orbital – new france (feat. zola jesus)

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passare in vantaggio competitivo

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Certo che, una partita iva dopo l’altra, le aziende possono scalare la classifica del loro mercato e raggiungere il primato tagliando tutti i costi del lavoro per il profitto. Che poi uno gli dice che va bene, posso anche considerare di trasformarmi in un libero professionista a patto che io sia libero veramente, libero di scegliere come e quando e dove lavorare e con la flessibilità di orari che dico io, avere più clienti contemporaneamente perché altrimenti a che serve la partita iva. E poi è questo il bello del procedere a obiettivi, no? Eh, apriti cielo. In campo occupazionale, nessuno è arbitro del proprio destino. Ma non si può pretendere che uno faccia parte di una squadra in esclusiva quando l’esclusiva non è biunivoca, le sostituzioni prima della fine della partita fanno parte addirittura della strategia di gioco.

programmi per la domenica

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Domani, domenica 18 marzo, a partire dalle ore 22, se non avete programmi eh, ci sarà la lettura di un mio post alla webradio radiocinquecento insieme a quella di altri bloggerZ, a cui seguirà un’intervista a ciascuno, il sottoscritto incluso. Una bella iniziativa quella dell’incrocio dei canali, utile secondo me da una parte a togliere peso alle parole scritte, dall’altra a conferire trama a quelle dette, non so se mi spiego e al di là che ci sia il vostro. Che poi capirete perché preferisco scrivere a parlare. Poi, a programma concluso, aggiungerò anche il link al podcast, per i ritardatari. Mi raccomando, che poi vi interrogo.

la scelta di sofà

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Da bambino era una zattera su cui mettere in salvo il minimo indispensabile e la sala era una palude tipo le Everglades di cui conosceva l’esistenza da quell’episodio della “Storia e gloria della dinastia dei paperi”, quindi un ambiente ostile con tanto di coccodrilli che non avevano pietà né delle pantofole tantomeno dei fumetti o della focaccia di merenda. Così teneva tutto a bordo e si lasciava cullare da quel poco di moto ondulatorio che una palude così popolata da sedie, tavolo, poltrone e mobile tv può trasmettere lungo la superficie dell’acqua.

Dopo tanto tempo poi ha avuto la possibilità di dotarsi di una imbarcazione da casa tutta sua, da tenere in un rimessaggio simile a quello della palude che c’era nella casa dei suoi genitori. E la scelta non era facile, perché si trattava di decidere uno degli elementi chiave dell’arredamento intorno al quale spesso ruota la vita quotidiana di tutto l’equipaggio. Quindi intanto doveva essere sufficientemente ampia, almeno un cabinato da tre posti abbondanti con un pontile da due metri e mezzo. Poi doveva integrarsi alla perfezione nell’ambiente sia nella forma che nei colori, quindi design moderno e tessuto tra il color corda e il marrone scuro. E avrebbe dovuto anche essere accessibile economicamente. Alla fine, dopo qualche mese di ricerca, aveva trovato quella giusta, ritenuta perfetta anche dai suoi nuovi compagni di viaggio e con qualche rata era riuscito a farla propria.

Ora quella nuova zattera, che è un divano che tutti dicono assomigliare più a una chiatta, veleggia nel centro di un nuovo specchio d’acqua fatto di piastrellone di marmo beige che sono un po’ la morte dei sensi e che vorrebbe tanto sostituire con il parquet. Ci stanno comodamente in tre sopra, ciascuno con i propri passatempi preferiti. Libri, pc portatile, lettore mp3. Si sono portati persino due gatti che sonnecchiano durante la silenziosa traversata che partendo dalla mattina arriva fino alla sera, nei giorni in cui finalmente non c’è nulla da fare, se non fingere di essere soli e sperduti in casa, senza bisogno di nient’altro.

gira la ruota

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L’uso della carta millimetrata è perfetto per registrare come vanno le cose, anche se immagino ai nostri tempi esista un’app o un socialcoso per tenere traccia che ieri è stato un giorno fantastico, oggi è stata una giornata abbastanza di merda, domani chissà. Che poi è quello che più o meno si fa in posti come questo, ma a me che piacciono i diagrammi di flusso vorrei una sorta di tabella di look up. Una rappresentazione grafica dei picchi e delle cadute da tenersi appresso e da aggiornare costantemente in modo che ci si possa rendere conto che non c’è mai nemmeno un minuto per sedersi in piano e tirare il fiato.

il culto dei morti

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Ricordo un amichetto che frequentavo ai tempi delle medie che si faceva attendere in bagno tutte le volte in cui andavo a casa sua o quando ci davamo appuntamento per poi accompagnarci durante i nostri passatempi preferiti come la questua degli adesivi pubblicitari nei negozi, un tipo di collezionismo molto anni 70, ne converrete. Arrivavo da lui e sua mamma mi diceva che era in bagno, non si sa bene a fare cosa, tutti i giorni alla stessa ora, e mi pregava di aspettarlo nella sua cameretta. Così trascorrevo lunghe pause di riflessione nelle mie giornate di libera uscita da tredicenne osservando le pareti di quella cameretta da tredicenne ricoperte da poster fondamentalmente di due categorie. Da una parte i Kiss, dall’altra Bruce Lee, soggetti entrambi tipici di un’idolatria maschile adolescenziale anni 70. Tutta roba che comunque non capivo, io ascoltavo reggae e roba tipo gli Specials e i Madness, e quelle facce pitturate e quelle pose tamarre con il nunchaku o come si dice in mano mi sembravano tutta paccottiglia già ampiamente superata. Poi il mio amichetto usciva tutto lavato e profumato, nemmeno se anziché trascorrere la mattina in classe fosse stato in una pescheria, e il pomeriggio continuava malgrado il mio dubbio sulla necessità di recarsi in bagno o fare qualsiasi altra cosa a una determinata ora quando in quella determinata ora hai dato un appuntamento a qualcuno. E né i Kiss tantomeno Bruce Lee mi erano di conforto. Poi siamo cresciuti, ci siamo persi di vista, e la risposta si è persa nel vento.

Tutto questo è riemerso poco fa, all’incrocio qui sotto, quando voltandomi a destra e sinistra per capire se malgrado il semaforo ancora rosso potevo anticipare l’attraversamento pedonale, il mio sguardo si è imbattuto in una coppietta di adolescenti già seminudi per l’improvviso anticipo di bella stagione. Entrambi avevano una borsa in plastica a tracolla, lei con l’effigie di Gene Simmons, il linguacciuto bassista dei Kiss, lui manco a dirlo con un disegno di Bruce Lee in una delle sue pose più celebri, pronto a difendersi dall’attacco del ninja di turno. La combinazione mi ha trasmesso immediatamente il titolo che ho dato a questo post, il culto dei morti, che poi è vero solo in parte perché Gene Simmons mi risulta essere vivo e vegeto malgrado le tonnellate di porcherie che si è messo in faccia nel corso della sua vita. Il culto degli artisti morti, roba che non solo appartiene a quei due ragazzini seminudi appena usciti da scuola, ma non appartiene nemmeno più all’immaginario collettivo. Io stesso ho dovuto sforzarmi per distinguere il bassista dei Kiss da un mostro fantasy qualunque e il maestro di arti marziali da una nota pubblicità che probabilmente ha preso spunto proprio da lì. E chissà, magari i due si apprestavano a fare un giro per Corso Buenos Aires a chiedere adesivi nei negozi.

dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti

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C’è un paese alle porte di Milano in cui l’Amministrazione Comunale ha un ammanco di molte migliaia di euro. La colpa di questo – chiamiamolo – buco è dei cittadini, a dimostrazione che non ci sono solo problemi di sperperi o di cattiva gestione ma anche di insolvenza dal basso. L’evasione fiscale riguarda il buono mensa scolastico, che a giudicare dalla cifra in rosso sembra diventato un fenomeno non tanto di massa quanto di una elite di recidivi. Da qualche anno l’amministrazione ha introdotto il sistema di ricarica sulla Carta Regionale dei Servizi, alcuni esercizi locali sono dotati del dispositivo elettronico per trasferire crediti sulla tessera magnetica e le famiglie che hanno figli interessati al servizio possono mettersi in regola in anticipo sia in contanti che tramite carta. Ma la procedura di pagamento preventivo purtroppo non funziona in una società dove, non appena l’istituzione abbassa la guardia e mostra fiducia, il cittadino indossa la maschera della disonestà, per non dire che svela il suo vero aspetto latente da ladruncolo.

Un tempo vigeva il complicato sistema dei buoni cartacei affidati ai bambini, che però, a parte l’essere costoso e non informatizzato, metteva le famiglie morose direttamente di fronte alle loro responsabilità. La maestra poteva intervenire tempestivamente con i genitori, e anche se questo non risolveva i problemi di povertà di alcuni nuclei famigliari poteva tenere lontana la tentazione degli altri, per evitare brutte figure ai piccoli di fronte ai compagni e agli insegnanti. Ora invece il processo è tutto nascosto, i bambini accedono alla mensa ogni giorno e solo chi gestisce il servizio a monte è in grado di intervenire verso chi non paga. E la questione è più delicata, perché è sacrosanto che tutti paghino il loro contributo affinché il serivizio mensa possa continuare, ma l’Amministrazione correrebbe il rischio di rendersi impopolare, pur perseguendo una giusta causa. Perché i casi di ripercussione sui bambini, in altre città, a cui è stato negato il pranzo o in cui si è minacciato di procedere in tal senso hanno sollevato un polverone. E allora ci si chiede come giungere a una soluzione.

Il sistema telematico è sicuramente la strada giusta, ma dovrebbe essere completo. Per esempio dotando i bambini di un badge (che potrebbe essere la loro stessa CRS) e installando un lettore nelle mense scolastiche si tornerebbe al livello di controllo quotidiano dei buoni cartacei. Non si negherebbero comunque i pasti agli affamati studenti ma maestre e scuola avrebbero il controllo della situazione. In alternativa, le famiglie che decidono di avvalersi del servizio di mensa dovrebbero comunicare obbligatoriamente l’IBAN del loro conto corrente al momento dell’iscrizione a scuola e periodicamente sarebbero soggette all’addebito automatico della quota, anche questa sembra una via percorribile. Insomma, l’importante è adempiere al proprio dovere e pagare tutti, i pochi euro di quota per far mangiare i figli un genitore scrupoloso li riesce a trovare, ne sono certo.

l’ora di ginnastica

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Passando a piedi lungo Parco Sempione poco prima delle 15, in un assolato pomeriggio marzolino dal clima già abbondantemente primaverile, tra modelle in visita guidata accompagnate da frotte di ragazzotti perditempo a caccia di avventure sentimentali, giovani mamme con primogenito nella carrozzina, comunità etniche rigorosamente separate intente nei giochi di società tipici del loro paese di provenienza, pre-adolescenti in gita scolastica, venditori africani di merce contraffatta e fruitori occasionali come il sottoscritto, ho visto manifestarsi l’esemplificazione più vicina al mio concetto di ricchezza. Ricchezza materiale, intendo. Avere la grana e saperla spendere nei modi più impensati. Una giovane donna era dedita alla ginnastica in un punto pianeggiante ed erboso del parco, assistita da un personal trainer, il quale la seguiva minuziosamente nei movimenti, assicurandosi che piegasse nel modo giusto le gambe durante lo squat, esercitasse la migliore retroversione del bacino prima di chinarsi per un altro esercizio, tenesse il corpo perfettamente in linea flettendosi sulle braccia e così via. Lei madida di sudore ma perfettamente in forma, lui che assisteva ad ogni figura controllandone la perfetta esecuzione. Ecco, è quel rapporto uno a uno che mi ha dato il senso del benessere, più economico che fisico, e la flessibilità di poterne usufruire in qualsiasi momento della giornata in relazione ai propri impegni, contro le ore di corsi a cui partecipiamo noi, gente comune, un allenatore per almeno venti partecipanti, in luoghi e orari stabiliti. E ho provato a mettermi nei panni di un personal trainer, a tu per tu con una sola persona da allenare, costretto a guardare senza perdere un istante, in un giorno in cui non c’hai voglia e non puoi nemmeno far finta di distrarti guardando qualcos’altro, ed è lì che ho visto la solitudine e la sua tariffa oraria.

mi manda plus1gmt

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Quando sui Social Network si instaurano usanze tipiche delle relazioni umane e si generano le stesse dinamiche della vita uno punto zero sono sempre nel dubbio se pensare a un successo, una sorta di primato del genere umano che riesce a plasmare ogni materia a suo vantaggio, oppure no. Perché quando le usanze e le dinamiche sono le peggiori è facile considerare Internet come una nuova occasione persa per salvare il salvabile, traghettare da un mondo a un altro solo ciò che abbiamo di positivo, dare vita a una sorta di eden ripulito dalle nostre nefandezze. E questo vale per tutto quello che inventiamo e che poi utilizziamo male, giusto? L’auto che inquina, la tv che rincoglionisce e crea consenso, la rete usata per adescare minori comodamente seduti in una poltrona di casa nostra.

Questo perché c’è un socialcoso che potrebbe essere un ottimo socialcoso professionale, e in parte lo è se non fosse che chi ha sviluppato il socialcoso in questione chiaramente deve guadagnare in qualche modo, e lo fa consentendo operazioni di marketing al dettaglio, ma non è questo che mi turba. Mi riferisco invece alle segnalazioni, e non l’endorsement in sé, perché ci sta anche che il tuo superiore nel momento in cui te ne vai scriva un rapportino con le tue qualità migliori, anche se non ne colgo l’utilità nell’attuale sistema sovraesposto alle parole superflue, le mie comprese eh. Sul socialcoso in questione ci sono anche quelli che te le chiedono, la buona parola. Gente al limite della semplice conoscenza che ti chiede la segnalazione, suppongo per fare numero, visto il mio peso professionale. Che gli rispondereste, voi? Proviamo a scrivere insieme una segnalazione generica per tutte le occasioni?

via cogne schianto mortale, guarda subito il video

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Che faccio, clicco o non clicco? Sul corriere on line ho disponibile l’ennesima ripresa dai circuiti di videosorveglianza di una tragedia, gente che muore in diretta e che i sistemi di sicurezza registrano indiscriminatamente e poi, non si sa il perché o il percome, i video finiscono in mano alle redazioni e quindi alla mercé di persone come me. Siamo quelli che rallentano quando c’è un incidente in autostrada, che si fermano a contemplare le risse, che abbassano il volume dello stereo quando i vicini di casa litigano. Siamo quelli che si fanno gli affari degli altri quando gli affari degli altri sono succulenti, pruriginosi, involontariamente tragici o grotteschi. Siamo quelli a cui i reality show ci fanno un baffo, un po’ perché oramai si tratta di un format trito e ritrito, un po’ perché si vede lontano un miglio che è tutta una finzione, che quando ci troviamo di fronte a una realtà aumentata abitata da persone che spingono sull’acceleratore dei loro difetti che possono piacere di più agli sponsor ci meravigliamo dell’ingenuità di chi ci casca, di chi li segue anche sui forum e sui social network. I video degli incidenti, degli scippi, delle rapine, quello è pane per i nostri denti, peccato per l’audio, sentire il rumore di un impatto, le grida di aiuto, i pianti di disperazione conferiscono tridimensionalità agli avvenimenti e fanno passare in secondo piano la qualità pessima delle immagini. Immagini come queste, una berlina che accelera a un semaforo per sfuggire alla polizia e centra in pieno un’automobile causando la morte di un uomo, così dice l’articolo. Non si vede nulla, non si vede sangue, potrebbe essere una finzione. Quindi che faccio, clicco o non clicco? Clicco, che domande. Clicco e parte la pubblicità, e immediatamente capisco a cosa serva la pubblicità sui video on line. Pensare a un ufficio marketing che consente che il proprio brand sia visualizzato prima del video di una tragedia da persone come me. Perché io non vorrei che persone come me comprassero i miei prodotti. La pubblicità prima dei video on line serve a far riflettere su questi aspetti, e dura sufficientemente a lungo affinché si possa avere il tempo di chiudere la pagina del browser prima del video dell’incidente e a promettere a noi stessi di mettere a tacere il nostro lato morboso per sempre.