cose che danno sicurezza

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Stavo per scrivere un elenco di cose in quella maniera sgrammaticata che a volte viene da utilizzare a chi fa gli elenchi, che è molto da blog, magari senza l’iniziale maiuscola dopo il punto. tipo così, ecco. cose come il venerdì pomeriggio prima di un ponte di 4 giorni di vacanza in cui altro non si deve fare che oziare con moglie e figlia. poter rimandare l’inizio della lavorazione per il cliente più palloso della storia della comunicazione e del marketing di almeno una settimana. le risposte migliori a chi ti chiede informazioni per strada, con un po’ di fortuna perché è una delle poche vie della zona che conosci perché c’è il negozio di vinile usato che frequenti come luogo di culto. sapere che fulvio è sempre in grande forma e che, anche se ci si vede a pranzo dalla gina a lambrate solo una volta ogni 2 o 3 mesi, è come se ci si incontrasse ogni giorno, pendolari come un tempo. il ripieno della brioche avuta come dessert, che finalmente non è nutella ma è proprio cioccolato e che, malgrado la spolverata di zucchero a velo, ha risparmiato la giacca che già, dopo il pranzo dalla gina a lambrate, necessita di ore e ore d’aria. leggere un libro di settecento pagine ma che fila via liscio perché è davvero un libro appassionante. l’abbiocco delle 18.15 che mi coglie ovunque e comunque qualsiasi cosa stia facendo da sempre quotidianamente, e ogni volta mi sorprende e, quando riesco a soddisfarlo, mi risveglio pronto e fresco per l’ultima parte della giornata. poter fare elenchi di cose che danno sicurezza. dare sicurezza. ecco, un elenco di questo genere. poi ho pensato a suonare in un gruppo con Dave Grohl (unico maiuscolo perché è Dave Grohl) alla batteria e lì mi sono fermato. punto.

sale in zucca

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“Papà ma perché noi non festeggiamo Halloween?”. Se anche voi genitori di bambini in età da scuola primaria vi siete sentiti rivolgere questa domanda e non sapete come rispondere, sappiate che addurre motivazioni plausibili non è più semplice come una volta. Nell’era pre-Obama era facile liquidare il discorso con “perché è una festa americana, cara, non nostra” facendo quella smorfia stizzosa come a sottolineare la distanza presa e mantenuta dall’imperialismo capitalistico moderno e dal potere delle multinazionali. Ora vuoi l’età, vuoi il crollo dell’intransigenza, vuoi che l’avversario vero è intra moenia, non si tratta più di una scusa ammissibile e convincente e puzza di leghismo di sinistra. Il problema è che dare per consolidate tradizioni imposte a tavolino dal mercato (e dal supermercato) mi fa un po’ ridere. Le tradizioni decretate così e non nate spontaneamente dal bisogno reale di far assurgere a rito una commemorazione sono davvero poco attendibili. D’altronde anche le feste che oggi diamo per scontato saranno nate in qualche maniera, no? Non riesco a immergermi in una convenzione stabilita solo per indurre al consumo persone che, d’emblée, scelgono di auto-imporsi lo spirito della festa. Non vi sentite a disagio, per esempio, nelle rievocazioni storiche? Il cerimoniale del palio di Siena? Le persone in costume medioevale e gli occhiali di Prada? Dolcetto o scherzetto? Non so se sono stato chiaro. Halloween è posticcio tanto quanto l’ampolla del dio Po e le radici celtiche. Ciò non toglie che i bambini, di questa caterva di seghe mentali, se ne fanno un baffo. Ci sono dolci e travestimenti? Ci sono anche loro. Sento che quest’anno dovrò cedere, magari mi maschero anche io da mostro. Magari no. Stay tuned.

the national: twenty miles to nh part 2

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I The National hanno registrato una interpretazione del brano “Twenty Miles to NH Part 2” dei Philistines Jr., il gruppo in cui milita Peter Katis, il loro produttore. Il pezzo fa parte di un remake del loro ultimo album interamente dato in pasto a vari artisti coverizzatori. Niente male, davvero. Via Slowshow.

domanda retorica

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C’è una linea sottile ma mica poi tanto che unisce i funerali di Simoncelli con la ressa in coda all’inaugurazione dell’ennesimo megastore di elettronica. Siamo solo noi e le moto accese in chiesa con il tutti contro tutti per gli smartphone in offerta speciale. Un denominatore comune, e non si tratta solo del fatto che siano accadute nello stesso giorno e che coinvolgano una massa ingente di persone, protagoniste simultanee di celebrazioni pop di loro stesse intente a salire di livello, un passo più in alto verso la catarsi. La beatificazione del sacro e del profano che crea l’imbarazzo dello spettatore il quale, privo del sentimento che suscita la partecipazione in prima persona all’Evento, rimane interdetto dallo spettacolo dell’eccesso. Due bagni di folla spinti da analogo sentimento di rivalsa, l’uno verso la morte e l’altro verso la povertà e l’accessorio desiderio di riscatto (tramite l’accessorio stesso).

C’è una linea sottile ma mica poi tanto nella manifestazione di massa per la difesa del proprio pudore, che paradossalmente una volta messo in piazza e spettacolarizzato viene messo a nudo, diventa didascalico tanto quanto l’immediatezza di un inno della gioventù nichilista e scavezzacollo, probabilmente tramandato di padre in figlio, e l’istinto di sopravvivenza nella modernità e nella società della comunicazione abbreviata, che ha negli strumenti la sua visione ultraterrena, e quando tali strumenti sono accessibili con uno sconto a due cifre di percentuale la via verso l’eternità è da considerarsi in offerta speciale. Tutto questo rende vani gli sforzi di riportare una civiltà agli elementi di sobrietà che l’hanno fatta crescere, che né io né le persone che conosco hanno mai visto di persona e che quindi leggiamo solo nei libri di storia, nei rotocalchi su epoche  e costumi lontani, nei suoi discutibili adattamenti per la fiction da prima serata. E non resta che fidarci del passato che ci è stato raccontato e che, se la cartina tornasole è il presente, possiamo anche considerarci liberi di mettere in discussione. Tanto, ormai, vale tutto.

se gira la testa

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Mia figlia gioca tuttora con la sua collezione di animali di plastica, riproduzioni molto curate (e anche non propriamente economiche) che ha accumulato in anni di regali, feste e compleanni. Si inventa storie soprattutto con i cuccioli, non esagero ma ne avrà una trentina. Si mette da sola in cameretta o sul tavolo in sala, e la cosa più divertente è ascoltarne i dialoghi, ogni specie ha la sua voce che ricorda un po’ il verso che quell’animale fa realmente. Quando il verso dell’animale è riconoscibile. Già con gli gnu o con l’okapi iniziano le difficoltà, lei fa dei grugniti e io non mi oso a chiederle che verso fanno davvero, per non fare brutta figura, non sminuire la mia autorevolezza, non incentivare la sua pignoleria e lasciare prevalere l’immaginazione. Già le proporzioni tra i diversi modelli lasciano a desiderare, pur essendo molto ricercati nei particolari, e se l’animale della prateria può interagire con un pinguino imperatore su un tavolo di gioco, tanto vale che faccia il verso che vuole.

Così il gioco fila via liscio fino a quando mi concentro proprio sulla drammatizzazione e i dialoghi di quelle storie inventate, quando colgo un verso che mi colpisce proprio perché molto diverso dai soliti, a suo modo riconoscibile ma difficilmente associabile alla natura.  Sento i dialoghi, battute come “siamo demoni” pronunciate con l’inconfondibile timbro di Regan MacNeil. Guardo meglio, e noto un suricato che contende il dominio di una grotta fatta con una coperta sul divano a un capibara, entrambi mossi dalle mani della regista, mia figlia. Ora, chi mi conosce (ma spero anche chi mi segue qui) sa che giammai proporrei la visione di un film come “L’esorcista” a una bimba di 8 anni. Senza contare che lei, come suo padre, non è certo l’essere più impavido del mondo, e che la mia visione di soprannaturale si esaurisce al massimo con le previsioni del tempo, e allora piuttosto meglio le dimensioni parallele di Dumbo e dei suoi elefanti rosa. Quindi da chi abbia imparato a fare quei versi e chi le abbia insegnato quella storia è tutto da scoprire. Un piccolo incidente di percorso, è sufficiente spiegarle che imitare quella voce roca può avere ripercussioni sulla gola. Ed è bastato poco per andare a fondo e ottenere le informazioni del caso: vengo a sapere che si tratta di una delle macchiette preferite di una compagna di classe, che avendo un fratello maggiore già grandicello è esposta a programmi oggettivamente poco adatti.

Si sa, la paura attrae i piccoli, anche mia figlia è appassionata di storie che fanno venire i brividi, ma poi i meno temerari devono fare i conti con il buio, i mobili che scricchiolano, i rumori improvvisi, i vicini che tirano lo sciacquone in piena notte. Assimilare un personaggio controverso come Linda Blair va oltre la curiosità per le peripezie di Scooby Doo o gli esperimenti dei figli degli Addams o la porta magica di Coraline, cioè sapere di una bambina a 8 anni che imita alla perfezione una scena horror, ma di quell’horror brutto, mi ha lasciato perplesso. Senza contare il disappunto per aver divulgato la gag a un uditorio comprendente mia figlia. Non vi dico il mio spavento nell’aver assistito alla sua interpretazione, dal vivo.

una maledizione

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Capisco che sia un retaggio dell’educazione che chi ti ha cresciuto ha pianificato per te, quel lessico famigliare che si riempie di significato solo all’interno delle mura domestiche o nella trasposizione dei momenti di relax in salotto sui sedili in pelle di un’auto di lusso, durante i lunghi viaggi verso i luoghi di vacanza più “in”. I sostitutivi delle imprecazioni volgari che ipocritamente vengono ammessi negli sbotti d’ira, nelle accuse contro chi si mette di traverso nel lavoro o negli affari quotidiani e se ne parla a cena, nel tuo caso mentre la domestica con pianelle antiscivolo sostituisce i piatti del primo e torna in cucina ad allestire la portata successiva. E in questo caso non è nemmeno un’assonanza con una bestemmia, il classico “orcozio” anzi concettualmente è il suo opposto, una sfogo contro chi farebbe di San Pietro un granaio, un modo di dire inusuale probabilmente costruito a tavolino per consentirti di fare fronte, nella scuola privata di impostazione confessionale che hai frequentato, a compagni di classe che nemmeno tanto di nascosto creavano blasfemi scioglilingua con sequenze mozzafiato dei nomi della sacra famiglia e di tutto il suo entourage, nel segno della massima espressione di rivalsa alle istituzioni. Spiriti inquieti e infanzie bruciate talora culminate in eclatanti quanto efferati crimini, partecipazione a gruppi terroristici di estrema destra o stupri collettivi con gli amici della parrocchia. Questo complesso background probabilmente ha fatto da humus all’intercalare che sfoggi tuttora, un vezzo che ha reminiscenze d’altri tempi, che sa di guerra fredda, di padroni contro classe operaia, di scandali familiari taciuti nei riti domenicali alla fragranza di incenso, ambienti in cui ogni volgarità era lasciata fuori dai quartieri bene della tua città.

Così, ancora oggi, quando ti cade una penna, quando ricevi una e-mail indesiderata, quando leggi una notizia bomba sul sito di news preferito, momenti in cui chiunque altro qui e non solo romperebbe il silenzio con plebei appellativi degli organi genitali maschili, invettive contro le professioniste del mestiere più antico del mondo, fino a tirare in ballo più che invano il nome della figura più alta in grado e di sua madre, tu, con un fragile sussurro solo lievemente increspato da un vago rotacismo, ti abbandoni in un anacronistico e raro “ma porca Cina”, invettiva inappropriata in un momento in cui la suddetta suina nazione fa man bassa dei debiti dei paesi occidentali e, in un giorno non lontano, ci colonizzerà definitivamente.

degli altri titoli di canzoni dei talking heads che potrebbero diventare film

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E qualcuno in parte lo è già (o lo è già stato), chissà.

1. don’t worry about the government
2. psycho killer
3. thank you for sending me an angel
4. the girls want to be with the girls
5. the big country
6. life during wartime
7. memories can’t wait
8. heaven
9. electric guitar
10. drugs
11. born under punches (the heat goes on)
12. crosseyed and painless
13. the great curve
14. once in a lifetime
15. houses in motion
16. seen and not seen
17. listening wind
18. the overload
19. burning down the house
20. making flippy floppy
21. girlfriend is better
22. slippery people
23. i get wild/wild gravity
24. swamp
25. moon rocks
26. pull up the roots
27. and she was
28. give me back my name
29. creatures of love
30. the lady don’t mind
31. perfect world
32. stay up late
33. walk it down
34. television man
35. road to nowhere

come mai?

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In piena era crossover, credo vent’anni fa o giù di lì, mentre i batteristi di ogni dove si attrezzavano facendo a gara a chi avere il rullante più sottile vittime della moda di Blood Sugar Sex Magik, noi tutti estimatori del nuovo musicale che avanza vivevamo sdraiati sulla riva di un fiume metaforico in attesa di veder passare non il cadavere bensì il virgulto a nuoto di chi avrebbe potuto incarnare il verbo, in Italia, dei vari Urban Dance Squad e simili. Si sa, da queste parti da sempre c’è l’abitudine di andare a rimorchio dei paesi anglosassoni e mi vien da dire per fortuna, perché altrimenti chissà che cosa potrebbe mai uscire dalle cantine insonorizzate a contenitori per uova, stracolme di botti piccole contenenti vino pessimo, altra metafora e non c’è bisogno che la spieghi. Beh, mentre si aspettavano i Red Hot de noantri, ancora prima del video dei Negrita nudi come mamma ha fatto i loro omologhi californiani, si diffuse uno scherzo, una specie di catena diabolica, che nel piccolo delle persone che conosco ha avuto una discreta diffusione, anche io ne sono stato vittima. Praticamente si andava dall’amico melomane alternativo prescelto e gli si tessevano le lodi di una nuova sorprendente band italiana che mescola hip hop a funky rock, un gruppo che non sfigurerebbe sul palco come spalla dei Primus. Ovviamente l’amico melomane alternativo doveva avere totale e cieca fiducia in voi, magari lo stesso a cui avevate parlato di una band di Seattle che, dopo Bleach, aveva appena pubblicato una delle pietre miliari del rock di fine secolo. L’amico melomane alternativo avrebbe dovuto quindi chiedervi il nome. A quel punto gli si svelava la dritta, si chiamano otto-otto-tre, proprio come l’Harley, e hanno fatto un disco che spacca, Nord Sud Ovest Est. L’obiettivo era di spingerlo all’acquisto a scatola chiusa, abitudine non rara almeno fino a quando si acquistavano ancora i CD. Per farla breve, un mio fidatissimo conoscente mi spinse a comprarlo, tanto che la commessa del negozio di dischi, conoscendo i miei gusti, mi chiese se era per un regalo e quando le dissi di no colsi la perplessità nel suo sguardo. Vi risparmio la mia reazione al primo ascolto e quanto venni canzonato dal fidatissimo conoscente, senza contare che i cd non costavano poco e in quel periodo dovevo sempre pensare due volte prima di spendere soldi. L’unica via per dare un senso a tutto ciò e prenderla con filosofia fu di continuare la catena, cosa che feci con una persona che, a pensarci bene, non ho praticamente mai più visto da allora.

quel film che si intitola come un pezzo dei talking heads

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Un film da sei stelle, perché le cinque di rito per i grandi eventi in questo caso stanno strette. Voglio dire, un qualunque regista americano con tutta quella roba lì ne avrebbe fatto almeno tre di film. Uno su Robert Smith alle prese con il supermercato e altre amene quotidianità. Uno sulla morte di un padre che ti fa chiudere i conti con l’adolescenza che porti nei capelli e nell’eyeliner. Uno sulla ricerca dei criminali nazisti e le popstar alle prese con la storia. E vedendo Davd Byrne mentre canta e si china sotto il living room vintage che sfida le leggi di gravità e si intona perfettamente con il suo genio, mi sono chiesto quanto manca alla reunion dei Talking Heads.

felici fino a scoppiare

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È qualcosa di più che una storia d’amore. Intanto perché ci sono tre pretendenti. Due, l’insegnante di scrittura creativa e la psicologa, che pretendono di amarsi e poi di amare una donna che è un patchwork di esercizio stilistico e gioia di tutto, ma come si ama una creatura che cerca un rifugio e lo offre di rimando a chi non si capacita di quanto si possa amare la vita, anche quando si hanno dietro storie personali inconcepibili per la società occidentale. Come si ama una figlia, ecco. Per proteggerla, sostanzialmente. In secondo luogo perché è una storia d’amore tra due categorie contrapposte, l’attrazione fatale che da sempre divide in due il genere umano. Il foglio bianco di carta di un blocco per appunti contro il campo testo di una pagina xhtml di un sito dinamico. Il luddismo contro gli automatismi dell’informatizzazione. Le app contro le note scritte a matita negli interstizi bianchi dei libri di testo. Capire la ragione della felicità ed essere felici, e basta. Brevettarne la ricetta per divulgarla traendone profitto e accontentarsi della casualità con cui si sorteggiano i cromosomi. Ridurre il tutto a uno scontro/incontro di civiltà tra testa e cuore è riduttivo. Ecco due cellule che si accoppiano e si propagano per mitosi con un ingegnere genetico, che è Powers stesso, che prima osserva al microscopio le dinamiche della trama e poi, una volta raggiunte dimensioni visibili ad occhio nudo, si alterna tra spettatore e regista pronto a montare in postproduzione narrativa una terza dimensione, che farà da scenario alla conclusione della storia. Ma la componente scientifica e le multinazionali del DNA non possono competere con un eroe vestito di tutto ciò che è umano quindi casuale: l’andare a fondo per capire, l’attesa del momento giusto per agire fino al gesto risolutore e la vittoria, tanto è una storia inventata.