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Sto seguendo un corso di formazione tenuto da un collega che ha una visione della lingua italiana tutta sua. Grazie a una sorta di un vezzo dialettale fa terminare alcune parole ubicate in punti strategici delle frasi delle sue spiegazioni con la lettera A, anche se la lettera A non c’è. Quindi è tutto un noa, sia, giovedì alle trea, il fatto chea, cioèa, questa funzionalità dia, perchéa, siete quia e via così. Il punto è che non riesco a concentrarmi sui contenuti perché – il corso si svolge online – mi sono messo a segnarmi tutti i passaggi che, con la lettera A in fondo, suonano più divertenti. Il formatore poi inizia un quarto d’ora dopo l’orario stabilito e, più o meno a metà, va a prendersi un caffè. Ho pensato che sia un modo tutto italiano per gestire questo tipo di attività, non mi ha sorpreso quindi il momento in cui, verso la conclusione, pur parlando di piattaforme di gestione organizzative e didattiche in ambito scolastico, il formatore ha preparato una pizza e ha provato a rifilarci un autoradio con un mattone dentro. Un altro aspetto del suo metodo che non condivido è che lascia troppo spazio a noi e alle nostre domande. Se mi sono iscritto al suo corso è perché voglio ascoltare lui, anzi, luia, e non le farneticazioni di noi discentia che, nell’uso della piattaforma al centro del corso, facciamo un uso discutibilea. Il punto è che i docenti – io in primis – amano parlare di sé e innestano se stessi in qualsiasi narrazione, anche solo per formulare una faq a un help deska. In una classe di bambini o di ragazzini lobotomizzati dai socialcosi si matura poi la consapevolezza che sia naturalea proporre i propri punti di vista senza contraddittorio alcuno. In natura non funziona così. Dici qualcosa e trovi sempre qualcuno che sostiene il contrario e rovina la festa. Per questo non ci vedo niente di male a dire, a questo punto del racconto, che i miei corsi di formazione, quelli che tengo io e che potete cercare sulla piattaforma Scuola Futura – che, per i non addetti ai lavori, è una specie di bric a brac della formazione in cui milioni di insegnanti italiani si improvvisano tuttologi di tutto e si dichiarano responsabilmente pronti alla divulgazione del proprio sapere – sono molto meno divertenti. Parlo per due ore di fila senza sosta e non perdo tempo in Q&A. In più mi mangio le parole, faccio fatica a trovarle e ho questo tono da nevrotico in cui vado velocissimo e chi si è visto si è visto. Ma se devo usare nomi o argomenti di fantasia, per mettere in pratica degli esempi, parlo dei Cure e di Miles Davis. Lo scorso martedì, però, al collegio docenti, una collega dell’infanzia si è congratulata per il mio metodo. Dice che è funzionale e che nessuno si addormenta. Le ho risposto grazie e, dentro di me, ho pensato che potrei brevettarlo. Anzi, di sicuro lo brevetteroa.

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