le 10 cose da fare prima che venga domani

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Certo che è proprio bello svegliarsi il sabato mattina, farsi dieci km di corsa seguiti da un’abbondante colazione, dare un’occhiata all’orologio e constatare che non sono nemmeno le otto. Il tempo fa su di noi lo stesso effetto di un pranzo a buffet stracolmo di ogni ben di dio a un italiano che non mangia gratis da secoli. Ti trovi davanti apparentemente a un’infinità di ore libere in cui incasellare una quantità di cose rimaste in pending da chissà quanto con l’aggiunta del giusto relax che lì in mezzo, da qualche parte del week end, non sfigurerebbe. E già a pensare a come organizzare tutto quel surplus di qualità della vita passa una buona mezz’ora, a essere ottimisti. Mettici un paio di call center tra operatori telefonici e finanziare che vogliono premiarti a modo loro, la mamma che non senti da un po’, la lavastoviglie da svuotare e qualcosina fuori posto da riordinare e ti sei già giocato metà mattinata con la preoccupazione del pranzo che inizia a tenerti il fiato sul collo. Ora, non voglio certo descrivervi tutto il sabato minuto per minuto, ma finisce che poi la domenica mattina fai un resoconto di tutto quello che non hai portato a termine e realizzi quanto sei stato inconcludente. Magari dovevi anche fare degli acquisti – il cordless, l’aspirapolvere senza sacco – poi però hai controllato il costo al negozio con quello su Amazon e la smania di risparmiare ha ancora una volta avuto il sopravvento. Quindi nemmeno quello. La settimana ricomincerà tale e quale a come l’hai lasciata il venerdì precedente, con l’aggiunta che hai perso un’altra occasione per risolvere qualcosa. Senza contare che la domenica, come da copione, piove e c’era pure il Festival della Letteratura a Mantova con l’incontro con Richard Ford, lo scrittore preferito, per il quale avevi pure prenotato ma davvero mettersi in viaggio con ‘sto tempo. Persino attività piacevoli e rilassanti come scrivere un post sul tuo blog, ti ritrovi inconcludente anche in quello. Ne inizi a scrivere uno e poi

è solo il quarto giorno e ho già cambiato idea

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Davvero ragazzi non so come ringraziarvi per le numerose attestazioni di stima che ho ricevuto da quando ho aggiunto il mio nome nella lista di quelli che, a partire dal primo gennaio 2015, insieme al nuovo abbonamento annuale per le Ferrovie Nord e il canone RAI hanno messo tra i buoni propositi quello di diventare cattivo. Mi ero stufato di fare la figura sempre di quello che ha pazienza, che perdona, che sottoscrive, che lascia spazio, che elogia ed ascolta. Quello che tiene la porta aperta e poi la richiude passati tutti, che dà la precedenza e si ferma solo dove il codice della strada lo prescrive. Quello che dice buongiorno e buonasera e ride alle battute perché poi chi li racconta se no ci rimane male. Persino mio cognato mi ha annoverato tra i buoni, l’ultimo baluardo di scetticismo è caduto allineandosi all’opinione comune del resto della famiglia. Così avevo trovato un corso online con i video di Youtube di un motivatore che ti spiegava per filo e per segno le gioie della cattiveria ma poi è finita che al terzo giorno, il tre di gennaio, cioè ieri per chi legge oggi, il buon proposito di diventare cattivo già non mi convinceva più e non reggeva nemmeno il confronto con un cattivo presagio di rimanere buono. Volete sapere se ho rinunciato ancora una volta alla cattiveria non solo di persona ma anche sull’Internet? Non so, questo potrete scoprirlo se avete espresso il buon proposito di seguirmi anche per il nuovo anno. Ho scritto solo due righe un po’ cattive, nel mio solito stile, in cui ho ribadito che tra Renzi e Grillo è comunque meglio Renzi e che tra uno statale fannullone e un evasore fiscale comunque io mi tengo il primo. E se abitate a Roma e avete problemi con i vigili, fate come hanno fatto a Genova qualche anno fa.

discorso sul metodo

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Ho lasciato giusto il latte nel bollitore senza accendere il fuoco sotto per controllare se la batteria del portatile era sufficientemente carica per un po’ di autonomia quando ho pensato che la vita moderna è costellata di azioni lasciate a metà – la colazione abbandonata sui fornelli – e dall’ossessione dei dispositivi portatili funzionanti, il portatile infatti era ko. D’altronde è una questione di metodo, è quello che oggi insegnano nelle scuole elementari e medie per far acquisire ai ragazzi la consapevolezza dell’ordine in cui svolgere i lavori da un inizio a una fine, perché sembra una sciocchezza ma la distrazione sembra essere uno dei mali del secolo e sono certo che un giorno ci estingueremo proprio per non aver portato a termine correttamente una consegna di quelle vitali e il nostro beneamato genere umano sparirà dalla faccia della terra. Come se gli uomini delle caverne si coricassero senza prima accendere il fuoco per tenere lontane le tigri con i denti a sciabola, per dire.

Le maestre cercano di far dividere agli alunni un problema da svolgere in una serie di passaggi per ridurne la complessità. L’esempio più sfruttato è quello della ricetta per il compimento della quale occorre completare fasi relative. Ci sono tutti gli ingredienti? E gli strumenti utili? E poi punto primo: prendi x grammi di farina, punto secondo metti l’uovo e il burro e così via, fino allo spegnimento del forno dopo il tempo necessario alla cottura. Oggi c’è una fase aggiuntiva che è quella della foto con lo smartcoso alla pietanza tutta imbellettata nel piatto, ma se non c’è sufficiente carica della batteria siamo daccapo. I dispositivi furbi e intelligenti non hanno pensato a tutta l’energia di cui hanno bisogno per eseguire le funzionalità con cui oramai ci hanno viziato. Non solo non ci sembra più anomalo tenere acceso un qualsiasi display alla luce del sole, ma portarci in tasca buona parte della conoscenza di miliardi di persone (anche di epoche diverse) ci ha reso dipendenti in termini mai raggiunti dalla nostra evoluzione.

Ma sul più bello c’è sempre qualcosa che si spegne perché la batteria è esaurita e non sempre è possibile trovare un rimedio. Gli spazi pubblici e privati sono pieni di persone che si guardano intorno alla ricerca di una presa di corrente, negli angoli in basso dei muri, nei pressi delle macchinette del caffè, vicino a un banale interruttore. Fioriscono le aree municipali dedicate alla ricarica, anche qui a Milano sono state allestite oasi di connettività alla rete elettrica in cui ti puoi sedere e allacciarti alla corrente, le riconosci perché sono quasi sempre occupate da persone senza dimora che si sono inventate servizi innovativi come il microonde da outdoor. Tu vai lì e con un euro ti fai riscaldare il tuo pranzo al sacco, una cosa utile anche se sei in pausa pranzo e vuoi mangiare un boccone all’aperto.

E anche lì la sequenza delle azioni da compiere è fondamentale: selezioni la funzione del forno a seconda dell’alimento, imposti tempo e temperatura se il modello è un po’ datato, aspetti quanto devi e il gioco è fatto. Se nel frattempo ti allontani perché ci sono altri task che richiedono un tuo intervento – una chiamata o qualunque cosa lasciata a metà come il latte sul fornello – sei finito. Addio qualità organolettiche. Tutto si trasforma in un pezzo solido dalle caratteristiche indistinguibili. Il mio consiglio è quindi  di mettere in carica tutto alla sera prima di coricarsi e di non soffermarvi a mettere per iscritto riflessioni di questo tipo mentre state preparando la colazione. Anche se ci vuole poco per entrambe le attività, è sempre meglio fare una cosa per volta. Ci vediamo dopo, ora vado a pulire il latte nel fuoco.

cambiamo il mondo prima che il mondo cambi noi

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Il progetto musicale più ambizioso alla cui nascita ho avuto la fortuna di assistere si chiamava Negative Core e consisteva di un trio di punkettoni che, come esigeva il nichilismo anarcoide e decostruttivista proprio delle cellule che potevano essere ricondotte a quell’insieme – guai a parlare di movimento in un contesto così fortemente anti-sociale – suonavano da cani ma avevano ben chiaro il genere a cui con la loro non-tecnica avrebbero dato vita. Il leader, magro come un chiodo e con il chiodo sulla corporatura che sembrava solo un unico fascio di nervi, mi aveva spiegato il concetto di “cuore negativo”  con uno movimento del capo e un gesto della mano a indicare il rimescolamento di diastole e sistole che io avevo frainteso come una semplice richiesta se mi andava un’altra canna, il che mi trovò prontissimo ad annuire.

Ricordo solo un pezzo che era un alternarsi del testo, composto da un’unica frase “one two three four negative cooooooore!” urlato senza musica sotto e poi giù tutti insieme velocissimi, chitarra basso e batteria, in un ammasso di grovigli sonori che ora posso definire a cazzo ma che un tempo erano identificabili nei non-canoni di puro hardcore che più estremo non si può.

Quindi niente a che fare con quell’altro progetto per il quale invece ero stato coinvolto in qualità di musicista, ambizioso solo nella forma ma oltremodo deludente nella sostanza. Io e una manciata di strumentisti eravamo stati contattati per dare vita a una band a tavolino, un vero e proprio concept artistico a partire dal nome, “infra-zona”, dal genere mai sentito che avrebbe avuto origine proprio dalle nostre composizioni, la “infra-music”, e dall’ambiente immaginario da cui vi avremmo fintamente tratto l’ispirazione artistica, la “zona del disastro”. Con tutta una serie di vincoli di esclusività e segretezza per non divulgare particolari a terzi che avrebbero potuto compromettere l’obiettivo del progetto, ovvero la scalata delle classifiche di tutto il mondo.

L’ideatore si era presentato alla riunione iniziale, tenutasi a casa mia, con un libello chiuso con tanto di sigillo in ceralacca e nastri di raso a sottolineare l’estrazione gotica e il background culturale da cui, comunque, ci si doveva emancipare. Prima di procedere con l’esposizione che ci avrebbe messo al corrente del progetto e ci avrebbe indissolubilmente legati in quella setta votata alla musica e alla celebrità, il sacerdote ci avvertì che da quel momento nulla sarebbe mai più stato come prima. Quella era la cerimonia iniziatica per un nuovo corso della storia, nostra e dell’umanità. Alcuni brani erano già pronti ed erano caratterizzati da una ritmica facile e da liriche redatte da catene di parole regolate da esigenze metriche ma senza grandi pretese, una specie di Righeira in salsa stucchevolmente pretenziosa da 4AD anni 80. Mi ricordo a malapena una strofa che diceva “sexy porno game”, il resto doveva essere su tali standard.

Ma i musicisti in genere non sono fedeli, sono più cazzoni e più opportunisti di qualunque altra categoria umana. Gli infra-zona non arrivarono nemmeno alla prima prova, qualcuno se l’era cantata, qualcun altro aveva nel frattempo trattato per spin-off o formazioni parallele a scopo giustamente di lucro, forse io. Qualcuno era stato ridicolizzato dalla partner e non se l’era sentita di investire in quella carnevalata che in confronto i Sigue Sigue Sputnik erano gli Inti Illimani. So però per certo che l’ideatore aveva ripristinato i sigilli del suo dossier e che già pochi giorni dopo si era messo alla ricerca di nuovi adepti.

tra le tante contraddizioni di un’età come la nostra: ecco un post generazionale

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E vi confesso che ultimamente mi piace sempre di più giocare al signore di mezza età, a fare quello che si muove con dignità vestito come si deve, o comunque meglio dell’abbigliamento medio di prima, a comportarmi da valido e buon punto di riferimento educativo per i propri figli. E ancora mi piace sempre di più fare la paternale ai più giovani che arrancano spaesati nel campo in cui dovrebbero giocare titolari, a parlare del tempo che ci si metteva a comporre un numero con tanti zeri e nove girando le rotelle dei telefoni da muro di una volta e del David Bowie di Low e del suo lato B, quasi tutto strumentale, ai Social Media Manager e a chi è diventato maggiorenne quando al top della musica underground c’erano gli Smashing Pumpkins.

Vi confesso che mi piace sempre di più giocare a osservarmi strozzato nella mia sciarpa annodata sopra il colletto rigido della camicia celeste conducente di autobus come solo i milanesi sanno fare. Solo loro anzi noi ne abbiamo il diritto considerate la avversità meteo almeno sulla carta e sui libri di geografia. Considerato anche quanto stiamo in giro per lavoro o quanto altri stanno in piedi sulle gradinate di San Siro – io no, non amo il calcio e se lo amassi sarei comunque genoano – ad aspettare al freddo che una delle due squadre del cuore entri in campo dagli spogliatoi per dare inizio allo spettacolo. Poi a controllare le mie polacchine color cuoio che non passano inosservate, e a pensare che quando le ho prese ero perplesso che, prima o poi, sarebbe giunto il momento di separarsi dalle snickers da cento euro.

Così mi piace sempre di più giocare a camminare brizzolato con le mani in tasca e mi do persino le arie di quello che, anche se è più o meno a metà di quanto gli sia stato concesso per abitare il pianeta, ha avuto la fortuna di essere nato addirittura negli anni sessanta, di aver beneficiato della prodigalità dello stato sociale, dell’approssimazione in eccesso della sanità pubblica, della benevolenza degli enti locali e dei loro regali di Natale ai figli dei dipendenti della pubblica amministrazione, dei programmi del Dipartimento Scuola Educazione e delle sigle di musica progressive delle trasmissioni ad alto livello culturale e pedagogico della tv nazionale. Sono solo uno dei tanti che ha dilapidato le risorse destinate alla comunità e ai posteri, ma che ora ha ancora troppo (almeno lo spero) da vivere per non rimanere indenne agli effetti della bancarotta.

Per questo posso scegliere da che parte stare, tra i salvati o i sommersi, tra gli apocalittici o gli integrati, tra i senior o i precari, tra quelli della mia età o i trentenni forever. Ma ora non più. Ho fatto la mia scelta. Da qualche tempo mi piace giocare al signore di mezza età e, vi confesso, sono anche piuttosto in gamba.

potreste allora tenerveli a casa, sarebbe anche un modo per tagliare la spesa pubblica

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La maestra A., che pur nella sua modestia porta avanti il suo lavoro con dignità e il massimo impegno, mi riporta la notizia come se fosse una confidenza, come se la colpa fosse sua se, con gli stessi bambini giorno per giorno da cinque anni, non è riuscita a insegnare non solo le materie ma a trasferire anche un appropriato metodo di studio e di esercizio. Questo perché ci sono almeno una dozzina di bambini che, il lunedì, si presentano in classe senza compiti svolti o fatti parzialmente. Che già a me sembrano pochi, quelli assegnati per il fine settimana. Mia moglie o io ci mettiamo insieme a nostra figlia e la seguiamo mentre porta a termine le consegne, cerchiamo di non intervenire tuttavia prestando attenzione a quello che fa. Un tentativo di non risultare troppo presenti e di non farle sentire il nostro fiato sul collo. Chiaro che se notiamo qualcosa che non va le andiamo in aiuto, ci sembra tutto sommato un metodo corretto, almeno finora ha funzionato. E tutto questo processo scorre comunque senza imprevisti: una manciata di operazioni, qualche frase da analizzare, un paio di esercizi legati a un brano di lettura, poi le paginette di storia, geografia, scienze e inglese. Un totale di un paio d’ore in tutto, distribuite lungo venerdì sera, sabato e domenica.

Eppure c’è chi o ritiene che siano troppi o proprio se ne fotte o magari pensa che i figli non vadano più accuditi così da vicino così grandi. Sono gli stessi che sostengono che quando loro erano bambini nessuno si sedeva al loro fianco per controllarne l’apprendimento. Un punto di vista che fa acqua, abbiamo dimostrato diverse volte quanto il paragone tra epoche differenti non valga. Più probabile la seconda ipotesi, e cioè che genitori e figli siano lazzaroni in eguale misura. Durante il week-end ci sono sempre mille cose da fare per cui i figli possono anche essere lasciati allo sbaraglio, l’importante è che non disturbino le attività di primo interesse. A quel punto già me li vedo, aggrappati alle console dei videogiochi, o a passare in rassegna i canali tv, o su Internet a inventarsi escamotage per superare le barriere di controllo e godersi il fascino del proibito. Oppure sabato tutti al centro commerciale e domenica al ristorante con amici e parenti, mettici poi le partite da seguire e lo shopping e i cugini a cena e alla fine tempo non ce n’è più. La maestra A. è amareggiata per la scarsa importanza che i bambini danno alla scuola che è quanto di peggio i loro genitori gli abbiano fatto apprendere. Istruzione e insegnanti non sono aspetti vincenti della nostra società, a loro è dovuto il rispetto che si meritano. Stipendi bassi, considerazione al minimo. E possono essere messi in discussione a nostro piacimento, tanto siamo noi che li stipendiamo, vero?

di primo grado

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Vorrei vedere voi a scrivere di problemi dell’adolescenza con una delle vostre ragazzine qualunque che vivono nelle vostre storie, che sublimano ogni turba e ogni compulsione nel sesso acerbo o nelle tinte maledette del carattere. Nell’abbigliamento con le borchie e nello scoppiare a piangere e urlare, nelle droghe e negli eccessi. Nei soldi e nei passatempi alla moda portati al limite, come gli isterismi di oggi e le suicide girls e gli autoscatti con le tette fuori. Vorrei vedere voi se la vostra protagonista fossi io, che pesavo il doppio di quanto dovevo essere già alle elementari e ho mantenuto sempre la proporzione nemmeno a farlo apposta, e quali episodi della mia vita sareste costretti a raccogliere per mettere insieme un libro di successo. Perché per scrivere di una perdente occorre essere dei perdenti dentro e voi non volete sentirvi così perché altrimenti il vostro romanzo del cazzo non se lo comprerebbe nessuno. Così oggi cercate su Facebook i profili delle dannate alla moda perché alla fine, pur nel loro squallore, un pertugio di redenzione da qualche parte lo si trova. Con il loro trucco sbavato e con il vomito che lasciano per strada prima di rientrare nelle loro camerette con le pareti tinte di nero è facile impiastrare qualche pagina piena di frasette corte e ansimanti. C’è solo una persona che potrebbe scrivere di me, ed è il mio fratellone. Lui sì che ci sa fare con questo tipo di squallore perché anche lui è nato con il dna di chi getta la spugna, come me remissivo fino al ritiro per concedere all’avversario di turno la vittoria a tavolino senza nemmeno provarci. Ecco, lui che fa anche il blogger e racconta le sue stronzate in prima, seconda e terza persona. Solo lui può riuscirci.

in caso di maltempo

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Camminavano insieme dandosi il braccio, sotto un ombrello. Per questo ho rallentato il passo in modo che non mi vedessero, per non metterli in imbarazzo. Perché l’ultima volta in cui avevo incontrato una donna e un uomo non ufficialmente e dichiaratamente legati da relazione sentimentale lui ha passato quei terribili – per tutti – cinque minuti a dirmi dov’era la fidanzata e che erano in quel bar per caso, giusto un aperitivo e stop. Un’altra volta invece altri due erano entrati in un pub dove stavo consumando un panino e una birra, anche lì ho fatto finta di non vederli e così, quando loro mi hanno riconosciuto, pur essendo già seduti, si sono alzati e se ne sono andati. Lei stava con un mio caro amico che faceva il sottufficiale di leva e non era corretto per nessuno. Così poi lei lo ha scaricato poco dopo, durante una licenza, spero non a causa mia che di certo avevo intenzione di farmi i fatti miei.

Ma quella volta, quella dell’ombrello, io nemmeno avevo pensato subito che il tenersi sottobraccio al riparo dalla pioggia potesse essere un gesto così intimo, un tetto mobile che induce allo stare a contatto così stretto ma solo perché si tratta di un modello da donna, quelli che si compattano per essere portati sempre nella borsetta. Lei stava da anni con un ragazzo del suo paese ma flirtava spesso con un collega di lui, che era uno di quegli informatici scapoloni poco aggraziati che raramente spezzano cuori sul posto di lavoro. Lui aveva una relazione da anni con una ragazza più grande e molto bella e mai avresti detto che qualcuno come lei, carina ma niente di che, sarebbe riuscita a distrarlo. A tutti gli effetti sembrava una cosa molto complicata da mettere in atto e con una serie di variabili che ne rendevano quasi nulle le possibilità di riuscita. Ed è stato questo che mia ha fatto riflettere. Ricordo di averne parlato con una amica comune che mi ha detto che poteva trattarsi di una cosa così, due che si lasciano cogliere all’improvviso da un rovescio d’acqua e si alleano per non tornare in ufficio fradici dopo il pranzo. Ma lei era stranamente rosa sulle guance ed era aggrappata a due mani al suo braccio, mentre lui non sembrava affatto a disagio della vicinanza della sua bocca mentre gli parlava. Ieri sera hanno festeggiato l’arrivo dell’anno nuovo in casa da soli, con il loro bimbo di dieci anni e qualche linea di febbre per cui era meglio non rischiare il freddo. Non gli ho mai detto di averli visti di nascosto, una vita fa, ho sempre considerato quel momento mio e molto personale e non so spiegare il perché.

ciao sono il duemilatredici

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compresi gli optional

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Quello che guidava ha chiesto all’altro perché si fosse vestito da matrimonio. Era il caso di indossare un completo antracite con cravatta arancione, camicia azzurrina e soprabito scuro? Per non parlare delle scarpe sportive che comunque, decontestualizzate, non stavano nemmeno così male. Quello vestito da matrimonio ha ripassato mentalmente prima l’elenco dei capi che aveva addosso, che non risalivano a dir la verità al suo, di matrimonio, ma che in effetti facevano parte del completo che utilizzava nelle grandi occasioni il suo matrimonio a parte. Se per grandi occasioni si può considerare le nozze del cugino della moglie o cose simili. Poi ha pensato che risposta dare, ovvero il perché li aveva messi per quell’impegno di lavoro e solo perché era la prima intervista di cui era stato incaricato dalla nuova società. Ma trattandosi di un motivo così ovvio si è rivolto a quello che guidava chiedendogli il motivo per cui, ai primi di dicembre, tenesse l’aria condizionata accesa. Lui ha risposto con un ghigno impeccabile da chi deve svelare un segreto industriale parlando con una persona di lato e senza perdere di vista il traffico in tangenziale delle sette del mattino. Che poi, così pelato e visto di profilo, ricordava altro che una palla da biliardo animata. Ha risposto dicendo che quel modello di automobile lì è uscito con un difetto di fabbricazione per cui il parabrezza da dentro si appanna che è un piacere, e il riscaldamento altro non fa che rincarare la dose di condensa interna. Quindi non c’era altra soluzione che mantenere l’abitacolo freddo. L’altro allora gli ha fatto notare che un viaggio di 150 chilometri in quelle condizioni sarebbe stato ai limiti della sopportabilità e che lui non poteva certo permettersi di ammalarsi, all’inizio di quella nuova avventura professionale. Quello che guidava gli ha suggerito di coprirsi bene, non c’era altra scelta se non quella di viaggiare con i finestrini abbassati e che poteva scegliere anche una combinazione tra i due sistemi. Poi al primo autogrill si sono fermati,  l’altro ha preso un the bollente, quello che guidava ha preso un caffè, e prima di ripartire ha estratto dal portabagagli un sacco a pelo, dicendo all’altro che gli poteva essere utile fino a destinazione.