180 grammi, il peso dell’anima su vinile

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L’ultima traccia del lato B sfuma, il secco clic della puntina che batte sul solco più interno del disco, il braccio si solleva e rientra in posizione di fermo. Il piatto rallenta fino ad arrestarsi, nemmeno un giro dopo. La stanza ripiomba nel silenzio, le casse restano mute, l’immaginazione gioca con qualche rimasuglio di eco che non c’è, i rumori della strada riemergono dopo essersi messi da parte prima, nel rispetto del nostro ascolto. Questa più o meno è la vita, che come un long-playing ha due facce. Ci sono i primi due o tre brani con tutta la loro freschezza, una parte centrale che corrisponde alla massima intensità ma poi arrivi a metà e devi girare sull’altro lato per continuare e riprendere dal punto in cui ti sei interrotto, le ultime registrazioni fino alla traccia conclusiva che ti accompagna scemando fino agli ultimi battiti del cuore. I gruppi e i cantanti di un certo tipo scelgono come brano d’addio quello che somiglia di più a una richiesta di aiuto. Pensate a “Sinking” dei The Cure e a come chiude “The head on the door”. L’ingegno umano però è riuscito a prolungare il tempo e per certi versi a rovinare un po’ la questione con un accanimento terapeutico della vita media di un 33 giri. Le versioni su CD possono infatti contenere fino a ottanta minuti di musica, essere remastered o de-luxe. Si sono persino inventati le ghost track, le tracce nascoste. Lasci, anzi, lasciavi – oggi chi li compra più? – il CD nel lettore dopo l’ultima canzone pensando che si spegnesse automaticamente e invece, trascorsa una manciata di minuti, il tuo gruppo preferito faceva nuovamente capolino dal nulla mettendo a rischio l’incolumità dei più deboli di cuore. Proprio come il fantasma di un tuo caro che appare quando meno te lo aspetti e non sai se essere felice o sconvolto per la visita che non ha nulla di naturale. Una musica dall’oltretomba, un saluto estremo dopo i tempi regolamentari della durata stabilita nero su bianco e in minuti e secondi sul leaflet. Io a questi rimedi escatologici contro la paura della fine – e della morte – non ci credo, come non credo ai fantasmi e alle canzoni nascoste. Giocateci pure voi con le vostre trovate digitali. Io mi tengo stretti i miei cerchi a spirale e mi faccio guidare fino all’ultimo solco, e chi se ne importa dei granelli di polvere.

a proposito del ventennale di Dummy dei Portishead

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Qualcuno dica ai Portishead che utilizzare sample di rumori da vinile impolverato e graffiato sotto i pezzi di Dummy non è stata una buona idea considerando che c’è gente che lo ascolta, ancora oggi, con il giradischi.

i 10 migliori dischi che potete regalarmi per Natale

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Pensate a quanto poco sfruttiamo le cose. Se del mio furbofono utilizzo se va bene il 10% delle sue potenzialità, potete immaginare quanto sia superfluo un elaboratore elettronico collegato a una rete di miliardi di milioni di miliardi di milioni di dati. Noi qui nella nostra piccolezza a scrivere battutine per il plauso di qualche decina di persone affette da disturbi dell’attenzione mentre basterebbero due algoritmi ben piantati per convocare tutte le forme di vita universali a convegno sulla terra. Magari non questo fine settimana, eh, che c’ho da fare.

In verità vi dico che il mio impegno è di apprendere almeno una cosa nuova al giorno grazie a questi strumenti. Vi sembro ottimista in eccesso? Bene, ecco le prove. Cliccate qui e potrete scoprire all’istante quanti giorni mancano a Natale. Io l’ho imparato poco fa interpellando l’oracolo di Google, e quello è il mio risultato odierno. Il tutto per stizza perché ho chiesto anche al motore delle meraviglie come aumentare il numero di lettori di questo coso qui su cui scrivo, ma non è che abbia trovato molto se non puntare sull’attendibilità dei contenuti (e qui non ci siamo), sul commentare blog altrui (aiuto), sul rispondere ai commenti dei propri lettori (ehm, poi mi becco pure le frecciatine dai lettori più affezionati come la cara Miss o forse sono io che ho la coda di paglia), e sull’usare titoli espliciti sul contenuto dei post. Ecco, questo giammai. A me piace, lo sapete, scrivere titoli a cazzo, è uno dei plus di plus1gtm, non ci rinuncio certo per qualche bieca operazione di SEO o SEM.

Ma la cosa dei giorni che mancano a Natale è capitata proprio a fagiolo perché volevo appuntarmi da qualche parte una serie di ellepi in vinile, sì intendo proprio i 33 giri, il cui possesso mi farebbe davvero sentire una persona più completa. Quindi se proprio proprio volete farmi un pensierino considerando tutte le volte in cui vi ho fatto sorridere, piangere, preoccuparvi, sognare, andare in brodo di giuggiole o sbadigliare con le mie farneticazioni zeppe di refusi, criptiche e banali, ecco che potete attingere da qui. Tutta roba che non si trova facilmente a meno di non avere poco a cuore i propri risparmi ma che starebbe bene sulla mia libreria a terminare una collezione che, di queste perle, sente la mancanza per diventare finalmente conclusa come un album di figurine dei calciatori. Una lista che è molto più ampia di dieci dischi come dice il titolo di questo post, come al solito poco utile ad attirare traffico. Che poi, in fondo, a che serve fare tanti clic? Comunque potete salvare il link a questa pagina, non mancheranno infatti imperdibili aggiornamenti. Il resto che non vedete scritto qui ce l’ho tutto. Buon Natale e buon ascolto dal vostro affezionato plus1gmt.

1. PFM – Per un amico
2. PFM – Storia di un minuto
3. PFM – Chocolate Kings
4. Interpol – Our love to admire
5. David Bowie – Reality
6. David Bowie – Heathen
7. David Bowie – Young Americans
8. David Bowie – Hours
9. David Bowie – Earthling
10. Blondie – s/t
11. Blondie – Plastic Letters
12. Blondie – Parallel Lines
13. Blondie – Eat to the Beat
14. Blondie – Autoamerican
15. Blondie – The Hunter
16. Durutti Column – The Return of the Durutti Column
17. Polyrock – s/t
18. Polyrock – Changing Hearts
19. Linton Kwesi Johnson – Forces of Victory
20. Linton Kwesi Johnson – Dread beat an blood
21. Linton Kwesi Johnson – Bass Culture
22. Offlaga Disco Pax – Socialismo tascabile
23. CCCP Fedeli alla linea – Socialismo e barbarie
24. Lucio Dalla – Come è profondo il mare
25. Lucio Dalla – Lucio Dalla
26. Lucio Dalla – Dalla
27. The Sound – All Fall Down
28. PFM – Passpartù
29. Genesis – Seconds Out
30. Depeche Mode – Music for the Masses
31. Portishead – Dummy
32. Portishead – s/t
33. Portishead – Third
34. Air – Moon Safari

collez, la storia di un collezionista a metà

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Posso dirvi, giusto per rompere il ghiaccio, che dei The Cure ho tutti i primi dischi fino a “The head on the door” che è dell’85. Tutti i vinili a 33 giri, intendo. Il fatto che poi abbia acquistato “Disintegration” successivamente e anche “Wish”, che tutto sommato è un album con un suo perché e anche le sue hit, tipo quella di Robert Smith che si innamora ogni venerdì, e poi ci meravigliamo di immaginarcelo dolcemente complicato come in “This must be the place” al fianco di una moglie splendida come Frances McDormand. Dicevo, ho preso “Wish” in cd perché forse già allora i dischi avevano smesso di fabbricarli ma potrei sbagliarmi, e per esempio mi manca “Kiss me Kiss me Kiss me” e poi tutta la produzione recente di una delle band che mi accompagna da più tempo, ma si tratta di lacune che non mi turbano affatto. Semplicemente si tratta di dischi che non ritengo indispensabili.

Questo mi consente così di non condividere le frustrazioni non solo di quelli che hanno anche le rarità, i bootleg, le copie mai aperte ancora imbustate nel cellophane, quelle promozionali o numerate o autografate, quelli che registravano il disco su cassetta e per non rovinare i solchi con la puntina ascoltavano solo i nastri. Ma anche semplicemente di chi ama circondarsi dell’opera omnia tout court perché certe cose si affrontano con sistematicità e uno deve perseguirle coerentemente dall’inizio alla fine, e solo questo approccio da kamikaze delle esperienze conduce al centro della serenità interiore, quella che solo uno sguardo compiaciuto sui propri scaffali gremiti di oggetti ci consente. Forse perché è un’attitudine che riempie la vista e colma un altro genere di vuoti, chissà.

Il punto è che anche in questo campo mi annovero tra le file di quella parrocchia degli incostanti ma con un motivo fondato. Ho amato fin nelle viscere – e li amo tutt’ora – i The Cure di quel periodo là: i primi pezzi un po’ punkettoni e adolescenziali dei maschi che non piangono, dei ragazzi immaginari e degli oggetti negli occhi. La trilogia della cupezza, quel non-disco altamente ballabile che è “Japanese Whispers”, un imperdibile “The Top”, poi il live con la struggente “Charlotte Sometimes” che si trovava solo lì e infine il capolavoro che raccoglie da “In between days” a “Sinking”, almeno come l’ho vissuto io, un disco perfetto che calzava a pennello con il me stesso di allora. Per questo sono soddisfatto di avere la collezione completa dei loro long playing ma solo fino a un certo punto, un punto che ho stabilito io. Il dopo non mi interessa più, e ci può stare che comunque li abbia in mp3.

Ora non sto a farvi la cronistoria di ogni mia semi-fissazione musicale, ma analogamente posso vantare la discografia incompleta dei Depeche Mode fino a “Black Celebration” e al maxi-single di “Shake the disease”, prima cioè che qualcuno permettesse a Martin Gore di imbracciare sul palco quella cazzo di chitarra elettrica. Talking Heads tutto fino a “Speaking in Tongues”, al riparo dalla svolta plasticosamente pop di “Little Creatures”. Dei Simple Minds, manco a dirlo, tutto fino a quella hit universale di “Don’t you” che ha visto poi la dipartita di Derek Forbes al basso rovinando un po’ tutto.

Non soffro il vuoto di quello che mi tiene lontano da questo genere di integrità, e anche se sono venuto a capo di questa riflessione poche sere fa tenendo in mano “Trespass” dei Genesis che va a concludere una serie di cimeli rigorosamente comprendenti Peter Gabriel – da sempre esercito una forma di damnatio memoriae per tutto quello che hanno prodotto in seguito con Phil Collins al microfono e per la carriera solista dell’ex Rael che mi è sempra sembrata un po’ così – potrei applicare lo stesso metro di analisi su altre cose, per esempio i Dylan Dog originali ma solo dal 18 al 120.

Così, giusto per fornirvi un alibi alle accuse di accumulo compulsivo di cose reali o virtuali ed evitare di essere tacciati di paranoia da controllo, bulimia commerciale o schiavitù consumistica solo per una banale e comprensibile tendenza al possesso di tutti gli elementi di un insieme e gratificare così la vostra inclinazione all’armonia della totalità, ho voluto rendervi partecipi di un caso come il mio da fornire come esempio di – passatemi il termine – regolare imperfezione o, viceversa, parziale interezza. Questo affinché le vostre mogli non riescano a mettere alla berlina questa forma di coerenza a tratti, parificandola a una sorta di schiavitù a tutti gli effetti. Potete comunque sempre difendervi sostenendo che quando il totale è due non rientra nei parametri della collezione, come per i Joy Division. Perché poi uno si vanta di avere tutti i dischi dei Nirvana. E grazie, ne han fatti tre in croce.

a casa mia c’è una specie di festa per il nuovo arrivato

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storia di un mp3

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Il fatto che si tratti di un agglomerato di nonsisabenecosa, se ennemila sequenze in codice binario o una sorta di merda d’artista nel senso manzoniano – Piero, che non è quello vero (semi-cit.) – o altresì il reale concentrato dell’anima di una canzone, la sua rappresentazione grafica molto ma molto più rassomigliante alla sua vera natura, alla faccia del solfeggio parlato e del setticlavio. Qualunque cosa esso sia, l’mp3 ha la sua dignità sin da molto prima del tamagotchi, per dire, perché ci sono tanti modi per essere considerati digitalmente tangibili e non solo perché c’è un pugno di byte da accudire, fargli fare la cacca, metterlo a nanna, o lasciarlo morire in un impeto di cybercinismo. E, ora, non voglio fare la figura di quello che sapeva già tutto prima o il precursore a tutti i costi, ma l’mp3 di cui vorrei raccontarvi la storia è comunque la prova provata che un contenuto digitale ha una sua dimensione di corporeità e di spiritualità. Altrimenti come spieghereste il fatto che oggi, almeno quindici anni dopo l’inizio di questa storia, quel mp3, una volta messo in funzione, sprigiona le stesse proprietà di quando si è materializzato la prima volta – perdonatemi il gioco di parole – ed è stato contestualmente archiviato ospite clandestino in una memoria fisica – per modo di dire – di mio dominio. Si tratta di un prestigio che è accresciuto a dismisura. Basti pensare al valore dei luoghi di culto che agli mp3 oggi dedichiamo, dispositivi da centinaia di euro e tutta la letteratura che ne è generata, gente che è finita pure sul lastrico per colpa dei control c e control v compulsivi. Insomma, con un’esposizione mediatica così ampia ci dev’essere senz’altro qualcosa di più.

Comunque l’mp3 di cui vi volevo raccontare qui venne trasferito di nascosto con un sistema addirittura precedente ai vari Napster e i famigerati peer2peer. Perché si cercavano liste relative a contenuti di server pirata che, giorno dopo giorno, crescevano sempre di più – la cosa stava sfuggendo di mano – e a cui si accedeva tramite client del calibro di BulleProof FTP. Ma all’inizio la paura di essere scoperti non era virtuale, così quelli pavidi come il sottoscritto scaricavano poca roba per volta. E quello, l’mp3 protagonista di questa storia, è stato il primo. Che già il mattino dopo in cui avevo lanciato il comando di download, lo avevo trovato apparentemente menomato, come se si fosse gettato nell’hard disk di mia competenza senza paracadute e, nell’urto, si fosse danneggiato. Ma si trattava solo del nome un po’ ammaccato, un’infilata di caratteri che nel passaggio da un sistema operativo a un altro erano stati brutalmente troncati dall’ottavo in poi e sostituiti in blocco da un simbolo di tilde, il segno “~” . E nella primitiva release di Winamp non mi risulta che si potessero ripristinare le informazioni sul brano, artista o che altro come oggi. Così quel mp3 fu masterizzato di nascosto – insieme a una cinquantina di suoi simili – su un cd come i neonati si registrano all’anagrafe con quel buffo nome che solo il proprietario avrebbe potuto riconoscere tra mille, un nome di otto caratteri che era “INTERST~.MP3”, tutto maiuscolo.

Una sua istanza era stata contestualmente decompressa e agghindata con il vestito della festa, un formato traccia audio riconoscibile dai lettori cd più avanzati che chiudevano un occhio sulla discutibile provenienza e fabbricazione del supporto da leggere. Il nuovo ordine mondiale muoveva i primi passi. Interi eserciti di compilation autoprodotte risuonavano negli impianti casalinghi in barba a chi riconosceva i difetti nei 128 kbps sulle frequenza acute ma a tutto vantaggio di quelli che avevano sofferto l’impennata dei costi del materiale originale, un rincaro che aveva negato a un’intera generazione l’accesso alle cose più belle degli anni 90, una volta che il vinile era stato archiviato indegnamente a causa del grande complotto dell’industria musicale. Quel formidabile cavallo di Troia che poi, ritorcendosi contro, ne ha sancito la morte irrevocabilmente.

Poi sono stati immessi sul mercato illegale tutti quegli strumenti di esproprio culturale proletario, gingilli che a seconda della connessione ti facevano entrare in possesso di tutta la produzione musicale desiderata. I file audio hanno potuto aumentare la mole di informazioni contenuta, si sono gonfiati fino a 320 e rotti e i nomi stessi completi, fino a tutte le tag che oggi rendono persino inutili le cartelle e le playlist, tanto è facile trovarli in hard disk da migliaia di giga. E rimettere su disco fisso quel materiale di archeologia digitale estratto dalla rete con lo stesso spirito dei cercatori d’oro nel Klondike è un’operazione che i primi mp3 che ci hanno allietato in cuffia o a tutto volume delle casse se lo meritano, eccome. Per questo “INTERST~.MP3” è e resterà il mio preferito, e ne ho scaricate altre versioni anche con tutto il pacchetto dell’album a cui tale canzone appartiene, ma vi giuro che non ha lo stesso sapore. Sarà il maiuscolo, sarà lo spirito del pionierismo, ma portarlo fino a qui lasciandolo con quella connotazione da Windows95 fa parte di un senso di rispetto per la memoria, non quella del pc ma quella vera, quella che invecchiando sbiadisce un po’.

avrei fatto lo stesso

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sensazionale: ecco il prodotto che salverà l’industria musicale

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Si chiama disco in vinile, ha già milioni di fan in tutto il mondo (anche su Facebook) e una pagina tutta sua su Wikipedia. La formula è semplice e nasce da una domanda. Ma davvero c’è tutto questo bisogno di digitalizzare tutto (e sottolineo la ripetizione di tutto)? E, soprattutto, perché mantenere sul mercato l’ormai obsoleto compact disc, che oltre a essere antiestetico, con tutta quella plasticaccia anni ’90, è così freddo al tatto, difficile da posizionare in casa – a meno di non utilizzare appositi contenitori, altrettanto antiestestici e difficili da essere assorbiti in stili di arredamento. Un esempio? Provate a vedere come si sono ridotti nella civilissima Svezia – e soprattutto così facilmente duplicabile?

L’idea che sta convincendo numerosi esperti del settore e le principali aziende dell’industria musicale parte dal principio che, nel nuovo secolo, l’ascoltatore medio e occasionale di musica badi sempre meno alla qualità, quello che gli addetti ai lavori definiscono alta fedeltà, o hi-fi. Da una parte l’evoluzione delle tecniche di compressione audio permette a chiunque di comprimere in pochi megabyte brani musicali, con una qualità sufficiente per il tipo di ascolto che normalmente viene fatto: sul web tramite i diffusori dei personal computer o su dispositivi portatili che permettono la riproduzione dei file audio, ascoltati con cuffie tutt’altro che professionali. Se non, addirittura, tramite il proprio telefono cellulare. Insomma, l’importante è che si senta. A chi non è mai capitato, poi, di ascoltare musica con il proprio partner con una cuffia in due, tenendo solo un auricolare a testa, in barba alla cura che chi ha mixato il brano in questione ha dedicato nel distribuire in tutto l’arco stereofonico le tracce dei vari strumenti musicali. Dall’altra, i riproduttori musicali personali possono disporre di hard disk e memoria sempre più elevata, permettendo la portabilità di file in formati anche non compressi, che occupano molto più spazio di mp3 e simili.

Nessuno compra più i compact disc, la diffusione della banda larga e i costi sempre più competitivi e alla portata di tutti di Internet ad alta velocità hanno permesso l’inevitabile proliferare dei programmi di file sharing. D’altronde, è possibile aggiudicarsi album interi con tanto di copertina in pochissimi minuti, spendendo l’equivalente di un paio di compact disc originali al mese di bolletta flat. I consumatori compulsivi di materiale musicale possono addirittura soddisfare la loro bulimia di tutte o quasi le ultime novità discografiche, risolvendo allo stesso tempo il problema dei discutibili raccoglitori di cd con sistemi di storage sempre più capienti e sempre più a buon mercato.

Ma davvero il disco in vinile potrà invertire questa tendenza? Secondo gli studiosi, lo farà in parte, ma sarebbe comunque già un passo in avanti per impedire che l’intero sistema economico del settore giunga al collasso. Il disco in vinile è un “mezzo” analogico, come prima cosa. Digitalizzabile come il resto dei mezzi analogici, ma con un passaggio che, per quanto sempre più sofisticato, non genera una copia fedele all’originale. Le etichette discografiche quindi potranno mettere in commercio il vinile per chi non vuole rinunciare a possedere e accumulare il supporto, alla faccia della dematerializzazione, che pare sia ormai sempre più fuori moda.

D’altronde, come biasimare chi acquista vinile? Chi ha già avuto l’opportunità di provare l’emozione di acquistarne uno, sa di cosa stiamo parlando. Le dimensioni permettono immediatamente al consumatore di soffocare il pentimento della spesa economica, in un momento di necessario controllo dei budget familiari. La copertina in cartone, se curata, offre a chi ha gusto artistico la possibilità di esporre nelle proprie librerie (già, librerie: i dischi in vinile sono facilmente impilabili nei ripiani di dimensione standard) una vera e propria mini-opera d’arte. Il materiale del supporto, comunemente nero e flessibile, soddisfa il senso del tatto. Pare che la fragranza dell’inchiostro della copertina e del vinile stesso sia in grado di generare una sorta di dipendenza.

L’esperienza sinestesica ha il suo apice, ovviamente, nella alta fedeltà della registrazione e nel conseguente ascolto sui sistemi hi-fi casalinghi. Gli apparecchi studiati appositamente per la riproduzione, già battezzati da uno zelante product manager “giradischi”, possono essere collegati a un qualsiasi amplificatore dotato di casse. La qualità sembra essere superiore a quella dei compact disc, il suono più caldo, la gamma delle frequenze percettibili dall’orecchio umano più completa. Non solo. Gli studiosi ritengono che l’ascolto tramite diffusori consenta esperienze socializzanti e ascolti di gruppo, a differenza del classico i-pod, il cui nome stesso, preceduto da quel pronome in prima persona inglese, sembra dire “io ascolto, tu fai quello che ti pare”.

La pirateria musicale può digitalizzare la musica dei dischi e diffonderli, anche a scopo di lucro, su cd o via web. Ma la qualità non è la stessa. Inoltre le case discografiche hanno già trovato la soluzione anche a questo. Per i palati, o meglio, per i padiglioni auricolari meno fini, saranno comunque disponibili i brani musicali in formato mp3, scaricabili addirittura gratuitamente. Una sorta di legalizzazione della bassa qualità che ci consentirà di non rinunciare all’ascolto dei nostri beniamimi pop sul treno, per esempio, mescolati alle suonerie dei cellulari in sottofondo, alle sempre più interessanti conversazioni telefoniche e alle reiterate lamentele dell’utenza sui frequenti ritardi. Oppure mano nella mano, due cuori e una cuffia, con i nostri cari: per gli innamorati è stata pensata anche una versione in “mono” dei file, in modo tale che su ogni singolo auricolare della cuffia si riescano ad ascoltare gli stessi suoni, e i membri di una coppia siano perfettamente allineati sulle sensazioni provate.

Ma i veri cultori, gli appassionati, i collezionisti finalmente torneranno a spendere per acquistare i lavori dei loro gruppi e artisti preferiti, come una volta. Magari uno al mese e non più decine all’ora, per scelte più critiche e oculate. I dischi in vinile saranno disponibili in due formati: i 45 giri, che conterranno il cosiddetto “singolo” più un brano sul lato b (in gergo b-side), e il 33 giri, o long playing, già ribattezzato LP, che potrà accogliere fino a 12 brani circa. Gli artisti e i gruppi più attenti hanno già dichiarato che, date le dimensioni degli LP, potranno inserire un booklet con i testi dei loro brani in un corpo più leggibile, notizia che ha già riscosso entusiasmi tra le associazioni di ipovedenti.

In conclusione: quello che aveva, in un colpo solo, affossato l’industria musicale, la creatività degli artisti (costretti a riempire i capienti CD con pezzi in esubero e ghost-track raffazzonate dai loro archivi giusto per fare numero e non deludere chi bada al rapporto qualità/prezzo), il senso critico e il gusto dei consumatori, il mercato dei selezionatori musicali per luoghi pubblici (è già stato coniato il termine “disk jokey”, o dee-jay, per definire la figura professionale che sostituirà le playlist random nei locali adibiti all’ascolto musicale e nelle sale da ballo) la stessa stampa specializzata (chi legge ormai le recensioni? In pochi minuti posso scaricare un album, se non mi piace lo cancello), e aveva dato vita a un mercato nero e illegale, sembra avere i giorni contati. Tutto è pronto affinché il compact disc diventi un oggetto di modernariato.