due o tre cose che vengono in mente dopo i titoli di coda

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Il successo del nuovo film di Sorrentino ha dimostrato come se non ce fosse il bisogno che c’è una sola proiezione possibile ed è quella in avanti, potremmo cioè fornire qui di seguito una efficace sintesi delle tematiche di “Youth” ovvero: giovinezza un cazzo, abbiamo le ore contate, nel peggiore dei casi ti portano i fiori in una struttura per i malati di Alzheimer ma, manco a dirlo, in quel caso difficilmente te ne accorgi. Spero che l’uso del termine proiezione in ambito cinematografico non vi abbia tratto in inganno, questa volta il gioco di parole non c’entra. Ho cercato così in rete alcune alternative alla depressione in cui possiamo incorrere se ottemperiamo a questa prospettiva, fermo restando che il miglior rimedio resta comunque appendere se stessi al chiodo e immolarsi al futuro altrui così ti distrai un po’ (figli, prossimo, cause comuni e, perché no, animali), anche questo è un punto di vista rispettabile. Ma se preferite rimanere nel vostro orticello il primo suggerimento è lasciare il telefono sempre acceso, perché spegnerlo significa perdere delle opportunità, ti chiamano per l’occasione della vita che può riguardare la sfera personale o professionale e magari lo fanno da un fuso orario sfavorevole per noi, com’è il dollaro oggi. Tu dormi e quelli dall’altro capo della linea sentono che al momento non sei raggiungibile, così chiamano senza pensarci su quello dopo nella lista e ciao. Si tratta di un caso differente dal classico “un produttore viene a sentirmi per caso mentre canto le mie canzoni al pub sotto casa” o “scrivo cose in Internet e un facoltoso agente letterario mi scopre e mi finanzia il primo romanzo” perché se qualcuno ha il tuo numero vuol dire che cerca proprio te, per questo è meglio stare sempre pronti e indossare biancheria pulita e calzini senza buchi. Senza contare che, per qualsiasi evenienza, vi godrete il lusso di non dover inserire il PIN ogni volta. La seconda alternativa è che se ritenete di aver talmente bisogno di parlare con qualcuno fate prima a inventarvi gente che vi fa domande e a costruirvi dialoghi con i controcazzi. Scambi di opinioni su misura. È una pratica che aiuta. – “Ne sei sicuro?”.

gli italiani lo fanno così così

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Capisco che l’esterofilia fine a se stessa sia scostante, e non vorrei certo sembrarvi antipatico. Anzi. E vi assicuro che mi impegno a seguire il panorama locale in ambito musicale, editoriale e cinematografico. E probabilmente lo farò ancora, anche solo per un briciolo di campanilismo. Ma, diamine, mi cadono sempre più le braccia.

Per farvi un esempio, anzi tre ma partiamo dal primo, fino a qualche anno fa seguivo con acceso interesse la musica italiana, le nuove band e il trend del momento, affidandomi soprattutto ai principali siti specializzati, come quelli che organizzano i festival dei baci e degli abbracci. Il motivo? Da una parte era il retaggio che mi portavo dietro da sempre, avendo occupato gran parte della mia vita (almeno 30 anni) a suonare in gruppi più o meno underground. Se volete saperne di più, questo blog è pieno di riferimenti alla mia vita precedente, e vi consiglio di iniziare dalla fine di quella esperienza. Seguivo i forum, partecipavo alle discussioni. Ma anche prima di Internet, ho letto e mi sono costantemente tenuto aggiornato, in un percorso che parte dagli Area passando per Diaframma, Litfiba e CCCP, poi svolta con Almamegretta e Casino Royale, sempre dritto per arrivare a Scisma e Subsonica. Ho parcheggiato di fronte agli Offlaga Disco Pax e sono sceso dal mezzo, autoradio alla mano, perché era subentrato nel frattempo il nulla più assoluto.

Più difficile argomentare la mia esterofilia in ambito letterario, sono meno competente (o più cialtrone, dipende dai punti di vista), il campo è oltremodo più vasto, più difficile da conoscere approfonditamente e da valutare. Diciamo che, esaurita la bibliografia del ‘900 italiano, ho perso l’orientamento passando da Pavese, per fare un esempio, a un qualsiasi autore emergente. Le poche volte in cui ho dato un’opportunità a uno scrittore locale (passatemi l’aggettivo), mentre mi si ripresentava a menadito il metro quadrato storico, politico e geografico in cui erano state ambientate le vicende descritte nell’opera di turno, già rimpiangevo la sicurezza dei parametri che utilizzo in fase di scouting di nuovi autori per il mio tempo libero. Ovvero: nati possibilmente tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico (procedendo verso ovest), a nord del Messico e a sud del Canada (con l’eccezione di Coupland e degli autori nati in Alaska), tra il 1900 e il 2011. Un sottoinsieme già di per sé infinito.

Il terzo e ultimo elemento di riflessione riguarda il cinema. Qui converrete con me della difficoltà (mi veniva da scrivere dell’inesistenza, poi ho pensato che sarei risultato antipatico agli estimatori di Moretti, Martone, Costanzo, Sorrentino e Virzì, quei pochi di cui ho seguito l’attività) di mettere insieme un elenco sufficientemente corposo di prodotti di oggettivo valore, se comparati a omologhi lavori indipendenti o no realizzati all’estero. E anche in questo caso non so quanto sia determinante il fatto che altrove il cinema è un’industria mentre da noi è un hobby per figli di papà. Non so se il mio disagio di fronte ai film italiani dipenda dal gap qualitativo tra la recitazione degli attori (e dei loro accenti) e quella dei doppiatori di film stranieri, dalla piccolezza (si dice così) delle storie raccontate, un po’ come avviene per la letteratura, dalla scarsa attendibilità delle facce degli attori, dai registi.

Tutto questo per lanciare un appello: ridatemi speranza. Consigliatemi voi: libri, film e dischi italiani, di cui ne valga la pena.