doppia matrimoniale

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Era la mattina in cui ci siamo svegliati ed eravamo in guerra, dall’albergo dove avevamo passato la notte si sentivano chiari e forti gli spari e le esplosioni, anche se lontane. Mi hai detto che sarebbe stato meglio raccogliere le nostre cose e andare via da lì, da quel piano alto e dalla periferia, probabilmente se c’è la guerra passerà proprio da qui per spostarsi nel centro della città. Era la seconda volta che dormivamo insieme, ci conoscevamo da nemmeno un mese e tu dovevi rientrare in Italia la sera stessa. I tuoi colleghi erano nell’altro hotel, quello per i turisti in centro, ti chiedevi se era meglio tornare laggiù, altrimenti si sarebbero preoccupati e temevi anche per la loro incolumità se si fossero mossi per cercarti. Che ne sarà di noi, ci siamo detti. Che ne sarà di me, ho pensato. Ti ho detto di no, non era il caso, a piedi sarei riuscita a rincasare senza pericoli. Nessuno sapeva che guerra fosse, chi combatteva, a malapena conoscevamo i nostri nemici, la guerra quando è civile è nelle strade, è la guerra della gente e non degli eserciti. Ma poi a uscire da lì nessuno dei due ha avuto il coraggio. In reception c’eravamo solo noi e il padrone dell’albergo, nessuno sapeva che fare, fuori c’era il deserto attraversato da mezzi blindati della polizia. Così hai deciso di chiamare l’altro hotel per sapere come era la situazione. Stavano caricando le borse sul pulmann per partire subito, scortàti. Hai detto a loro di passare di lì, che nessuno avrebbe potuto immaginare il rapido decorso degli eventi. E hai pensato a me, ma io non pensavo a nulla. Anzi, pensavo a tutto ma non c’era scelta. Sarebbe stato difficile salire sul pullman e restare insieme, sarebbe stato difficile lasciarci lì senza sapere se ci saremmo più rivisti.

captatio benevolentiae

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Volevo solo scrivere che da quando ho messo su questo rotocalco di scritti posticipati ho scoperto e riscoperto un sacco di gente interessante. Alcuni commentano, altri laicano compulsivamente su Facebook, altri ritumblerano, o commentano su fifì, o si manifestano nei luoghi e interstizi del web più improbabili. Insomma, un piccolo tributo a chi ho ritrovato, a chi ho conosciuto e non conoscevo prima, a chi mi legge e anche a chi, quando mi capita di incontrare per lavoro o anche solo al telefono, dice di seguirmi sempre e di leggermi con piacere. Ma il piacere è tutto mio.

l’uomo del pan di stelle

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per un soffio

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Scopro che mia mamma è informatissima su quel che è successo a Cassano. Non mi sorprende: mia mamma è informatissima su tutti gli argomenti del momento perché come molti suoi coetanei si aggiorna con il tg1, la cronaca locale dei quotidiani del posto e i tabloid straripanti di gossip che i quotidiani del posto soventemente danno in allegato o con qualche centesimo in più. Quindi è perfettamente allineata sulle notizie tra la cronaca e il costume, più costume che cronaca, i casi umani nazionalpopolari che si gonfiano di dettagli ogni giorno, storie vere che possono piacere a tutti, e così via. Per non parlare della cronaca nera, ma non tanto la cronaca brutale, voglio dire i fattacci truci e sanguinolenti attirano i morbosi tout court. Mia mamma ha invece questa capacità di assimilare tutte le microtragedie, anche quelle al limite della leggenda metropolitana, le fa proprie per poi esemplificare a suo modo qualunque argomento o aneddoto si stia trattando con lei. Faccio un esempio. Parlando della vacanza sulle Dolomiti e delle scarpinate in cui mia figlia ha dimostrato una buona resistenza malgrado la giovanissima età, lei può interromperti per raccontarti di quella famigliola che qualche giorno prima è caduta in una voragine o è stata travolta da una valanga e sono morti tutti. Oppure se le racconti dell’amico a cui la zia ha elargito un prestito per estinguere il mutuo e svincolarsi dai tassi delle banche, ti racconta degli strozzini che hanno spinto al suicidio quel padre di famiglia, l’hanno detto anche alla tv, quindi mi suggerisce di avvertire la persona che è stata oggetto di cotanta buona sorte di stare con gli occhi ben aperti. Forse è solo un po’ di depressione, o forse è un modo per giustificare il disinteresse a tutto il resto a cui le persone di mezza età non hanno più voglia di interessarsi, fatta eccezione per le sciure prezzolate dal padrone del partito che per un gettone presenza in più si fanno fotografare in piazza contro i nemici della libertà. Ecco, in questo caso mi racconterebbe dell’ipnotizzatore imbonitore che convince gli anziani a versare a suo favore l’intera pensione o a recarsi in banca per poi farsi intestare dalle vittime i risparmi di una vita.

Ma, per tornare a noi, sono certo che mia madre non avesse mai sentito nominare Cassano in precedenza, non la biasimo, a dir la verità nemmeno io. Sta di fatto che ne avranno parlato tutti i tg all’ora di cena, magari ci sarà stato un speciale su Elisir e il gioco è fatto. Poi però, scendendo nei dettagli, al telefono mi confessa che ha seguito molto la vicenda perché suo figlio, ovvero il vostro plus1gmt, in età prepuberale era stato sottoposto a una serie di esami e visite specialistiche per un sintomo analogo, che poi era stato smentito e la cosa, per fortuna, aveva avuto come conseguenze solo un po’ di spavento per tutti e, aspetto assai più grave almeno per me, la fine anticipata del campionato di mini-basket. Ti ricordi vero?, mi dice al telefono. E, non so perché, la cosa mi mette in imbarazzo tanto quanto i collegamenti macabri di cui sopra, mi viene subito voglia di avviare la conversazione verso il termine. Io e Cassano: mal comune mezzo gaudio? Già, e mi chiedo se sia più preoccupata per me o per un normalissimo attaccante del Milan.

nella stessa barca

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Per quel che mi ricordo della Liguria, diciamo che me la ricordo piuttosto bene perché sono nato e cresciuto laggiù, e soprattutto di Genova in cui ho abitato per un po’, c’è quella sensazione di equilibrio precario che non ti abbandona mai. Poi se ti abitui ad avere sempre i due piedi allo stesso livello e a comodità come la raccolta differenziata all’interno dei cortili, passare in autostrada a ridosso degli edifici costruiti in salita ti sembra l’ennesimo film in 3D al multisala. Li guardi e ti gira un po’ la testa e pensi ai capogiri di chi ci abita dentro. Ma non è solo quello. Prova a salire a monte, arrivi in cima e ti senti in una vignetta di Mordillo, c’era persino una canzone di Max Manfredi che raccontava di chi fa la pipì sulle alture e in mezzo minuto si inquina il mare. Ti cade il pallone giù e non lo trovi più. Arrivi in costa sull’appennino e ti coglie l’effetto da montagne russe. Si tratta di una città, e non è l’unica, costruita per altre epoche, quelle in cui esistevano ancora le mezze stagioni e il clima era un altro, e anche sufficientemente consolidato. Oggi passare sotto quell’enorme ziqqurat urbanistico mi dà l’impressione che crolli da un momento all’altro. E comunque non c’è più lo spazio per nulla, in Liguria, figuriamoci per le piogge copiose che oramai da dieci anni fiaccano con regolarità l’autunno rivierasco, ma ogni volta è sempre come la prima volta e che ci volete fare. Non si può ricostruire Genova, non si possono radere al suolo i quartieri appesi sulla cima. Si può cambiare la Liguria, si devono cambiare i Liguri? No, non ce n’è bisogno. Vedendo una delle strade sommerse di fango delle Cinque Terre, notando l’insegna di un albergo che sembra non esserci più, mi sono chiesto quanto costasse lì la pensione completa in alta stagione e il livello del servizio fornito.

critica della ragion sociale

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Un giorno siamo un’agenzia di comunicazione, quello successivo un’agenzia di supporto marketing, quello dopo ancora il dipartimento interno dell’azienda cliente. Siamo un’agenzia di comunicazione quando il lavoro serve per la mattina successiva e occorre ingegnarsi per trovare l’idea creativa – almeno tre proposte – quindi aspettare l’ok che arriva nel tardo pomeriggio, poco prima della deadline, e inevitabilmente si fa sera. I creativi siete voi, ci dicono, sbizzarritevi pure con le idee folli, stupiteci. Il problema, come potete immaginare, è che un brief  alle 11 del mattino per una pagina pubblicitaria da preparare entro le 18 non è che consenta chissà quale processo creativo. Diciamo che ce la caviamo sempre, anche se sul filo del rasoio, il rischio è il nostro mestiere. Siamo invece un’agenzia di supporto marketing quando c’è tutto il tempo per pensare alla campagna di comunicazione figa, quella che va anche sui social media, quella con i video virali, peccato che in quel caso di tutta la parte a monte spesso non siamo incaricati. Ci rimangono le briciole, che ne so il video da comprimere nel formato adatto da fare subito, la traduzione da fare per il giorno stesso, l’e-messaging da preparare asap. Ma il bello viene quando siamo indicati come il dipartimento interno, partecipiamo alle riunioni con i vertici, coordiniamo fornitori e agenzie concorrenti in quanto profondamente esperti delle linee guida marketing dei clienti. I progetti che scaturiscono con la nostra fondamentale esperienza vengono poi assegnati ad altri, quelli che svilupperanno le campagne fighe per le quali faremo supporto marketing. Fino a quando mancherà un qualcosa di cui ci si accorgerà il giorno prima della deadline e che ci verrà richiesto con urgenza entro la sera stessa. D’altronde, quel giorno, saremo un’agenzia di comunicazione.

gotye – smoke and mirrors

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punto, set e partita

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– Eh.
– Prego?
– No dico, eh…
– Scusi ma non capisco…
– Eh, certo che è stato un bel match.
– Ah… sa non seguo granché il calcio, a quale partita si riferisce? Ne parlano lì sul giornale che sta leggendo?
– Eh, ha tenuto in scacco un avversario così per tutto il tempo.
– Ma chi?
– Poi quando ha fatto roteare la racchetta, sembrava un cartone animato, uno di Tom e Jerry.
– Racchetta? Scusi, pensavo si riferisse a…
– Vedi, lo scrivono anche qui. Se ti prendi gioco così di un avversario molto più forte di te, fai vedere che non lo temi, quello poi si innervosisce e va a finire che sbaglia.
– Si ma…
– Poi quando ha battuto da sotto, come i ragazzini che prendono le lezioni di tennis, lì ho capito che ce l’avrebbe fatta.
– Tennis? Sarà una vita che non vedo un incontro di tennis in tv, non so nemmeno se i canali pubblici li trasmettono ancora, un tempo…
– Io ho inteso che si è innervosito e a quel punto non c’è stata più partita. Vedi, Lendl sarà anche un grande campione, ma quel Chang lì lo ha messo in ridicolo davanti a tutti.
– Lendl? Chang? Ma sta parlando del Roland Garros? Quella finale di non so quanti anni fa, almeno venti se non ricordo male? L’avevo vista anche io, ma come mai ne parlano…
– Scusi, sono arrivato, arrivederci, scendo qui.
– Ehi ma…
– Grande match, non c’è dubbio, grande match. La saluto.

oscuro sarcasmo anche fuori dalla classe

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Camminare con la musica in cuffia è un’azione che un tempo si faceva esclusivamente con un dispositivo chiamato appunto walkman, oggi bla bla bla e non è il caso che stia qui a elencare i riproduttori audio in commercio né a perdermi in un elogio di questo o quest’altro e la poesia delle cassette che ho già trattato altrove e così via. Comunque converrete con me che, anche se si è grandicelli, considerarsi all’interno di un videoclip, con la colonna sonora in linea con quanto si vede intorno, è un gioco piuttosto divertente. Al contrario, non vi è mai successo di assistere a momenti molto simili a scene di video musicali famosi, ma non avete con voi il pezzo in questione o siete sprovvisti del tutto di un lettore mp3 portatile? Non che questo sia un grave problema, voglio dire, c’è ben altro di cui rammaricarsi di questi tempi. Ma, per farla breve, c’è un liceo proprio qui di fronte, quando esco per il pranzo suona la campanella e centinaia di ragazzi si riversano fuori al termine delle lezioni. Mi ritrovo a passare in mezzo a una fiumana di entusiasmo giovanile in fuga verso le rispettive abitazioni, io sono in senso contrario quindi mi capita di fronteggiare gruppetti che non ne vogliono sapere di essere separati da un impiegato di mezza età, così mi faccio da parte senza problemi. Ma non è questo il punto. Ogni volta in cui mi accorgo di essere lì in mezzo, mi viene in mente un video celeberrimo verso il termine del quale, proprio sotto un indimenticabile solo di chitarra di David Gilmour, il cameraman riprende un gruppo di studenti scorrere verso si sé. Due ragazze camminano con passo spedito e chiacchierano, una di esse si accorge della telecamera e avvisa la sua amica afferrandole il braccio e facendo un’espressione di sorpresa e un sorriso. Giovani di un’altra nazione e di altri tempi. Chissà che ne è stato di quelle due amiche. Ecco, io mi aspetto una reazione simile, io che mi avvio verso il bar nella folla, due ragazze che camminano in senso opposto colgono la citazione a cui sto pensando e ripetono gli stessi gesti di quei pochi secondi di Another brick in the wall. Rendendomi felice.

a rigor di logica

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Gli sms a volte sono uno scambio di colpi a tennis, quelli fatti per riscaldamento prima della partita. Una specie di legge di Newton, e a essere precisi mi riferisco a quella che stabilisce che per ogni azione esista una reazione uguale e contraria. Per questo a me piace interrompere la sequenza di risposte per primo con frasi amichevoli e gioviali che comunque lasciano intendere il commiato, uno se è intelligente ne approfitta e non risponde più, perché gli ho appena offerto su un piatto d’argento la scusa per interrompere i singulti di conversazione, lo lascio libero di intendere che può anche chiudere qui, glielo scrivo tra le righe. E a chi non coglie l’opportunità di sfruttare le mie smanie autosacrificali ma rilancia, poi a me viene da salire di livello, mi sembra poco cortese troncare sul primo tempo supplementare, preferisco dare l’assist per il golden gol, si dice così vero? Anzi, faccio il portiere e lascio la porta sguarnita. Segna, portati a casa questo trofeo e finiamola qui, che il tennis tutto sommato lo reggo, ma di calcio purtroppo non me ne intendo.