rai 6

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Ieri sera per puro caso (e per pura fortuna) ho acceso la tv e mi è capitato di assistere a Rock’n’rai, un programma curato da Blob andato in onda a un’ora impossibile, come vuole la tradizione delle trasmissioni interessanti, e dedicato alla musica trasmessa alla televisione pubblica nella sua storia, quelle cose che noi appassionati ora cerchiamo su youtube demandando alla buona volontà di qualche utente altrettanto maniaco che abbia avuto il tempo e la dedizione di digitalizzare la propria collezione di vhs. Roba tipo Peter Gabriel ospite a Sanremo che canta Shock the monkey, i Talking Heads a Discoring nel 1980, i Dire Straits e i Depeche Mode, tutte apparizioni per lo più in playback alternate a presentatori del passato con look improbabili e all’immancabile Claudio Cecchetto. Ora non so voi, ma io sono uno di quelli che accende la tv solo per cercare cose del genere, vado su Rai Storia e se non trovo un documentario sulla Resistenza o qualche programma in bianco e nero spengo e faccio altro. E ogni volta penso alla sensazione che si può provare a trovarsi negli archivi della Rai. Qualcuno di voi c’è mai entrato? Sa come sono fatti? Come per il 100% delle persone che conosco, l’idea di lavorare nella principale organizzazione culturale italiana ha occupato uno dei principali sogni almeno dai tempi dell’università in poi, e, come per il 100% delle persone che conosco, il sogno è andato infranto. A dir la verità uno c’è riuscito ed è anche molto ben inserito, ma si tratta di un’eccezione che non conferma nessuna regola però. Comunque, per farla breve anche perché non c’è molto da scrivere, se io fossi a capo della Rai affiderei nientepopodimeno che a plus1gmt la direzione artistica di un nuovo canale sul digitale terrestre tutto dedicato alla trasmissione 24x7x365 solo ed esclusivamente di rock’n’rai e programmi analoghi. Plus1gmt lo farebbe con passione e si divertirebbe un mondo, e so già con quale estratto comincerebbe i programmi. Anzi, forse la sigla stessa dell’inizio trasmissioni sarebbe proprio questa qui.

per dirla in breve

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Tempo di riassunti, siamo a tre quarti della terza elementare. Non ho idea di quale sia la corretta collocazione nel percorso didattico e nel programma di Italiano della scuola primaria di questa fondamentale tappa, mia moglie ed io e un gruppo di altri genitori della classe di mia figlia ci siamo imposti di non mettere mai in dubbio l’autorità e la professionalità delle insegnanti né arrogarci la presunzione di saperne più di loro. A ciascuno il proprio mestiere, c’è anche un detto in milanese che nel nostro lessico famigliare in cui nessuno conosce il dialetto locale tantomeno il sottoscritto che ogni tanto ha rigurgiti di ligure storpiamo con “firulin firulè fa el to mestè” (ma basta cercare sul gogol per trovare la corretta dicitura che è “ofelé fa’ el to mesté”). Ma in matematica siamo ancora alle moltiplicazioni a due cifre mentre altrove già dividono e frazionano come se non ci fosse un domani e una scuola media, così a volte il sospetto che tutto sia lasciato al caso ci coglie impreparati come i nostri piccoli studenti alle prese con le grandi verifiche della vita e così, quando ci mettiamo alla scrivania per capire quale metodo sia stato trasmesso per entrare nel favoloso mondo della sintesi, rimaniamo interdetti di fronte a come maestra e alunni si sono esercitati insieme in classe. Continua a leggere

che ne dici

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Cercare conforto tra la folla o nel raggio di sole sotto il quale catturare un po’ di calore come in quel film dei miracolati milanesi inoperosi e per questo neorealisti poco realisti, è un’esperienza fallimentare e ne ho le prove. Intanto perché il sole in questi giorni non funziona o è difettoso. Secondariamente, tra il brusio della calca urbana e fintamente multietnica del mattino non si percepiscono belle parole. “Commercialista” è una delle esclamazioni più facili da cogliere, basta fare attenzione e prima o dopo qualcuno la pronuncia, ma converrete con me che non si tratta certo di una parola di quelle che uno la sente, sospira e si guarda davanti speranzoso nel domani. Anche “Maroni” è un termine che se si potesse dare vita a una nuvoletta con le keyword più hot del momento avrebbe un fontsize spropositato almeno da queste parti, che poi tutti lo collegano solo al Nuovo Ordine Padano ma come sapere i maroni qui sono sulla bocca di tutti, sopratutto la mattina e se fa freddo e vai al lavoro. Le occasioni non mancano. Stamane era molto in voga anche “contratto”, si dice che quando uno parla tanto di sesso è perché ne fa poco e tutti parlano di rapporti di lavoro perché non ce n’è. Infine in “home” c’è sempre qualcosa, lo trovi in home, se scorri la home in basso trovi il link, si danno indicazioni sui siti e tutti non vedono l’ora di arrivare e accendere il pc ma nel frattempo si sono dimenticati del consiglio. Quello che manca è la poesia, magari ce l’abbiamo dentro ma è talmente ben nascosta che non si vede, se la sussurriamo a chi ci cammina a fianco è inutile perché con tutto questo baccano non si sente nulla. O se ci scappa mettiamo la mano davanti come quando chi pensa di avere cose riservate da dire al cellulare si copre la bocca, qualcuno potrebbe pensare che parliamo una lingua straniera e allontanarsi diffidente.

solitario.exe

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La rete inizia ad avere maglie sempre più ampie da quando i socialcosi ci hanno disabituato a filtrare quello che ci siamo lasciati alle spalle. Strumenti come Facebook sono diventati agglomerati di contatti in cui colleghi delle precedenti aziende in cui abbiamo lavorato siedono a fianco dei compagni del liceo inframezzati da emeriti sconosciuti che abbiamo raccolto a bordo perché condividono con noi la passione per una band o perché hanno messo un like a un pensiero condiviso, decontestualizzando una conversazione tra due che qualche grado di separazione ha reso di pubblico dominio. Centinaia di fototessere che vanno a comporre un quadro di relazioni improbabili tanto ne abbiamo perso il controllo, la causa di cui va ricercata nella nostra bulimia di stringere mani e presentarci come se là fuori non aspettassero altro che seguire i nostri aggiornamenti. Il problema quindi torna ad essere di qualità e non di quantità anche nei rapporti interpersonali virtuali, ma costretti a un sistema economico che ci impone di fare numero nei manufatti fabbricati come nei clic a una pagina web o come nelle persone da trascinare dentro a una discoteca abbiamo acquisito una forma mentis tale per cui la possibilità di scelta ci manda in tilt e così scegliamo tutto, per non sbagliare. Tutto quello che c’è a disposizione lo mettiamo nel piatto probabilmente perché siamo nati poveri anche nello spirito e il concetto distorto di amicizia sublima nel calderone del web, dove seguiamo gli schiamazzi e ci mettiamo dove c’è più rumore, per sentirci meno soli. E pensare che un tempo era sufficiente tenere la tv accesa.

scritto in calce

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Quella calotta di gomma che ricopre la punta di un noto modello di scarpa di tela che va di moda a fasi alterne – era in auge negli anni 50, poi quando avevo vent’anni io e da un paio di stagioni ha di nuovo sbaragliato la concorrenza – sembra fatta apposta per scriverci sopra una parola di poche lettere che seguono l’arco in altezza rimanendo allineate alla base. Tu hai utilizzato quello spazio sulla scarpa destra per scrivere “scusa”, e mi chiedo se hai imbrattato una cosa che è costata più di 50 euro a mamma e papà per ricordarti ad ogni passo che compi, mentre cammini a occhi bassi, che chiedere scusa non è semplice e bisogna fare uno sforzo, a volte, mettere l’orgoglio sotto i piedi anche se fiaccati da calzature tutt’altro che traspiranti. Oppure te lo ha scritto qualcuno come prova d’amore, ti ha scritto scusa in modo che ogni volta che guardi giù ti ricordi che devi saper perdonare, altra cosa difficile tenendo conto che ora dovrai anche perdonarlo per aver rovinato le All Star lilla alte perché la biro calcata così non va più via nemmeno in lavatrice. Ma anche la punta sinistra ha uno scarabocchio, c’è scritto ancora a penna “aspettiamo”, che letto su un piede fa uno strano effetto, no? Se aspetti e non c’è un semaforo rosso che te lo impone non riesci più a tenere il passo, rimani indietro, e poi devi chiedere scusa se sono gli altri a dover dire aspettiamo. E se gli altri non avranno pazienza o non vorranno perdere tempo e ti lasceranno lì e ti offenderai, potrai indicargli il tuo piede destro come spunto, se non sapranno da dove iniziare. Altrimenti puoi guardarti il piede sinistro e dar loro tutto il tempo di cui hanno bisogno, e non è detto che sia roba da poco.

umorismo sottile

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Quella pressa, quella che il dirigente dell’industria che sto intervistando mi indica con il dito, esercita una forza di 4.800 tonnellate e per farmi capire di che ordine di grandezza stiamo parlando, come se ce ne fosse bisogno, utilizza come termine di paragone le 40 tonnellate di un tir. Ed è lì che mi sento male, perché la prima cosa che mi viene in mente non è Tempi Moderni, la scena in cui Charlot distratto appoggia la schiscetta del collega sul piano della pressa e la riprende ultra-sottile. A quella ci penso dopo il ricordo di una gag di un vecchio programma del sabato sera con Raimondo Vianello che si sdraia addirittura là sotto per una pennichella e ne esce come un cartonato a figura intera, come quello di Alessia Marcuzzi che un mio amico aveva sottratto di notte all’edicola davanti alla quale era stato posto per pubblicizzare una nota rivista maschile, su cui era stato pubblicato un servizio su di lei poco vestita. E c’era un’altra scenetta in cui qualcuno veniva inavvertitamente ridotto a una sola dimensione da uno di quei macchinari che servono per compattare l’asfalto sulle strade, come nei cartoni animati della Warner Bros. Comunque si tratta di uno degli input peggiori che la mia fantasia abbia immagazzinato e che mi mette più a disagio di qualunque altra cosa, una sorta di tabù che mi manda in tilt, così sono rimasto qualche secondo imbambolato di fronte a uno schiacciatutto gigantesco che faceva bella mostra del dato che il dirigente mi ha sottolineato, quelle 4.800 tonnellate che ridurrebbero a carta velina qualunque cosa e che era stampato a grandi lettere proprio sopra l’imboccatura. Venga che le mostro il resto, mi ha detto, tutto bene? C’è qualcosa che non va?

pesci piccoli e pesci piccoli

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Che non è detto che siano meno dannosi dei pesci grossi, e vi giuro che mentre la concomitanza dell’altro post un po’ me l’ero preparata prima, questa è una pura combinazione anche se la notizia è di qualche giorno fa ma sarebbe stata perfetta per il primo di aprile, e io ne sono venuto a conoscenza solo oggi. Succede che dalle mie parti una pescheria puzzasse di evasione totale lontano un miglio, tanto che le Fiamme Gialle dopo un controllo hanno rilevato oltre 700 mila euro di introiti non dichiarati al fisco e circa 80 mila euro di Iva non versati all’erario. E a dimostrazione delle sue manchevolezze con l’Agenzia delle entrate, il commerciante aveva ottenuto pure un appartamento di edilizia agevolata a canoni ridotti, beffando quindi anche una famiglia realmente bisognosa. C’è da chiedersi perché il reato, che risulta esser stato perpetrato con continuità dal 2007, non sia mai stato accertato prima. Di certo non si può dire che il tema della gravità dell’evasione non sia salito di priorità negli ultimi tempi. Sarà cambiato davvero qualcosa?

la chimica spiegata agli adulti

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Ci sono vari modi di studiare fuori tempo massimo, intendo una volta laureati ed esaurito quello slot di possibilità che di norma la vita dovrebbe darti solo una volta, mentre hai le spalle coperte dalla famiglia o chi ne fa le veci. E sono tutti modi che ammiro e invidio un po’, perché una specializzazione o un master, o addirittura tornare all’università, ti consente maggiori opportunità, pesa sul curriculum, costituisce un vantaggio competitivo o consente di rifarsi una professionalità, se magari non ne puoi più del tuo lavoro. Io non sono di questa indole, un po’ per l’incostanza – potrei fare un elenco delle cose che ho iniziato e non ho mai portato a termine, anzi lo farò in una pubblicazione a sé – e un po’ per la fatica e il tempo che è necessario dedicare. Fermo restando che un conto è proseguire il percorso di studi freschi di titolo accademico, un corso è rimettersi su libri e appunti dopo anni di lavoro, la testa ormai è strutturata secondo la propria mansione, si diventa tutti un po’ più rigidi e poi la famiglia e insomma, alla fine è meglio e più comodo accontentarsi.

Quello che più mi meraviglia però sono le persone già grandi, magari non come me ma quasi, che decidono di conseguire il diploma iscrivendosi alle scuole serali. Prima mi riferivo allo slot di possibilità, e c’è chi per svariati motivi non è riuscito a sfruttarlo e si è ritrovato a fare altro mentre i coetanei sedevano ogni giorno ai banchi di scuola. Ora, il senso di un master dopo una laurea è quello di entrare nei dettagli di qualcosa, spaccare in quattro il capello, come si dice. Le scuole superiori invece possiamo dire che forniscono i concetti fondamentali delle materie, giusto? Ecco perché è straordinario l’approccio di un adulto alle materie a cui di norma si accede da adolescenti e alle basi delle stesse, il punto di vista è diverso, se ne ha una visione meno dogmatica e più paritaria, ci si pone con umiltà allo stesso piano della nozione e ci si introduce nel significato di quello che si deve imparare per poi sbucare in cima con la piena padronanza dell’argomento. Come entrare in un mezzo di trasporto, smontarlo ed esaminarlo pezzo per pezzo e quindi domarlo per condurlo dove si vuole, possibilmente nel proprio garage.

Ho un caro amico che da grande si è rimboccato le maniche e ha preso il diploma che non aveva potuto conseguire da giovane e grazie a quello ha fatto anche una bella carriera. Ho un’amica più che trentenne che frequenta le scuole serali suppongo con lo stesso obiettivo, cambiare la propria vita possibilmente in meglio, che leggo sempre piena di entusiasmo nel fare propria la materia per la quale nutre una grande passione. E a parte il sacrificio di lavorare e studiare e trascorrere le sere ad ascoltare i prof magari più giovani di te, credo che l’opportunità più immediata di questa esperienza sia di battersi ad armi pari contro un qualcosa che a quindici o sedici anni sembra un mostro sconosciuto, un’esperienza in una foresta indefinita da attraversare talvolta senza nemmeno un punto di riferimento e una carta.

pesci grossi e pesci grossi

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Non è un pesce d’aprile. L’arrivederci di Emilio Fede dal suo scranno sembra l’ultima delle mosse di una strategia un po’ grossolana tra giocatori che giocano forte, un avvertimento tra bulli, il classico stai all’occhio che prima o poi ti aspetto fuori di chi sa di avere ancora il coltello dalla parte del manico. Ma in uno scenario così, come ci immaginiamo sia occupare quelle posizioni di potere in un ambientino da sogno come Mediaset, sembra che i coltelli in mano li abbiano tutti, e per chi è abituato a vivere da squalo in una vasca tra simili la prima regola di questo fight club di colpi bassi è proteggersi dagli squali con cui sei uscito a caccia. Così ci si immagina quali debbano essere i delicati rapporti della banda di potenti che ruota intorno al padrone di casa, non dimentichiamo che per l’entourage più stretto ed esclusivo il capo ha promesso non solo un posto di lavoro e un posto in parlamento ma anche un posto nel mausoleo di famiglia. Ed è sufficiente fare due conti e considerare la facilità con cui sembrano pronti a farsi le creste da migliaia di euro, tra di loro e di nascosto dai propri benefattori, con i vari Lele Mora della situazione. Un clan destinato a implodere in un tragico tutti contro tutti, e tutti pronti a trascinarsi reciprocamente a fondo, a divorarsi a vicenda e a far sparire i resti prima che segreti e malefatte affiorino come boe di segnalazione in superficie.

caro prezzo

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La notizia degli ennesimi aumenti nelle bollette non passa inosservata in casa, ci si raccomanda a vicenda di porre la massima attenzione nei consumi e il riferimento alla luce che alimenta gli elettrodomestici e il gas che consente di cuocere i cibi è una tessera di un puzzle che si completa nel ragionamento di mia figlia. La crisi e la recessione, la Grecia poi la Spagna e dopo l’Italia, sono tutti  concetti vaghi che improvvisamente si concretizzano perché realmente in grado di minare la sicurezza su cui fa affidamento una bambina. La corrente e l’energia si pagano? Sì cara, eccome, e si pagheranno sempre di più. Ma anche la benzina? E la tv? E il telefono? E Internet? L’elenco dei dubbi risolti si fa lungo, la lista delle necessità si spunta ad ogni voce, e a chi ha influenza sul mercato e l’economia solo indirettamente suscita una sorpresa dopo l’altra. Che ingenuità. E tutti i soldi per pagare queste cose dove li prendete, ci chiede alla fine. Così ora anche lei ha ben chiaro che ogni giorno, dopo averla accompagnata a scuola, quell’ufficio in cui passiamo molto del nostro tempo non è un luogo in cui ci rechiamo senza uno scopo. In cambio riceviamo quanto ci serve per tutto, vacanze comprese. I vestiti. I suoi buoni mensa. Tutto. E a quel punto vedo la sua fantasia volare verso un pianeta in cui tutto è gratis e ognuno prende quel che gli serve e basta, e poi me lo dice anche, quanto sarebbe bello se fosse così. E a caldo penso alla perfezione di un paradiso di tal genere, ma poi immagino le code di gente ai distributori di qualsiasi cosa, quelli che prendono per sé e per la cognata e per i nonni, con tre o quattro tessere e le borse da riempire. La calca, la gente che passa davanti e ti scavalca per fare prima e perché teme che le scorte finiscano. Nessun essere umano riuscirebbe a sopportare un sistema economico così complesso e difficile da gestire, questa proprietà indivisa globale, tantomeno dei bambini. Meglio pagare, fidati, e farlo nel modo più illuminato possibile.