l’invasione degli ultrasuoni

Standard

Con Elena invece ci sentiamo tutt’ora, o meglio sono io a sentire lei perché conduce un breve programma radiofonico da lunedì a venerdì su un network commerciale, una delle prime emittenti che ha capito che il futuro della radio sarebbe stato quello di tenere compagnia quasi esclusivamente agli automobilisti in giro per lavoro. Non è granché. La musica la potete immaginare, i testi è roba da rubrica sulla settimana enigmistica, “forse non tutti sanno che” o “strano ma vero”, con tutto il bene che voglio al settimanale che vanta il maggior numero di tentativi di imitazione. Per farvi capire, lei dallo studio di Roma è stata la prima a dare la notizia del suono persistente che si è manifestato un po’ di tempo di tempo fa, per tre giorni di seguito sulla capitale, un fa della terza ottava (questo) che si è diffuso ovunque. All’inizio nessuno ci ha fatto caso. Poi la gente, spostandosi tra i vari quartieri, ha iniziato a farsi delle domande perché era evidente che non si trattasse di una sirena localizzata in un punto definito, in quanto l’intensità era costante ovunque. Roba che ti snerva: lo stesso suono di bordone 24 ore al giorno, un vero incubo perché ti costringe ad ascoltare musica in tonalità che stanno bene con il fa. Poi come è venuto se ne è andato. Elena, o meglio chi le scrive i testi, ha azzardato l’ipotesi fantascientifica che si fosse trattato di una specie di invasione aliena. E se le altre innumerevoli forme di vita dell’universo fossero in realtà delle onde sonore? O degli odori, e noi non ce ne accorgiamo? In questo caso io voto per certe puzze che davvero sono fuori dal mondo. Elena comunque invece non mi sente, perché io sto al di qua della radio, che poi è un’app che ho installata sullo smartcoso. Dopo aver lavorato per quasi un anno l’uno di fronte all’altra in due postazioni piuttosto ravvicinate abbiamo però continuato a scriverci, ogni tanto. Vivevo con il senso di colpa perché le avevo fatto capire che potevamo vederci per fare qualcosa dopo l’ufficio e non sapevo che Vincenzo, uno dei tecnici hardware, le faceva una corte piuttosto esplicita. Una mattina le fa recapitare addirittura un mazzo di fiori, credo fosse però il giorno del compleanno di Elena, così ho intuito che fosse il caso di farmi da parte. Ho ancora l’ultima e-mail che le ho spedito dopo che suo papà, un commercialista che lavorava proprio per la radio in questione, era riuscito a trovarle un posto ambito come quello. Non che Elena non fosse all’altezza, aveva studiato per fare la speaker ed era lì ogni giorno di fronte a me solo come impiego di risulta, per sbarcare il lunario in attesa di qualcosa di più attinente alle sue velleità. Con la scusa di mandarle un saluto le avevo chiesto se in radio ci fosse stata qualche opportunità anche per me, magari per scrivere testi come quello dell’invasione degli alieni sotto forma di suono. Mi aveva risposto che mi leggeva con piacere, si dice così negli scambi epistolari anche se elettronici, e che avrebbe chiesto in redazione se c’era bisogno.

con i fanti ma non con i santi

Standard

Nella busta c’era una tua foto con la faccia tutta impiastrata di non so quale crema di bellezza e due fette di cetrioli sugli occhi, e davvero trovo sia stata una trovata fantastica se non fosse che ci metto un po’ capire le cose. Nel senso di discernere tutti i livelli di comprensione, quelli che certa gente ci ha pure lasciato la ragione. Sai che io so che è uno scherzo per non passare per una che ha inteso seriamente di inviare a uno che conosce solo via Internet una foto che uno si aspetta una foto un po’ audace ma poi che senso ha inviarsi una foto, audace o no, via posta per di più dalla Francia all’Italia quando c’è Internet e anche se siamo ancora ai tempi di Altavista e di Windows 98 comunque le immagini digitalizzate e compresse esistono già. Quindi i piani di lettura sono molteplici. Tutto lo sbattimento per mandare un ritratto volutamente poco rivelatorio e altamente ironico per di più stampato, imbustato e bollato senza che il destinatario abbia chiesto nulla ma di tua iniziativa quando tu avresti potuto farti un selfie, anche se non si chiamavano così, e mandarlo in una manciata di secondi. Troppo elaborato per un semplicione come me. Tra l’altro non sapevi il mio indirizzo e me l’avevi mandata al lavoro, un ufficio di almeno tre o quattro aziende fa. Poi infatti avevo trovato di meglio, professionalmente intendo, e la foto con la crema di bellezza e i cetrioli era rimasta nel cassetto ma non credo volutamente. Forse era un modo inconscio per restituire lo scherzo a qualche altro ignoto, che prendendo il mio posto avrà trovato la busta con il tuo ritratto lì dentro e chissà, davvero, che cosa avrà pensato. Magari era uno più sveglio e intelligente di me.