mai rinunciare a un po’ di pubblicità

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Si è trattato di una coincidenza di quelle che a raccontarle non ti crede nessuno. Avevo già deciso in accordo con il mio ufficio stampa di declinare l’invito al celeberrimo show di Fabio Fazio su Rai Tre quando poi la produzione mi ha chiamato e con mille scuse (nel senso di chiedere scusa, non di addurre false giustificazioni) mi ha scaricato perché dovevano trovare un buco per l’esclusiva partecipazione di Berlusconi. Era quindici anni che chiedevano per avere la presenza del leader di Forza Italia in trasmissione e, giunto il suo consenso palesemente strumentale considerando l’aria di elezioni, hanno giustamente fatto saltare l’ospite meno importante. Così non ho nemmeno fatto la figura di quello che non vuole prestarsi alle comparsate televisive per pudore intellettuale, anzi ho sfoggiato una faccia tosta inusuale per un ingenuotto come me e mi sono fatto passare per offeso, tanto che i responsabili del programma mi hanno dato la loro parola che il passaggio in tv sarà presto recuperato. Non posso invece dirvi perché stavo per negarmi al pubblico, ma sappiate che da una parte già sapevo di stare per prendere la decisione peggiore. Ed è per questo che sono qui a chiedervi se voi che siete certi che la decisione che prenderete quando ci sono due possibilità, quella buona e quella sbagliata, è quella sbagliata, come fate a prevedere che, prendendo quella che non prendereste se non sapeste che quella che prenderete è comunque quella errata, non avete preso in realtà quella che avreste preso se non aveste saputo che prendete quella sbagliata e quindi quella giusta era in realtà quella che non avete preso? Quindi grazie a Berlusconi che mi ha tolto d’impiccio e che vi ha risparmiato le vuote chiacchiere su una trama che non sta in piedi, con questi ragazzi di oggi protagonisti che prenotano e posano auto in car sharing con delle app come nemmeno noi eravamo capaci a usare decentemente una biblioteca civica. Ma di contro c’era che in generale si era più adulti e trovavi sempre una prof che ti lasciava usare la sua A112 durante le ore di lezione per fare lo spaccone in giro, e meno male che mai nessuno ci ha rimesso la pelle perché altrimenti sai che casino. Ecco, so già che a parlarne in questi termini, sebbene si tratti di un’opera di fantasia, mi sarei giocato la simpatia di quel pubblico a cui miriamo tutti, quelli che non spendono una lira per comprare il tuo libro o il tuo disco ma hanno comunque il tempo dalla loro parte e se ne imbrocchi una puoi durare, almeno solo a parole, anche mezzo secolo in più di quanto ti spetta di diritto.

la effe, ecco dove voglio andare in vacanza

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Il caso de “La effe”, la tv della Feltrinelli che potete trovare sul canale 50 del digitale terrestre, è una piacevole eccezione nella babele di inutilità televisive a cui siamo soggetti da quando le trasmissioni analogiche sono definitivamente terminate. A parte le nuove Rai – che non si spiega come possano far parte della stessa emittente che fa la metà dello share nazionale con cose tipo il Festival di Sanremo – come avrete provato sulla vostra pelle la grande truffa del digitale terrestre ci ha fatto ricredere sul ruolo dell’infotainment gratuito o, più in generale, sul fatto che possa esistere una proposta di qualità al di sotto della tv a pagamento. Nel senso che no, la risposta è no: a farsi tutta la rassegna dei canali disponibili c’è da mettersi le mani nei capelli, per chi li ha ancora. Invece su “La effe” potete stare sicuri che a qualunque ora voi accendiate il perfido apparecchio televisivo difficilmente vi verrà voglia di cercare alternative o di spegnere tutto, se vi siete messi in panciolle con la precisa volontà di mettere in stand-by il cervello, o anche se cercavate un tranquillo sottofondo per la pennichella.

Ora, a parte i “Racconti dalle città di mare”, il programma che seguo con maggior interesse è “Senza prenotazione” di Anthony Bourden, in cui superata la diffidenza che giustamente si deve provare verso i programmi in cui si mangia, si beve e si cucina e che hanno rotto abbondantemente il cazzo, si può assistere a storie di persone e luoghi davvero avvincenti. Un giudizio che avevo anche prima della puntata a cui ho assistito l’altro giorno, interamente dedicata a Josh Homme, il cantante dei QOTSA che insieme a Dave Grohl ritengo essere una delle personalità artistiche più interessanti del panorama musicale statunitense, se non altro per il fatto di sapersi reinventare in modi diversi, talvolta imprevedibili, ma sempre piuttosto geniali.

Vedere Josh Homme all’interno del suo ambiente – Palm Springs, Joshua Tree e altre desertiche amenità californiane – lo ha reso ancora più affascinante di quello che è. Ma in generale la capacità che ha “Senza prenotazione” e che hanno molti dei documentari trasmessi da “La effe” – se non vado errato sono per lo più produzioni canadesi e nordamericane – di rendere al meglio il rapporto tra i protagonisti dello storytelling e il territorio cui appartengono è impressionante. Le persone, il legame con l’ambiente che li ospita e ciò che restituiscono in cambio dello spazio che occupano: individui come industrie culturali che pagano il giusto tributo che la fortuna gli ha più o meno temporaneamente concesso, personalità che valorizzano il posto in cui vivono senza che i posti necessariamente traggano vantaggio in qualche modo e migliorino la loro reputazione. La natura, le città, il deserto sono e restano tali, sta a noi saperci adeguare ai loro ritmi: il caso di Josh Homme è il primo esempio che mi viene in mente, se conoscete “Senza prenotazione” sapete che cosa intendo. Da una relazione così impostata con il territorio abbiamo solo da guadagnarci.

attenzione: non guardate The Newsroom, siete pazzi, è doppiato male

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Dunque, a quanto sento e leggo in giro, sembra che The Newsroom non è da guardare perché doppiato a cazzo. The Newsroom, lo sapete, è la serie prodotta dalla HBO e ideata da Aaron “The Social Network” Sorkin, acquisita in esclusiva da Rai Tre – finalmente – e il cui primo episodio è andato in onda ieri sera. Pare che il pubblico italiano però abbia in ampia parte preferito le lesbo-avventure delle presunte fidanzate dei nostri politici da Santoro rispetto alla prima visione di un prodotto di qualità. Ora, è encomiabile questo amore degli italiani per l’attualità, quello che suona strano è che l’interesse sembra essere direttamente proporzionale alla torbidezza della vicenda. Ma nella sovraesposizione dei talk, e considerando che nei talk si parla solo di una persona, massimo due, una serata di svago potevamo anche prendercela. Che poi, svago per modo di dire. Le tematiche di The Newsroom, che è una serie sul giornalismo televisivo, attingono dalla cronaca e solo belle toste, anche se diluite nel modello delle vicende individuali e corali dei personaggi, come per tutta la fiction, del resto. Ma è indubbio il valore dell’opera. Sta di fatto che, terminata la sigla di coda ma sono certo che durante il live tweeting ci devono essere già state critiche a proposito, sembra che le voci italiane associate ai protagonisti non si possano sentire. Da lì pare che tutti abbiano già visto la prima stagione in inglese e la lezione di vita, oggi, è proprio questa: ma come si fa a vedere la tv doppiata? A me, lo sapete, piacciono le mezze misure. L’inglese lo mastico così così, e i sottotitoli mi danno fastidio, mi tolgono il piacere della visione e mi distraggono. Al di là del luogo comune che vuole l’Italia l’eccellenza del doppiaggio, vi dico che me fotto, non ho nemmeno fatto caso alla qualità dei timbri vocali tanto ero preso dalla storia, e pregherei tutti i puristi della lingua originale di dare ripetizioni di integralismo altrove, magari proprio stasera, approfittando del fatto che quelli come me seguiranno la seconda puntata in italiano.

ciao sono il duemilatredici

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cielo manca

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Oltre a non avere l’abbonamento a Sky da casa mia, non chiedetemi il perché, non si prende nemmeno il famigerato canale del digitale terrestre – e mai nome fu più sfortunato di quello, dico io, ma come si fa a chiamare una tv così, quasi peggio di italia uno – quindi nulla potrà saziare in diretta la mia sete di curiosità circa il confronto tra i candidati delle primarie. Tanto lo so già chi voterò, ma comunque poteva essere divertente. Fatemi sapere come è andata.

quello che non ho visto

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Come dicono quelli là, facciamo che vi raggiungo più tardi, anzi, facciamo che a volte è meglio proprio non partecipare. E, non avendo visto nulla, non scrivo nulla. Per fortuna avevo messo da parte un film molto divertente, Super di James Gunn, perfetto per le serate come quella di ieri in cui ci si fa notare di più se non si va anziché andare e starsene in disparte.

per la massa

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Quando il giornalista o il presentatore di un programma di informazione diventa una sorta di mediatore culturale con il pubblico, non lo fa certo con il fine umanitario di rendere l’esperienza dello spettatore più facile e piacevole. Anche perché o si tratta di un Gad Lerner, così acuto ed elevato da trovare la sintesi di tutto, e l’interpretazione di quanto accade durante il suo programma è il programma stesso. In tutti gli altri casi è solo il demerito di una personalità impropriamente ingombrante che pervade l’anchor man di turno, perché non occorre essere Umberto Eco, da questa parte dello schermo, per capire il senso di quello a cui si assiste e si ascolta anche senza l’intermediazione del Fabio Fazio o Enrico Mentana di turno. Ops, volevo tenermi i nomi per la fine del post e non farvi capire subito di chi stessi parlando, mai che riesca a creare un po’ di suspense.

una leggerezza insostenibile

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La più eclatante contraddizione della nostra civiltà è la apparente incongruenza tra l’ipersalutismo sbandierato a destra e a manca (e le diete di qui e l’educazione alimentare di là e le palestre e il fitness esasperato e la lotta al cancro che passa anche dal controllo di quello che mangi) e la mostruosa disponibilità (nell’occidente del mondo) di prodotti alimentari, sconcertante quanto la pervasività del marketing e della pubblicità ad essi correlate. D’altronde con automobili di lusso e telefonia temo sia l’unica industria che non conoscerà mai flessione. Che poi si tratta di una contraddizione apparente perché l’obiettivo non è poi così nascosto: è il mercato, baby, che ti vuole spremere il più possibile. Prima, consigliandoti di ingollarne di ogni, e dopo, a pancia piena e borsellino vuoto, convincendoti che così in sovrappeso non puoi vivere, non puoi lavorare, non puoi avere amici, scordati il successo, e ti impone di sudare tutti i chili di troppo pagando profumatamente quel percorso a ritroso, che raramente riporta a destinazione e al punto di partenza, la tua forma fisica che in condizioni normali avresti.

Guardatevi attorno per capire perché il mercato (anzi il supermercato) ha fatto del peso in eccesso la peste del duemila. E poi c’è il fronte della patologia, che dilaga; un tempo era sufficiente non cadere in eccessi, probabilmente gli alimenti erano più genuini, bastava un minimo di movimento per i bambini affinché non iniziassero troppo presto con la tortura della dieta. Oggi occorre stare molto all’erta, perché la vita che conduciamo è quella che è, e in più c’è lo stress del modello vincente imperante: o così (magro/a) o sei tagliato fuori.

La differenza, tra allora e oggi, probabilmente la fa anche l’esistenza di Mtv. Perché questo fenomeno è diventato materia prima per l’ennesimo docu-reality “dedicato a ragazzi un po’ in carne che vogliono perdere peso prima di iniziare il college”. E capisco che il problema dell’obesità negli adolescenti (americani) sia di estrema attualità. Però messo lì, nel paradiso dell’immaginario commerciale adolescenziale, dove tutto è sexy e cool, fa l’effetto opposto. Così fuori luogo, magari dopo uno spot di McDonald o della bevanda gassata o dell’ennesimo prodotto di food entertainment seguito dalla pubblicità di abbigliamento trendy interpretato dalla modella taglia 38. Ecco, di incongruenze è pieno il mondo, le persone obese talvolta ne sono le vittime. E nulla riuscirà a convincermi che c’è qualcuno che si sta davvero prendendo cura di loro.

zapping tra l’iperrealtà

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mi casa es tu casa

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