benvenuti sulla pagina dedicata alle aspettative vs. realtà

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Ogni strada ha la sua automobile ferma da chissà quanto con almeno una gomma a terra, in attesa che qualcuno prenda provvedimenti o un addetto al traffico si informi per recapitare una severa ingiunzione per occupazione del suolo pubblico indipendentemente dal diritto o meno del proprietario di usufruire di quello spazio dedicato alla sosta. Intorno sono molti i passanti che controllano se c’è qualche novità, ciascuno con la sua borsa in spalla dedicata all’attività sportiva con cui concludere alla grande la propria giornata produttiva al netto delle attività di svago compreso il cazzeggio sui socialcosi. Pensate poi anche a quanto tempo occupa l’elettronica nelle nostre conversazioni, stiamo sempre lì a parlare di app e cose viste su questa o quella pagina di Facebook e non ci siamo nemmeno resi conto che i libri, non tutti ma almeno una buona parte di essi e vi giuro che non è una considerazione da purista del profumo della carta, ci forniscono punti di riferimento più nobili da cui prendere esempio, mentre dall’altra parte e cioè su Internet è più facile essere instradati su attività più pratiche, come essere cinici o piegare le t-shirt o diventare cattivi o anche violenti, per lo meno razzisti e impermeabili al dolore altrui. Poi certa gente davvero non si rende conto delle proprie aspettative rispetto alla realtà, pensi di essere in un modo e invece poi gli altri che ti osservano appunto mentre transiti con uno zaino Adidas sulla schiena valutando il periodo di permanenza di quella costosissima Audi ingiustificatamente ferma sotto casa e la prima cosa che si nota è che anche se sfoggi un taglio di capelli come questo o quell’attore o cantante non è detto che poi, a questo o quell’attore o cantante, gli assomigli. Per dire, anni fa mi ero fissato con una avveniristica pettinatura che avevo visto sulla testa di uno dei quattro Depeche Mode – quello che poi se ne è andato – e pensavo che il parrucchiere, in fondo, fosse un mestiere prossimo alla chirurgia plastica, e invece non è così. O ancora ragazze che postano foto di modelle con i capelli corti perché loro stesse portano tagli simili ma poi quello che fa la differenza è la faccia che è più o meno valorizzata. Possiamo invece intervenire con successo sull’abbinamento dei colori dei vestiti che indossiamo, a prescindere dalla luminosità insufficiente che pervade le nostre case all’alba e che spalma una mano di nero su ogni superficie causandone l’indistinguibilità. Mi chiedo e vi chiedo se si tratti di un fattore culturale quello di preferire o no due colori affiancati rispetto ad altri, oppure ci dev’essere – ne sono quasi convinto – un insieme di regole imposte dalla natura stessa dei colori che fa sì che solo quelli con una particolare matrice comune possano convivere. Vi faccio l’esempio del blu con il marrone, che la vulgata popolare riconduce allo stile discutibile di un perfetto cafone (cercando la rima più che la verità) qualunque. Vedo pantaloni blu con scarpe marroni in camoscio su altri e penso che non siano niente male. Indosso la stessa combinazione, provo alla luce della lampada e mi metto anche sul balcone prima di andare in ufficio, ma il risultato non è mica lo stesso. Malgrado anni di pratica non ho ancora identificato dove sia il problema.

i lunedì al sole

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Mi manca un po’ quell’approccio per cui le cose da fare sono una rogna, tutte e indistintamente, che si ha quando si pensa di avere sempre qualcosa di meglio da fare, il che accade intorno ai vent’anni a meno di non appartenere a quella pletora di inani svogliati che tirano a sera leggiucchiando le vite degli altri alla tivù. Crescendo ogni passo da affrontare poi continua a essere una rogna ma per una serie di motivi che conoscete anche voi – si mette su famiglia, si pensa al dopodomani, si capisce che c’è bisogno di preservare sé stessi e una buona parte delle risorse prodotte per qualcosa di poco definito che ha da venire – e ogni cosa da fare diventa una rogna farcita di marmellata di dovere. Ogni morso quotidiano restituisce un campione di retrogusto di pasticceria industriale pronta all’assaggio, quelle robe inerti che metti nel microonde e pof! ti si gonfiano ricomponendo molecole e valori organolettici ma per una parvenza di piacere così superficiale che comporta una tripla beffa: li paghi a suon di soldoni, non sanno di un cazzo e ti fanno pure ingrassare in un modo chimico e anormale, un processo a cui il tuo organismo che per certi versi è lo stesso degli uomini primitivi che ingollavano carne cruda non sa come rispondere. Così è un po’ la vita: a una certa età le cose le devi fare ma non è detto che vadano fatte per il nostro bene, semplicemente occorre mantenere il ritmo per ricongiungerti alla fine con il piano di accumulo pensionistico – rigorosamente privato – con un certo equilibrio psicofisico. La difficoltà maggiore consiste nell’identificare qualche diversivo per non rimanere intrappolati nella routine, ma se fate un lavoro come il mio non è sempre facile. Stamattina ho pensato di spostare la scrivania, prima ero rivolto con le spalle alla finestra ma con l’età la luce contro il monitor diventa sempre più insopportabile. Ora sono a 90 gradi rispetto ai vetri e al sole che entra, da questa posizione sembra tutto molto più facile, almeno per oggi che ne avevo davvero bisogno, almeno quanto rendersi conto di come ci si riduce.