l’oroscopo di oggi

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Quando mi dici cose tipo che non vedi l’ora di essere in quarta per studiare gli egizi, o che vorresti essere alle medie per risolvere le operazioni di matematica con le lettere al posto dei numeri a me viene un brivido, perché tu non lo immagini nemmeno, non è una mentalità da bambini quella di misurare la decrescita della disponibilità di ciò che si ha davanti. Invece io percepisco parti di me che si allontanano, quantità di quella materia collosa e fluida – me la immagino come miele – che resta attaccata al cucchiaio in quantità decisamente superiore alla sua capacità e che sta alla velocità con cui lo porti alla bocca quanto ne riesci a mangiare e quanto cola dentro al vasetto o quanto va sprecato sulla tovaglietta della colazione. Un sacrilegio, questo, un vero scempio. Il miele avete capito cosa è, comprende anche tutte le risorse collaterali, il cucchiaio ha un orologio che se gli si scaricano le pile comunque funziona lo stesso, l’interprete del goloso di dolci dipende dalle proprie credenze o no, potrebbe essere anche una banale reazione chimica che genera tutto il meccanismo successivo. Così prendi fiato, figlia mia, non ti dannare cercando di anticipare quello che sarà, quello che ti aspetta per essere scoperto, come diventerai, perché io sono uno di quelli che hanno a disposizione una sorta di privilegio da seniority che è la preview di tutto come un livello in semi-trasparenza che ti fa da alone, perché le cose vanno così veloci che sembra di assistere all’ingrandimento di un corpo destinato a crescere, mentre si forma con le nuove dimensioni nello spazio che ha intorno e in batter d’occhio ecco che sei in quarta e studi gli egizi, ed ecco che sei alle medie e risolvi operazioni di matematica con le lettere al posto dei numeri. E non è l’unico potere soprannaturale che si ha la mattina, quello di sentirsi un po’ filosofi ciarlatani. Già prevedo come si svilupperà il giorno. Quando inizia così è un continuo affacciarsi in stanze e scorgere cose belle che in realtà non ci sono ancora.

la giornata mondiale della poesia volge al termine

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Ed è subito sera.

per filo e per segno

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Dopo colazione mia figlia chiede di ripetere la lezione di storia, che consiste in cinque facciate del libro studiate una decina di giorni fa. Per vari motivi in classe non c’è stato ancora il modo di accertare se i bambini hanno studiato e compreso l’argomento (dinosauri e loro estinzione) e solo oggi ci sarà una verifica. La cosa ci era completamente sfuggita, non ci siamo nemmeno preoccupati di fare un ripasso lo scorso fine settimana e ci siamo ridotti all’ultimo momento. E per fortuna che è venuto in mente a lei, e solo lo sforzo di non metterle ansia ci ha impedito di non andare nel panico. Ma ogni preoccupazione, come al solito, è stata superflua. Siamo noi adulti a dimenticare un aspetto importante: l’attitudine che hanno i bambini di ricordarsi le cose è straordinaria. In quattro e quattr’otto la piccola ha ripetuto tutto per filo e per segno ai limiti della esposizione mnemonica, ma poi provando con domande trabocchetto e richieste di dettagli con parole diverse rigirando i concetti è risultato chiaro che aveva afferrato perfettamente il quadro.

Così l’ho osservata mentre chiudeva l’argomentazione perfettamente come se fosse fresca di ripasso, si vedeva la magia dell’espressione di chi ha capito, sta strutturando dentro di sé il discorso e in tempo reale codifica il linguaggio macchina, diciamo così, quello di più basso livello in senso informatico che è il pensiero, e lo rende comprensibile a parole accompagnate da tutti i muscoli della faccia e del corpo che fanno da cornice. Ho pensato a lei come a uno stampo che si forgiava per produrre poi tutto quello che stava dicendo e che aveva in parte la sua forma. E niente, non c’è nulla di speciale se non il piacere di assistere a uno spettacolo dell’intelligenza e agli stessi contenuti. Questo indipendentemente che si tratti del proprio figlio o no, in momenti come questi c’è tutta l’energia che questo tipo di elaborazione produce, scariche di vita fresche di stagione che mettono in secondo piano tutto il resto. Ma l’aver colto un altro tassello per una sorta di thread monografico sulla memoria, involontario perché si tratta di considerazioni assolutamente casuali come tutto il resto delle cose che scrivo (e poi anche basta, cerco di chiudere qui l’argomento), è significativo, è la prova che si tende a interpretare la realtà con il filtro delle urgenze emotive, fino a quando non mutano le priorità e si cambia finalmente registro.

la prima volta

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Mia moglie ed io a volte sembriamo una di quelle coppie di gemelli che condividono lo stato d’animo o persino il dolore fisico a distanza, tipo uno dei due ascolta una canzone coinvolgente alla radio e l’altro in riunione inizia a ballare. Ora non so se sono cose che succedono per davvero o solo nei film e nei video clip, e ammetto di avere usato un caso limite per introdurre l’argomento, sta di fatto che ci capita spessissimo di essere in forma contemporaneamente, il che è molto positivo, o di attraversare allo stesso tempo momenti problematici, e in questo caso non è il massimo perché il bello di una coppia è che quando uno ha bisogno di chiudere gli occhi l’altro gli dà il cambio al volante, e non necessariamente in senso traslato. Sarà che, come a tutte le coppie, anche a noi piace fare le cose insieme e uguali. Ci sono quelli che si comprano la tuta identica e fanno jogging insieme nel parco. Ho conosciuto due che addirittura prendevano lezioni di piano insieme, e se non sbaglio poi si sono lasciati. Noi che siamo persone molto sobrie ci limitiamo a sincronizzare i bioritmi, e così eccoci a cena che ci diamo consigli sul modo di affrontare la stessa situazione che ci fiacca al lavoro, in due posti differenti ma con lo stesso bivio e la analoga decisione da prendere. Tra poco andremo qualche giorno a Berlino, ovviamente con nostra figlia e gatti esclusi, e per la prima volta abbiamo pensato di acquistare la Lonely Planet. Di norma sfruttiamo la biblioteca, ma in questa occasione ci è sembrato necessario perché è il caso di prendere appunti, sottolineare, evidenziare cose della città che cercheremo di visitare. E soprattutto perché ci siamo resi conto che si tratta del primo viaggio che facciamo in un posto che non abbiamo mai visto entrambi.

tutto qui

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Che poi, e mi riferisco a quanto ho scritto qui sotto, stiamo tutto il tempo a raccogliere informazioni, un vero e proprio bombardamento, e le stipiamo tutte in una memoria volatile perché oramai l’intelligenza non consiste più nel ricordare l’informazione ma nel sapere dove cercarla su Internet. E, a dimostrazione di questo, per esempio in questo momento non mi ricordo assolutamente dove ho tratto questo concetto, dove l’ho letto, e provo a cercarlo con Google ma non lo trovo e in questo caso come mi devo considerare? Io che non sono un nativo ma un uomo digitale di mezza età ho ancora un po’ di forma mentis del secolo scorso e qualcosa ogni tanto mi rimane in testa. Poi penso ai mali della vecchiaia, purtroppo ne ho un caso molto vicino, e mi chiedo che succede se dopo che hai accumulato dati importanti, come i ricordi di una vita, un bel momento resetti tutto e quando ti portano in giro vedi le cose come se fosse la prima volta, ogni volta. Noi cresciuti informatizzati avremo tutto qui, su questo coso che registra ogni input gli invii da una tastiera. Ho anche letto che le esperienze di blogging hanno il valore di dare una sistematizzazione e mettere al sicuro una serie di contenuti, magari tutto quello che è successo prima, in alcuni casi quello che succede contestualmente, in altri quello che verrà dopo. Con il vantaggio, parlando per il futuro, di avere già qualcosa di pronto da ricordare nel caso si guastasse il disco fisso che si ha in testa, e qualcuno di molto vicino chiedesse di raccontargli una storia.

webburger

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Con la privacy su Internet ho un rapporto un po’ così, sono piuttosto distratto e, per svariati motivi, dalla prima volta nella mia vita in cui ho compilato un form on line – almeno diciassette anni fa – ad oggi credo di aver lasciato i miei dati ovunque. Insomma, se siete un po’ sgamati su Google è facile scoprire come mi chiamo, fermo restando che queste cose che scrivo vengono pubblicate (per mia scelta) su alcuni social network, in alcuni dei quali sono iscritto in chiaro, per così dire. Poi, una volta ottenuto il mio nome e cognome, è altrettanto facile googlarmi e trovare numerose informazioni sul mio percorso professionale, qualche recensione musicale o letteraria, qualche comparsata su forum e commenti vari. Se tornassi indietro non credo che farei diversamente, cioè non vedo la mia presenza in rete diversa dalla realtà, dove ci sono persone che mi conoscono, mi incontrano e mi salutano. Con alcune chiacchiero – poche, eh – altre sanno chi sono, ci sono quelli che mi conoscono dalla prima elementare e quelli che sanno a malapena il mio nome, e così via.

Voglio dire, l’invisibilità su Internet è una missione, un impegno che richiede mille attenzioni e una gran dose di intelligenza e prontezza, troppo per chi come me sul web ci lavora e trascorre una elevata percentuale del proprio tempo. E dubito che la totale assenza da anche un solo data base in qualche server sperduto del pianeta sia possibile, ammiro chi vi riesce ma ho l’idea che sia un obiettivo perseguibile solo evitando di aprire anche una sola pagina di un browser in vita propria. E in parte accade lo stesso per chi immette contenuti attivamente, con nick, alias e talvolta fake che conferiscono uno status illusorio di non riconoscibilità, perché poi alla fine un dato di registrazione, magari solo con l’esercizio del potere, lo si riesce a far coincidere con un dettaglio anagrafico e si giunge a destinazione.

Lasciare tracce di sé in fondo è un comportamento inconscio per depositare qualcosa di noi qui dentro, iniettare germi anche solo col desiderio che restino congelati in una provetta o in un bozzolo da qualche parte, pronti a essere risvegliati per fecondare qualche iniziativa più in là. Poi ci sono quelli che lanciano semi a casaccio sperando che si moltiplichino e si diffondano da sé, la rete continua la sua attività anche a pc spento, una forma di sperimentazione di forme di vita intelligente che può essere rischiosa, se ne può perdere il controllo e causare un’esplosione nucleare (virtuale) a nostra insaputa dall’altra parte del pianeta. In ogni caso noi viviamo anche qui dentro, da qualche parte, in server che danneggiano l’ambiente con la loro footprint magari proprio in quell’isola felice di una delle più brutte pubblicità di Internet Service Provider mai realizzate dall’umanità. E per ciò che riguarda contenuti pubblicati e responsabilità relative siamo nell’ambito del buon senso comune, che se non sbaglio c’era anche prima.

con il piede sinistro

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Esce dal portone di casa come un alieno conquistatore sbarcato con l’astronave da guerra sul nostro pianeta, non importa chi siete e cosa fate, siamo atterrati sulla vostra insulsa civiltà e vi calpesteremo come insetti. Ma è l’impressione dei Dr. Martens ai piedi, gli anfibi falsano le proporzioni, quelli bombati anti-infortunistici danno quell’aria un po’ da clown alle persone con le caviglie sottili, anzi l’andatura un po’ da Godzilla tanto per rimanere in tema b-movie di fantascienza.

Al semaforo, prima di passare con il rosso malgrado il traffico, si volta verso destra per vedere quale automezzo sarà costretto a fermarsi per farla passare, le regole non sono fatte per la mattina presto. È un attimo, quanto basta per mostrare a chi arriva da quella parte un esempio di architettura facciale razionalista con la frangia perfettamente orizzontale. Con la destra si ficca in bocca un mozzicone acceso che è letale per chi le sta dietro, magari per caso o solo per seguirla involontariamente e approfittare dei tempi morti per costruire delle fantasie narrative su. Il fumo passivo la mattina è secondo in quanto a fastidio solo al fumo passivo negli ultimi quindici minuti della tua sessione di corsa, quando pur di distrarti dai chilometri che restano fai persino gli scherzi a te stesso svoltando all’improvviso per non accorciare il percorso della lunghezza giusta pianificato con Google che invece il tuo istinto di sopravvivenza vorrebbe tagliare e qualcuno da lassù ti punisce facendoti incrociare un tabagista.

Poi mi accorgo che anche la sinistra tiene tra l’indice e il medio un altro mozzicone, più sottile e lievemente più lungo, quello che resta di una sigaretta autoprodotta ma altrettanto già a metà, che pare siano le meno salutari. Cioè accendere un mozzicone che è già stato spento dicono sia l’anticamera del peggio di quello che ti può capitare se fumi. Io lo ho scoperto quando ormai avevo smesso da secoli, ma era un’abitudine piuttosto diffusa quella di non sprecare inutilmente tabacco e di conservarlo per i momenti peggiori. E non accade solo in Liguria, sia chiaro. Mancano solo due tiri prima della parte contenente il filtro, il passo si fa più incalzante perché la direzione comune – la stazione e il treno che solo un paio di minuti di ritardo ci permetteranno di non perdere – impone di affrettarsi.

Si fa più veloce anche la boccata, ma prima di gettare la parte non fumabile ecco che Godzilla porta alle labbra il secondo avanzo di sigaretta con la mano sinistra e con quella terminata se la accende. Sbuffa il primo tiro, getta a terra il mozzicone appena finito e si volta per gelare con occhi pesantemente truccati il resto del mondo che non dovrebbe starle così addosso. E il resto del mondo, che consiste in un padre di famiglia che si reca al al lavoro, vorrebbe avvertirla che ha perso qualcosa, signorina – ecco questo potrebbe mandarla in bestia -, ho visto che le è caduto qualcosa di bianco dalla mano, che tradotto in comunicazione diretta suona più o meno come “razza di deficiente ma se venissi a buttare le sigarette in casa tua come reagiresti”. Ma né il significato tantomeno il significante escono da apparato fonatorio alcuno. Come nelle migliori storie a lieto fine, un fischio annuncia l’arrivo del treno che distrae i protagonisti e contemporaneamente toglie la voce narrante da un bell’impiccio.

questo arriva tra i primi dieci

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Michael Kiwanuka è un giovane songwriter a cavallo tra Bob Dylan e Marvin Gaye, come ne scrivono su Ondarock. Il pezzo qui sotto che dà il titolo al suo debutto su LP mi sembra superlativo, che ne dite? Un buon partito per la top ten di fine anno.

patrimonio

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Quello che posso dire dell’essere papà è che vuoi l’età, vuoi i freni inibitori che, in conseguenza dell’età, sono un po’ più laschi, vuoi che diresti sempre di sì anche sapendo che bisogna dire di no, sta di fatto che, giusto per farvi un esempio, pur avendo educato mia figlia al meglio dell’offerta musicale disponibile, da Miles Davis ai Clash ai The National passando per la musica italiana più off, alla fine ci troviamo a fermarci in auto sulle stazioni radio con pezzi tipo quello qui sotto che piacciono a lei e così piacciono anche a me, e quando finiscono mi chiede ancora di rimetterlo e ogni volta devo spiegarle che è la radio, che c’è qualcuno che ha scelto per noi, che poi lo riascoltiamo a casa per commuoverci insieme di nuovo. Dai, poteva andarmi peggio.

essere infantile

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Il senso di responsabilità è una specie di diploma per il quale studi e apprendi per buona parte della vita fino a un punto che è come l’esame di quinta elementare, un passaggio che non conta nulla, cioè nessuno ti boccia se non sei pronto perché comunque il tempo passa e la tua vita continua e non c’è modo di ripetere l’anno. Perché quando capita lo fai tuo malgrado, quando non ti sei preso le tue responsabilità rispetto a un impegno lavorativo, per esempio, o nei confronti di una persona o addirittura verso la società stessa, per cui ti licenziano, ti mandano affanculo o finisci dentro o peggio. C’è tutta una gamma di controindicazioni all’irresponsabilità perché siamo comunque nell’ambito del diritto naturale, magari non al primo vagito ma appena ti portano a casa da ostetricia e ti mettono sotto una giostra di pesciolini colorati hai già la responsabilità innata di dover far funzionare i due emisferi che hai nella scatola cranica e riempirli di dati. Poi quando sei adulto la cosa più importante è esercitare tale senso nei confronti della prole, e quando c’è qualcosa che non va te ne accorgi, è come quando duplichi un cd originale e non tieni conto che alcune tracce tra loro non devono avere secondi di pausa perché i due brani sono uniti. Finisce il primo e torni con i piedi per terra e hai solo il tempo di capire l’errore che hai fatto perché riparte il secondo, ma intanto il fastidio per il fatto che l’atmosfera si è guastata persiste. Voglio dire, avresti anche tutto il diritto di andare nel panico, di non avere il polso della situazione, di perdere le staffe e farti saltare i nervi, sono tutte cose più che umane e all’ordine del giorno alle quali bambini in ogni latitudine e longitudine assistono dai tempi dell’invenzione della ruota. Ma il senso della responsabilità, o almeno quello che intendo io, è pensare a come ci vedono loro da laggiù, generalmente l’altezza – almeno quella fisica – è superiore, già l’altezza morale è un altro paio di maniche.