è un periodo difficile? fai un break

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Il duro e palloso lavoro di editing che devo ultimare entro domani sera mi sta prosciugando. Devo risistemare un testo 3/4 tecnico e 1/4 marketing, che potrebbe tranquillamente rimanere così, nella sua incomprensibilità. Perché, in ogni caso, il cliente vuole che i concetti da comunicare siano quelli. Ma si tratta di concetti che nessuno comprenderà anche perché le brochure aziendali sono da evitare come la peste, e il testo che sto faticosamente modificando non lo leggerà nessuno. Che senso ha una brochure aziendale, nel 2011. Bisogna però pur guadagnarsi da vivere, e c’è di peggio, per carità. Ma vi assicuro che in certi momenti mi verrebbe da convincere i miei clienti che stanno spendendo male il loro budget, investendolo su di me. Un esempio? Provate a rendere diversamente la seguente porzione di testo:

In ambito Finanza Xxxxxxx affianca i propri clienti nella rapida evoluzione del business attraverso l’ottimizzazione dell’operatività delle sale di contrattazione, con servizi e soluzioni sia software che hardware. Elementi di eccellenza dell’offerta Xxxxxxx sono rappresentati dai due centri di competenza Yyyyyy, dislocati a Aaaaaa e Bbbbb, e dal centro di competenza Zzzzzzz. In particolare, per ciò che riguarda Yyyyyy Xxxxxxx fornisce servizi di system design, configuration, integration, upgrade e application management 24/7 sulle piattaforme Qqqqqqq  e Ww.3. Inoltre, in qualità di business partner certificato Yyyyyy, oggi Xxxxxxx è tra le poche realtà in grado di aiutare i clienti nei delicati processi di ottimizzazione e di migrazione verso le nuove release delle piattaforme in essere.

Il cliente paga e io eseguo. Chiudo gli occhi, mescolo le parole come lettere in un sacchetto dello scarabeo. Ed ecco come è diventato:

Xxxxxxx mette a disposizione delle organizzazioni servizi e soluzioni sia software che hardware dedicati all’ottimizzazione dell’operatività nelle sale di contrattazione, a supporto di un settore in continua evoluzione. Attraverso i due centri di competenza Yyyyyy di Aaaaa e Bbbbb, Xxxxxxx fornisce servizi di system design, configuration, integration, upgrade e application management 24/7 sulle piattaforme Qqqqqqq  e Ww.3.
Non solo. In quanto business partner certificato Yyyyyy, Xxxxxxx è una delle poche realtà in grado di recare assistenza alle aziende nei processi di ottimizzazione e di migrazione alle nuove release della piattaforma.
Il centro di competenza Zzzzzzz consente inoltre a Xxxxxxx di sviluppare soluzioni per la razionalizzazione delle postazioni di lavoro nelle sale di contrattazione, garantendo una riduzione del TCO.

Spero abbiate notato la vera perla di tutto questo, ovvero il “non solo” messo a metà periodo, il mio asso nella manica, la mia firma, come i programmatori che mettono codice personalizzato tra le righe degli script per far uscire parolacce con contorte combinazioni di tasti, o i designer 3D che in un paio di pixel nascosti in uno scenario digitalizzano la loro foto, o i cartoonist che inseriscono immagini subliminali di donne nude nei film Disney. “Non solo” risalta orgogliosamente in quasi tutte le brochure aziendali che ho scritto nella mia vita, alternato all’altrettanto efficace “ma non è tutto”, di tono più giornalistico. Hai letto un “non solo” in qualche testo corporate? Non c’è dubbio. Sicuramente è mio. Provaci anche tu. “Non solo” dà grandi soddisfazioni, vedrai. Sei nel mezzo di un periodo difficile? Concediti un break, metti un “non solo”. E ancora meglio se poi vai a capo, lasciando magari una riga vuota.

quella pessima abitudine di scrivere sui cadaveri

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Il blog è morto, viva il blog. Fiorisce nella ex-blogosfera, oggi statusfera, il dibattito sul decesso del blog. Ottima la pillola di Squonk, che fa riferimento a un post di Mantellini, che io ho scoperto tramite i compagni di merende di Sempre un po’ a disagio (spero di non aver dimenticato nessuno). In realtà si tratta di un delitto, e io so chi è l’assassino. Nel 1980 presi una memorabile cotta artistica per Bob Marley, che morì l’anno successivo. Poi fu la volta, un paio di lustri dopo, di una profonda infatuazione per i Nirvana, e sapete tutti come è andata a finire. Ho pregato per la reunion dei Clash, con il risultato di renderla definitivamente impossibile. Poco più di un anno fa mi sono deciso ad aprire questo spazio. Poi non dite che non vi avevo avvertito.

prossimamente su questa rete

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Uno dei concetti che mi tocca inserire più spesso nei testi che compongo per lavoro è che “Internet è un formidabile strumento di business, anche per le piccole imprese”. Marketing a parte, Internet è un formidabile strumento per tutti, che offre possibilità impensabili fino a pochi anni fa. E non solo alle aziende. V. è un amico a cui Internet ha cambiato la vita, per esempio. Ha conosciuto sua moglie in una mailing list, una dozzina di anni fa, e thread dopo thread si sono apprezzati, quindi conosciuti, quindi innamorati anche dal vero e infine sposati e riprodotti. Molto romantico, non trovate? Due cuori e una adsl. Amare significa non dover mai dire sono offline. Il bacio è un trattino rosa tra le parole e-mail.

Ci sono poi altri luoghi virtuali che favoriscono incontri di genere diverso: musicisti che cercano altri musicisti e band che cercano elementi. Seguo frequentemente uno dei più noti siti di annunci in ambito musicale, non sia mai che i Subsonica cerchino un nuovo tastierista, unico caso in cui riprenderei immediatamente a suonare. Qualche anno fa misi una inserzione. Mi rispose una cantante, che voleva dare al sound della sua band una tocco di elettronica. Perfetto, penso. Allora conosciamoci. Mi sono ritrovato così, al primo incontro, a bere una birra con un trio di liceali sedicenni lesbo-punk, ovviamente tutto al femminile, intente a coinvolgermi in una discussione sulle acconciature per vello pubico più in voga nell’ambiente alternative. Pur essendo abituato ad essere il più vecchio in quasi tutte le situazioni che riguardano la musica, e non solo nel suonare in gruppi, ma anche andare ai concerti e partecipare a forum dei fan, senza il minimo imbarazzo e a costo di sembrare patetico, in quel caso confesso di essermi sentito inappropriato. Ho imparato la lezione, e da allora ho sempre chiesto prima l’età media dei componenti. Per questo non suono più.

Malgrado ciò, leggo ancora oggi, più o meno due volte alla settimana, le ricerche pubblicate su quel mercatino online, e da anni noto sempre lo stesso annuncio, che fa più o meno così: “cerco a milano musicisti/e sulla quarantina per genere popol vuh o elettronica tipo primi tangerine dream primo battiato per progetto di composizione in studio”. Ogni tanto l’inserzionista cambia i gruppi di riferimento, sempre in ambito progressive. Ma se l’inserzione continua ad essere presente e aggiornata, un motivo c’è. Duplice la chiave di lettura: 1. a Milano (ma suppongo un po’ ovunque) nessuno vuole suonare quel genere e in quella situazione, e chiedo scusa all’anonimo inserzionista, non voglio metterla sul personale.  2. ci sono persone di una costanza encomiabile, un amore per la musica quasi superiore al mio, tanto che mi viene voglia di rispondergli, di far finta di voler suonare i popol vuh e i tangerine dream, per premiare (ammesso che suonare con me possa essere considerato un benefit) lo sconosciuto volitivo del progressive. Non volevo illuderti, anonimo inserzionista, si trattava solo di un espediente narrativo. Ho persino venduto il Polysix.

Ma gli aneddoti personali non finiscono qui. Ce n’è uno che ha dell’incredibile. Seguivo un blog da qualche mese, l’avevo notato linkato su altri blog che considero autorevoli, quindi l’ho provato una volta e ho iniziato a leggerlo con frequenza. Poi, si sa, viene voglia di interagire con gli autori, scrivi e ti rispondono, gli rispondi e ti riscrivono e così via, sapete come succede nel regno dell’esibizionismo autoreferenziale in salsa duepuntozero. Per farla breve, noto un certo feeling. Il blogger mi scrive un commento, poi mi linka in un suo post, io linko lui, la cosa mi prende. Il tutto reciprocamente coperti dai nostri rispettivi nick (altrettanto improbabili). Fino al giorno in cui leggo un particolare, in un articolo. L’autore parla di una sua casa nella stessa città in cui sono nato e cresciuto. La cosa mi lascia stupefatto, come potete immaginare. La città è piccolina ed è facile che ci si conosca, magari di vista, magari abbiamo qualche amicizia in comune, chissà. Trovo infine il suo indirizzo e-mail, da cui si evince il nome e il cognome. Gli stessi di un vecchio compagno di liceo, che non vedo più o meno da allora. Ed è stato molto bello ritrovarsi così. Lì ho pensato che se Internet è un strumento per le imprese, per noi, uomini e donne, adulti ed eterni adolescenti, liberi professionisti e dipendenti, insegnanti e copywriter, il web può anche essere meglio di Raffaella Carrà.

forse non siamo così in bolletta

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Sono da due giorni su un treno, avanti e indietro per la penisola. Mi capita spesso. Ma in queste ultime ore mi pare si sia superato ogni record.
Tutti, ma proprio tutti, al telefono.
Anche quelli che non hanno nessuno da chiamare, fanno finta, per non essere da meno.

Civati fa una caricatura dell’utenza del Frecciarossa, che è stata una vera rivoluzione per me: non trovandomi così a mio agio sospeso in aria, mi ha permesso di cambiare le abitudini di viaggio nei frequenti spostamenti Milano-Roma. L’unico pro che ha l’aereo, rispetto al treno, è che lassù, almeno per ora e finché continua così, i telefoni devono rimanere spenti. Mentre l’alta velocità (ma anche il passante ferroviario che prendo quotidianamente per raggiungere l’ufficio nel centro di Milano) è ad oggi una specie di “meta meeting-room”, dove ognuno si fa bellamente i ca§§i propri con l’interlocutore al telefono. Una conference call per ogni passaggero, per un totale da babele.

Ma non è solo un problema di buone maniere. La cosa sconcertante, al di là dei contenuti che, grazie alle mie nuove cuffie Akg ultraisolanti e con i bassi potenziati, restano a livello di labiale fuori dalla mia vita, è che nell’Italia dei precari e dei disoccupati, l’Italia che non arriva a fine mese, l’Italia delle figure professionali pagate meno che nel resto d’Europa, nove di quei telefoni su dieci sono i-phone da centinaia di euro.

il cloud si diffonde finalmente anche in italia

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Ma secondo l’Enea non c’è nulla di cui preoccuparsi.

se la tv on demand non rispond

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Volevo scrivere qualche considerazione su Jonathan Franzen, il nuovo romanzo “Libertà” (ho solo 6 prenotazioni in biblioteca prima della mia, un totale ad oggi di 38, il momento della lettura si avvicina), di quanto ho apprezzato “Le correzioni” e “Forte movimento”, di quanto mi coinvolga la sua scrittura. Volevo approfittare di alcuni spunti emersi durante l’intervista all’autore sabato scorso a “Che tempo che fa”, particolari che avevo notato anche io nelle sue opere precedenti tanto quanto la persona seduta nella metà sinistra dello schermo. Volevo sottolineare qualche collegamento, qualcosa che mi sembrava intelligente. E per pubblicare un post completo di fonti e richiami, ma anche per controllare che quanto avevo sentito durante la trasmissione fosse davvero quello che ricordavo, passaggi che avevo pensato di lasciar decantare per non scrivere mosso dall’entusiasmo, a caldo, sono andato su youtube a cercare l’intervista. Toh, non è stata ancora pubblicata (ultimo aggiornamento: le 19.29 del 23/03). Il che è curioso: Santoro, Littizzetto, Travaglio e altri fenomeni televisivi sono disponibili già a pochi minuti dalla fine dei loro interventi. Peccato che uno dei più noti e bravi (e anche un po’ di moda, diciamolo, ma, come si dice da queste parti, in sci veghen) scrittori contemporanei non sia altrettanto oggetto di culto (mi direte: perché, se ci tieni tanto, non lo metti on line tu?).

Vabbè, poco male, vado sul sito della RAI, sicuramente lo trovo lì. La prima volta, mi viene chiesto di scaricare Microsoft Silverlight, che, a dir la verità, non so nemmeno se si tratti di un plug in o che altro. Ma tale è il desiderio di rivedere Franzen, di non lasciarmi scappare le cose che vorrei scrivere che clicco il consenso all’installazione senza pensarci su, qualsiasi cosa sia. Magari è uno spyware di Microsoft che serve a identificare programmi craccati. Sono fritto. Speriamo di no.

Poi però metto a fuoco il nocciolo della questione: il fatto che un portale come quello della RAI utilizzi una tecnologia di streaming differente da Youtube, che, per quanto ne so io, è  la più comoda e funziona con qualsiasi sistema operativo e qualunque browser. Da sempre ho il mito dell’integrazione, dell’interoperabilità tra ambienti e dell’utilizzo di sistemi standard, il tutto favorito dall’uso del protocollo IP. E penso anche che il servizio di web TV on demand di una emittente prestigiosa e autorevole come dovrebbe essere l’emittente pubblica italiana utilizza piattaforme non immediate e poco comuni, il che non depone a suo favore.

Non fa nulla. Installato Silverlight, chiudo Firefox, lo riavvio, torno al link. Parte la pubblicità, 14 secondi al contenuto scelto. Bene. Silverlight funziona. Poi l’animazione del loading. Bene. Poi il buio. Il nulla. Ci riprovo, pensando nel frattempo, per non perdere l’ispirazione preziosa, a come organizzare le cose da scrivere.  Chiudo Firefox, lo riavvio, torno al link. Altra pubblicità, questa volta solo 9 secondi. Ok. Poi ancora l’animazione. Poi un avviso: “Riconnessione al server in corso”. Ed ecco, finalmente,  il video tanto agognato.

Ops. Contenuto non disponibile. Ma no. Sarà un problema di sovraccarico. Sarà il mio PC. Sarà Firefox. Sarà per la prossima puntata.

p.s. forse era destino, le cose che volevo scrivere su Franzen, e che nel frattempo ho dimenticato, non erano così interessanti. Magari mi verrà in mente qualcosa una volta finito “Libertà”. E lo so, il titolo di questo post non è granché.

nuove identità lavorative

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Una volta c’erano il ragioniere, il commesso, il rappresentante, il geometra, il prestinaio e il besagnino (rispettivamente a Milano e Genova, giusto per ostentare la mia conoscenza etnografica). Poi, con la new economy, le lauree in .com(unicazione) e l’era digitale, è stata la volta dei Web Designer, Social Media Strategist e Account Insight Manager, tutti con le iniziali maiuscole, nomi propri di persona che conta. Ora siamo ancora un passo oltre. La nuova povertà diffusa ha generato un nuovo dizionario delle occupazioni, l’arte della sopravvivenza è anche marketing di se stessi. Efficace quanto una patacca del diametro di 5 cm sulla giacca su cui campeggia l’esortazione “Chiedimi come”? Non è detto che non funzioni, i liberi professionisti del presente forse saranno davvero l’economia del futuro.

1.
Ecco, per esempio, come si presenta un Personal Trainer, fare soldi facendo sudare la gente. Si propone direttamente, per passaparola, via e-mail. E non è italiano.

Ciao,
Sono Pinco Pallo,personal trainer
comme ve l’avrebbe accennato Pinca Palla,ho tenuto a contattarvi x 1 offerta riguardante il mio lavoro
Ho aperto in via Tal dei Tali n XY il mio studio di Personal Training.
E un modo di allenarsi con tranquillità sotto la guida dell’esperto,con macchine avanzatisme tutte garantite.In più propongo metodi di allenamento avanzati con attrezzi come kettle bell, trx,oppure functional training.
Queste tecniche di allenamento sicuramente vi daranno soddisfazioni nonche miglioramenti nel vostro modo di fare gimnastica

Dopo aver lavorato nelle palestre più importanti di milano ( nome1, nome2,  nome3) e tutt’ora collaboro con nome4,
la cattena internazionale leader nel mondo del fitness ,e con un bagaglio di esperienza,intraprendo questa nuova iniziativa che tra altro, sta rispondendo con successo,x offrire a persone come vuoi l’opportunità di vivere il fitness e l’allenamento nei migliori dei modi

Tengo a precisare che è 1 allenamento personalizzato (one to one),ma può essere in gruppo di 2 o max di 3 persone alla volta

con questa @mail vi invito dunque a provare senza impegno 1 sessione di 45 minuti
Lo studio si trova in via Tal dei Tali XY quindi a 10 min dal vostro posto di lavoro

NBHo allegato qualche imagine che ritragono alcune stanze dello studio

2.
Ci sono poi vie per raggiungere la consapevolezza di sé, se non il successo, con molta meno fatica, le home page dei quotidiani sono piene di esempi. L’arte stessa non richiede più talento, gavetta, sudore e sacrificio, sono finiti i tempi di Saranno Famosi. Uno su mille (nell’anno dei Mille) ce la fa. Meglio studiare da celebrità direttamente in tv.

Come affrontare l’audizione per Nometalentshow o Nometalent-reality? Come essere notati tra migliaia di partecipanti e superare i provini?

Le audizioni per i principali talent show e concorsi italiani si avvicinano, e per tutti coloro che sognano di cantare in televisione, il seminario tenuto da Mario Rossi è un’occasione per prepararsi al meglio.
Mario Rossi è stato vocal coach di Nometalentshow preparando Maria Bianchi (oltre 1.000.000 copie vendute) e tutta la squadra di Anna Verdi per la prima edizione del format, inoltre, negli ultimi anni ha preparato alcuni dei vincitori e partecipanti dei principali talent show italiani: Tizio (al festival di nomecittà e vincitore Talent-reality 2011), Caio (Nometalentshow ultima edizione), Sempronio (preparandolo solo con lezioni in videoconferenza skype) (Nometalentshow ultima edizione) e Tizia (Finalista a Nometalentshow e Finalista a nomecittà 2010)

Servizi Offerti:
16 Ore di Lezione: Simulazione delle audizioni, Include tecnica vocale e applicazione, ma con molta più performance dal vivo dei ragazzi. Insegnamento utilissimo per preparare audizioni di programmi televisivi (come Nometalentshow, Nometalent-reality ecc) come per i concorsi (come nomecittà lab, altronomecittà Wave ecc)

Sarà possibile richiedere gratuitamente basi audio professionali, da utilizzare durante il seminario (se presente nei nostri archivi).

Attestato di fine corso
La possibilità di prenotare lezioni private con il M°Rossi nei giorni successivi lo stage

E per i primi 15 Iscritti, in regalo un’incredibile raccolta con le basi audio tratte dei più famosi musical di Broadway: Mulin Rouge, Mamma Mia, Spamelot, The Phantom of the Opera, Notre Dame de Paris, Grease, Les Miserables, Jusus Christ Superstar, Jekyll and Hyde, Rent, West Side Story, Rent (valore economico di oltre 300 euro)

Argomenti Trattati:
Come preparare un audizione per un talent show italiano
Simulazione delle audizioni
Tecnica vocale e applicazione
Performance dal vivo
Trucchi e strategie su come affrontare le difficilissime selezioni.

3.
Ma se vi sembra ancora troppo faticoso, per dare via la vostra esperienza più velocemente e con molta resa, provate a laurearvi da piacioni.

CORSO DI SEDUZIONE ON LINE

PerCorso pensato per tutti coloro che desiderano un approccio globale ed immediato alla seduzione e che per motivi logistici o temporali non hanno la possibilità di frequentare i corsi dal vivo.

Questo perCorso rappresenta una formazione integrata sulla seduzione e racchiude in sintesi le tecniche contenute nei corsi di qualificazione alla seduzione. Il corso è strutturato con la tutor ship di un SEDUCTION COACH che consente di esplorare in modo efficace i meccanismi, le leggi e le regole che governano il processo della seduzione e dell’innamoramento e dell’amore.

L’allievo imparerà l’utilizzo di modelli comunicativi efficaci, pragmatici e veloci che gli consentiranno di innescare il processo di seduzione riuscendo ad attrarre irresistibilmente la persona di suo interesse, nello specifico acquisirà:

• Tecniche di seduzione che facilitano la conquista dell’ anima gemella
• Tecniche di pnl per il miglioramento dell’ autostima
• Tecniche su come conquistare una donna
• tecniche su come conquistare un uomo

Questo è un perCorso in cui la formazione in cui la teoria e la pratica, la conoscenza e l’azione si fondono in un unico blocco in modo da permettere a chiunque, indipendentemente dal suo aspetto fisico, culturale e finanziario, di diventare un seduttore od una seduttrice di successo.

Con l’aiuto ed il supporto del SEDUCTION COACH l’allievo trasformerà le conoscenze in azioni, che gli permetteranno di raggiungere finalmente l’obiettivo che ha da tempo desiderato.

I punti focali di questo perCorso sono:

• Conoscere le dinamiche subliminali che governano seduzione ed innamoramento.
• Gestire le varie fasi della seduzione (approccio/conoscenza, attrazione, comfort) in modo da innescare dinamiche sociali reali che portano all’innamoramento o al ri-innamoramento del nostro interlocutore.
• Acquisire l’abilità di entrare in profondo contatto empatico con qualunque interlocutore, e entrare nel suo mondo per poi portarlo nel tuo, far si che le TUE esigenze diventino le SUE.
• Sperimentare, (sotto l’attenta guida del SEDUCTION COACH), sul “campo” cioè nei luoghi di aggregazione (locali, centri commerciali, palestre , circoli culturali, ecc.) nel contesto lavorativo, con gli amici , con il partner le metodologie acquisite, trasformando le conoscenze in azione.

Questo perCorso ti permetterà di :

• Coinvolgere la donna o l’uomo dei tuoi sogni
• Affrontare gli altri, rompere il ghiaccio, abbattere le difese
• Diventare un riferimento positivo
• Acquisire valore sociale
• Capire quando l’interlocutore mente o dissimula sentimenti
• Incrementare l’autostima

Metodologia

• Questo perCorso è a totale distanza fisica ma è completa vicinanza mentale con il SEDUCTION COACH.
• Ogni lezione è correlata da esempi, esercizi e materiale che verrà gradualmente assimilato, applicato, sperimentato.

• Questo è un perCorso interattivo dove avrai la consulenza telefonica del SEDUCTION COACH che ti permetterà di personalizzare le metodologie e gli strumenti alle Tue esigenze.

Il costo promozionale del perCorso è di soli 180 euro.

Come funziona il CORSO ON LINE?
In modo molto semplice:
il pagamento avviene in 3 tranche da 60 euro utilizzando

POST PAY:

1) Il pagamento della prima tranche avviene all’atto di iscrizione al corso
2) Il pagamento della seconda tranche avviene ad 1/3 del corso
3) Il pagamento della terza tranche avviene a 2/3 del corso

Una volta effettuata l’iscrizione cosa succede?
l’iscrizione ti consentirà di stabilire un dialogo interattivo VIA MAIL con il docente

In secondo luogo riceverai il primo invio del materiale inedito (ma coperto da copyright) sulla seduzione (il secondo invio lo riceverai ad 1/3 del corso, il terzo invio a 2/3 del corso.

Questo materiale proviene dall’innovativo metodo di INGEGNERIA DELLA SEDUZIONE
Ideato dal dott. Franco Bianchi.
Avrai quindi la possibilità di assimilare con tranquillità i contenuti del materiale e nel contempo chiarirti tutti i dubbi attraverso l’utilizzo del forum confrontandoti al contempo con i tuoi colleghi corsisti.

Acquisirai anche il diritto ad un contatto telefonico diretto con il dott. Franco Bianchi di 15 minuti che potrai utilizzare subito o cumularlo con gli ulteriori 15 minuti alla regolarizzazione della seconda tranche e con gli altri 15 minuti acquisiti con la regolarizzazione della terza tranche. In sostanza avrai a disposizione 45 minuti di colloquio telefonico con il dott. Franco Bianchi che ti darà strategie efficacissime per raggiungere velocemente e con efficacia gli obiettivi che ti sei prefisso.

N.B.: l’iscrizione al primo terzo del corso non ti vincola a proseguirlo, deciderai liberamente, cosa fare di volta in volta.
Per ulteriori informazioni contattami.

4.
Infine, perché non pensare a una sicura posizione di apostolo? In vista della Pasqua è una carica che può dare adito a fraintendimenti, e a seconda della posizione nell’organigramma può indurre in scarso spirito aziendalista, fino a a spingervi a voltare le spalle al vostro capo. Ma, tutto sommato, può garantire una discreta visibilità. Anche nei dipinti di pittori celebri.

Guru cerca apostoli

Guru della coscienza cosmica, branca dell’universalismo cosmico, cerca apostoli della nuova umanità universale.
I selezionati saranno invitati a conoscere il maestro nel nuovo centro mondiale “universo”.
Attualmente la rete di amici del maestro sta creando satelliti in ogni continente.
I selezionati riceveranno alloggio, lavoro, benessere, gioia, creatività e la possibilità di dimenticarsi dei problemi e vivere in un paradiso sulla terra, in un paese tropicale, in simbiosi cosmica con la natura, il maestro, gli amici.

Per candidarvi:
Guruniversale@nomedominio.it
Oggetto: rif. Guru

Inviate dati, foto, e c.v.

p.s.: è tutto vero, il materiale è stato pubblicato as is, copiato e incollato dopo aver omesso le informazioni sensibili. Non escludo la possibilità però che sia opera di buontemponi o si tratti di marketing virale.

storie di un impiegato

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La formula del reality in azienda è un’idea che mi frulla in testa da tempo, che molto probabilmente (come, d’altronde, spesso accade) uno 007 esperto di spionaggio industriale al soldo de La7 mi deve aver rubato, intercettando le mie elucubrazioni attraverso una cimice infraneuronale. E se non ho mai visto una puntata de Il contratto, non è per lo scorno di non essermi arricchito vendendo per primo un episodio pilota del format in questione, ma perché, in generale, ho poco tempo per la tv, tantomeno per i reality.

Leggendone poi su Sempre un po a disagio, che ha sottolineato il fastidio del veder banalizzata la tematica del lavoro – o, meglio, della difficoltà di averlo -, ho colto la discutibilità dell’operazione, anche se in effetti fosse il reality che mancava: dopo la coabitazione e la sopravvivenza, telecamere accese sul lavoro, che è un po’ entrambe. Storie da raccontare ce ne sono a bizzeffe, potrebbero essere confezionati tanti Jpod quanti sono gli essere umani occupati, a tempo determinato e non.

Le aziende sono fatte di persone, il successo dei brand deriva non perché l’organigramma comprende una casella per una determinata funzione, ma perché a ricoprire quella funzione e quella casella c’è una persona, che ha una sua identità professionale unica al mondo. E tutte insieme, queste persone, in azienda, costituiscono una micro-società parallela, con dinamiche, tensioni, divisioni e rapporti importanti tanto quanto (purtroppo) quelli della vita privata. Oggi ci sono persino i social network interni, con gli status da cambiare a seconda dell’umore, i commenti e i like sulle battute dei colleghi. Pensate invece ai nostri genitori, nell’era del Posto Fisso, che hanno occupato per quaranta anni circa la stessa sedia nella stessa organizzazione, magari con gli stessi colleghi con cui hanno iniziato. Noi, per i motivi che conosciamo, ovvero la flessibilità imposta, i contratti farlocchi, le società che appaiono e scompaiono, siamo più abituati al cambiamento. Il turn over però continua ad essere considerato un difetto, perché è indice di operatività rallentata e di non soddisfacenti condizioni lavorative. Chissà.

Ma oggi, e torno a ricordarlo, avere un posto e una paga è già un aspetto positivo; siamo tornati a un livello “ground zero” di giudizio, non ci si può più permettere di scegliere, di rifiutare, di snobbare una proposta, a meno di non essere miliardari. Così mi arrabbio il doppio quando vedo nuove leve entrare in azienda da me e non riuscire a calibrare in tempo il raggio dell’ambizione. Vorremmo tutti fare gli spot della Bmw, lo so anche io. Ma vista la fila che c’è là fuori, ci dobbiamo accontentare di fare gli spot per il Lidl. Non mi sembra un concetto difficile da afferrare, eppure ho avuto e ho giovanissimi colleghi che non se ne fanno una ragione. Senza contare chi lavora con un terzo dell’impegno giustificandolo con il terzo di uno stipendio vero che riceve. O chi, come si faceva in caserma muniti di ramazza e paletta, cerca di passare sempre per ipe-roccupato, per non dare nell’occhio.

Allora ho pensato che più che un reality, l’ambiente di lavoro possa essere rappresentato meglio dalla fiction. Con i protagonisti a impersonare gli stereotipi della vita quotidiana davanti al pc, le cuffiette, i cellulari che vibrano, le occhiatacce a chi invece non li imposta sul silenzioso e squarcia il silenzio con la hit del momento, le tazze di tisana fumante, gli effluvi della schiscetta dei più organizzati, gli staff meeting superflui, i sales che fanno i commerciali anche con se stessi e così via. La ripresa in real time di tutto quello che c’è sotto sarebbe troppo cruda.

conversazioni di basso livello (in senso informatico)

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Uno dei lati positivi dell’avere più di 40 anni nel duemilaerotti è poter sostenere confronti sugli albori dell’informatica consumer e farcirli di aneddoti boriosi: il dos, il Macintosh Classic, il Commodore, l’Atari, l’Amiga e via così (volevo sottolineare il fatto che un altro lato positivo è essere in grado di sostenere conversazioni tout court, ma mi è sembrato poco rispettoso verso le nuove generazioni e non l’ho scritto). Permette a noi di quasi di mezza età di tirarcela un po’ con i pischelli nati con le app dell’iphone e con le piattaforme dedicate al gioco che prolungano la loro infanzia oltremisura (d’altronde, sono a casa a girarsi i pollici, vista la situazione, tanto vale girarli su una console). Noi che sappiamo apprezzare fino in fondo i contratti di navigazione flat, rispetto ai salassi in bolletta e all’inconfondibile rumore proto-digitale di connessione del modem. Oppure il tera come unità di misura di dispositivi storage hi-tech e multicolore versus la monocromaticità blu floppy disc dei raccoglitori di file di una volta.

Tutto questo ci fa sentire come i nostri nonni con Vittorio Veneto, i nostri padri con la Resistenza, i nostri fratelli maggiori con le università occupate e quelli di mezzo con la festa del proletariato giovanile di Parco Lambro, e ci autorizza a fiaccare di paternali i ventenni che, per andare su youtube, vanno su google, digitano youtube, e poi cliccano sul primo risultato della lista. Magra consolazione, direte voi. Ma il senso di questo esempio è: non è che Internet ci ha reso stupidi, ma sono gli stupidi che utilizzano Internet a loro modo. E allora giù di luoghi comuni. “Si scaricava l’e-mail solo due volte al giorno, una al mattino e una dopo pranzo“, che detta così sembra una prescrizione del dottore. “Il mac dedicato alla scrittura della copia master dei cd rom era su un tavolo a prova di vibrazioni, i cd vergini costavano 20mila lire e si utiizzavano scrupolosamente“. “Windows trepuntouno, quello sì che era un OS stabile”.

Stamane, chiacchieravo in questi termini con un addetto di Italia Stazione Futuro, una mostra che verrà inaugurata domani e della quale consiglio la visita. I motivi sono vari e fondati: è interessante, è un’occasione per celebrare l’Italia che ha lavorato e che lavora (versus quella che parla e basta), è curata da Riccardo Luna, direttore di Wired, e c’è un video in 3D, il progetto e sviluppo del quale ho seguito in prima persona (e poi non dite che i blog non sono autoreferenziali). Ma su tutto questo ci sarà un reportage tra un paio di giorni, dopo l’inaugurazione, appunto. Ho perso il filo. Ah, dicevo, stavo chiacchierando con questo tizio, più o meno mio coetaneo, che di fronte a un prodigio di automazione mi ricordava le schermate nere a caratteri verdi di una volta, accendevi il terminale, leggevi C: e basta, e poi tutto dipendeva da te (per dirla con termini non volgari).

Allora mi è venuto in mente quando ho scritto la tesi di laurea, con Wordstar su un Olivetti M24, salvando il materiale su un floppy disk da 8 pollici (ne ho ancora una confezione intonsa nella scrivania della mia cameretta a casa dei miei). E che quando l’ho portato dallo stampatore, non ricordo quale problema ci fosse di incompatibilità a causa del quale ho dovuto fare altri passaggi di formato prima di riuscire a chiudere con decoro il mio ciclo di studi. Vabbè, direte, altri tempi e altre complessità. Ma ci tenevo a difendere con orgoglio quel prodigio di tecnologia, l’M24, un Olivetti, tutta roba italiana (almeno credo), che in così tanti anni di onorato servizio non mi si è mai piantato, e sono pronto a scommettere che, malgrado sia in soffitta da allora, è ancora in grado di fare il suo dovere. Ma non c’è ne è stato bisogno, nel senso che ho sfondato porte aperte, tutti i miei interlocutori (nel frattempo si era unito un altro paio di persone) hanno confermato la qualità di quel dispositivo. Lì, nell’Italia dell’innovazione che è un po’ il presente e tanto il nostro futuro, c’è stato l’amarcord in chiave vintage e retro, un tributo all’eccellenza informatica, anche se io – ho precisato – ho usato l’M24 praticamente solo come una macchina da scrivere evoluta. Così, per interpretare al meglio quella conversazione, ho assunto la postura da anziano che contempla con gli amici pensionati i lavori stradali, con le mani raccolte dietro la schiena, le spalle curve non è stato il caso visto che in parte le ho già. E ho pensato che non ci sono più i computer di una volta. Già. E una volta, qui, era tutto a due bit.

un moderno post-weekend

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Se c’è un episodio che mi piacerebbe vedere reso su pellicola, o per essere più realistici su youtube, anche perché nel primo caso sarebbe difficile trovare attori credibili per renderlo credibile a sua volta, è un qualsiasi viaggio di ritorno a Milano di T. e dei suoi fedelissimi compagni di abitacolo, nonché colleghi, B. e A. A bordo della Punto del babbo di B. fanno tutta una tirata da Questo Posto (così chiamerò, per motivi di rispetto della privacy, la cittadina ligure da cui provengono i tre giovani) a Quest’altro Posto (così chiamerò, per motivi di rispetto della privacy, la cittadina alla periferia est di Milano dove condividono un miniappartamento. Spero abbiate colto la citazione, sebbene annacquata tra gli incisi nelle parentesi tonde. Vi darò un indizio: continua con “non è la stessa cosa, gli americani ci fregano con la lingua, non è la stessa cosa. Un, du, tri, quater…” a cui segue una canzone blues). Ma torniamo al viaggio, 200 chilometri di autostrada tra Liguria, Piemonte e Lombardia nella formula pendolarismo quindicinale e non di più, per non gravare sul bilancio di questo nucleo familiare anomalo e mettere in difficoltà tre amici (due maschi, T. e B. e una femmina, A.) che come me e come mettetevoilacifra altri ex-giovani liguri si sono trasferiti qui. Il forte legame con le radici che non si spezza, nemmeno a colpi di Navigli. Parlo per loro, of course. Non tornerei indietro nemmeno sotto tortura.

Ecco: più che un film potrebbe essere un format televisivo, se già non esistesse. T. è un ex-promettente cantante, promettente sempre nell’ambito dei gruppi sconosciuti dell’underground locale, dove la promessa non è mai mantenuta, se non da qualche add in più su myspace, oggi (anzi, fino a qualche mese fa, visto l’inarrestabile caduta del principale concorrente di FB), e da qualche distratto applauso nelle birrerie di periferia, ai tempi. T. però si è mantenuto interlocutore fantastico, nel senso che lui parla mentre A. e B. per lo più ascoltano, poi mi riferiscono e io prendo appunti. Poche domande, qualche espediente da programmazione neurolinguistica da tanto-al-tocc per dirottare la conversazione su temi che sanno stare a cuore di T., e una valanga di spunti che consentirebbero a chiunque di approfondire i più appassionanti argomenti antropologici in monologhi pour parler come questo.

T. è un maestro di storytelling. Sa quali tasti schiacciare, quale corde pizzicare. Ed è “solo” un vocalist, pensate se suonasse uno strumento polifonico. L’azienda in cui nostri tre frequent driver lavorano – T. come montatore video, A. e B. come… boh.. grafici? Web designer? – risente di una pessima gestione, così mi dicono. Ma, si sa, chi lavora talvolta coglie solo marginalmente le strategie aziendali del management. “Non dire str*****e, chiunque coglierebbe la limitatezza di C.” C. è l’amministratore unico che, in una azienda di marketing, si occupa anche di filtrare tutto ciò che deve uscire verso i clienti adattandolo a sua immagine e somiglianza. Il che ha senso. Voglio dire, l’azienda è tua, puoi farci quel che vuoi. “Sì, ma hai idea di quanto tempo perdiamo? E perché diamine mi hai assunto se non ti fidi di me e pensi che delegandomi responsabilità creative il prodotto non sia sufficientemente in linea con l’azienda“. Vabbè, non voglio approfondire temi e dinamiche già trattate altrove, soprattutto giudicare aziende altrui. Ma non è solo questo che li mette fortemente a disagio.

Sono le persone a dare un tono inappropriato all’ambiente. T. mi fa l’esempio di S., lavora nella selezione e gestione del personale. “Ho superato un test per entrare qui. Lì ho conosciuto S.,  proprio con lei ho fatto il primo colloquio“. T. mi racconta che S. si sposta sfrecciando in monopattino lungo il corridoio su cui si affacciano le varie cellette. “Non la biasimo, il lato lungo dell’ufficio è almeno 500 metri“. Non si tratta di un’esagerazione, nella Lambrate che sta crescendo sormontata dalle gru. Siamo in piena archeologia industriale, stabili nuovi che si alternano a spazi ristrutturati in ex stabilimenti di chissà che cosa. Uffici ricavati dalla polverizzazione degli open space in minuscole celle operative occupate da 4 massimo 5 postazioni di lavoro.

Dicevo del test.
Q. Elenca le 5 cose che sai fare meglio.
A. Mi sono sincerato della effettiva atmosfera da web 2.0 e mi sono lasciato andare:
#scrivere
#comporre e arrangiare musica
#avere pazienza
#ascoltare
#superare i test come questo.
Q. Con quale nome ti vorresti chiamare se non ti chiamassi con il tuo vero nome?
A. S. ,che ho scritto per accattivarmi le simpatie della selezionatrice.
Q. In 10 righe insegnami ad allacciare le scarpe, non una riga di più“.
A quel punto T. prende l’iphone e mi fa vedere una foto. Un foglio con la seguente lista:
Faccio notare a T. che mi sembra un modo originale di affrontare i test. Soprattutto visto che è stato assunto, anche se con contratto a progetto. “Dopo qualche settimana mi hanno chiamato e sono salito a quota 6 aziende in 10 anni. Ancora una volta con un co.co., un contratto comico“. Ancora una volta accontentarsi. “Fortuna che il posto è davvero trendy. Entri e c’è la reception. Poi un muro fatto di cubi di cartone, la rappresentazione delle success story aziendali“. Penso che non c’è altro modo per materializzare i prodotti virtuali se non mettendoli in scatole che, pur vuote, solo così diventano tangibili e riconoscibili in un packaging con tanto di etichetta. Stavo per scrivere brandizzate ma mi sono fermato in tempo. Ops. “Lì di fronte c’è uno schermo LCD, che trasmette una successione di quote a sintetizzare la vision aziendale. Cheppalle, ho pensato appena l’ho visto, alla fine ci cascano tutti, anche i meno convenzionali. E giù pillole di Martin Luther King alternate a Goethe e Groucho Marx, Gandhi a Thomas Millian, Kennedy a Naomi Klein, Terzani al Cluetrain Manifesto“. Anche qui, mi viene da pensare. il cluetrain già arrivato in ritardo è bello che perso.

T. non lesina nei particolari sull’organizzazione degli spazi. “Entri nell’open space frazionato in cellette, ognuna costituisce una Practice. C’è la Practice Visual, la Practice R&D, la Practice ADV, la Practice ADM, la Practice PM, la Practice VM. Ecco, lì nella Practice vuemm, Video&Multimedia, ci sono io. Taglio e monto riprese, alternandole a grafica 2D e 3D“.  T. si isola ascoltando musica, quando non è necessario indossare le cuffie per l’audio del montaggio. “Alla fine di ogni pezzo è come se mi svegliassi e penso: di nuovo all’inferno“. Il guaio di essere, come T., molto nuvoloso tendente al peggioramento, dentro.

Usiamo la chat, per comunicare tra colleghi. Magari distanti qualche minuto di monopattino. Messaggistica istantanea, non mi avrai mai. Quando uno ti scrive ‘che cosa??’, ‘che cosa volevi che ti dicessi??’, e altre domande che passano alla storia per il doppio punto interrogativo, fa domande incalzanti? Anzi, incalzanti?? Per non parlare allora dell’alzare la voce con l’uso delle MAIUSCOLE, reale o frainteso perché magari hai lasciato premuto un tasto di troppo“. Ecco, inevitabilmente T. svela a B. e A., a fine giornata, cosa lo spinga a chiudersi in playlist a tinte scure e uscire dall’ufficio per tornare a casa. “Sfido chiunque a riconoscermi. Non è tanto la nebbia, è perdersi, anzi perdermi, in una città che non è più la mia, mentre fuori di qui, cioè di me, tutto precipita. Occhi chiusi, orecchie coperte da cuffie, passi a caso“. In auto, coperti dal rumore del motore, si cerca di sdrammatizzare, allora. “Via da questo trailer tra l’hollywoodiano e Moccia. Torniamo a un sano minimalismo, please“. Troppo tardi. Il film va avanti.

Tra di loro hanno passato giornate intere in chat, ed è come se lsi ritrovassero sempre dentro ai loro mac, a riascoltarsi e a rileggersi, per poi riparlarne durante i viaggi. “Tra noi basta una sola parola, al massimo due, che descrivono tutto il resto. E allora occorre comprendere l’intenzione, il significante, il significato, il tempo impiegato da ogni verbo per giungere a destinazione. A quel punto i giochi sono fatti“. Stare soli in tre è meglio che stare soli punto. “Parlare, in auto, è un’oasi di ristoro e leggersi, in chat, leggere qualsiasi cosa, è scoprire altre forme di vita su un pianeta sconosciuto. Ma i pericoli, in giornate come questa, ritornano. Minacciosi no, solo un po’ cattivelli. Pronti a far rovesciare la birra sui pantaloni altrui. O a farci inciampare sulle scale della Feltrinelli“.

Tutto questo perché A. presto cambierà lavoro, una deflagrazione nelle loro dinamiche. “Che dire? Così, tra suoni ovattati e pavè nell’ora di punta, la malinconica beatitudine di una Menabrea è un sottoinsieme dell’averla vista uscire alla fine del primo tempo della nostra vita. Spero che la sua soddisfazione assuma le sembianze di un accordo. Minore, naturalmente“.