breve storia degli untori del duemila

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La formula delle serie ĆØ intelligente perchĆ© diluisce trame cinematografiche in ennemila puntate e, quindi, consente economie di scala perchĆ© chi le segue alla tv tradizionale in quella settimana di interregno tra una puntata e la successiva la bramosia di sapere il seguito stempera la delusione di sorbirsi i rimandi iniziali della nuova puntata a quella precedente, mentre i malati che si sparano otto-episodi-otto in una botta – io l’ho fatto per Stranger Things – non vanno tanto per il sottile e sprecare ore di girato superfluo ai fini della trama (noi che siamo di bocca buona) non ĆØ certo la fine del mondo. Ma ĆØ intelligente anche perchĆ© la formula delle serie si potrebbe applicare a tutti i settori delle nostre esperienze, e non vorrei fare della filosofia da tanto al mucchio (che poi ĆØ la mia specialitĆ ) dicendo che le nostre esistenze sono un po’ cosƬ e se potessimo pesarle al netto, separando la tara dalla sostanza lorda, chissĆ  quanti inverni sul groppone ci troveremmo. Di certo non i cinquanta che ci aspettano dietro l’angolo. Anche l’amore a puntate, magari scritto con una sceneggiatura che mette una patina anni 80 anche se sono finiti da un pezzo ma solo perchĆ© a quei tempi sƬ che abbiamo dato il massimo. E poi allora non c’era l’Internet ed ĆØ per questo che, mentre condividevo queste mie considerazioni qualche sera fa al telefono con Jonathan Franzen, lui che come me non vede di buon occhio questa deriva digitale e social che sta prendendo il genere umano (probabilmente siamo gli unici scrittori americani al mondo a pensarla cosƬ) insomma per farla breve credo di avergli dato l’idea per un nuovo romanzo, da scrivere a episodi come una serie americana e lui che ĆØ un vero scrittore americano questa cosa dovrebbe comunque venirgli come si deve. Nel mio piccolo io invece credo che mi accontenterĆ² di sviluppare una cosa che ho visto stamattina. Un tizio non proprio registrato del tutto che camminava spruzzando non so che cosa con un vaporizzatore per poi passarci in mezzo ed ĆØ lƬ che ho pensato che se nel duemila e rotti esistessero gli untori, come ai tempi della peste manzoniana, ecco oggi gli untori girerebbero con un vaporizzatore pieno di qualche schifezza e sarebbero i terroristi piĆ¹ temuti al mondo.

a qualcuno interessa un mono-auricolare blu?

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Ci sono buone possibilitĆ  che la vita sia una cosa che ti danno in prestito e poi, al termine del giro, la restituisci allā€™organizzazione come le audioguide delle mostre o gli apparecchietti simili che hanno le comitive in visita per ascoltare le spiegazioni della guida. Ho partecipato a una visita al Cimitero Monumentale di Milano un paio di sabati fa, con un tempo perfettamente autunnale che, per unā€™esperienza del genere, era proprio la morte sua. E quella cosa che dicevo prima mi ĆØ venuta in mente proprio lƬ, tra un monumento funebre e una tomba piĆ¹ ordinaria. Ci sono le occasioni in cui – mi ĆØ successo alla mostra su Bowie, domenica scorsa – vieni fornito di dispositivi tecnologicamente all’avanguardia. Cuffie della madonna con i bassi amplificati o anche tablet super-velocissimi per seguire al meglio le cose che vedi esposte. Manco a dirlo, quando finisce tutto c’ĆØ quasi sempre una ragazza deliziosa a ridosso dell’uscita a cui consegnare i dispositivi ricevuti in dotazione per migliorare l’esperienza di visita. La ragazza ĆØ deliziosa ma se la prende un po’ se non stacchi prima la cuffia e lasci a lei l’incombenza.

ChissĆ  perĆ² se qualcuno ci prova a mettersi tutto nello zaino e passare inosservato, anche se un museo non ĆØ certo il primo autogrill in cui entri, ti mangi un gelato facendo il percorso che ti fanno fare per farti venire voglia di acquistare tutte quelle cose che ci sono all’autogrill e che chissĆ  se qualcuno avrĆ  comprato mai nella sua vita, getti la carta del gelato nella spazzatura, vai sotto a fare la pipƬ e a lavarti le mani ed esci senza pagare dopo la gimkana tra salami, confezioni di Kinder da millemila barrette, best seller, superalcolici e persino oggettistica che ogni volta mi tenta, a partire dai cucchiai da cucina in legno a forma di basso e chitarra a venti euro, li avete visti?

Ma, tornando al discorso di prima, al cimitero di Milano la dotazione era diversa. All’ingresso mi ĆØ stata consegnata una cuffia mono-auricolare blu che, alla fine, la guida ci ha detto di gettare. Io pensavo che le dovessimo restituire, malgrado la semplicitĆ  dello strumento, e che ci fosse dietro una struttura dedicata alla sterilizzazione di quegli oggetti intimi come per le cuffie hi-fi di Bowie. Invece no, probabilmente costa di piĆ¹ farle pulire che lasciarle da smaltire o riciclare alla nettezza urbana, di certo nessuno le utilizza una seconda volta, siamo troppo abituati allo stereo per sopportare un downgrade a un mono-auricolare.

Questo per dire che probabilmente, se mi confermate la veridicitĆ  della metafora della vita che restituisci a fine giro, c’ĆØ qualcosa di poco valore che ti resta alla fine e che in qualche modo ti ha messo in contatto per tutto il tempo in cui sei rimasto in ballo con qualcuno che ti ha dato delle dritte e ti ha suggerito su cosa soffermarti e cosa no. Il Cimitero Monumentale ĆØ gigantesco e mica riesci a vederlo tutto e poi, obiettivamente, non tutti si possono permettere opere d’arte come certi vip che vi riposano. Quindi niente, se c’ĆØ qualcosa che resta alla fine fate come me. Ho ancora quel mono-auricolare nella sua confezione intonsa nella tasca del piumino 100 grammi che indosso proprio da quel sabato lƬ, perchĆ© poi, per affrontare la visita, ho utilizzato i miei, di auricolari, quelli dello smartphone, perchĆ© sono stereo e perchĆ© ho pensato che sarebbe stato meglio cosƬ e perchĆ© non fido poi tanto delle sterilizzazioni anche quando non sono previsteĀ perchĆ© alla fine, le cuffie, ti dicono di tenerle.

paradiso per principianti

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Dicono che da quelli della nostra generazione si aspettavano di piĆ¹ perchĆ©, alla fine, ci siamo tutti omologati e una volta messo su famiglia e casa abbiamo scelto camere matrimoniali piuttosto standard, seguendo quindi la tradizione di quanto avevano fatto i nostri genitori e i nostri nonni anche se rivisitata con stili piĆ¹ attuali. Nelle camere matrimoniali di oggi trovi sempre un letto a due piazze o massimo una piazza e mezza, un armadio gigantesco, un comĆ², due comodini o qualcosa che ne faccia le veci con due lampade, magari anche uno specchio.

I piĆ¹ megalomani hanno le cabine armadio o addirittura stanze ad hoc in cui riporre i vestiti, ma la sostanza non cambia. Quadri alle pareti, una poltroncina spesso coperta da indumenti e cose cosƬ. Nessuno, per dire, che abbia scelto un arredamento rivoluzionario, magari con i letti a castello o i poster dei concerti dei Subsonica appiccicati con il nastro adesivo sulla tappezzeria. Mi piacerebbe chiedere il parere di chi ci ha insegnato questa convenzione, ma per molti di noi rintracciare mamma e papĆ  ĆØ difficile, e non certo perchĆ© non abbiamo i recapiti. Sarebbe piĆ¹ semplice se sapessimo dove vanno a finire quando ci lasciano, quando muoiono, per tagliar corto e utilizzare unā€™espressione che non ci piace.

Ci pensavo ieri sera dopo aver assistito a un documentario su LA2, il secondo canale della RTSI, che secondo me dovreste cercare e vedere tutti. Si intitola ā€œFrammenti di paradisoā€ e il regista, StĆ©phane GoĆ«l, mette in sequenza una serie di interviste a un gruppo di persone anziane che, in prossimitĆ  della morte, provano a descrivere quello che si aspettano dallā€™aldilĆ . Unā€™opera davvero toccante soprattutto grazie ai primissimi piani che, in fullHD, mi hanno permesso di avere la certezza di quanta bellezza ci sia nella vecchiaia e negli occhi di chi prova a immaginare una cosa che non ĆØ immaginabile.

Mi ha riportato alla mente una conversazione tra me e unā€™amica di tantissimi anni fa. In macchina, di notte, lungo una stretta stradina di campagna, avevo abbagliato un daino che anzichĆ© scappare era rimasto fermo in attesa, probabilmente, del ritorno della vista. Mi aveva colpito il fatto che avesse ritenuto meno rischioso stare allo scoperto piuttosto che lanciarsi in una fuga cieca. Ricordo di aver spento i fanali per tranquillizzare, per quanto possibile, lā€™animale.

Illuminati solo dalla luna e dalle stelle, bloccati in macchina avevamo riflettuto proprio sulla morte degli animali ā€“ lā€™amica mi aveva raccontato di una gazza stecchita, notata sotto un cavalcavia dellā€™autostrada, sdraiata sul dorso con le zampe dritte allā€™insĆ¹, che sembrava uscita da un fumetto. CosƬ abbiamo provato a immaginare come poteva essere il paradiso ā€“ proprio come nel documentario che ho visto ieri sera ā€“ con la ressa di persone e animali che si ritrovano tutti insieme, perchĆ© anche se siamo i dominatori del pianeta non credo che per le bestie qualcuno abbia allestito un aldilĆ -zoo dedicato.

E tra miliardi di miliardi di esseri ex-viventi (o quello che ne sarĆ ) animali e vegetali, come faremo a riconoscerci? Come faremo a trovare i nostri cari? Per questo, forse, certi comportamenti meno standard per la tipologia di persone a cui apparteniamo possono essere utili. Nel paradiso esiste il progresso? Si ascolta musica di adesso, per esempio, quindi con mio papĆ  o i miei nonni potrĆ² discutere di rap italiano? Sapranno ballare come va di moda ora? SarĆ  il 2016 anche lƬ?

per una svolta nell'evoluzione del genere umano

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Dio ha creato l’uomo operoso. Il diavolo ha rilanciato con lā€™uomo inoperoso e i due, come i rispettivi creatori, da sempre sono in competizione. Operosi e inoperosi si sono accoppiati e si sono moltiplicati, inizialmente ben compartimentati tra di loro e questo ha generato la prima frattura sociale tra il capitalismo, esercitato dallā€™uomo operoso e dai suoi discendenti, e dal comunismo, prerogativa dellā€™uomo inoperoso che vorrebbe spartirsi le ricchezze accumulate dallā€™uomo operoso convincendolo a parole e a salamelle. Non si sa bene a quale punto dellā€™evoluzione, fatto sta che un bel giorno uno del clan degli operosi accoppiandosi con una del clan degli inoperosi (o viceversa, su questo la storiografia ĆØ piuttosto vaga, quindi potrebbe trattarsi tranquillamente di un uomo inoperoso che ha copulato con una donna operosa approfittando di un suo raro momento di stasi) hanno dato vita a un ibrido, un incrocio che la scienza ha subito classificato come uomo sensibile.

Lā€™uomo sensibile non puĆ² essere operoso perchĆ© ha i movimenti bloccati dalla precedenza che nella sua mente ha il pensiero creativo rispetto al pensiero operativo. Con il tempo e lo stemperamento della sensibilitĆ  con le maggiori o minori percentuali di operositĆ  si sono create infinite sfumature che compongono la classe ibrida degli uomini sensibili. Con un basso grado di sensibilitĆ  soggetto a un elevato grado di operositĆ , lā€™uomo sensibile ha messo la creativitĆ  al servizio dellā€™operositĆ , creando lā€™ingegneria. Agli estremi opposti, un pizzico di operositĆ  diluito in un mare di creativitĆ  ha permesso lo sviluppo di figure quali i musicisti rock o gli intellettuali come me (anzi no, io sono sia musicista rock che intellettuale).

La sensibilitĆ  induce a far lavorare gli altri al posto nostro. Da una parte quindi gli ingegneri con tanta operositĆ  e il minimo di creativitĆ  necessaria si sono inventati i ruoli manageriali nelle aziende, dallā€™altra i musicisti rock e gli intellettuali, non appena se ne presenta lā€™occasione, con il loro vissuto sensibile e poco operoso le studiano tutte per sfruttare il lavoro degli altri a loro vantaggio.

Ma se vogliamo spezzare una lancia per lā€™uomo inoperoso e per gli ibridi frutto di incroci di sensibilitĆ  a maggioranza di inoperositĆ , lā€™uomo operoso e il versante piĆ¹ operoso degli ibridi in questo periodo dellā€™anno ĆØ facile riconoscerli perchĆ© sono giĆ  al lavoro vestiti di tutto punto nei loro uffici pregni di aria condizionata e, soprattutto, sono felici di essere lƬ perchĆ© ĆØ nel lavoro che trovano la vita.

Gli inoperosi invece, che la vita la vedono solo nella vita in sĆ© anche se da una certa etĆ  in poi si pongono il dubbio se sia questa la giusta direzione per non esaurire le risorse vitali per sĆ© e per il nucleo a cui appartengono (e di cui spesso sono alla guida), in bermuda e Birckenstock prolungano ferie in eccesso e seguono il corso della natura, che vuole le stagioni dellā€™uomo in linea con le stagioni del tempo. Lā€™uomo operoso in camicia e cravatta incontra lā€™uomo inoperoso in sandali e jeans corti o lā€™uomo sensibile con tenute intermedie per esempio camicia + jeans + camper solo su certi mezzi pubblici, il primo diretto in ufficio, il secondo a godere lā€™essenza della giornata in un luogo di intrattenimento culturale o naturale, il terzo mentre si reca al suo lavoro creativo e tutti percepiscono la reciproca appartenenza ma lā€™antica rivalitĆ  e lā€™incredulitĆ  verso gli ibridi sensibili oramai vive latente e sopita nelle convenzioni sociali di tutti.

Il mondo ha trovato infatti un equilibrio perfetto in cui lā€™uomo operoso senza rendersene conto e senza privarsi di nulla produce anche per lā€™uomo inoperoso e lā€™uomo sensibile, e se vi piace il livello di evoluzione in cui per puro caso siete stati predestinati sappiate che tutto quello che vedete ĆØ grazie allā€™uomo operoso e quindi, se siete tendenti in qualche modo allā€™inoperositĆ , ricordatevi di fare un cenno, anche finto, di plauso allā€™uomo operoso che si reca verso il posto in cui esercita un lavoro manuale sui mezzi pubblici e che anche oggi, come sempre, lavorerĆ  anche per voi. Se siete sensibili potete puntare sulla vostra abilitĆ  di storyteller, osservare i comportamenti delle due categorie, provare a scrivere una manciata di righe e vedere che cosa ne esce. Io non ci ho capito nulla.

la morte e l'oblio (parte prima)

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Qualche mese fa, nel corso di una tavola rotonda andata poi in onda alla tv di stato canadese, lo scrittore Edward Severnett ed io discutevamo proprio sulle incoerenze nello sviluppo del senso dello spazio durante la fase del pensiero intuitivo, come la definisce Piaget, una conversazione nata grazie alle riflessioni su Tom, il protagonista del suo ultimo romanzo “The river off”. Tom crede che a parte certe grandi isole come le nostre Sardegna e Sicilia, tutte le altre siano poco piĆ¹ che scogli affiorati sulla superficie del mare e si stupisce dei turisti che vi si recano in macchina, perchĆ© teme che una volta sbarcata l’auto dal traghetto non ci sia posto piĆ¹ per nessuno. Gli ho mostrato cosƬ la foto del poco conosciuto Isolotto di Bergeggi, nei pressi del quale ho fatto numerosi bagni da ragazzo, e il caso ha voluto che Eddie abbia preso spunto da lƬ. Ha riconosciuto infatti la meta di diverse estati di vacanza ai tempi dell’universitĆ , quando era legato a una studentessa italiana di scrittura creativa. Il problema ĆØ stato anche quello di definire quale potesse essere il concetto di scrittura creativa americana per una studentessa italiana, indipendentemente dalla sua familiaritĆ  con le spiagge liguri. Servernett perĆ² si ricordava alcune su composizioni acerbe ma pregne di reminiscenze classiche e ha citato un passaggio in cui un poeta di chiare matrici decadentiste – uno alla Tarchetti nella migliore della sua forma – si ferma a osservare un mucchio di teschi in un ossario e a ciascuno chiede a chi appartenessero, da vivi. Un dialogo muto solo in apparenza. Io ero un magistrato, diceva il primo. Io un pastore del quindicesimo secolo, un altro. Io stavo per cambiare il mondo con la mia invenzione, ha detto il terzo. Io ero una donna bellissima che ha avuto ragione su tutto, un quarto, e cosƬ via. Ogni teschio a ripercorrere in poche battute un’esistenza piĆ¹ o meno rilevante nelle epoche diverse e piĆ¹ disparate fino a quando, diventati anonime ossa, nessuno, in nessuna parte del mondo, si ĆØ mai ricordato piĆ¹ di loro.

scontro di inciviltĆ 

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Oggi ĆØ tutto talmente liquido, ancora per dirla come coso lĆ  Bauman, che si mescola che ĆØ un piacere. Tragedie e Pokemon scorrono veloci insieme rimestate dai gorghi e lungo le insenature inquinate del nostro divenire che volge verso le cascate finali oltre le quali boh e nessuno che si prenda la briga di mettere tutto in pausa e darsi un contegno. Questo perchĆ© le cose sono un gigantesco sistema multitasking, noi stessi non siamo in pochi in quella frenetica ora di punta che ĆØ questo periodo storico dove tutti ci teniamo a confermare la nostra presenza, quindi finisce che il particolare perde la gara decisiva con il generale e nel minestrone informativo color acqua sporca che ne deriva certi dettagli non si vedono piĆ¹, se avete fatto almeno le medie saprete qual ĆØ la questione dei solventi e dei soluti. Ma all’indifferenza con cui approcciamo la drammaticitĆ  di certi eventi – i cui aggiornamenti consultiamo al ritmo di “The Show Must Go On” dei Queen, e giĆ  per questo probabilmente non abbiamo scampo – non esiste un piano di redenzione standard o comunque plausibile. La presentazione stessa delle notizie, incasellate sulle pagine web di quelli che una volta rispettavamo come quotidiani autorevoli, con il criterio digitale e scellerato che le appaia nell’opposta portata del loro significato, si presta perfettamente alla nostra impostazione emotiva per cui a meno che la morbositĆ  per il macabro non prenda il sopravvento ecco che giĆ  siamo sul clima tropicale, sull’angelo del violoncello suona per i malati terminali, su PellĆØ che vola in Cina con Viktoria e i tifosi impazziti per la coppia. Non so da chi abbiamo imparato questa sorta di schizofrenia che probabilmente ĆØ indotta dall’autoconservazione o da quell’intuito ipocrita che spinge a mollare tutto e tutti e metterci al sicuro. A chiudere gli occhi, tapparci le orecchie, serrare la bocca. Ecco, questi sono i nostri primati, nel senso delle scimmie, perĆ².

fenomenologia della copertina

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Il connubio o la dicotomia bello dentro/bello fuori ĆØ antico quanto le farfalle nella pancia, quelle dellā€™innamoramento e non certo le avvisaglie della dissenteria anche se ĆØ facile che siano coeve con quel modo di esprimere tale concetto in greco antico con cui i ragazzini studenti del ginnasio si divertono un sacco, considerando la sua assonanza con una parolaccia di uso comune. Ma, lasciando da parte l’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo, sta a noi decidere se appunto si tratta di una corrispondenza veritiera o invece una fregatura esemplificabile nel fenomeno del mattone dentro il videoregistratore che ha ottenuto persino dignitĆ  di disciplina a sĆ© con tanto di laurea specialistica sotto il nome di Marketing.

Riflettevo perĆ² su quante volte ĆØ successo e succederĆ  ancora che compriamo un prodotto per lā€™etichetta, il packaging, la copertina, la forma, il colore e tutti gli altri fattori estetici per poi rimanere delusi della sostanza, dal contenuto, del funzionamento, delle prestazioni, del fatto che in pratica non cā€™ĆØ corrispondenza tra quello che lā€™estetica ci ha fatto idealizzare e lā€™oggetto in sĆ©. Lascio a voi espertoni di design e marketing di prodotto tutto ciĆ² che concerne lo studio della dimensione esterna, come avrete capito non ĆØ il mio mestiere. Vorrei invece condividere qualche considerazione su tematiche su cui mi sento piĆ¹ ferrato e mi riferisco a musica e letteratura. Lā€™estetica delle copertine dei libri gioca scherzi bruttissimi, per esempio, e ultimamente le case editrici stanno sempre piĆ¹ imparando a tentare il pubblico che entra in libreria ā€œper vedere che cā€™ĆØ di belloā€ con grafiche e illustrazioni davvero sexy che suscitano l’interesse ben oltre il riassuntino o la fascetta con i giudizi di valore della critica accreditata. Esistono casi di corrispondenza tra copertina che soddisfa il proprio gusto e qualitĆ  narrativa, per esempio non ricordo di aver sbagliato scegliendo un volume della Minimum Fax di un autore sconosciuto, mentre devo ammettere che, pur avendo una grafica che con quel codice a barre sfiora la perfezione, qualche delusione dalla ISBN Edizioni l’ho avuta. Questo ĆØ il motivo per cui consiglio a tutti di frequentare le biblioteche, ĆØ tutto gratis e ci si possono permettere tutti gli errori di scelta senza sperperare il becco di un quattrino.

Una cosa che non farei mai, e se mi conoscete saprete il perchĆ©, ĆØ comprare un disco basandomi sulla bellezza della copertina. Intanto perchĆ© l’immagine a corredo quasi sempre non ĆØ rappresentativa del prodotto. Cosa c’entra, per dire, un uomo che prende fuoco stringendo la mano a un altro con “Shine on you crazy diamond”? Intorno alla musica si muovono artisti visivi e fotografi che fanno del loro meglio per aggiungere del valore alle composizioni ma per pura autoreferenzialitĆ . Per non parlare del fatto che oggi chi ĆØ che acquista canzoni a scatola chiusa, considerando che si tratta di una forma artistica quasi completamente digitale? L’unica possibilitĆ  di lasciarsi attirare dalle copertine dei dischi ĆØ in prossimitĆ  delle bancarelle di usato, quando nei contenitori di dischi da poche lire ci troviamo a scartabellare per trovare qualcosa di interessante. Solo lƬ ci rendiamo conto di quanta roba ĆØ stata stampata inutilmente e lasciarsi attrarre da una foto o da un disegno ĆØ il modo piĆ¹ certo per buttare via dei soldi.

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Sentivo uno psicologo raccontare che non sono pochi i casi di nativi digitali che alla domanda ā€œquanto fa 2x – xā€ rispondono 2. In effetti da un punto di vista digitale non fa una piega: prendete una jpeg con su scritto 2x, cancellate la x, e osservando il risultato compatitevi in libertĆ  sul vostro obsoleto modo di vedere le cose. Non capisco perĆ² tutta questa paura del cambiamento: magari tra mezzo secolo le discipline come le conosciamo noi saranno rivoltate come calzini. Il nostro peso sarĆ  espresso in giga e prima della prova costume ci zipperemo senza nemmeno il bisogno di trattenere il respiro per non far traboccare la pancia oltre lā€™elastico del costume. Fare lā€™artista non sarĆ  piĆ¹ necessario, questo non lo so spiegare perchĆ© giĆ  oggi ĆØ cosƬ ma spero abbiate compreso che cosa intendessi. Interessanti anche i risvolti di questo fenomeno da un punto di vista linguistico. Pensate per esempio a quanto potrebbero essere veloci le nostre conversazioni avulse dai termini che ai fini del contenuto sono ininfluenti. Le parole che utilizziamo per far prendere al cervello una boccata dā€™aria fresca e inviare alla lingua la risposta pertinente alla domanda che ci ĆØ stata posta. Non fate quella faccia, se il cervello elettronico ĆØ veloce il mondo si aspetta da noi che facciamo altrettanto. Ma come si fa capire il superfluo verbale? Semplice. Avete presente le indicizzazioni che si facevano con Wordstar e che nessuno capiva mai a cosa potessero servire? Bene. Un adulto italiano pronuncia una media altissima di volte lā€™avverbio ā€œpraticamenteā€, che ĆØ notoriamente un intercalare come a Genova diciamo belin ma non per questo dev’essere giustificato per forza. Digitalizzate una vostra conversazione, poi cancellate tutti i praticamente e ponderate il peso del file ottenuto e la sua lunghezza. Si tratta di unā€™operazione che vi libererĆ  tempo e spazio da reinvestire nelle attivitĆ  che preferite. Io poi con lā€™avverbio ā€œpraticamenteā€ ho un conto in sospeso perchĆ©, fondamentalmente, sono un teorico. Il mio intercalare preferito, a parte belin che da quando vivo a Milano non lo dico piĆ¹, ĆØ ā€œin teoriaā€, questo la dice lunga sulla mia voglia di lavorare. Dico e scrivo cose in teoria ma se poi mi chiedete di farvi degli esempi pratici vi rimando a qualcuno piĆ¹ concreto di me, questo ĆØ uno degli aspetti di cui mi sono liberato e ora, vi giuro, ho tantissimo tempo a mia disposizione per contemplare tutte le astrazioni che voglio.

il nome della cosa

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Alla gente le cose gliele devi spiegare per bene perchĆ© altrimenti non capisce. Per questo certi prodotti hanno tanto successo: hanno nomi azzeccati che trasmettono in pieno la loro essenza. Basta con i nomi evocativi che tanto i consumatori hanno tante balle per la testa con tutte queste informazioni che assorbono su Internet. Non ĆØ piĆ¹ tempo per i ragionamenti e le deduzioni, tantomeno per le metafore o i sensi traslati. Come diceva quel filosofo che si fa in terza liceo ciĆ² che ĆØ ĆØ e non puĆ² non essere, ciĆ² che non ĆØ non ĆØ e non puĆ² essere. La vita scorre come un torrente impetuoso verso una foce, non abbiamo bisogno di distogliere l’attenzione dal generale per il particolare perchĆ© ogni semplificazione potrebbe essere l’ultima a restare impressa nel nostro intelletto. Ma la realtĆ  delle cose viene in nostro aiuto. C’ĆØ una marca di scarpe che si chiama Scarpa. Io che sono un intellettuale di sinistra – cosa che si evince da ogni mio scritto – ne ero all’oscuro perchĆ© il mio campo percettivo avverte solo le Clarks e in casi particolari certi modelli di Camper da architetto. C’era un impiegato di quelli che vanno in ufficio con le scarpe da trekking – non vorrei essere il suo dirimpettaio – probabilmente per affrontare con disinvoltura l’altopiano urbano. Saliva le scale della metro davanti a me e sfoggiava appunto un paio di scarpe Scarpa. Sulle scarpe Scarpa c’ĆØ scritto proprio cosƬ sopra, e secondo me serve cosƬ non corri il rischio di sbagliare, al limite ti confondi tra destra e sinistra (che tanto con Renzi l’equivoco ĆØ all’ordine del giorno) ma sei sicuro di calzare le scarpe perchĆ© hai la piĆ¹ precisa delle istruzioni impressa a caratteri evidenti sulla scarpa Scarpa. Altri esempi di marketing didascalico si trovano per esempio in certi superlativi assoluti come Intimissimo, cosƬ sai che sono mutande perchĆ© c’ĆØ scritto sulla targhetta e anzi, roba piĆ¹ intima di quella davvero non ce n’ĆØ, un superlativo relativo o un banale comparativo non sarebbe stato opportuno a proposito di tette e chiappe. Il consumatore non ama i paragoni con il prossimo. Mi viene in mente anche l’Erbolario, sapete tutti che vende prodotti naturali di bellezza ma per certi tamarri come il sottoscritto ha sempre solleticato la fantasia. ChissĆ : se un giorno un certo tipo d’erba sarĆ  legalizzata busserĆ² alla porta del signor Erbolario per farmi vendere il marchio e cercare di far stare bene la gente come dico io. Avete capito dove voglio andare a parare: mi piacerebbe stimolare la vostra fantasia e inventare nomi di prodotti formulati con la loro natura intrinseca. La pasta Pasta, la colla Colla, le lampadine Lampadine e cosƬ via, sempre che si possa e non ci sia una sorta di copyright sulle cose di dominio pubblico. La cosa Cosa, questa sarebbe il massimo.

Post scriptum: resta irrisolto i mistero del Kit Kat versus Kitekat: possibile che nessuno abbia mai querelato l’altro per eccessiva somiglianza di nome? Trattandosi poi di prodotti entrambi del settore alimentare ma per target diversi, ogni volta si corre il rischio di farsi uno snack al pollo e di dare ai gatti dei wafer al cioccolato. Possibile che nessuno si sia mai confuso?

il bello della lettura ĆØ che ci si puĆ² anche distrarre durante

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Fede ĆØ un figlio unico e i suoi zelanti genitori – gente piuttosto facoltosa – sono stati davvero lungimiranti nel fargli dei ritratti a ogni compleanno da un fotografo serio, la versione costosa delle fototessere, per capirci, che ai tempi di Instagram nessuno tiene piĆ¹ in considerazione. Oggi perĆ² Fede vanta una collezione di una ventina di passaggi seriali e documentati della sua vita come se mamma e papĆ  nei primi anni 70 avessero previsto l’invenzione dei social media e di tutto ciĆ² che si puĆ² fare con del materiale cosi. Altro che quelli che si fanno la foto nello stesso posto alla stessa ora per anni e poi ne traggono video che diventano virali sul web. Questo conferma secondo me il fatto che non serve spingersi troppo lontano per trovare il passato. ƈ sufficiente muoversi di qualche anno al contrario della direzione verso la quale ci si dirige abitualmente, anzi a dir la veritĆ  bastano un paio di mesi, tre settimane, pochi giorni e persino una manciata di secondi e il gioco ĆØ fatto. Quando ci siamo accorti che il passato ĆØ passato e, appunto, non torna? Lo scarto di tre anni indietro, in foto come quelle di Federico, mette in risalto solo qualche dettaglio. A cinquant’anni la foto della patente, che ĆØ una delle peggiori disgrazie dell’umanitĆ  considerando che la fai a diciott’anni e poi te la porti dietro fino a quando non te la rubano o la perdi, ĆØ un bel salto triplo carpiato con avvitamento in quel buco nero che ĆØ la nostra vita cosƬ distante che sembra quella di un altro. SarĆ  per questo che proprio a causa della diffusione di Facebook (che poi secondo me dovrebbe chiamarsi Second Life se non fosse giĆ  un marchio registrato) il nostro approccio alla vita ĆØ cambiato. Se prima quelli con la testa tra le nuvole erano la minoranza, oggi avere un’esistenza parallela ĆØ un comportamento istituzionalizzato se non una vera e propria forma mentis. Io ne ho approfittato e conduco una vita parallela negli ambienti e nelle storie dei libri che leggo, nei film, nella musica che ascolto, tanto tutti sono presi con le loro gif animate e a me e quelli come me nessuno dĆ  nemmeno retta. Se mi vedete assorto non c’ĆØ nessuna differenza con quelli che stanno stalkerando le ragazze o che si stanno inventando esperienze da condividere perchĆ© sotto sotto fanno una vita di merda. Magari poi anche la mia non ĆØ da meno, solo che chi legge da sempre si sente superiore a chi non legge, forse perchĆ© a differenza degli status di Facebook altrui o delle foto con la battuta incorporata, nel caso dei libri si fa fatica di arrivare alla fine, occorre impegnarsi un po’. Poi il bello della lettura ĆØ che ci si puĆ² anche distrarre durante, a volte nel mezzo di un romanzo prendi una strada secondaria con i pensieri e ti ritrovi mezz’ora dopo ad aver letto meccanicamente pagine e pagine e invece con la testa sei finito da tutt’altra parte. Anche quando scrivi: parti dalle foto di Federico e poi non sai come va a finire. Anche questo fa parte della virtualizzazione che ti permette l’uso del cervello non elettronico. Data una piattaforma fisica – che ĆØ il nostro corpo, diciamo l’hardware – sopra ci fai girare quello che vuoi e non importa in quale parte della testa queste cose funzionano perchĆ© comunque funzionano che ĆØ una meraviglia. Per non parlare di quando leggi e ti addormenti, a me a volte capita e quando mi sveglio con il libro sul petto ĆØ sempre una bella sorpresa.