le dieci cose che più frequentemente vengono abbandonate in corso d’opera

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Non credo ci sia nulla di male a identificare nell’incostanza il principale nemico della continuazione della specie e, su scala ridotta, del proprio equilibrio soprattutto se avete alle spalle una moltitudine di cose lasciate a metà o anche solo abbozzate e mai avviate. E non è certo la questione della solita modalità con la lista in ordine di importanza che sull’Internet va per la maggiore. Posso proporvi una sequenza cronologica di interruzioni a partire dall’infanzia che vede raccolta di francobolli, basket, liceo scientifico, pianoforte classico, seconda laurea in giornalismo, pianoforte jazz, carriera da musicista, seconda laurea in storia contemporanea, musicoterapia, il tutto solo senza tirare in ballo le micro-rinunce volontarie quotidiane.

C’è un periodo della vita in cui ci crucciamo di aver gettato la spugna con frequenze record, altre, come quella che sto attraversando, in cui il rammarico è a singhiozzo e solo nei momenti di stenti professionali, quando si guarda in faccia il proprio svilente lavoro quotidiano e si pronuncia sempre più spesso la mattina, avviando il sistema operativo, la fatidica frase “avessi studiato”. Sarà per questo motivo che le cose che invece mi causano meno fatica le pratico con una determinazione quasi maniacale, compulsiva e ossessiva. Un po’ perché appartengo al tanto vituperato genere maschile, categoria nei confronti della quale la disincantata rilassatezza con cui le nostre consorti valutano la perseveranza con cui affrontiamo certe nostre passioni non è certo il metro più adatto ad esprimere un giudizio obiettivo. A partire dalla corsa con spirito ludico-dilettantistico, come si scrive sui certificati medici, e se correte anche voi sapete come ci si sente a dover rinunciare a un’uscita programmata per qualunque motivo forzato (siamo sempre nell’ambito degli hobby che slittano automaticamente in secondo piano ogni volta che una questione famigliare o professionale – sempre di priorità maggiore – subentra). Ma non è qui che volevo arrivare.

Non vi sorprenderà sapere che ieri l’altro, il 28 luglio, questo blog ha compiuto cinque anni, il che vuol dire che a parte il primissimo periodo di assestamento, da cinque anni ogni giorno mi faccio in quattro per pubblicare uno stramaledetto qualcosa. Ad oggi questi aneddoti dal futuro sono la cosa di più lunga durata in cui abbia mai perseverato sin dai tempi del pannolino. Mi piace scrivere qualcosa quotidianamente perché mi piace e basta, perché lo considero un impegno e mi viene sempre in mente qualcosa da scrivere, perché mi piace, perché ho conosciuto tante persone che sembrano apprezzare queste cose – magari non tutti i giorni, posso capirlo – e poi perché mi piace. Cinque anni, un articolo al giorno senza contare gli aneddoti dal futuro degli altri, fate un po’ voi il calcolo. Cinque anni. Una vita. Perché, poi, boh.

vendesi collezione completa di agende con contenuti personali dal 1977 al 1992

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Quindi l’effetto di  rileggere certi diari o agende che capitano sottomano inaspettatamente durante le visite ai genitori sotto le feste è lo stesso di visionare i nostri attuali blog quando avremo settant’anni. Che vergogna. Prepariamo quei marchingegni che usano gli anziani per distruggere documenti di vitale importanza come le bollette dell’Enel del 1994 prima di gettarle nella raccolta differenziata perché non si sa mai che a qualcuno, prima di farne carta riciclata, non venga voglia di leggere quanto ha consumato uno nel mese di marzo per poi risalire all’indirizzo e correre a svaligiare l’appartamento o, peggio, mettersi a rovistare nella rumenta per dire a tutti che l’utente xyz ha pagato una bolletta di quarantottomila lire. Che onta. Ma che vado dicendo? Quando cercheremo di occultare ai nostri nipotini questi sproloqui messi per iscritto per chissà quale gloria digitale ci toccherà gettare chissà quanti dischi fissi o non ben definiti spazi cloud nel cesso e tirare lo sciacquone sperando che sia sufficiente a cancellare tutte le corbellerie che ci sono passate per la mente intorno ai quaranta e rotti. Quasi peggio, quindi, delle rime messe nero su bianco per la darkettina delle superiori, dal momento che da individui grandi grossi maggiorenni e vaccinati e – nel mio caso – con famiglia e prole al seguito ci si aspetta un po’ di stabilità pratica e non certo spleen da tanto al mucchio e per giunta virtuali. Non si finisce mai di scoprire che è sempre bene tenere accesa quella telecamera di auto-videosorveglianza pronta a mandare messaggi minatori quanto si oltrepassa il confine della ridicolaggine che è poi quella che ci salva dalle figuracce con un bel reset completo di qualche contenuto – scritto, registrato, composto, dipinto, fotografato ma sempre spinti da velleità artistiche – che per fin troppo abbondanti porzioni della nostra vita abbiamo accumulato in maniera bulimica nella speranza che un talent scout passi per caso e ci copra d’oro tanto quanto è il nostro valore. Quindi ve lo do come consiglio: è meglio smettere qui. Iniziate voi, il tempo di sbrigare due faccende e poi vi seguo.

può essere che un giorno lo farò anche io

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Le stava dicendo che appena sentiva la parola blog lui drizzava subito le orecchie, e uno si sarebbe aspettato da lei un adattamento ironico di una celebre quanto allarmante citazione di un politico nazista come risposta, ma a quell’ora sarebbe stato difficile chiamare a raccolta le risorse necessarie per il sarcasmo. Si limitò a metterlo al corrente del fatto che quello di leggiucchiare qua e là i diari di bordo di emeriti sconosciuti era uno dei suoi passatempi preferiti, il che costituiva una vera fortuna per il popolo del web dove l’offerta è di gran lunga superiore alla domanda e i lettori sono da coccolare e fidelizzare in ogni modo, e lui non esitò un istante per farglielo notare. Così gli passò in rassegna le cose che si potevano trovare, soprattutto in quei siti monografici in cui le persone condividono il loro progetto in corso, gli citò anche un filmetto piuttosto recente, una di quelle commediole americane a lieto fine malgrado il responso dei botteghini su un blog di ricette e una aspirante net-star che le provava una ad una, ogni giorno che Dio le concedeva di vivere. Ma dato che la sintonia cinefila era piuttosto remota, rinforzò i dati per la casistica con quello di cui era certa anche se poi lui non avesse avuto né il tempo né la volontà di controllare. Coppie che raccontano il loro percorso nella ricerca della gravidanza, genitori che descrivono il difficile percorso della malattia del figlio, persone che lottano con un tumore e che ti fanno sentire che tutto il resto non è che abbia tutta questa importanza e speri sempre di trovare con una certa periodicità un nuovo post o un aggiornamento perché poi si finisce anche per preoccuparsi di tutti i casi nel mondo come se dei nostri non ne avessimo mai abbastanza. Temi che nella maggior parte dei casi sono sviluppati da autrici, da donne, perché magari c’è una maggiore sensibilità. E forse per riportare la discussione su toni meno drammatici o magari anche solo per corteggiarla, lui le suggerì di mettersi all’opera, magari con un blog più generalista e centrato comunque sulla sua personalità così eclettica. E fu questo che le fece pensare a voce alta che a lei erano successe cose fino ad allora con cui avrebbe potuto riempire almeno altre cinque o sei vite e che riviverle anche solo a parole non le sarebbe sembrato il caso. Ma non appena si rese conto della confessione personale che si stava consumando, riuscì a fare un passo indietro mettendola sulla necessità che si manifesta, a una certa età, di rivedere le priorità della vita. E che in certi momenti l’unica cosa a preoccupare gli adulti dovrebbe essere solo lo scompiglio che il decesso dei genitori può recare sulla propria esistenza, sempre che lo si voglia considerare ancora una volta un’esperienza vissuta in prima persona senza tirare in ballo la sofferenza di persone anziane che si vedono esaurire il tempo a loro disposizione, che sarebbe ancora più plausibile. Ma, in ogni caso, un blog impostato così, anche se sulla faccia di lui era chiaro che ormai stava pensando ad altro, sarebbe stato perdente in partenza.

tutto qui

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Che poi, e mi riferisco a quanto ho scritto qui sotto, stiamo tutto il tempo a raccogliere informazioni, un vero e proprio bombardamento, e le stipiamo tutte in una memoria volatile perché oramai l’intelligenza non consiste più nel ricordare l’informazione ma nel sapere dove cercarla su Internet. E, a dimostrazione di questo, per esempio in questo momento non mi ricordo assolutamente dove ho tratto questo concetto, dove l’ho letto, e provo a cercarlo con Google ma non lo trovo e in questo caso come mi devo considerare? Io che non sono un nativo ma un uomo digitale di mezza età ho ancora un po’ di forma mentis del secolo scorso e qualcosa ogni tanto mi rimane in testa. Poi penso ai mali della vecchiaia, purtroppo ne ho un caso molto vicino, e mi chiedo che succede se dopo che hai accumulato dati importanti, come i ricordi di una vita, un bel momento resetti tutto e quando ti portano in giro vedi le cose come se fosse la prima volta, ogni volta. Noi cresciuti informatizzati avremo tutto qui, su questo coso che registra ogni input gli invii da una tastiera. Ho anche letto che le esperienze di blogging hanno il valore di dare una sistematizzazione e mettere al sicuro una serie di contenuti, magari tutto quello che è successo prima, in alcuni casi quello che succede contestualmente, in altri quello che verrà dopo. Con il vantaggio, parlando per il futuro, di avere già qualcosa di pronto da ricordare nel caso si guastasse il disco fisso che si ha in testa, e qualcuno di molto vicino chiedesse di raccontargli una storia.

rete!

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Leggo di molte solitudini, momentanee o di lunga durata, lettere d’amore, disagi quotidiani sul posto di lavoro e amore per la propria professione. Leggo di piccole cronache famigliari e di intensi podcast mai trasmessi, persone che ritornano in parole da viaggi distanti. C’è che mi fa ridere ogni volta e mostra piccole parti di sé giorno dopo giorno. Chi raccoglie le voci di altri e le amplifica, chi cerca di dissertarle, chi è talmente esperto in qualcosa che non ha bisogno di essere complesso nel parlarne. C’è l’insegnante che non ho mai avuto, c’è chi mi dà sempre nuovi spunti musicali, chi spesso pubblica cose un po’ ingenue ma io gli sono affezionato, non so perché e continuo a leggerlo. Qualche giorno fa ho partecipato come tester a una prova di usabilità su un nuovo aggregatore di post che sarà lanciato a breve e mi sono state rivolte alcune domande sul prodotto che avevo davanti e su quale sia la mia idea di blog. Di fronte all’ennesimo raccoglitore di comunicati stampa e articoli privi di valore aggiunto, che secondo me poi il vero valore è il filtro di chi scrive, mi è venuta in mente la rete di persone che seguo ogni giorno tramite i feed – proprio voi – e potete immaginare come ho formulato la risposta.

captatio benevolentiae

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Volevo solo scrivere che da quando ho messo su questo rotocalco di scritti posticipati ho scoperto e riscoperto un sacco di gente interessante. Alcuni commentano, altri laicano compulsivamente su Facebook, altri ritumblerano, o commentano su fifì, o si manifestano nei luoghi e interstizi del web più improbabili. Insomma, un piccolo tributo a chi ho ritrovato, a chi ho conosciuto e non conoscevo prima, a chi mi legge e anche a chi, quando mi capita di incontrare per lavoro o anche solo al telefono, dice di seguirmi sempre e di leggermi con piacere. Ma il piacere è tutto mio.

osservare periodi di riposo (altrui)

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Ad un certo punto, nel bungalow di fronte al nostro, arriva una coppia su una cinquecento color perla. Una cinquecento di quelle nuove, naturalmente. Forse anche con il tettuccio. Sicuramente noleggiata. Sui venticinque anni entrambi, hanno un bagaglio esiguo, dal che si deduce che la loro permanenza sarà breve. I lineamenti non sono italiani, sembrano o tedeschi o svizzeri o comunque una razza superiore alla nostra, intesa come noi che schiamazziamo e gridiamo ai nostri figli per farci obbedire e farli stare seduti a tavola anche per mangiare la frutta, disturbando il resto del campeggio. Mentre mescolo il risotto in busta in modo che non si attacchi alla padella, osservo i nuovi dirimpettai. Il tempo di sistemare le poche cose e già sono seduti in veranda, ciascuno con un Macbook Pro da 17 pollici a testa, una chiavetta per la connessione a Internet e un iPhone. Stappano una Ichnusa e, accompagnandosi con numerose sigarette e versando in bicchieri di plastica tutti i 66 cl di birra divisi in pari quantità, stanno lì immobili e silenziosi, ognuno sul proprio Macbook Pro da 17 pollici. Poi lei prende l’iPhone e, sigaretta in mano, scende dalla veranda. Camminando in tondo parla inglese – con un marcato accento tedesco – con qualcuno. Nel frattempo viene buio, accendono una candela, noi mangiamo il risotto.

A mattina inoltrata hanno ancora la porta chiusa e le tende tirate, sul tavolino fuori c’è un moccolo bianco, un posacenere colmo di mozziconi e un cadavere di Ichnusa. Noi si va al mare, le vacanze seguono il loro ritmo. E la coppia di fronte ne ha uno molto diverso. Verso le sette di sera rientriamo dalla spiaggia consumati dalla salsedine, e i due sono già lì, seduti al tavolo, i Macbook Pro accesi, la birra e le sigarette. Altra telefonata, altra Ichnusa. Non vedo teli da mare appesi allo stendino, entrambi però indossano il costume da bagno, sopra il loro corpo bianco nerd. Faccio un giro diverso tornando dai lavandini dove ho lavato le stoviglie e cerco di sbirciare nei monitor. Chissà di cosa si occupano. Il ragazzo mi coglie in flagrante e sorride, ricambio con un saluto imbarazzato e riporto la mia curiosità nei limiti per i quali ho già saldato l’affitto di una settimana.

Cala la sera, e la coppia siede ancora in veranda, ora con un ospite. Io accendo il mio PC, non ho la chiavetta per Internet, l’ho portato solo per scaricare le foto e far vedere qualche cartone animato a mia figlia, ma faccio finta di dover fare qualcosa di importante. Devo aggiornare il mio blog, devo rispondere a qualche email urgente. Proprio così. Il suono di avvio di Windows XP mi fa un po’ vergognare, devo ricordarmi di mettere a zero il volume, tanto da lontano e con il buio non si capisce che non è un Mac ma si tratta di un Pentium 4 con una scheda PCMCIA per il wireless che non c’è. E che l’attività più duepuntozero che posso fare è una mano a Prato Fiorito. Di fronte, la discussione tra i due e il loro invitato prosegue serena ma è impossibile carpire i particolari, le birre si vuotano una via l’altra, i Macbook rimangono stranamente chiusi, candele e sigarette si consumano in fumo. Capisco però che i due, con il loro ospite, parlano in italiano, e anche piuttosto bene. Crollano tutte le certezze.

Il terzo giorno della loro permanenza suppongo trascorra come i precedenti, a mia insaputa. Perché facciamo una gita nella meravigliosa cala più a nord e si parte all’alba. E anche i giorni successivi sono così. Si svegliano tardi la mattina, non so se e a che ora facciano un bagno o almeno si sdraino al sole, perché la loro pelle continua ad essere candida. A lei, tipica aria da lentiggini, non ne è uscita nemmeno una. In compenso passa ore immersa in conference call, sempre in inglese. Ne deduco che il loro business funziona. Poi avanti ore a scrivere chissà quali cose decisive sui loro Macbook Pro. Magari hanno un sito di e-commerce, o sono i community manager di qualche importante multinazionale e non hanno nemmeno un giorno di vacanza, tanto che sono lì, a pochi metri da una delle spiagge più belle della Sardegna, ma devono rimanere costantemente on line, e con i ritmi che hanno dubito ne colgano l’essenza.

Vedete, però, con un dirimpettaio impiccione come me, dovreste almeno dare qualche indizio in più sulla vostra attività, pronunciare forte e chiaro il nome dell’importante corporate vi tiene ore e ore così impegnati, sarà sicuramente un lavoro di grande responsabilità e di elevata visibilità, magari abbiamo anche qualche contatto in comune, e visto che vi siete accorti che sono sempre lì a origliare le vostre conference call potreste attraversare lo spazio che ci separa e raccontarmi tutto. Non lasciatemi qui a fare finta di aggiornare un blog e a consumarmi di curiosità. Già, uno scenario impossibile. Tutto procede così, continuando inesorabilmente con sessioni di telelavoro e conference call, fino a quando una mattina, l’unica in cui ci svegliamo un po’ più tardi, la cinquecento non c’è più.

you are what you write

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Immagino sia una funzionalità di ogni piattaforma di blogging: nel pannello di controllo di WordPress, oltre alla conta delle visite, c’è l’elenco delle parole che i miei utenti (scusate, ma stento ancora chiamarvi lettori, la responsabilità che ne deriva mi spaventa non poco) hanno inserito nei motori di ricerca per avere, come esito, il mio unico e inconfondibile url. Piccola deformazione professionale, dovendo cimentarmi quotidianamente anche con i princìpi di SEM e SEO per mettere insieme uno stipendio a fine mese. Una forma di voyeurismo anonimo ma comunque divertente, un modo di intercettare le ricerche in Internet altrui.

Nel report spicca la stragrande maggioranza di stringhe di testo contenenti “Sanremo”, quindi “onorevole Iva Zanicchi”, un buon numero di “The Sound” e “Jeopardy”, il che mi ha sorpreso, trattandosi di una delle band più sottovalutate della storia della musica.

Cose inquietanti, tipo “pupille da eroina” e “problemi di acidità”, l’immancabile e nazionalpopolare “figa”, allo stesso modo “Tini Cansino”. Una marea di frasi incomprensibili, sgrammaticate e zeppe di refusi (ecco perché portano qui, probabilmente) tipo “vignetta che studia” e “scrivere un racconto di come o pasato il natale”. Infine, avendo scelto un titolo come “alcuni aneddoti dal mio futuro”, ho riscontrato una strenua e continua ricerca di motti e facezie mista a richieste di divinazione, quasi che gli italiani si affidino a Google per fare rifornimento di battute o spunti di conversazione e per sapere cosa ne sarà della loro vita.

Il bilancio: per quanto da queste parti ci si atteggi a influencer di politica, cultura, sociologia della comunicazione e nuovi media, alla fine il mio blog altro non è che un sano ricettacolo di musica pop e cazzate.

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