effetto presenza

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Essere o non essere, sosteneva il Bardo. Una dicotomia che ha avuto un discreto successo, se ci pensate, anche perché non fa una piega. Non c’è una zona grigia. Tutte le condizioni intermedie che ci vengono in mente – il mondo è pieno di gente che è come se non ci fosse, oppure pensate a certe dipendenze che ci riducono a larve – sono poco più che una boutade. Nel mondo del lavoro c’è un sistema per attestare se ci siamo o non siamo ed è il badge, che per chi lavora nella pubblica amministrazione assume la denominazione di cartellino. La pandemia ha cambiato molte delle carte in tavola. Possiamo non essere ma ci siamo lo stesso, collegati in qualche modo da remoto. Oppure anche scollegati. Siamo in smart e la nostra giornata non ce la portiamo più a casa perché a casa ci siamo già. Quale azione, in questo scenario, è in grado di sancire il momento in cui ci cade la penna e possiamo considerarci out of office? Magari non spegniamo nemmeno il pc perché, effettuato il log-out dalla piattaforma aziendale, apriamo una nuova scheda di Chrome per avviare il nostro social preferito senza muoverci di un millimetro. Siamo fuori dall’ufficio – inteso come condizione e non come luogo fisico – ma rimaniamo comunque sul computer con cui lavoriamo.

Troviamo un ulteriore paradosso se pensiamo che gli orari, e questo accade non necessariamente se lavoriamo da remoto, non esistono più. Il concetto di inizio e fine turno è talmente superato che con la testa stiamo al lavoro senza soluzione di continuità. Resta un piccolo led rosso acceso che ci avverte che siamo in condizione di stand-by, non liberi del tutto, pronti per essere riaccesi grazie a un sistema operativo sempre all’erta. Non c’è un modo per spegnere completamente il senso di responsabilità che ci portiamo dentro per quello che facciamo. C’è una interessante pellicola in giro in questo periodo che si intitola Afterwork del regista Erik Gandini, quello di Videocracy, che tocca queste questioni. Si vedono, per esempio, le telecamere operative sempre accese nell’abitacolo dei furgoni dei corrieri, installate per ragioni di sicurezza ma pensate come sistema di controllo: essere o non essere sul posto di lavoro?

A scuola non abbiamo ancora il badge – le realtà più innovative lo hanno già introdotto – ma comunque la firma sul registro elettronico attesta il fatto che abbiamo preso servizio in classe. Ci sono occasioni in cui è necessario ricorrere a strumenti obsoleti come il foglio firme, tecnicamente una tabella in Word con il nome stampato in Calibri su una colonna e a fianco una sfilza di colonne che rappresentano i giorni da riempire con lo stesso contenuto della cella a sinistra ma scarabocchiato di nostro pugno. Un documento che può essere prodotto da chiunque ma che non è da meno dei sistemi digitali in quanto a possibilità di contraffazione. I docenti più sgamati nell’uso delle piattaforme online custodiscono le credenziali dei colleghi che hanno meno dimestichezza, questo per dire che chiunque potrebbe coprire l’assenza di qualcun altro.

Essere o non essere è quindi una questione di senso del dovere. A giugno, a lezioni finite, si rinnova ogni anno la sfida degli adempimenti conclusivi e della preparazione per l’anno successivo. Ci si incontra con diversi assortimenti – per disciplina, per interclasse, per ordine – e si compilano monumentali relazioni per accertarsi di quello che è stato fatto e programmare quello che seguirà. Ma senza le lezioni in classe non siamo soggetti a una scansione rigida di tempi e turni. Ci vediamo ogni mattina per tre ore, ci distribuiamo a seconda di quello che dobbiamo fare e procediamo. Ogni volta qualcuno risulta assente perché fa parte di una commissione a sé oppure ha preso un permesso ma non sempre la struttura amministrativa ci mette al corrente di quello che fanno gli altri. Questo per dire che, foglio firma o no, volendo chiunque potrebbe approfittare di questa approssimazione. Nella scuola le maglie dei controlli sono piuttosto larghe, e non solo su orari e presenze. Sta tutto a noi, sta tutto a me. Avete presente la barzelletta di Pierino? “Oggi non voglio andare a scuola!”. E Pierino risponde: “Ma devi andare a scuola. Sei l’insegnante!”. Ecco, da William Shakespeare a Pierino i gradi di separazioni sono davvero ridotti al minimo.

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