verso una posizione di prestigio a bordo di un'utilitaria euro 3

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La mobilità sociale è contro natura, ti fa perdere un sacco di tempo e crea solo frustrazioni. Pensate solo agli ingorghi di tutta la povera gente che aspira ai posti vacanti di celebrità che ci hanno lasciato le penne ultimamente, la pessima viabilità nei pressi dei talent show con tutti quei semafori verdi che si accendono a cazzo o la grande truffa della visibilità a chilometro zero, che illude giovani e meno giovani che si dannano sul web come se, davvero, offerta e domanda di successo fossero pari. Poi volete mettere un sano percorso di vita uniforme rispetto a trovarsi a un certo punto, magari verso i cinquant’anni, agli antipodi di se stessi? A me piace mantenere certe costanti e questo indipendentemente da dove mi trovi, e tenete conto che sono uno che usa quasi esclusivamente i mezzi su rotaia per spostarsi da una classe sociale all’altra, ma giusto perché permettono di crescere o finire in disgrazia con particolare naturalezza, molto stile, spendendo poco e, soprattutto, leggendo narrativa americana contemporanea nel caso di ritardi o soppressioni e i tempi morti in genere. Avete presente quella filosofia da tanto al mucchio che cerca di far riflettere su quanto sia inutile fare più giri della merda nei tubi (cit. mia nonna) quando è dentro di sé che occorre trovare la giusta destinazione? Ecco, io ero cialtrone ai tempi della seconda media quando criticavo i titoli e gli autori della biblioteca di classe tanto quanto mentre prendevo immeritatamente voti altissimi all’università e, allo stesso modo, firmando contratti prestigiosi ma poco redditizi nelle numerose società per le quali ho prestato servizio, convincendo vari datori di lavoro su certe mie attitudini totalmente inventate. Cambiarsi è impossibile, questo a qualunque latitudine. Quindi state dove siete, rassegnati o senza i soldi utili per tentare un riscatto, e godetevi il viaggio così com’è.

è lecito chiedersi come fanno nei paesi del nord

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Gli innesti di modernità sulle fasce più povere generano gli effetti più strabilianti e interessanti da documentare. Bisogna stare attenti però a parlarne e a raccontare queste cose cercando di essere delicati perché a suscitare l’ilarità dei lettori mettendo alla berlina i deboli son capaci tutti ed è un atteggiamento degno dei peggiori autori di nefandezze pseudo-letterarie, quelli che vivono di provocazioni e nient’altro. Pensavo invece al garbo di chi si è inventato un film come “Miracolo a Milano” e i borderline alle prese con la fondazione di una sorta di nuovo ordine sociale. Secondo la nostra visione a compartimenti stagni si tratta di un’impresa che, in teoria, dovrebbe essere sopra le loro possibilità. Ma alla fine sono loro che vincono, se non ricordo male. Vorrei tirare in ballo anche il titanismo leopardiano, ma mi rendo conto che sarebbe una forzatura e un inutile sfoggio di paroloni di cui ci si riempie la bocca e, rimanga fra noi, in questo caso è un commento che proprio non c’entra un cazzo.

Perché è di lui che vi vorrei raccontare, questo ragazzo che è seduto vicino a me e non vi dico di cosa puzza, anzi provo a farvelo indovinare: è quella cosa liquida dalla quale più volte al giorno sentiamo di doverci separare in frequenza variabile a seconda di quanto beviamo. Ecco, forse questa persona dovrebbe fare i conti con la tempestività o semplicemente cercare un modo per rinnovare a intervalli minori l’underware, ci siamo capiti. E data la giovane età non credo alla base del problema sussista una gestione difettosa dell’apparato preposto all’espulsione e la conseguente dotazione di un sistema di contenimento mobile artificiale. Comunque mi guardo in giro per capire se mi trovo per sbaglio nei pressi di un orinatoio o se qualcuno ha frainteso proprio quel sedile della metro gialla come parte di un infinito water dove il confine tra le acque nere e quelle bianche sta tutto nella chiusura mentale di chi non trova la dicitura fuori servizio nemmeno sulle maniglie delle porte dell’immenso. Diamine, così alla fine ho capito che ciò che percepivo non era una caratteristica dell’ambiente ma ha gambe e braccia ed è seduto proprio lì di fianco a me. E se lo osservo attentamente mi rendo conto del suo aspetto, che dire trasandato promuoverebbe più del novanta percento, il sottocritto in primis, verso le categorie della cura della persona da dieci e lode, sapete che è una delle voci su cui, oggi, ti giudicano anche sulla pagella a scuola.

E a dirla tutta questa ingombrante carenza non sarebbe nemmeno così deplorevole se non fosse abbinata al possesso di un dispositivo di comunicazione individuale e hi tech non dei più costosi, certo, ma sufficiente a far propendere il giudizio di terzi verso di lui sul versante negativo, se siamo ancora fermi al pregiudizio per cui mentalmente si esegue lo scorporo etico tra i generi basilari di prima necessità e i beni accessori e, in quanto tali, superflui. Ma fermi ci siamo per forza di cose, dato che dalla vendita di quel cellulare si potrebbe investire qualche decina di euro in una quantità più adeguata di biancheria. Non solo. Da quel marchingegno al di sopra delle sue possibilità giunge a fasi alterne qualcosa di ancora più irritante dell’acido urico, ovvero una serie di hit di musica brasiliana, non trasmesse contemporaneamente ovvio bensì in sequenza, il che è peggio. Uno di quei pezzi che quando ne sento anche solo uno e vedo la gente ballare ho il riflesso condizionato di ruotare la maniglia per tirare lo sciacquone, chissà se anche a voi l’esasperazione vi ha ridotto così.

Per non parlare della neve, che non è moderna, anzi, ma il modo in cui si riversa indistintamente su cose e persone è un’allegoria di qualcosa di più complesso, forse ancora di più di uno sbandato che dorme nei cartoni, chissà da quanto non si lava ma ha un telefono mobile con cui ascoltare Gustavo Lima. La neve scende e si posa secondo leggi naturali ben precise di temperatura, latitudine, altezza, stagione. Sotto ci può essere qualunque cosa e chiunque, gente nata in posti caldi e che con cappello di lana e piumino economico cattura la nostra attenzione. O la sudamericana con i Moon Boot, che ti viene da guardarla perché noi siamo abituati a pensare loro in contesti così lontani dall’asfalto coperto di neve sporca di scarichi di automobili in città. Ecco, la neve sporca. Anche quella è un innesto di modernità di cui chiunque, ricco o povero, farebbe a meno.