un paio di giorni fa ho letteralmente sbancato l’internet pubblicando su facebook una foto del primo paio di anfibi di mia figlia

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Un paio di giorni fa ho letteralmente sbancato l’Internet pubblicando su Facebook una foto del primo paio di anfibi di mia figlia, o meglio dei piedi di mia figlia con indosso il suo primo paio di anfibi perché sapete che è sempre meglio non mettere online foto in cui i nostri ragazzi minorenni sono riconoscibili. Comunque per la prima volta nella sua vita è uscita di casa con gli anfibi neri. Un bel modello, identico ai Dr. Martens ma non di marca: costano un botto e trovo amorale pagare così tanto per un capo d’abbigliamento che già l’anno prossimo non andrà più bene, ne avevo comunque parzialmente già scritto qui.

Comunque dicevo che per la prima volta nella sua vita ha indossato gli anfibi neri con i leggings neri infilati dentro, così ho fatto la foto prima che uscisse per andare a scuola dalle ginocchia in giù. L’ho messa su Facebook e ho collezionato un bel record di like, secondo solo alla foto dei gatti che sbirciano con un’espressione super-interessata che cosa c’è di buono in tavola.

Io però ho messo il like agli anfibi neri indosso alle femmine tante volte nella mia vita, anche prima di Facebook e addirittura quando Internet come la conosciamo noi non era ancora stata inventata. Sapete quelli che vanno in fissa con le scarpe con i tacchi o gli stivaloni che si inerpicano sulle cosce delle donne. Io da sempre ho un debole per le ragazze con gli anfibi perché non lo so, il perché. Forse quel rapporto di volumi tra pianta e polpaccio o magari una innata attrazione per la donna autoritaria, d’altronde gli anfibi sono le calzature militari per eccellenza. Gli anfibi con i jeans e il risvolto, gli anfibi con i leggings o quelli che una volta si chiamavano panta-qualcosa o per i francofoni i fuseaux. Per non parlare degli anfibi con il calzettone nero che spunta fin sotto al ginocchio e il collant nero e la gonna a portafoglio poco sopra il ginocchio e una giacca di pelle. Combinazioni con gli anfibi per l’utenza femminile ce ne sono a tonnellate e posso confermare che mi vanno tutte a genio.

Una donna con gli anfibi deve avere a fianco un uomo con gli anfibi, giusto? E se già pensavate di candidarvi, mi spiace deludervi ma da questo punto di vista oltre a essere innocuo devo dire che ho perso un po’ di smalto. Trascorrere otto ore in ufficio con i piedi stretti negli anfibi non fa più tanto per me, oramai a quasi cinquant’anni la pianta ha preso la forma delle Clarks e non si può più tornare ai fasti degli anfibi di una volta.

Ma non ho nessun rimpianto. I miei piedi ne hanno viste tante, così gli anfibi me li tengo per quando piove a dirotto o nevica oppure per le grandi occasioni. Spero infatti di poter accompagnare mia figlia da qualche parte, ora che ha gli anfibi nuovi di zecca, anzi, il suo primo paio di anfibi neri. Quando succederà indosserò il mio paio di Dr. Martens numero 45 e mezzo e mi fotograferò a fianco a lei, padre e figlia ripresi dalle ginocchia in giù, due cuori e due paia di anfibi, e sono sicuro che farò ancora più like della foto dei gatti che si vede che stanno per saltare sul tavolo per vedere se c’è qualcosa di buono.

se non hai i soldi almeno tramanda ai tuoi figli il meglio di te

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La recrudescenza del fenomeno di certe band che proprio non ne vogliono sapere di cambiare mestiere e che, di riffa o di raffa, tra uno scioglimento o uno che se ne va e poi ritorna comunque continuano a sformare dischi con più o meno assiduità da trenta, quaranta e, ma mi pare sia un caso unico, cinquant’anni, ha anche i suoi lati positivi. Caterina e Matteo di anni ne hanno poco meno di venti e si sono conosciuti sotto il palco di un concerto di un gruppo che, quando sono nati, era già in piena parabola discendente. Matteo è un fan fidelizzatissimo e con lo stesso atteggiamento nerd che contraddistingue quelli della sua generazione. Ha tutti i cd ma poi si è ricomprato tutti i vinili e, se la tecnologia glielo consentisse, acquisterebbe anche le cassette originali. Alimenta un canale su youtube in cui ha raccolto tutte le testimonianze video disponibili in rete, partecipa attivamente a forum e alle numerosissime pagine Facebook dei tipi come lui e così via. Anche Caterina è sul pezzo, non con questa metodicità ma con analoga serietà. Conosce molti dei testi delle loro canzoni a memoria, non è una sprovveduta in fatto di aneddoti sui membri della band e non è certo la prima volta che spende fior di quattrini per un loro concerto.

Caterina e Matteo vivono a una ventina di km di distanza e non si erano mai incontrati fino a quando, davanti alle transenne oltre le quali accedono solo gli addetti alla sicurezza, i fotografi, gli spettatori che si sentono male per il caldo e i paraculi, sono stati compressi dalla ressa e si sono trovati appiccicati in una posizione così intima che sarebbe stato un vero peccato non sfruttare. La loro – diciamo – storia d’amore è ancora acerba e quindi c’è ben poco da scrivere, ma c’è di più. Parlando delle reciproche vite viene fuori che la mamma di Matteo e il papà di Caterina erano amici ai tempi dell’università. Il fatto che entrambi amassero lo stesso complesso che ora è seguito dai figli è un dettaglio che potete considerare un’ovvietà, d’altronde da qualcuno dovevano pur prendere. Ma il bello è che i due genitori ai tempi avessero flirtato senza concludere, e se ci aggiungete che oggi sono separati e liberi sentimentalmente potete immaginare come va a finire la storia.

Questa cosa che unisce musiche, destini e passioni e le convoglia alla faccia delle barbarie e degli scempi che il tempo esercita sulle persone la trovo veramente poetica e, per dirvi quanto, sappiate che ho rinunciato a una metafora più prosaica per rappresentare il concetto. Mi stavo immaginando infatti questi fattori (musiche, destini e passioni) come cavi che, per puro scopo protettivo, vengono inseriti in canaline per tutto il percorso della storia fino a destinazione, come si fa per i cablaggi degli impianti e per fare ordine nelle connessioni, ma poi ho pensato che così avrei rovinato tutto. Faccio quindi solo un cenno a una cosa in tema che è capitata anche a me. Lo scorso sabato mia figlia ha voluto, come calzature per affrontare la stagione a venire, il suo primo paio di anfibi neri, e vi giuro che né mia moglie né il sottoscritto ne abbiamo caldeggiato la scelta. Se ci aggiungete il fatto che il suo look sta virando sempre più verso il nero potete avere un assaggio del mio stato d’animo. Da una parte c’è il cieco orgoglio di aver trasferito certe caratteristiche (completamente inutili per una realizzazione personale adulta, sia chiaro) senza il minimo sforzo educativo, voglio dire non è che a cinquant’anni vado in giro ancora conciato come Robert Smith, quindi si tratta di un’esigenza di espressione della sua personalità tutto sommato genuina. Dall’altra c’è il timore che poi questo vezzo nell’abbigliamento alla lunga non solo porti alla nausea del nero (a me era successo proprio questo) ma complichi anche i criteri di apprezzamento cromatico e non solo per quel che riguarda pantaloni o giacche o scarpe. Ma ogni tanto tutti noi subiamo qualche rigurgito che chissà da dove viene. Di questi tempi, in cui Dr. Martens alte e basse e persino le Creeper sono tornate prepotentemente alla ribalta (pur avulse del significato culturale che avevano quando le indossavamo noi), vederne il tripudio in tutte le vetrine dei negozi di scarpe mi ha fatto venire un certo languorino.

il sabato è un giorno tutto sottosopra

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Da quanto papà non c’è più, mamma non è più a suo agio con i fine-settimana. Se le dici che è bello perché è sabato ci tiene a farti sapere che no, che il sabato è una giornata inconcludente e scombussolata per trascorrere la quale non ha mai programmi. Tenete conto che i suoi punti di riferimento sono far la spesa nei negozi sotto casa la mattina e, quando capita, sbrigare qualche commissione: mamma è in pensione dal 97. Il pomeriggio lo trascorre in casa, tra qualche faccenda domestica, un libro, la settimana enigmistica, un po’ di televisione, una telefonata. Ma la spesa la fa anche al sabato, alcuni negozi oramai aprono anche di domenica, le attività pomeridiane sono le stesse sia nei giorni festivi che in quelli feriali, ne risulta che il fine-settimana altro non è che un fattore mentale. Ci sono quelli che patiscono il weekend perché, per esempio fuori dal lavoro, non si sentono a proprio agio nella loro vita privata o semplicemente non accettano la solitudine. Non è il caso di mia mamma, per la quale apparentemente non c’è discontinuità temporale nella piccola distanza. Ci sono le stagioni differenti. Ci sono (purtroppo) gli anni. Ma il suo ieri, l’oggi e il domani sono intercambiabili se non per una visita medica, una commissione, un appuntamento dal dentista. Non ho idea se sia la vedovanza la causa di questo appiattimento. Nel dubbio non so mai se condividere con lei certi episodi che mi vengono in mente su papà anche perché ho l’impressione che eccezion fatta per una library ben consolidata di ricordi sia refrattaria ad apportare modifiche all’idea che le è rimasta di suo marito. Mio papà, per dire, mi aveva accompagnato in autobus fino all’abitazione del mio insegnante di pianoforte qualche giorno prima della prima lezione. Si tratta di un episodio che mi è tornato in mente qualche giorno fa. Glielo avevo chiesto io perché non avevo mai preso un autobus da solo, anche se avevo già 12 anni, e volevo che mi insegnasse la strada a partire dalla fermata giusta fino al suo portone. Ho preso poi lezioni di piano per molti anni e per molti anni ho fatto quel percorso da solo. Una volta, ero un po’ più grande, non volevo suonare il citofono per salire dal maestro di piano finché non fossero scomparsi i segni della delusione dalla mia faccia di adolescente. Una ragazza che mi piaceva tantissimo si era innamorata di un mio amico, che non aveva esitato a ricambiarla. A così tanto tempo di distanza ancora oggi penso che non ci sia nulla di più umiliante, per un adolescente. Non so dirvi se poi sono salito a lezione di piano in ritardo o no e che faccia mi era rimasta. Ricordo solo che il sabato successivo l’avevo trascorso con la stessa voglia di cancellare un giorno inconcludente con cui mia mamma, senza che le chieda nulla, oggi mi dice che il sabato è un giorno tutto sottosopra.

quando non c’è più dialogo

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Ho la prova che non siamo stati i soli ad aver sostenuto conversazioni in inglese, talvolta corretto e altre maccheronico ma chi se ne importa, con l’obiettivo di non far capire a nostra figlia di che cosa stavamo parlando. Una tecnica che non conosce uguali ed è per questo che le lingue, comunque, possono tornare utili. Almeno fino a quando poi i bambini crescono, vanno alle medie e imparano l’inglese e a quel punto resta o l’esperanto (che detto tra noi, in confronto ha più diffusione l’alfabeto farfallino) o passare al livello avanzato ma la vedo dura. Il problema è che i figli captano tutto e si fa ancora più serio con un figlio unico. Tra fratelli e sorelle si ride si gioca e si scherza ed è possibile che siano meno propensi a passare il tempo con i genitori. In tre la dinamica non gioca certo a nostro favore, nostro nel senso degli adulti.

Prendete un viaggio in macchina, per esempio. Un qualsiasi viaggio lungo, in cui ci si perde in chiacchiere ma anche in discussioni su temi seri. Se i sedili dietro sono occupati da più ragazzi è facile che sia tutto un susseguirsi di giochi a chi vede più alberi, più animali o più lavavetri, ma anche solo cantare come si faceva quando ero bambino io. “Va pensiero” o “Samarcanda” di Vecchioni e persino “Quel mazzolin di fiori” nella versione classica o in quella con la strofa accelerata (dovrei scrivervi la notazione per farvi capire la differenza ma non ho sottomano un modello per i post con il pentagramma. Hei potrebbe essere un’idea, no? Anziché scrivere parole scrivere note e comunicare così). Se invece siete in tre, come siamo noi, bisogna stare attenti, cercare di limitarsi ad argomenti adatti a un preadolescente (nel mio caso), non dire parolacce se possibile, mentre tutto il resto va omesso e l’omissione comunicata al proprio partner con uno sguardo o una smorfia. Evitate di parlare sottovoce, di mascherare commenti piccanti con i finti colpi di tosse o di approfittare di cuffie e auricolari collegati con il loro smartcoso, perché i ragazzi sono più intelligenti e scaltri di noi.

In casa è molto più facile perché qualche escamotage lo si trova sempre, in auto invece è un casino. Devo dire però che nel mio caso il problema non si pone. Mia moglie e mia figlia quando siamo in viaggio si addormentano quasi subito e sono in grado di dormire per ore. Il ritorno a casa alla fine delle ferie, è andato così. È stato come guidare da solo da Cagliari a Golfo Aranci per 350 km e poi da Livorno a Milano. Ogni tanto mi voltavo a vedere se ci fossero margini di risveglio ma niente, ed è a quel punto che mi sono posto la domanda che potete immaginare e vi prego non è il caso che, nei commenti, sottolineiate il fatto che sono uno noioso e che anche voi, piuttosto che leggere, fate finta di dormire.

devono essere popolarissime a scuola, le vostre figlie

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C’era un libro che è transitato in casa dalla biblioteca tra gli ennemila che ho letto a mia figlia prima che cominciasse a trascorrere il tempo a dedicarcisi in autonomia che trattava proprio di questo. Di questo cosa, chiederete voi. Leggete tra le righe delle righe sopra. Detta così ho concentrato in un passaggio alcuni concetti che ci tenevo a trasferirvi, ovvero: ho portato spesso mia figlia in biblioteca, ho passato pomeriggi interi a raccontarle storie con i libri al contrario in modo che potesse vedere sia le illustrazioni che abituarsi a riconoscere le lettere e le parole, a mia figlia piace leggere e ha cominciato molto presto. Quindi alla fine quando si tratta di figli anche ai più moderati come me parte l’embolo della competizione e non ce n’è per nessuno, perché la competitività a cui ci induce la prole altro non è che compiacersi di quanto siamo stati bravi a passar loro i geni giusti e poi a instradarli verso le cose che danno più soddisfazioni per cui il merito è tutto nostro. E questo desiderio di redenzione che mi ha improvvisamente colpito, questa voglia di espiare il peccato che sto per raccontare è forse a sua volta una manifestazione di orgoglio paterno, e forse anticipare una fuoriuscita di orgoglio paterno è a sua volta un modo per mettere le mani avanti e dichiarare la consapevolezza delle potenzialità di mia figlia, e forse ammettere è a un livello superiore un modo per comunicare di sentirsi fortunati e se però vado ancora indietro arrivo nell’iperuranio quindi basta e procediamo con i nudi fatti. Secondo voi un padre ex musicista, oggettivamente competente e dagli ottimi gusti in materia che soddisfazione può trarre se la sua amata undicenne gli chiede di mettere i Nirvana? Il mio ego è tracimato fin su Facebook in cui ho raccontato con una battuta l’aneddoto in questione mettendola però su un piano auto-ironico. Ma sapete come sono i genitori. Al mio status “le parole più belle non sono ti amo ma papà metti i Nirvana” si è scatenata una gara tra padri a chi ha il figlio con i gusti più affini a quelli dei genitori, senza contare che avrei preferito se avesse chiesto un disco di David Bowie o dei Cure ma comunque con i Nirvana, considerando la musica di merda che ascolta, è tutto grasso che cola. Bene. Il primo è uscito commentando che sua figlia gli chiede i Kraftwerk (certo virgola certo) mentre l’altro ha tirato in ballo il solito Mozart che i luoghi più comunissimi sulla psicologia infantile vogliono come fondamentale per sviluppare l’intelligenza dei piccoli addirittura sin dalla pancia. Quindi a fare la gara con la mia piccola fan del grunge c’è una che ascolta un quartetto di ingegneri di Dusseldorf ormai in pensione che salgono sul palco con altrettanti laptop, schiacciano play e poi stanno lì davanti a migliaia di persone che hanno pagato fior di quattrini per sentire della musica registrata, e una che alle medie chiede un compositore di musica classica. Io volevo scrivere in calce a questo contest che la dice lunga sulla genitorialità alle nostre latitudini una cosa tipo “devono essere popolarissime a scuola, le vostre figlie”, ma mia moglie non ha voluto.

genitori apripista, istruzioni per l’uso

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Vi sarete accorti che il vostro esistere purtroppo si snoda sotto l’influsso del prossimo, considerando la natura umana di animale sociale, e che quando il prossimo è una merda è facile che la qualità della vita – per quanto si possa essere impermeabili alle secrezioni fisiologiche – un po’ ne risenta. Questo è uno dei leit motiv di questo e di altri blog, forse perché a noi scribacchini dell’online piace rifugiarci in questo eremo virtuale privo di contraddittori. Quando si hanno dei figli si sommano le teste di cazzo che si vorrebbe eliminare dalla propria vita a quelle che ci piacerebbe si togliessero di torno da quella dei propri ragazzi. Farsi carico di questi oneri è la cosa più naturale del mondo ed è un fardello che hanno anche i genitori meno attenti. C’è un problema, però. Se voglio sbarazzarmi di una persona perché fa gli sgambetti a me quando le condizioni diventano insostenibili posso scegliere di cambiare strada, nel limite del possibile. Darci un taglio, andarmene, decidere di non vederla più, cercare un nuovo lavoro. I figli invece non è che puoi prenderli e spostarli altrove – a meno che la gravità della cosa non lo imponga – perché intanto non sono pacchi postali, poi non è detto che la loro percezione del problema sia la stessa della nostra. Non so quindi come si faccia, ma possiamo metterci comodi e intavolare una discussione.

quelle domeniche da solo in un cortile a passeggiar

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Quando si parla dei ragazzini super-impegnati e sballottati dal corso di fumetto all’allenamento di basket alla lezione di basso tuba non riesco a solidarizzare con i detrattori di questo estremismo pedagogico. Cioè a caldo provo tenerezza per i nostri figli che non hanno mai un momento per potersi annoiare in santa pace come facevamo noi, almeno parlo per me, che poi alla fine non mi annoiavo mai perché qualcosa, anche se in casa da solo – essendo cresciuto in città con entrambi i genitori lavoratori – trovavo sempre di nuovo da fare. E vi assicuro che, almeno prima dei bombardamenti mediatici delle emittenti commerciali, mettersi davanti alla tv dei ragazzi era davvero l’extrema ratio, anche perché mica c’era ancora il telecomando e fare avanti e indietro dal divano al televisore sembrava molto più faticoso che leggere un libro o allestire una guerra con i soldatini Atlantic.

Poi però ci rifletto e tutto sommato i teorici radicali dell’efficientamento infantile che sovra-organizzano il tempo ai ragazzini li capisco, perché alla fine anche noi siamo così. Se vi raccontassi come ha trascorso l’estate mia figlia chiamereste immediatamente il telefono azzurro. Non a caso mia moglie ed io la vediamo un po’ disorientata alla vigilia della ripresa della scuola, anche se ricca di nuove esperienze. Vacanza studio in Inghilterra, campus con la squadra di pallavolo, viaggio a Berlino con la mamma e poi le ferie vere e proprie in Sardegna, il tutto inframezzato dalla partecipazione al campo estivo organizzato dall’oratorio. Insomma, per lei gli ultimi mesi devono essere stati belli impegnativi.

Ma quando incontro chi è rimasto qui, a ciondolare in bici tra la gelateria e i gavettoni degli amici al parchetto con quaranta gradi, in mezzo a quelli più grandicelli già con la sigaretta in bocca in un tripudio di slang, linguaggi coloriti e smartphone con il volume a palla (per quanto può essere a palla il volume di uno smartphone) e le rime di Fabri Fibra o Fedez, sono meno pentito del tour de force a cui abbiamo sottoposto nostra figlia. Mi sono confrontato con altri genitori e, naturalmente, ci sono gli apocalittici e gli integrati anche su questo tema. Da qui, anche se so che è facile ragionare da adulto, penso che se se mia mamma e mio papà avessero fatto lo stesso con me gliene sarei stato grato. Voi che ne pensate?

la vita nelle copertine dei libri

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Se avete abituato i vostri pargoli a leggere libri sin dalla tenera età avrete senz’altro osservato come l’editoria per ragazzi cambi e segua la loro crescita cercando di soddisfarne man mano il gusto, per ovvi scopi di marketing ma non è un aspetto che ci offende più di tanto, a noi puristi della letteratura. Anzi, devo ammettere che le pubblicazioni per le età dai zero a sedici anni tutto sommato sono le più curate, da un mero punto di vista estetico. Motivato come tutti voi a esercitare il diritto di selezione all’ingresso, tuttavia non ho controllato tutto quanto mia figlia ha chiesto di leggere e anzi, negli ultimi anni ho incautamente abbassato la guardia sui contenuti, consentendole maggiore autonomia sulla scelta dei titoli.

Ma, ancora oggi, quando entro in una libreria o mi reco in biblioteca provo un po’ di invidia per la cura con cui si attira l’attenzione dei ragazzi mentre, a noi adulti e vaccinati, si riserva un trattamento standard basato – giustamente – su autori, titoli, copertina e fascetta con endorsement più o meno altisonante per indurci alla scelta. Il punto è proprio questo: la capacità di attrattiva dei libri è inversamente proporzionale all’età a cui sono rivolti, non sembra anche a voi? Questa parabola la possiamo osservare nelle nostre case, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. I nostri figli crescono e le letture si fanno sempre meno colorate e illustrate, questo perché ci saranno studi che provano che più si diventa grandi e più si amano le righe fitte e le edizioni tradizionali, anche perché sarebbe impensabile impaginare un qualsiasi romanzo come un testo qualunque per la pre-adolescenza a meno che non sia pensato in fase di stesura proprio così. Ma ve lo immaginate un Jonathan Franzen che farcisce le sue Correzioni con illustrazioni, iniziali miniate, caratteri a fumetti?

Ecco: nel giro di poco tempo mia figlia ha compiuto proprio questo giro di boa. Prima ha portato a casa dalla biblioteca della scuola qualche testo per le vacanze che, impilato di costa sullo scaffale, si confonde tranquillamente con la narrativa che mia moglie ed io abbiamo scelto da portare in ferie. Stessa altezza, stesso spessore, stessi colori. Dove sono finiti quegli album alti e così pieni di fascino che veniva voglia anche a noi genitori di immergerci nelle storie in essi contenuti? Sembra che tutto, in questa società, sia volutamente indotto a convergere verso un’estetica e un’etica seriosa perché, probabilmente, al netto di tutte le stupidaggini della fanciullezza, nella vita c’è ben poco da scherzare. Oggi poi ho ricevuto dal servizio abbonamenti della Mondadori un’offerta per confermare l’iscrizione a Focus Junior, rivista che mia figlia legge da qualche anno. Mi sono trattenuto dall’acquisto dell’abbonamento per il 2016 perché ho pensato che, sull’onda di tutti i cambiamenti a cui stiamo assistendo, era meglio chiedere prima le sue intenzioni. Provate a indovinare qual è stata la risposta. Un altro pezzo di storia che se ne va, un nuovo capitolo che inizia, nuovi interessi che si fanno spazio nel carattere di una persona che cambia di giorno in giorno.

visto da qui è tutta un’altra cosa

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Certe lenti da presbiopia senile sono utili anche quando si ha difficoltà nel leggere da vicino la nostalgia ancestrale negli occhi delle persone, quel sentimento di rimpianto verso la confort zone per eccellenza che è il guscio della propria famiglia d’origine. Si tratta della storia a cerchi concentrici come nelle sequoie di una vita intera, impressa però con un carattere piccolissimo nell’iride di ognuno di noi e ammetto che se già si fa fatica con i libri, con queste note a margine della personalità umana ci vuole molta perizia per metterle a fuoco e capire che cosa l’animo altrui nasconde. Quando ci siamo sviluppati tra le mura di casa ci sembrava tutto normale, con genitori e fratelli come pressoché unico punto di riferimento da emulare. Il modo in cui gli si vuole bene è molteplice e va oltre il comportamento che i componenti di quelle micro-società adottano nei nostri confronti. Senza tirare in ballo casi limite di violenze fisiche e verbali e di tutta la gamma dei soprusi che si fanno ai più piccoli, pensate a quanto abbiamo amato la nostra famiglia senza pensare che un giorno, quaranta o cinquant’anni più tardi, comparando i comportamenti di mamma e papà con quelli degli altri, qualcuno ci avrebbe dimostrato che siamo cresciuti in mezzo a gente completamente fuori di testa. Ne conosco almeno una decina di nuclei che hanno imposto la loro piccola follia come il naturale divenire delle cose. Fino a quando poi vivere con i genitori distanti, o quando mamma e papà non ci sono più, ci consente alla fine di ripartire da zero per ripercorrere con la lucidità dell’essere adulti quel periodo fondamentale della nostra vita e fare un po’ d’ordine, attività che da grandi o quasi vecchi, fidatevi, riesce molto meglio.

di quando vorresti essere tua figlia ma tua figlia se ne guarda bene di accettare lo scambio

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La stagione in cui i figli hanno una vita palesemente a parte rispetto a quella della famiglia arriva presto. Nel corso dell’infanzia ci sono numerose occasioni in cui sono da soli ma c’è sempre il momento del ricongiungimento. Quando vanno a scuola, quando sono invitati a una festa, quando ottemperano alle loro responsabilità in una squadra sportiva, per esempio, segue la fase in cui le esperienze tornano a essere comuni. Nel più fortunato dei casi addirittura condivise, se avete la fortuna di avere figli che raccontano le proprie cose. Anzi no, scusate, non si tratta di una fortuna bensì di un merito vostro, cari mamme e papà. Avete lavorato sodo ma con profitto prima e ora che i bambini iniziano a essere quasi ragazzi raccogliete i frutti. Ma mi spiace dover dire che essersi impegnati o esser stati presenti talvolta non è sufficiente. Risulta fondamentale infatti la qualità del tempo che avete loro dedicato, la ricchezza di ciò che avete offerto e cose così. Resta il fatto che poi il modo in cui crescono è imprevedibile e magari vi trovate uno sconosciuto per casa malgrado tutto lo sbattimento di darvi la parvenza di essere un genitore modello, non sono pochi questi capovolgimenti di fronte. Per inciso, sappiate che non sono un pedagogista o un esperto di psicologia dell’età evolutiva, ma un papà a cui improvvisamente si è sviluppata una quattordicenne di undici anni in casa, quindi si tratta di un tema su cui non posso essere obiettivo. A me tutto ciò ha determinato appunto l’insorgenza di nuove dinamiche a cui nessuno era abituato e in questi casi c’è poco da dire se non mettersi sulla poltrona della propria vita, che è una metafora che mi sono appena inventato per dire che è il momento di riappropriarsi del proprio tempo tanto c’è ben poco da fare se non monitorare gli sviluppi (mai, dico, mai abbassare la guardia) e aspettare quei dieci barra quindici anni in cui, ormai adulti, si recupera un rapporto che anzi si manifesterà come nuovo di zecca. Nonostante ciò non ho perso la consuetudine di sbirciare nella sua esistenza con quella punta di invidia che ha un vecchio al cospetto di una vita che sta per offrire il meglio di sé, e se è vero che là dentro ci sono cellule il cui archetipo l’ho fornito io mi piace pensare che un po’ dei tumulti e della spensieratezza che mia figlia sta per provare siano sensazioni che potrò condividere anch’io. Mi è sufficiente una piccolissima percentuale, solo lo scarto, d’altronde il corpo umano se è un conduttore di energia elettrica non vedo perché non possa essere anche in grado di trasmettere le emozioni altrui allo stesso modo. Per contatto, quindi abbracciandola che tanto non guasta mai, o anche per il fatto di essere composti in parte della stessa materia prima.