chi meglio di noi

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Qualche giorno fa, arrabbiatissimo con un paio di insegnanti di mia figlia, sono corso subito tutto indignato su Facebook per scrivere una cosa tipo che uno dei motivi per cui dovremmo tutti diventare insegnanti è per impedire che altri lo facciano al posto nostro. Anzi, l’ho scritto proprio e ho preso anche un paio di like nei primi minuti. Poi ci ho riflettuto su e, con lo stesso impeto con cui l’avevo pubblicato, altrettanto velocemente l’ho cancellato. Ho pensato infatti che si trattava di un ragionamento di pancia. Provate infatti a sostituire a insegnanti una qualsiasi categoria professionale. Inizio io: gli allenatori della nazionale. Se ne parla spesso, vero? Siamo tutti buoni a mettere tizio in attacco e caio in panchina perché ne sappiamo di più del direttore tecnico. Oppure ultimamente va di moda sostituirci ai medici e curarci a modo nostro per poi gravare sulle spalle della sanità quanto mettiamo nei guai qualcuno con le nostre convinzioni strampalate. Per non parlare di chi amministra la cosa pubblica. Lì siamo insuperabili e, con noi al governo, non ci batte nessuno. Poi però la metà degli aventi diritto non va nemmeno a votare, sedi e circoli di partito sono deserti e raccolgono solo vecchi, persino tutto l’entusiasmo per la democrazia diretta esercitata via web sembra già esaurito. Il comportamento di chi sottrae arbitrariamente autorevolezza al mestiere di terzi non l’ho mai sofferto negli altri però capisco come sia facile essere spinti a pensare cose di questo genere. Però chissà, magari un giorno sarò davvero un insegnante anch’io e, in tal caso, vi prometto che farò di tutto per non spingere qualcuno a voler cambiarsi di posto con me.

conto terzi

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Se mi parlate di democrazia diretta a me viene un brivido perché la prima cosa che mi viene in mente è la folla che nel dopoguerra sequestra non ricordo quale fascista, lo lincia e lo getta nel fiume. Non che la cosa non mi abbia fatto piacere, ma gli istinti animali è meglio tenerseli per sé e così istituzionalizzare l’ipocrisia della mediazione tra il diritto naturale e quello giuridico o come si chiama, che raccoglie i desideri della collettività e li codifica con il filtro della ragione. Questo perché l’esercizio del potere senza interposta persona nel caso della   giustizia dimostra la sua inadeguatezza almeno nella versione ufficiale dei nostri sentimenti e una volta messo a bada l’impeto. E altrove non saprei, ma per non saper né leggere né scrivere mi fido e sostengo la stessa cosa. E ripenso a casi come l’occupazione dell’università a cavallo tra gli 80 e i primi 90, non ricordo esattamente quando, un movimento all’acqua di rosa – rosa come la pantera che li rappresentava – in cui il dibattito a cui non ho partecipato perché ero già quasi fuori con lode verteva proprio su quel concetto di prendersi i diritti in prima persona e in gruppo. Occupare l’università per farla a propria immagine. Ma anziché frequentare gli occupanti per capirne le ragioni io flirtavo con una della fazione contraria, quella che si chiamava ancora DC e non chiedetemi perché, e quindi avevo una versione del movimento più edulcorata, almeno fino a quando poi trovai al suo stesso tavolo di lavori un fascista del FUAN e ripensai alla democrazia diretta del tribunale del popolo e del volo nel fiume e il flirt finì così, d’altronde non si dice “mogli e buoi dei partiti tuoi”? Così quando leggo di allenatori che prendono a pugni i giocatori ribelli o di imprenditori che, come dice Gramellini, anziché vendere il proprio arsenale per pagare gli arretrati del canone RAI lo usano per mettere a ferro e fuoco uno sportello di Equitalia, ecco, penso a come sarebbe la nostra società in questo limbo tra far west e anarchia, in cui ognuno direttamente si prende la sua fetta di potere e la applica secondo i propri criteri. Il che non è distante da chi sostiene che, pagando le tasse, vuole che insegnanti, dirigenti scolastici, amministratori locali, vigili urbani, ministri e presidenti della repubblica debbano fare quello che vogliono loro. Ma per farlo è necessario accordarsi con tutti gli altri stakeholder della cosa pubblica che sono i milioni di cittadini che pretendono altrettanto ma allora occorre mettersi d’accordo e investire qualcuno della voce di tutti e fare un partito con un delegato che li rappresenta. Ops, ma allora si ritorna daccapo.