da che parte stai?

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Uno degli aspetti più interessanti della musica degli anni ottanta è che, a differenza di quanto accaduto nelle altre decadi, essa costituisce un macro-genere a sé, e tutti i generi nella loro accezione tradizionale vi si sono adattati. Questo dimostra quanto lo stile di quegli anni sia stato forte e condizionante su tutto il resto, e probabilmente il fatto che abbiamo iniziato a sentirne la mancanza già dal primo gennaio del novanta significa che – ci piaccia o no – gli ottanta comunque ci hanno influenzato pesantemente. Di esempi ne possiamo fare a tonnellate e vanno dall’hard rock e heavy metal (pensate agli Europe o a cose meno ibride come i Mötley Crüe), al reggae (senza tirare in ballo la deriva pop degli UB40 sentitevi “Steppin Out” degli Steel Pulse), per non parlare del soul-funk (mi viene in mente “Word up” dei Cameo), l’hip-hop e il rap (Afrika Bambaataa) fino al rock in generale e a tutta la musica elettronica, disco compresa, che negli 80 ha dato il meglio di sé. La riflessione che si apre è che la musica degli anni ottanta sia stata un unico e gigantesco polpettone pop e che artisti e cantanti di quegli anni fossero unicamente presi dalla smania di raggiungere il mercato, che nella storia della musica non è mai stato così ampio e sconfinato, anche per i numerosi sconvolgimenti politici e sociali dell’epoca. Come a dire che tutti, dal più impegnato al più scanzonato, abbiano fatto a gara a essere il più commerciale possibile, che poi non c’è niente di male, eh. Tutto questo perché ieri sera, quando ho sentito questo pezzo, ho pensato che non sentivo nominare i Matt Bianco credo dall’estate dell’esame di maturità, e in tutta onestà avrei tirato avanti ancora un po’ nello stesso stato di oblio.

la vera storia del patto di Varsavia

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Tra le reliquie dell’ex Unione Sovietica che noi occidentali comunisti e post-tali abbiamo fatto a gara per accaparrarci prima e dopo l’89, oltre agli obiettivi e le lenti per macchine fotografiche leggendarie, telescopi, cianfrusaglie varie, prodotti di un dubbio artigianato locale, matrioske e orologi con il quadrante a ventiquattr’ore o recanti l’effigie dei padri della rivoluzione russa, il tutto acquistato a cifre già da mercatino dell’antiquariato alle bancarelle abusive nelle piazzole delle strade provinciali, spiccano certi sintetizzatori autoctoni con tanto di scritte in cirillico che nulla hanno da invidiare ai più blasonati Moog o ai vari strumenti analogici dell’industria musicale oltre-cortina. Almeno questa è l’idea che mi sono fatto io leggendo qua e là nei forum dedicati ai tastieristi e dopo aver seguito alcuni tutorial di pessima qualità video ma dai contenuti convincenti su Youtube. So solo che quello che Salvatore ha nel suo studio di registrazione casalingo se lo è procurato molto prima che Internet cominciasse a dettare l’agenda dei gusti della gente e diventasse un vero e proprio trendsetter.

Salvatore era in pianta stabile all’ARCI, e attraverso canali di contatto ovest-est nati prima che cadesse il muro, si era organizzato un mini-tour su misura per il suo quartetto fusion in Polonia. Una manciata di date in posti sconosciuti della capitale in forma di prestazione gratuita, se non qualche contatto per dormire la notte e scroccare i pasti in una terra di conquista nuova e pullulante di affamati di scambi culturali con l’Europa del Patto Atlantico. Il synth si chiama Polivoks e l’aveva pagato due lire da un tizio che con la roba sovietica, invece, non voleva più avere a che fare e chissà come rosica del fatto di aver praticamente regalato a un italiano una rarità che oggi, su e-bay, non la trovi a meno di mille euro.

Ma Salvatore era tornato da Varsavia con ben altri cimeli di quel passato comunista che stava andando in pezzi. Con Felicia o Felizia come credo si pronunci, che si era lasciata abbordare dopo il concerto d’esordio e che aveva poi seguito il gruppo per il resto di quella specie di vacanza polacca facendo a Salvatore e ai suoi compari anche un po’ da guida, non aveva pensato di rimanere in contatto ma comunque, in cambio della cortesia e di quanto consumato tra le lenzuola, si era sentito in dovere di lasciarle il suo recapito. Così, qualche mese dopo, Felicia o Felizia come credo si pronunci gli si era presentata in casa (Salvatore viveva ancora con mamma e papà) e per fortuna non era nulla di grave come si potrebbe pensare. Non c’era alcun danno a cui riparare o promesse da mantenere, se non la voglia di vedere l’Italia anche se in uno dei posti più sfigati della penisola.

In realtà poi Felicia, o Felizia come credo si pronunci, in quella settimana della riviera ligure non ha visto nulla. A nemmeno ventiquattr’ore dall’arrivo e dopo aver disfatto la valigia nella camera degli ospiti di Salvatore si era beccata un’influenza di quelle con febbre a quaranta che ha imposto un cambio di programma per entrambi. Niente stemperamento della sua presenza grazie alla compagnia, che poi magari sarebbe riuscito anche a smollare Felicia o Felizia come si pronuncia a qualcun altro. Niente visite guidate alla zona in modo da aver qualcosa da fare e di cui parlare (in inglese, of course). Niente di niente se non stare in casa con una malata, guardare la tv in italiano, ascoltare musica e dedicarsi alla conversazione forzata. Niente sesso. Questo il primo giorno. Il secondo. Il terzo. Poi Salvatore ha iniziato a lasciarla sola in casa con i suoi genitori, la febbre ci ha messo un po’ a scendere ma la barriera linguistica aveva accelerato la fine degli argomenti di conversazione già dopo qualche ora.

Di tutta questa storia resta solo la mia invidia per il Polivoks, anche se so che quando si guasta poi trovare ricambi o farlo aggiustare è quasi impossibile. I miei cimeli dell’URSS si riducono a un paio di spillette di Lenin e vario materiale di propaganda raccolto durante la visita a un mercantile sovietico ai tempi delle elementari, con i marinai che guardavano a noi bambini con quell’appetito che è diventato proverbiale e con lo stesso con cui Felicia o Felizia come si pronuncia aveva osservato quel poco di Italia prima di ammalarsi. Allo stesso modo sono convinto che l’odore dell’Unione Sovietica fosse lo stesso che ho sentito lungo gli stretti corridoi di quella nave, mentre in un linguaggio di una difficoltà che non ha confronti qualcuno che non ricordo bene mi stringeva la mano e mi appuntava una stella rossa sul bavero della giacca blu.

doppia coppia

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Lorenzo ha quel programma per il Commodore in cui scrivi delle parole e quello con una voce robotica le ripete per filo e per segno. Ha affinato persino la tecnica affinché il risultato sia il più verosimile possibile, raddoppiando o triplicando certe lettere o dilatando le sillabe in modo che la pronuncia digitale americana del computer sia più somigliante a quella italiana e l’effetto Kraftwerk fai-da-te più esilarante. Dopo due o tre parolacce abbastanza scontate scrive “andiamo di là a scopare?”. Antonella sembra ridere della cosa ma non accetta subito l’invito perché è fatta così. Anche a me spiace un po’ perché se non lasciano libero lo studio in casa di Lorenzo per accomodarsi in camera da letto non posso rimanere solo con la sua amica e magari fare lo stesso. Lorenzo è più che benestante e l’estate scorsa, prima di partire per una vacanza in Grecia come premio di una maturità pagata fior di quattrini in una scuola privata, ha messo al corrente Antonella della sua attrazione, dicendole di pensarci in modo da fargli avere una risposta al suo rientro. Lorenzo ora fa il primo anno di Economia e gestisce i rapporti interpersonali come atti di compravendita, ma forse è lui che ha capito prima di tutti come si fa per avere successo. Secondo me è solo l’ennesima conferma che con i soldi è tutto più facile ma non lo dico perché è inutile fare l’originale con i miei ascolti e la mia pettinatura da Depeche Mode e poi formulare considerazioni così scontate. Il gruppo è ben assortito se pensate che Antonella invece è la bellona della scuola – a differenza di Lorenzo siamo tutti ancora alle superiori e Antonella è in classe con me – e quando passiamo tutti e quattro in macchina per il centro risponde provocando con lo sguardo gli uomini più maturi. Io glielo faccio notare perché Lorenzo mi è simpatico e sarà pure scaltro ma non ha mica capito come funziona con le ragazze troppo appariscenti e non contano nulla fattori come l’età, il reddito, l’avere l’automobile e i genitori che ti lasciano la casa libera ogni fine-settimana per andare a sciare. Chiude il quartetto Simona che è diversissima da me ma ci siamo già baciati una volta a una festa. Simona è la vera outsider ed è amica di Antonella, a cui probabilmente piaceva l’idea di una uscita in quattro, so che ha gusti musicali davvero confusi, che sua madre fa la parrucchiera in casa e che suo padre è un craxiano di ferro. Beviamo ancora un po’ di Lancers che con il Mateus e la vodka alla pesca sembra essere la bevanda ufficiale degli anni 80. Io non me ne intendo e lo trovo dozzinale, preferisco di gran lunga la birra o al limite il gin tonic, ma non mi permetto di intavolare discussioni sui gusti delle persone abbienti, poi però Antonella finalmente si lascia convincere e così posso provare a darmi da fare pure io, anche se non vi nascondo che un giro sul Commodore prima me lo farei volentieri.

quel pop new wave da serie C

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C’è poi la serie C composta da un unico girone in cui militavano tutte quelle band e artisti che erano a metà tra la new wave e il pop, anzi più verso il pop che la new wave, comunque composta da teste di serie di tutto rispetto che erano gli OMD, i Propaganda, gli Human League, i Talk Talk, i Visage, i Tears for Fears, i Blancmange, Lloyd Cole, i Big Country, i The Cult e tutta quella roba lì che passava a Deejay Television. Per la cronaca, mentre la serie A potete immaginare da chi fosse frequentata, in serie B militavano quelli subito sotto ai grandi campioni, roba comunque di tutto rispetto del calibro di Echo and the Bunnymen, Chamaleons, Soft Cell e Comsat Angels. In serie C invece rientrano quelli che, alla peggio, ti alzavi dai divanetti e li ballavi perché comunque sempre meglio dei Modern Talking o di Tracy Spencer e di tutta la merda italodisco che non ho mai capito perché tutti, poi, l’abbiano additata come un prodotto originale come quelle scarpe che oggi esportiamo in tutto il mondo e che rendono milioni di persone inscopabili a livello globale.

Erano comunque cantanti che tutto sommato nei video accennavano movenze un po’ dark e sulle riviste commerciali erano già considerati ampiamente alternativi e al terzo White Lady la soglia critica scendeva sempre, irrimediabilmente, quindi si riempiva la pista. Ma, come potete immaginare, per chi aveva il potere di giocarsi fuoriclasse di altri pianeti come Polyrock, Durutti Column, Tuxedomoon, The Sound, Clock DVA o Suicide o, comunque, sintonizzarsi su prodotti più facilmente e oggettivamente categorizzabili come Joy Division, The Cure e Bauhaus ma sempre di qualità eccelsa, ballare i ritmi ordinari di brani piuttosto commerciali costituiva una pratica da seguire in modo distratto, come un virtuoso abituato a Rachmaninov approccia una sonatina in do maggiore di Muzio Clementi. Sigaretta in mano e consumazione dall’altra, la passione per le atmosfere cupe doveva esser giustamente impiegata proporzionalmente al livello di impatto emotivo del sonoro sullo stato d’animo.

Poi sapete come è andata a finire, il tempo dilata qualsiasi ricordo e oggi certi ascolti se li filano in pochi mentre le mezze calzette delle riviste patinate sono finite nel calderone della memoria collettiva a simboleggiare un periodo e una scala di valori di giudizio che, se avete vissuto quegli anni perché ci siete cresciuti, come me, allora erano assolutamente rigidi. In serie C c’erano per esempio anche gli Eurythmics, che a me al terzo pezzo già mi annoiavano pur essendo sempre tra le prime tracce delle compilation ufficiali per nostalgici (che poi trovo che farsi preparare compilation da altri al di fuori di me un abominio). Un po’ troppo pretenziosi, nevvero? Piuttosto ben vengano gli Heaven 17, eleganti, con quelle belle pettinature e direttamente da Sheffield che, ricordiamolo, doveva essere un bel concentrato di british sound tra la fine dei 70 e i primi 80. Oltre al celeberrimo “Let me go”, che nelle versioni extended play riuscivi ad ascoltarlo anche per venti minuti senza dare di matto, a me piaceva molto questo pezzo qui. Anche per la vocalist, se ve la devo dire tutta.

one hundred shots 80

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Ecco le 100 migliori canzoni degli anni 80 secondo il NME. Quelle commentate sono quelle che non metterei nemmeno nelle prime 1.000.000. Tutte le altre meriterebbero una bella rimescolata, e al primo posto si nota la mancanza di “Love like blood” dei Killing Joke.

100. Paul Simon – “Graceland”
99. The Clash – “Straight To Hell”
98. Dead Or Alive – “You Spin Me Round (Like A Record)”
97. Pixies – “Where Is My Mind?”
96. OMD – “Enola Gay”
95. Elvis Costello – “Shipbuilding”
//94. Starship – “Nothing’s Gonna Stop Us Now”
93. The Clash – “Should I Stay Or Should I Go”
92. Fleetwood Mac – “Everywhere”
91. INXS – “Need You Tonight”
90. Primal Scream – “Velocity Girl
//89. Lil Louis – “French Kiss”
88. Bruce Springsteen – “Atlantic City”
87. Blondie – “Atomic”
86. Madness – “House Of Fun”
//85. Womack & Womack – “Teardrops”
84. Soft Cell – “Tainted Love”
83. James – “Sit Down”
82. The Stone Roses – “She Bangs The Drums”
//81. Van Halen – “Jump”
80. S’Express – “Theme From S’Express”
79. Cyndi Lauper – “Time After Time”
78. Faith No More – “We Care A Lot”
77. De La Soul – “The Magic Number”
76. Simple Minds – “Don’t You (Forget About Me)”
75. Dead Kennedys – “Too Drunk To Fuck”
74. Orange Juice – “Rip It Up”
73. The Fall – “Hit The North”
72. The Clash – “Rock The Casbah”
71. Queen & David Bowie – “Under Pressure”
70. Talking Heads – “Road To Nowhere”
//69. Metallica – “Master Of Puppets”
68. Sonic Youth – “Teen Age Riot”
67. Duran Duran – “Rio”
66. U2 – “With Or Without You”
//65. Melle Mel – “White Lines (Don’t Don’t Do It)”
64. Nirvana – “About A Girl”
63. Depeche Mode – “Never Let Me Down Again”
62. Sundays – “Can’t Be Sure”
61. The Waterboys – “Whole Of The Moon”
//60. Guns N’ Roses – “Sweet Child O’ Mine”
//59. Iron Maiden – “Run To The Hills”
58. Bomb The Bass – “Beat Dis”
57. Psychedelic Furs – “Pretty In Pink”
56. Soul II Soul – “Back To Life”
55. 808 State – “Pacific State”
54. Frankie Goes To Hollywood – “Two Tribes”
53. The Cure – “Just Like Heaven”
52. Bruce Springsteen – “The River”
51. The Jam – “Going Underground”
50. MARRS – “Pump Up The Volume”
49. My Bloody Valentine – “You Made Me Realise”
48. Prince – “Sign ‘O’ The Times”
47. Grace Jones – “Pull Up To The Bumper”
46. Pixies – “Monkey Gone To Heaven”
//45. Don Henley – “The Boys Of Summer”
44. Morrissey – “Everyday Is Like Sunday”
43. Kate Bush – “Hounds Of Love”
42. Cameo – “Word Up”
41. Dexys Midnight Runners – “Come On Eileen”
40. Happy Mondays – “Hallejulah”
39. Echo And The Bunnymen – “The Killing Moon”
38. Run DMC – “Walk This Way”
//37. AC/DC – “Back In Black”
36. R.E.M. – “The One I Love”
35. NWA – “Straight Outta Compton”
34. The Smiths – “There Is A Light That Never Goes Out”
//33. Madonna – “Like A Prayer”
32. The Stone Roses – “Made Of Stone”
31. New Order – “Temptation”
30. Pet Shop Boys – “What Have I Done To Deserve This?”
29. The Jam – “That’s Entertainment”
28. Sugarcubes – “Birthday”
27. The Pogues – “Fairytale Of New York”
26. David Bowie – “Ashes To Ashes”
25. Public Enemy – “Don’t Believe The Hype”
24. The Jesus And Mary Chain – “Just Like Honey”
23. Nick Cave And The Bad Seeds – “The Mercy Seat”
22. Dinosaur Jr – “Freak Scene”
21. This Mortal Coil – “Song To The Siren”
20. Salt N’ Pepa – “Push It”
19. Joy Division – “Atmosphere”
//18. Michael Jackson – “Billie Jean”
//17. Bon Jovi – “Livin’ On A Prayer”
16. Pixies – “Debaser”
15. Pet Shop Boys – “It’s A Sin”
14. The Smiths – “This Charming Man”
13. The Jesus And Mary Chain – “April Skies”
12. The Stone Roses – “Fools Gold”
11. Human League – “Love Action (I Believe In Love)”
10. Eric B. & Rakim – “Paid In Full”
09. New Order – “Bizarre Love Triangle”
08. The Cure – “In Between Days”
//07. Neneh Cherry – “Buffalo Stance”
06. Prince – “When Doves Cry”
05. The Specials – “Ghost Town”
04. Talking Heads – “Once In A Lifetime”
03. The Smiths – “How Soon Is Now”
02. Joy Division – “Love Will Tear Us Apart”
01. New Order – “Blue Monday”

ritorno al futuro

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L’aspetto che mi piace di meno dei ricordi delle storie d’amore – è già la seconda che mi capita a tiro nel giro di due giorni – o delle semplici avventure che sento narrare dalle persone che più o meno hanno la mia età, imprese ambientate ai tempi della loro gioventù e che era anche la mia, è che spesso hanno come colonna sonora o canzone di riferimento pezzi anni 80 ma di quelli che dovrebbero già essere morti e sepolti e che invece, vuoi per la mania del trash, vuoi per tutte le operazioni nostalgia che si sono ripetute in seguito, alla fine siamo ancora qui a parlarne e non è così raro accendere la radio, in qualunque momento della giornata, fare un po’ di zapping tra i canali e sbatterci il muso. La tesi di fondo, come ho avuto più volte modo di argomentare in questo spazio, è che a furia di vagare nel nulla oramai siamo spinti a considerare tutto quello composto all’epoca delle giacche spencer vere chicche artistiche, e allo stesso tempo si giunge a una sintesi in cui Simon Le Bon appartiene a una stessa categoria di Adrian Borland, per esempio, quando invece erano celebrità di riferimento di target agli antipodi e la sola idea mi fa rabbrividire. Quindi vengo a sapere di feste in cui lui nota i capelli vaporosi di lei sulle note di Broken wings dei Mr. Mister, o che gente del calibro dei Cock Robin ha unito coppie sopravvissute fino ad ora, malgrado abbiano danzato la prima volta l’una di fronte all’altro guardandosi negli occhi e mormorando insieme “remember the promise you made”. Fossi in loro non andrei a raccontarlo così in giro.

prove tecniche di riflusso

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Siamo la prima orda di invasioni barbariche. Ho la primissima percezione di questo mentre, appoggiato al quadro svedese della palestra del liceo, seguo – cerco di seguire – il dibattito tra gli schieramenti dei collettivi scolastici. L’assemblea di istituto è gremita, il giorno dopo ritaglierò la foto sul quotidiano locale; ma già è evidente la nuance di impegno che dal rosso scarlatto dei veterani delle quinte porta al punto interrogativo rosa pallido su campo bianco dei novizi delle prime. L’attività del servizio d’ordine interno, dai fasti delle spedizioni antifasciste è declassata a requisire carte da gioco, cubi di Rubik insoluti e rudimentali battaglie navali. Davanti a me due compagni di classe si lasciano andare limonando abbracciati. Seguo sbigottito la querelle tra due diciottenni sui punti di rottura tra anarchia e comunismo. Dal fondo della palestra partono fischi, qualcuno distribuisce volantini dell’autonomia.

Lì ti osservo. Sembri uscita da una foto in bianco e nero di Tano D’Amico, un’istantanea rubata ad una manifestazione di gioiosa protesta di metà anni ’70. Non ancora settantasette, ma già libera dagli schemi post-rivoluzionari del ’68. Sei una femminista che non sa di esserlo. Ti immagino seduta sui banchi della facoltà, mentre elabori con la tua coscienza critica il messaggio politico di un intervento durante un’assemblea. Il tutto si manifesta nel tuo sguardo acuto che si focalizza in un punto definito. La risoluzione del problema. Ancora una foto, aspetta. Con il pugno alzato scandisci slogan di libertà con il sorriso, non hai una pettinatura, non hai un look. Sei un progetto con una lunga sciarpa a bande bicolori, grigio chiaro e grigio scuro. Un progetto vivente.

Hai una borsa di corda a tracolla, abbassi il pugno e torni a reggere lo striscione che porti con le tue compagne, tutte poco più che ventenni ma di quei vent’anni di allora, che nessuno riesce a rappresentare nemmeno nei film. I registi, specie quelli italiani che vogliono raccontare le Brigate Rosse, hanno la memoria estetica edulcorata dai luoghi comuni, ma non sarebbe un’impresa facile comunque. Le facce stesse sono diverse. Non so dove collocare lo spartiacque. Va da sé che da allora le espressioni del viso si sono involute. Lo stupore non esiste più. Per non parlare del fisico. Allora nessun corpo era modellato dal fitness, la meccanica applicata all’esercizio fisico, atleti d’allevamento. Al massimo canottaggio. La muscolatura era innata come genetica la magrezza. La moda era attillata perché non esistevano i pettorali a mezzaluna se non al circo. E io penso che mio padre ha da poco acquistato la tv a colori, e chissà dove faremo la gita.