rubano di tutto

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Io prima ancora di credere ai politici che rubano, ancora prima di mani pulite e quindi di tutte le cattiverie che sono state perpetrate contro la cosa pubblica, già ero consapevole e un convinto assertore che il problema è che siamo noi che siamo poveracci e che rubiamo più di tutti. Noi cittadini, e non solo noi che viviamo clandestinamente da queste parti. Tutti noi. Nel senso che questi che diciamo che rubano, e che a volte li sorprendiamo con le mani nel sacco o i soldi in Svizzera, prima di essere eletti da noi erano addirittura gente come noi, pensate che stranezza.

E sapete meglio di me quali sono le nostre comuni radici. Se vi fate un giro in un supermercato provate a contare le confezioni aperte, le offerte tre per due in cui qualcuno ne ha fatta sparire una, le bottiglie già stappate, i dolciumi sbocconcellati, i calzini mancanti dalle coppie, i deodoranti e i profumi usati e rimessi a posto, i prodotti privi di qualche componente non vendibile separatamente, persino i bottoni dai vestiti riusciamo a far sparire. Senza parlare di quelli che trafugano cose intere senza pagarle, ma quelli sono ladri fatti e finiti ed è un altro paio di maniche.

Probabilmente i colossi della grande distribuzione hanno messo in conto questo genere di perdite quotidiane, e chissà se da qualche parte si trovano dei dati per capire l’impatto di tutto quello di cui riusciamo ad appropriarci illegalmente tra gli scaffali approfittando della calca dei consumatori nei giorni della spesa. E se non stiamo attenti ci rubiamo le cose persino tra noi. Il carrello con l’euro dentro è un classico, ed è per questo che io giro sempre con il mio appresso, non faccio come quelli un po’ sprovveduti che lo lasciano in un punto e poi si inoltrano tra le merci esposte per essere più comodi. Non immaginate cosa sarebbe in grado di fare certa gente per avere un euro gratis.

Che non è tanto perché poi devi ricominciare la spesa da capo. Magari qualcuno non si ricorda di aver appeso la propria giacca sul quel gancio che sporge sotto la maniglia, sapete quello che serve per mettere le borse, e visto che tra noi poveri ci si ruba di tutto basta un attimo che la giacca non la trovi più. Non tanto per il capo d’abbigliamento in sé, nove volte su dieci è un Oviesse della stagione passata, comprato ai saldi e del valore inferiore ai venti euro, ma perché magari nelle tasche della giacca porti qualcosa di valore ed è per questo che sparisce. Si volatilizza.

E se quel qualcosa di valore è la chiave dell’auto che hai nel parcheggio non custodito del supermercato, e la chiave dell’auto è l’unica perché quella di scorta te l’avevano già rubata quando ti hanno svaligiato la casa, la situazione è ancora più a rischio. Carro attrezzi, officina, serratura nuova. Una bella botta per colpa di qualche pezzente come te che si sfama con le merendine non commercializzabili separatamente sottratte di nascosto e tenta il colpaccio con una giacca incustodita.

Ma magari poi la storia finisce bene, perché la giacca qualcuno la abbandona in uno di quei contenitori che traboccano di calzini di qualità infima a prezzi insignificanti, forse in segno di disprezzo perché nelle tasche non ha rinvenuto nulla di valore e niente degno di essere rubato. Cose come queste ci devono insegnare a stare attenti, e prima di dire che i politici rubano dovremmo guardare dove vanno le nostre mani e guardarci bene da quelle degli altri. Nemmeno questa fosse una storia vera.

la società, che spettacolo

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Nel mio piccolo, qualche contributo al situazionismo nella mia vita fin qui l’ho dato, e su questo credo di avere la coscienza a posto. Anche se in realtà il non riconoscere l’esistenza del situazionismo è stato un mero vezzo semantico dei situazionisti, quindi a qualcuno di questi so-tutto-io che vanno per il sottile potrebbe venire in mente di togliermi ogni merito. Se parliamo di creare situazioni va meglio? Allora posso dire di averci provato, anche se ho cominciato quando ormai non c’era più nessuno in grado di esercitare un giudizio in merito e  l’identificazione anche solo della componente psico-geografica risultava un processo ampiamente aleatorio.

Le tracce stesse della filosofia, tutto sommato, sono invisibili ancora ai nostri tempi. Quante volte vi è capitato di fermarvi a riflettere durante una conversazione tra nonne in stretto dialetto siciliano e chiedervi il perché, in quel borgo dell’entroterra del ragusano, l’urbanismo unitario – per fare un esempio – non abbia lasciato traccia. Domande analoghe che implicano la stessa risposta possono sorgere in noi fermi al semaforo concentrati sui denti placcati in oro della lavavetri nomade che non si è accontentata del nostro rifiuto a sottoporci a una seduta di pulizia del parabrezza, se dovessimo analizzare il luogo e il territorio attraverso le sue derive, e in quel tentativo di diminuzione di momenti nulli c’è l’imbarazzo della scelta.

Quanto c’è di Debord in una passerella pedonale che collega un Ritmo Shoes con un Leroy Merlin utilizzata solo dalle fasce più povere della società alle quali è negato il diritto di fare la spesa natalizia in automobile? Un inizio di rissa per una Punto vecchio modello che sfoggia un tagliando portatore di handicap attribuito abbastanza arbitrariamente da qualche autorità di manica larga, lasciata con finestrini, porte chiuse e marcia ingranata in seconda fila davanti all’ufficio postale a bloccare una signora in pelliccia che non smette di suonare il clacson e una famiglia in tuta da ginnastica di sottomarca che si appresta a vivere comodamente il sabato mattina di offerte da volantino, possono essere considerati momenti concreti di vita deliberatamente costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi?

E se tutti insieme stabilissimo che un Grancasa qualunque a fianco di un Carrefour Planet, entrambi sullo stesso lato di uno svincolo autostradale a tre corsie, possono risultare davvero l’ambiente spaziale fatto di allestimenti di interni in impiallacciato laccato, in linea con la nostra condotta morale come teatro per il corso di attività dove l’arte integrale ed una nuova architettura possano finalmente realizzarsi? La presenza di megastore risponderebbe alla necessità di inventare rappresentazioni di una nuova essenza, ampliando la parte non-mediocre della vita, diminuendone, per quanto possibile, i momenti nulli grazie anche alla presenza di Paolino, il Mago dello Spiedo, a riempire l’esperienza sotto il profilo olfattivo. Ma ridurre tutto questo a semplice espressione artistica sarebbe una semplificazione per eccesso. Guardatevi intorno, c’è poco da re-inventarsi: il potere rivoluzionario è dentro ciascuno di noi, basta non lasciarsi confondere dal suo tasso variabile.

i principii dei poveri

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Non guardo la tv perché non mi va di essere bombardato di spot. Per lo stesso motivo impongo, quasi sempre senza essere ascoltato, il diktat ai miei congiunti. Con mia figlia, che ha accesso solo a un paio di canali per bambini del digitale terrestre, il compromesso è che a ogni interruzione per i consigli per gli acquisti deve cambiare canale. Perché è più facile essere poveri se non si guarda la pubblicità, in un momento in cui i parametri di scarsa agiatezza sono piuttosto flessibili, ultimamente sempre più aleatori. Le code in cui ci si imbatte in ogni fine settimana da e verso Milano danno una scarsa percezione del potere d’acquisto della classe media. Stesso discorso per l’elevata percentuale, non vorrei esagerare ma almeno uno su due, di persone che si trastullano con cellulari da centinaia di euro in mano al mio fianco sul treno dei pendolari. E mentre stavo acquistando il mio nuovo telefonino, un innovativo modello che oltre a telefonare consente di inviare messaggi sms ad altri, del costo di 5 euro – unico motivo che mi ha convinto a cambiare il mio vecchio Nokia solo perché a seconda di come lo posizionavo si spostava la SIM e dovevo intervenire manualmente – la coppia servita al mio fianco da un altro commesso del negozio contemplava in fibrillazione la procedura di attivazione dei loro iPhone nuovi fiammanti, uno a testa, che si stavano regalando per l’anniversario di fidanzamento. Entrambi sulla trentina, italiano lui (ha scelto il modello nero) e caraibica lei (ha scelto il modello bianco), mezzo titolo di studio in due, con in mano un rotolone di pezzi da cinquecento (euro) per portare a termine quell’accordo commerciale, ansiosi di inaugurare la multicanalità delle loro conversazioni a distanza con chissà quali contenuti, multimediali e non. Ammetto che è ancora più facile essere poveri se non si esce di casa.