il futuro non è scritto perché se lo fosse ne leggeremmo solo il titolo

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In questo intervento-marchettone a un evento Konica Minolta tenutosi a fine marzo a Berlino, Douglas Coupland ha parlato della sua specialità, e cioè tecnologia in salsa di futuro, dicendo che fino a poco tempo fa il futuro era qualcosa che avevamo davanti e che abbiamo anticipato e anche temuto. Poi da qualche parte la linea del presente si è fusa con il futuro tanto che oggi stiamo vivendo all’interno del futuro, 24 ore al giorno per sette giorni su sette, quello che l’autore di JPod chiama il super-futuro.

La cosa sconcertante di questo che invece altri hanno chiamato “l’eterno presente che capire non sai”, il cui terreno di gioco è principalmente digitale, è che c’è troppo contenuto e non abbastanza persone che lo leggano. Un aspetto che ha dell’incredibile: nel super-futuro la presunzione di essere persone interessanti è a pieno regime ma è il contesto a essere illusorio. L’era digitale è una truffa fatta e finita, siamo gente da quattro soldi tanto quanto le comparse del Pinocchio di Comencini. L’hanno trasmesso qualche giorno fa su uno dei canali culturali di punta della RAI, quei pochi che ti rendono orgogliosi di pagare il canone, e l’universo immaginifico di quel grande regista rimane imbattuto in quanto a futuribilità al contrario, passatemi il termine. Se ai tempi in cui è vissuto il più celebre burattino animato di legno ci fosse stata la tv e i telegiornali probabilmente oggi youtube sarebbe piena di scorci di poveracci, gente vestita con stracci, contadini affamati, operai costretti a condizioni sub-umane, tanta ignoranza e cose così. La nostra miseria umana emerge soprattutto da quanto mettiamo in secondo piano le parole rispetto alla loro rappresentazione in immagine. In questo l’informatica fa da padrona. La tendenza a condividere testo reso immagine sui social è un’efficace metafora dei nostri tempi. Non ci prendiamo nemmeno la briga di esercitare il nostro diritto al copia-incolla sui post con sfondo colorato di Facebook, che oggi spopolano tra i creativi fai da te.

Ma il mio pessimismo cyber-cosmico ha avuto un ripensamento ieri sera. Guidavo e non so su quale stazione radio hanno messo “Il parco della luna” che è un pezzo di Lucio Dalla compreso in quell’album parzialmente omonimo che ad oggi è una delle cose più belle musicali mai realizzate nel nostro paese. Cose che non hanno eguali all’estero e non bisogna per forza essere fan di Dalla per ammettere certe superiorità. Nel super-futuro di Coupland non c’è tempo per leggere tutto. Ci si ferma ai titoli e, nella musica, ci si ferma ai tempi dei radio-edit, al ritmo, ai synth che ti proiettano negli anni 80 quando i cantautori come Dalla erano in crisi, a come suonano le parole ma al loro significato sembra non pensarci più nessuno. Non si spiegherebbero certi successi degli anni dieci, non si spiegherebbe Occidentali’s Karma e tante altre cose. Comunque, per farla breve, guidavo e non so su quale stazione radio hanno messo “Il parco della luna”. Avevo tempo, questo devo ammetterlo, avevo tempo come il genere umano poteva avere tempo prima dell’invenzione dell’Internet, e mi sono soffermato ad ascoltare la storia di Sonni Boi e della sua donna Fortuna. Così mi sono chiesto se valga veramente la pena che le cose cambino, che il genere umano si evolva o involva, e perché Lucio Dalla non sia più con noi a raccontarci storie che sono belle a partire dal titolo che, anzi, ti fanno venire voglia di sapere come vanno a finire, ti fanno venire voglia di sapere cosa c’è tra Ferrara e la luna.

gli italiani lo fanno così così

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Capisco che l’esterofilia fine a se stessa sia scostante, e non vorrei certo sembrarvi antipatico. Anzi. E vi assicuro che mi impegno a seguire il panorama locale in ambito musicale, editoriale e cinematografico. E probabilmente lo farò ancora, anche solo per un briciolo di campanilismo. Ma, diamine, mi cadono sempre più le braccia.

Per farvi un esempio, anzi tre ma partiamo dal primo, fino a qualche anno fa seguivo con acceso interesse la musica italiana, le nuove band e il trend del momento, affidandomi soprattutto ai principali siti specializzati, come quelli che organizzano i festival dei baci e degli abbracci. Il motivo? Da una parte era il retaggio che mi portavo dietro da sempre, avendo occupato gran parte della mia vita (almeno 30 anni) a suonare in gruppi più o meno underground. Se volete saperne di più, questo blog è pieno di riferimenti alla mia vita precedente, e vi consiglio di iniziare dalla fine di quella esperienza. Seguivo i forum, partecipavo alle discussioni. Ma anche prima di Internet, ho letto e mi sono costantemente tenuto aggiornato, in un percorso che parte dagli Area passando per Diaframma, Litfiba e CCCP, poi svolta con Almamegretta e Casino Royale, sempre dritto per arrivare a Scisma e Subsonica. Ho parcheggiato di fronte agli Offlaga Disco Pax e sono sceso dal mezzo, autoradio alla mano, perché era subentrato nel frattempo il nulla più assoluto.

Più difficile argomentare la mia esterofilia in ambito letterario, sono meno competente (o più cialtrone, dipende dai punti di vista), il campo è oltremodo più vasto, più difficile da conoscere approfonditamente e da valutare. Diciamo che, esaurita la bibliografia del ‘900 italiano, ho perso l’orientamento passando da Pavese, per fare un esempio, a un qualsiasi autore emergente. Le poche volte in cui ho dato un’opportunità a uno scrittore locale (passatemi l’aggettivo), mentre mi si ripresentava a menadito il metro quadrato storico, politico e geografico in cui erano state ambientate le vicende descritte nell’opera di turno, già rimpiangevo la sicurezza dei parametri che utilizzo in fase di scouting di nuovi autori per il mio tempo libero. Ovvero: nati possibilmente tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico (procedendo verso ovest), a nord del Messico e a sud del Canada (con l’eccezione di Coupland e degli autori nati in Alaska), tra il 1900 e il 2011. Un sottoinsieme già di per sé infinito.

Il terzo e ultimo elemento di riflessione riguarda il cinema. Qui converrete con me della difficoltà (mi veniva da scrivere dell’inesistenza, poi ho pensato che sarei risultato antipatico agli estimatori di Moretti, Martone, Costanzo, Sorrentino e Virzì, quei pochi di cui ho seguito l’attività) di mettere insieme un elenco sufficientemente corposo di prodotti di oggettivo valore, se comparati a omologhi lavori indipendenti o no realizzati all’estero. E anche in questo caso non so quanto sia determinante il fatto che altrove il cinema è un’industria mentre da noi è un hobby per figli di papà. Non so se il mio disagio di fronte ai film italiani dipenda dal gap qualitativo tra la recitazione degli attori (e dei loro accenti) e quella dei doppiatori di film stranieri, dalla piccolezza (si dice così) delle storie raccontate, un po’ come avviene per la letteratura, dalla scarsa attendibilità delle facce degli attori, dai registi.

Tutto questo per lanciare un appello: ridatemi speranza. Consigliatemi voi: libri, film e dischi italiani, di cui ne valga la pena.