apologia di taxismo

Standard

Avete presente una civiltà in cui la verginità di una ragazzina viene monitorata da controlli assidui da parte dei genitori, in uno scenario in cui un intero gruppo etnico può essere tacciato come capro espiatorio di default dall’opinione pubblica per qualunque cosa tanto da poter essere accusato liberamente e spingere la controparte del sottoproletariato (e nemmeno tanto sotto e nemmeno poi proletariato) a partire in quarta, organizzato e armato, e incendiare un campo in cui è stato consentito l’accorpamento di abitazioni abusive e fatiscenti in una città dell’occidente europeo contemporaneo. In questo brodo di coltura la ragazzina la perde, la verginità, e considera meno grave denunciare un finto stupro che confessare un rapporto sessuale consenziente. E poche ore dopo il sosia di Jimmy il fenomeno, su alcuni siti definito un intellettuale, imbraccia un’arma da fuoco da telefilm americano e spara nel mucchio di venditori non autorizzati di merce contraffatta i cui proventi molto probabilmente andranno ad arricchire la mala locale e organizzata, ne uccide due e poi però si suicida, peccato. E in entrambi i casi ci sono terzi che plaudono ai gesti di violenza gratuita perché commessi contro chi gli contende il lavoro, il territorio, l’ordine, e si continua a consentire libertà di espressione a chi con la propria espressione la libertà altrui vorrebbe soffocarla. Nella stessa società ci sono corporazioni che non ne vogliono sapere di perdere privilegi e costringono intere politiche economiche a venire a patti per mantenere un monopolio anacronistico e antisociale, il lato oscuro del capitalismo, quello che non ammette la liberalizzazione per non minare i propri modelli di consumo e stili di vita. Ecco, questo scempio di buon senso e di convivenza civile accade oggi, qui, in Italia, anno domini 2011. Benvenuti a ovest.

dici a me?

Standard

L’ultima volta in cui ne ho preso uno ho speso più da casa mia a Linate che per il volo che mi stava aspettando, ma non avevo scelta. Da allora ho deciso che mai più mi sarei rivolto a un tassista, a costo di alzarmi ore prima per percorrere l’equivalente del tragitto con mezzi pubblici o muovermi a piedi con bagagli pesantissimi. A questo si aggiungono altri elementi a sfavore di una delle lobby che riesce a tenere in scacco, e me ne sfugge il motivo, governi nazionali e amministrazioni locali: l’aver fatto vincere in competizioni elettorali personaggi beceri e impresentabili e aver quasi sempre l’autoradio sintonizzato su Radio Padania o canali sportivi monotematici dedicati alle squadre di calcio cittadine. Sono però disponibile a un dibattito, come sempre, malgrado la trattativa con i rappresentanti del settore possa presentare indubbie difficoltà.


Via.

invenzioni a due voci

Standard

Dopo venti minuti abbondanti di conversazione in tono soverchiante circa le strategie più efficaci per sbaragliare gli avversari in un celebre gioco di ruolo fantasy, i due bimbi imprigionati in un corpo da giovani adulti con tanto di barba e borse porta-computer raccolgono le loro cose e si avviano verso l’uscita più vicina per scendere dal treno, mentre rallenta nei pressi di una stazione dell’hinterland. L’uomo di mezza età che incrocia le sue lunghe gambe alle mie tra gli stretti sedili della seconda classe, solleva naso e baffi dal giornale in cui è immerso e mi lancia il suo commento, un “ai miei tempi si parlava di figa, non capisco che cosa abbiano per la testa i ragazzi di oggi” che, pur in un eccesso di cameratismo, suona sufficientemente eloquente. Già, penso quando la porta si richiude attutendo il seguito di quel dialogo nel quale i due sembrano così infervorati e di cui non saprò mai gli esiti, ma nemmeno quali saranno le loro prestazioni ai futuri tornei, giusto per trovare un trait d’union tra le due scuole di pensiero, la figa e i giochi di ruolo. E così li osservo allontanarsi, e quando di loro non resta più nulla, inghiottiti dal sottopassaggio, mi rendo conto che comunque per dissertare di entrambi gli argomenti occorre molta immaginazione.

quel pomeriggio di un giorno da cani

Standard

Non entrate! Non entrate! Una mamma con un neonato addormentato nel marsupio e il figlio grande per mano lancia l’allarme rivolta all’altro lato del cortile antistante la scuola materna. Ma dalla parte opposta, la ragazza che ha già la mano destra sulla maniglia del cancello, arrivata qui da poco più di un anno dal Bangladesh, non capisce che l’avvertimento è rivolto a lei o forse quello lo coglie ma non comprende il significato. Per fortuna avverte il tono di pericolo, così si ferma trattenuta anche da un papà che le afferra la spalla. Nel cortile è entrato un cane visibilmente agitato e confuso, non sembrerebbe nemmeno particolarmente agguerrito se non fosse per il suo aspetto che i più associano alla minaccia. Si tratta di un esemplare di quella razza di cui non ricordo mai il nome, una di quelle elencate tra i cani che si trovano alla voce “da combattimento”. Pelo bianco corto, muso allungato, occhi lunghi, sottili e separati in un modo che a me ricorda il viso di Alessia Marcuzzi, e prima di trovare, ogni volta che mi capita, su Google il nome giusto che è Pitbull, li chiamo sempre così. Mi rendo conto di essere ingiusto nei confronti della popolare presentatrice televisiva e non me ne vogliano i fan. Da notare che terminata l’urgenza di avere l’informazione, il dettaglio torna nel dimenticatoio tra tutti gli altri nomi di razze di cani di moda.

Comunque, il cortile in cui si sta svolgendo la scena ha entrambi i cancelli chiusi ma è delimitato da una protezione bassa, che chiunque, anche un cane, facilmente salterebbe con un po’ di rincorsa. Nonostante questo, essendo l’ora di uscita, grandi e piccini stanno lì intorno a guardare quelli in strada che sembrano darsi da fare per risolvere la situazione. Il vigile urbano, preposto all’attraversamento pedonale nelle ore di afflusso e deflusso studenti, entra nel ring con un guinzaglio in mano, si vede che ha paura e il cane gli osserva con la lingua penzoloni la divisa blu. Dall’ingresso dell’asilo esce una donna vestita da clown con un bambino per mano, è una mamma che arrotonda lo stipendio facendo l’animatrice alle feste di compleanno. È già pronta per andare in scena tranne che per le scarpe e la parrucca, probabilmente i suoi figli si divertono un mondo a tenere per mano una mamma con il cerone colorato sulla faccia e i compagni li invidiano un po’. Chissà. Il clown estemporaneo appena si accorge di quello che sta accadendo con un gesto atletico rientra di corsa nell’edificio e mette al corrente le bidelle. Perché nel frattempo il vigile, che non è riuscito a legare il guinzaglio al collare del cane, ha estratto la pistola e la sta puntando all’animale tra il fuggi fuggi generale. I casi sono due: o il vigile assiste bimbi e accompagnatori con il colpo in canna o è convinto che il cane possa intimidirsi per una pistola puntata contro di lui credendola carica. Forse sono queste le cosiddette scacciacani, armi finte che le punti alle belve e loro si ammansiscono. Ma non credo. O semplicemente il vigile con la pistola in mano, anche se scarica, si sente più forte. L’agente e il pitbull ingaggiano un balletto, non saprei dire quale dei due fa più ridere. Finché arrivano i rinforzi, in borghese tanto che non si capisce a quale corpo appartengano, forse sono soltanto due amici degli animali randagi, qualche associazione che se ne prende cura. Il più giovane con estrema rapidità aggancia il guinzaglio, lega il cane e assicura l’altra l’estremità alla ringhiera. Gli spettatori cominciano a defluire, i bambini si precipitano a raccontare ai compagni usciti dopo di avere visto da vicino una pistola vera.

log on, fuck off

Standard

L’Internet che tra le tante cose è anche un gran bel modo per instaurare e tessere rapporti umani, è anche un canale in cui i suddetti rapporti nati lì o sorti altrove ma nutriti nel “cloud” a certo punto puff, svaniscono. E non c’è niente di più semplice dal momento che i fraintendimenti sono all’ordine del giorno, non c’è faccina didascalica che tenga. La parola resta, lì nera su bianco (ma anche di un qualunque colore su un qualunque colore di sfondo, siamo tutti un po’ art director di noi stessi) e ha il significato che il lettore le attribuisce come gli pare e piace. Non vi è corrispondenza biunivoca con lo scrivente, almeno non di default, dipende da millemila fattori non ultimi l’acume di chi legge, la sua capacità di mettere in relazione ciò che ha ricevuto con l’indole di chi sta comunicando, i refusi stessi. Un “non” dimenticato, come la più celebre omissione di Riccardo Silva raccontata da Saramago, e il danno è compiuto. Chiaro che se due si sono conosciuti solo attraverso il browser, la carenza di intimità visuale rende ancora tutto più difficile e l’equivoco è costantemente in agguato, è difficile sgamare uno che fa finta, anche con Firefox. Questa è, da sempre, la chiave di lettura del comportamento in rete, rapporti che per taluni, sottoscritto compreso, ormai per forza di cose costituiscono la totalità dei contatti quotidiani a parte i familiari stretti. Non so come sia per i nativi digitali. Ma per le generazioni protagoniste di questa regressione sociale, la possibilità di far sparire qualcuno spegnendo semplicemente un dispositivo rimane comunque un insuperabile potere che conserva intatta la sua aura prodigiosa.

piano pianissimo

Standard

Non è per niente male l’ultimo lavoro di Meshell Ndegeocello, intitolato “Weather”, segnalatomi da una delle mie principali pusher di materiale d’ascolto. Colpiscono soprattutto, oltre la traccia qui sotto, alcuni brani di una lentezza travolgente, cose al limite della suonabilità soprattutto per chi sta dietro ai tamburi che mi hanno riportato alla mente un gioco per addetti ai lavori. Un nonsense per musicisti stolti che consisteva nel rallentare a bpm impossibili canzoni già di per sé estreme per la loro staticità, una su tutte la cover – da eseguire a scopi mercenari, a sottolineare il fatto che altrimenti mai e poi mai avrei pensato di suonarla – di una ballad come “If you don’t know me by now” dei Simply Red, la cui esecuzione poteva anche protrarsi per pomeriggi interi, interrompersi alla fine delle prove per essere poi ripresa all’appuntamento successivo. Tornando a noi, “Rapid fire”, che linko in calce a questa segnalazione comprensiva di amarcord, è senza dubbio l’episodio più originale della tracklist dell’album.

che tempi

Standard

Di là due bimbe giocano inventandosi sceneggiature usando l’imperfetto. Facciamo che la giraffa era bellissima e la zebra e la cavalla svenivano dallo stupore. Ora si rincorrevano perché arrivava un cacciatore e loro scappavano perché conoscevano un rifugio segreto. Quando cresceranno, mancano solo pochi anni per essere considerate grandi a tutti gli effetti, adotteranno il presente e sarà il tempo che utilizzeranno fino alla nausea. Una sequenza infinita di oggi, che non nego sia persino faticosa a tratti, salite interminabili per arrivare a sera, a volte per passare indenni la notte, ma molto più spesso da trascorrere a stringere gli occhi perché c’è addirittura troppa luce e a bearsi delle farfalle nello stomaco. Poi l’eccesso porta a saturazione e la tendenza si inverte, c’è spazio finalmente anche per il passato, prossimo e remoto, che si manifesta nei momenti più impensati, per esempio vestito da infermiera che fa capolino dalla porta del laboratorio di radiologia in cui tua zia sta per fare una panoramica dentale e tu sei lì che le fai da accompagnatore e ci mancherebbe, ha ottantanove anni. Così resta il futuro, da produrre sotto forma di aneddoti che talvolta nascono così, da due bimbe che giocano di là.

affetto e affettato

Standard

Gli individui manifestano il volersi bene nei modi in cui sono capaci, anche attraverso gesti talvolta deleteri. Non so, penso ai racconti di casi limite come le percosse tra le mura domestiche, gente che dice di amarsi anche così ma nessuno poi per fortuna ci crede. Altri, laddove sono carenti nel supporto psicologico, inteso anche come un semplice far sapere agli altri che sono lì, intervengono attraverso palliativi materiali se ritengono le parole inadeguate o didascaliche a rimarcare una condizione di rapporto con il prossimo più volte attestata, come se pronunciarle fosse un segno di debolezza o un inutile bizantinismo. Per non parlare del contatto fisico. Così capita che uno si trovi l’auto del ritorno a casa, dopo una visita a parenti molto stretti, magari gli anziani genitori stessi, piena di generi alimentari. Pandolce per tutta la famiglia, chili di focaccia con cui stipare il freezer, qualche bottiglia di vino, pasta fresca ripiena locale in quantità industriale, gli avanzi del menu che non si è riusciti a gustare del tutto per non mettersi in viaggio subito dopo troppo a pancia piena e così via. Che poi uno è abituato a mangiare poco per via del lavoro che fa e del tenore di vita stesso, a pranzo un po’ di frutta per non crollare davanti al pc e alla sera si arriva tardi a casa e non è che ci si mette ad allestire cene luculliane, quindi scambierebbe volentieri la metà di quelle potenziali calorie in sentimento standard.

the rythm of the night

Standard

Il monopolio dell’informazione locale è suddiviso tra due quotidiani semi-nazionali che dedicano al territorio alcune pagine interne differenziandole per l’area di distribuzione. Gli abitanti della provincia scelgono quale acquistare anche a seconda del loro orientamento geografico di riferimento. Mi spiego. Chi è più incline a un’ottica regionale legge il quotidiano A, edito nel capoluogo. Ma nella provincia non sono poche le rivalità storiche e culturali tra le città, quindi piuttosto che leggere le notizie relative al capoluogo inviso sono in molti ad acquistare il quotidiano B, edito nel capoluogo di una regione confinante che però ha geograficamente un canale economico e turistico da sempre con la città in questione. Ma la sostanza non cambia: il tenore delle notizie è quello che è, potete immaginare, soprattutto nella sezione spettacoli.

Che poi il problema non è certo quello della testata, né la colpa è dei giornalisti. È che da quelle parti, da sempre, non c’è mai nulla di interessante da fare, e quello che i più volenterosi riescono a organizzare è talmente off da non rientrare in nessuna categoria, quindi difficilmente divulgabile alla massa e non riportato dalla stampa. Il fatto che i più giovani si rompano le scatole è un annoso problema, che un tempo si risolveva con artifici di varia intensità latori di oblio o, nella migliore delle ipotesi, cambiando aria. Oggi non so, ma non credo la situazione sia molto differente.

Tornando ai giornali, da sempre, o almeno dalla nascita delle sale da ballo, i titoli a sei colonne del venerdì e del sabato sono sempre gli stessi, su entrambi i quotidiani. “Venerdì tra dance e ritmi latini”. “La notte della dance commerciale”. “A tutta disco-music. Il suono della trasgressione è house”. Segue l’elenco dei locali in un vorticoso copia e incolla che si ripete oramai da decenni. Cambiano nomi perché cambiano le gestioni, ma la sostanza rimane la stessa. Gli occhielli degli articoli sono imperdibili. “La notte: si balla sulle piste della Kascia, dell’Alborada, dell’Essaouira, del Porto, della Nuit. Per chi ama i ritmi latini appuntamento all’Aegua. Al Buga Buga “Let’s Funky” con hits dagli anni 70″. E a testimoniare che da quelle parti ci si diverte sul serio, le pagine intere dedicate ai programmi organizzati dai ritrovi sono corredate solitamente da una foto ripresa in uno dei templi del divertimento, bella gente immortalata mentre manifesta le vibrazioni della serata. I gesti del feeling. Così gli abitanti del luogo, chi è lì in vacanza, chi ritorna a trovare i genitori anziani, la mattina apre le pagine della cronaca locale sorseggiando un caffè, vede la foto e pensa che sia davvero un peccato non poter rimanere lì, quella sera, e unirsi a loro.

nuove forme di colonialismo culturale

Standard

Qualcuno poi mi spiega per cortesia il fenomeno delle telenovelas sudamericane per adolescenti? Le compagne di classe di mia figlia sembrano non veder altro in tv. Ma che gli passa per la testa ai genitori?