta a settimana Paola da MIlano ritorna giù per non perdere l’anno e conseguire la qualifica. Proprio oggi però, grazie alla sua passione per la gastronomia, è stata chiamata per un colloquio in una web tv che produce programmi di ricette, la posizione è di aiuto cuoco per lo chef che conduce la trasmissioni. E mentre la sua compagna è in auto con un ex collega e si sta recando a Modena a fare un servizio fotografico in una fabbrica di ceramiche del noto distretto locale, Paola le telefona per chiederle di controllare sul suo smartphone perché teme di aver preso la circolare nella direzione sbagliata, non è sicura perché non è ancora pratica della nuova città e orientarsi non è facilissimo. Ma dopo un veloce check, confrontando i punti di riferimento con Googlemaps, Lara le dà la conferma e Paola tira un sospiro di sollievo, l’autobus su cui si trova è quello giusto e potrà arrivare al colloquio in orario.

Al termine del servizio fotografico, poco prima di pranzo, l’ex collega accompagna Lara alla stazione ferroviaria più vicina perché deve tornare a Bologna a recuparare lo scooter che non ha ancora portato con sé. Rientrerà quindi a casa in moto. Le due ragazze hanno deciso di prendere la residenza, avendo anche l’automobile è l’unico modo per riuscire a parcheggiare in area ztl, e comunque a Milano disporre di due ruote è più comodo che averne quattro. Nel frattempo Paola non ha ancora terminato la prova pratica dietro ai fornelli prevista dal colloquio, così Lara, in attesa del treno per Bologna, deve aspettare ancora un po’ prima di chiamarla e chiederle come è andata.

un piano terra-terra

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Alla fine scopri che quelli che fanno lavori pazzeschi e che possono correre rischi non hanno una famiglia da mantenere, non tutti eh ma nella scala sociale mi guardo sopra metaforicamente parlando e trovo, dall’alto verso il piano terra in cui abito, sempre metaforicamente parlando, chi non ha problemi economici e non ha figli, chi non ha problemi economici e ha figli, e chi si mette in gioco perché non vuole avere problemi economici ma ha responsabilità larghe quanto il suo giro vita e intorno non c’è nulla da mettere a repentaglio. Poi c’è anche il seminterrato e le catacombe ma questo è un altro discorso. Perché io ci andrei anche all’arrembaggio ma poi vedo chi ne potrebbe subire le conseguenze in caso di sconfitta e di pareggio, che comunque sarebbe già un successo, perché il corretto flusso delle azioni da intraprendere è mettersi al sicuro e poi fare la famiglia, che è l’impresa più coraggiosa dei tempi che corrono e che cambierà il tessuto sociale nei prossimi decenni con un decremento demografico, perché la prole sarà sempre più un lusso e nei casi in cui la sequenza giusta darà i suoi frutti ci sarà un scarto di almeno tre decenni tra genitori e figli. Quindi incontro gente che entra e che esce – ancora metaforicamente parlando – davvero figa anche sulla quarantina dal profilo professionale mai sentito che se lo può permettere perché a casa non c’è nessuno e nemmeno a scuola o al parchetto con i nonni o con la baby sitter, gli alfieri del personal branding e gli imprenditori di sé e i guru autodiretti. Qui, al livello della strada, guardiamo già con speranza a un domani da custodi dello stabile. Buongiorno dotto’, ha visto che tempo dotto’.

passare in vantaggio competitivo

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Certo che, una partita iva dopo l’altra, le aziende possono scalare la classifica del loro mercato e raggiungere il primato tagliando tutti i costi del lavoro per il profitto. Che poi uno gli dice che va bene, posso anche considerare di trasformarmi in un libero professionista a patto che io sia libero veramente, libero di scegliere come e quando e dove lavorare e con la flessibilità di orari che dico io, avere più clienti contemporaneamente perché altrimenti a che serve la partita iva. E poi è questo il bello del procedere a obiettivi, no? Eh, apriti cielo. In campo occupazionale, nessuno è arbitro del proprio destino. Ma non si può pretendere che uno faccia parte di una squadra in esclusiva quando l’esclusiva non è biunivoca, le sostituzioni prima della fine della partita fanno parte addirittura della strategia di gioco.