pesci grossi e pesci grossi

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Non è un pesce d’aprile. L’arrivederci di Emilio Fede dal suo scranno sembra l’ultima delle mosse di una strategia un po’ grossolana tra giocatori che giocano forte, un avvertimento tra bulli, il classico stai all’occhio che prima o poi ti aspetto fuori di chi sa di avere ancora il coltello dalla parte del manico. Ma in uno scenario così, come ci immaginiamo sia occupare quelle posizioni di potere in un ambientino da sogno come Mediaset, sembra che i coltelli in mano li abbiano tutti, e per chi è abituato a vivere da squalo in una vasca tra simili la prima regola di questo fight club di colpi bassi è proteggersi dagli squali con cui sei uscito a caccia. Così ci si immagina quali debbano essere i delicati rapporti della banda di potenti che ruota intorno al padrone di casa, non dimentichiamo che per l’entourage più stretto ed esclusivo il capo ha promesso non solo un posto di lavoro e un posto in parlamento ma anche un posto nel mausoleo di famiglia. Ed è sufficiente fare due conti e considerare la facilità con cui sembrano pronti a farsi le creste da migliaia di euro, tra di loro e di nascosto dai propri benefattori, con i vari Lele Mora della situazione. Un clan destinato a implodere in un tragico tutti contro tutti, e tutti pronti a trascinarsi reciprocamente a fondo, a divorarsi a vicenda e a far sparire i resti prima che segreti e malefatte affiorino come boe di segnalazione in superficie.

caro prezzo

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La notizia degli ennesimi aumenti nelle bollette non passa inosservata in casa, ci si raccomanda a vicenda di porre la massima attenzione nei consumi e il riferimento alla luce che alimenta gli elettrodomestici e il gas che consente di cuocere i cibi è una tessera di un puzzle che si completa nel ragionamento di mia figlia. La crisi e la recessione, la Grecia poi la Spagna e dopo l’Italia, sono tutti  concetti vaghi che improvvisamente si concretizzano perché realmente in grado di minare la sicurezza su cui fa affidamento una bambina. La corrente e l’energia si pagano? Sì cara, eccome, e si pagheranno sempre di più. Ma anche la benzina? E la tv? E il telefono? E Internet? L’elenco dei dubbi risolti si fa lungo, la lista delle necessità si spunta ad ogni voce, e a chi ha influenza sul mercato e l’economia solo indirettamente suscita una sorpresa dopo l’altra. Che ingenuità. E tutti i soldi per pagare queste cose dove li prendete, ci chiede alla fine. Così ora anche lei ha ben chiaro che ogni giorno, dopo averla accompagnata a scuola, quell’ufficio in cui passiamo molto del nostro tempo non è un luogo in cui ci rechiamo senza uno scopo. In cambio riceviamo quanto ci serve per tutto, vacanze comprese. I vestiti. I suoi buoni mensa. Tutto. E a quel punto vedo la sua fantasia volare verso un pianeta in cui tutto è gratis e ognuno prende quel che gli serve e basta, e poi me lo dice anche, quanto sarebbe bello se fosse così. E a caldo penso alla perfezione di un paradiso di tal genere, ma poi immagino le code di gente ai distributori di qualsiasi cosa, quelli che prendono per sé e per la cognata e per i nonni, con tre o quattro tessere e le borse da riempire. La calca, la gente che passa davanti e ti scavalca per fare prima e perché teme che le scorte finiscano. Nessun essere umano riuscirebbe a sopportare un sistema economico così complesso e difficile da gestire, questa proprietà indivisa globale, tantomeno dei bambini. Meglio pagare, fidati, e farlo nel modo più illuminato possibile.

una comunità, o meglio un centro di riabilitazione

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L’ultima bussola di Ilvo Diamanti fa il punto su quella che potremmo definire in termini molto generali la galassia Zuckerberg, l’insieme dei mezzi di comunicazione personali che ha dato una seconda possibilità a timidi e sociopatici nell’ampia gamma di disturbi da contatto interpersonale diretto. Dialogare punto-punto o punto-multipunto per interposto dispositivo ha parcellizzato quel tessuto di rapporti che già la televisione aveva disgregato dando il colpo di grazia su quel luogo comune dell’uomo come animale sociale, tantomeno socialista. E mentre mia moglie mi legge l’articolo durante la consueta rassegna stampa da colazione nel dì di festa, con il piglio di chi appartiene al partito degli apocalittici pensando di fare breccia su un tesserato del movimento degli integrati, e penso che dovrei riportarlo in qualche modo qui, rifletto sul fatto che Ilvo Diamanti tutti i torti non li ha, lo condivido in pieno a parte alcuni passaggi intrisi di un trombonismo un po’ matusa. Ma non sarei così manicheo. Tra chi intravede la catastrofe e il bimbominkia affetto da dipendenza questa comunità comprende anche individui intelligenti che usano il mezzo anziché esserne in balia, ora sui due piedi non mi viene nemmeno un esempio da farvi però sono sicuro che là fuori qualcuno c’è.

un segno dei tempi

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Facile il gioco di parole per l’anniversario che si celebra domani, ben 25 anni dall’uscita dell’omonimo doppio LP di Prince, omonimo del titolo di questo post. Non sono il solo a dire che si tratta del migliore album di Prince, altri esagerando un po’ lo hanno eletto a miglior disco della decade, non scherziamo ma comunque si piazza in una posizione piuttosto alta. Il singolo che dà nome all’album è sicuramente un pezzo che mantiene inalterata la sua attualità e lo trovate qui sotto, seguito da una cover dei Simple Minds già in caduta libera che riportiamo alla luce dopo anni di arbitrario oscurantismo. In effetti non regge il confronto. Che tempi.

generazione 4000 euro

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Io non so quanto guadagnate voi, voi non sapete quanto guadagno io. E in genere lo stipendio è un argomento tabù tra colleghi del terziario, le aziende lo considerano un dato sensibile e in grado di generare deleteria solidarietà tra dipendenti – questa è una credenza di un certo buonismo di altri tempi perché semmai al contrario genera invidie e astio – e di incrinare i rapporti tra lavoratori e management. Ognuno entra alle proprie condizioni economiche, non esiste il contratto unico e anche quando si parla del più o del meno, e si tocca l’argomento busta paga e retribuzione, tra colleghi si è sempre oltremodo evasivi, si usano lettere da incognita algebrica al posto dei numeri, si danno cifre esemplificative molto poco plausibili. E si tende al ribasso, comunque. Quindi è già difficile avere elementi di paragone interni, figuriamoci fuori. Pecunia olet. Ma un giorno uno come me riceve un modulo da compilare in cui fornire dati personali tra cui l’indicazione del RAL di riferimento e scopre di aver ricevuto una copia di tale modulo con i campi già compilati. Una persona di dodici anni più giovane di me, che quindi si è laureata almeno dodici anni dopo di me e ha iniziato a lavorare almeno dodici anni dopo di me, e che fa il mio stesso lavoro altrove. Ma il dato eclatante è il gap retributivo, più del doppio a mio sfavore. Il che non significa nulla perché magari questo è il Maradona della comunicazione e vale tanto oro quanto pensa che già solo per averlo scritto così mi meriterei un aumento. Così ho avuto la tentazione di contattare questo professionista, tanto c’erano anche e-mail e telefono, chiedergli cosa fa per guadagnare così tanto e, soprattutto, se ha intenzione di cambiare lavoro, così, in modo del tutto disinteressato. A proposito, avete visto tutti il film “Il cacciatore di teste”?

indovina chi viene a pranzo

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Due signore sono impegnate in una discussione sul fatto che in Italia sia sin troppo semplice distinguere un afro-americano da un africano perché qui le persone “diversamente chiare”, come le definiscono loro per aggirare l’ostacolo della correttezza lessicale ai confini con l’ipocrisia perché il modo con cui lo chiamano dentro di loro stesse traducendo quella locuzione con uno sguardo ammiccante e perfido al contempo fa un rumore più fastidioso di tutto il resto, dicevo qui ingrossano le schiere della povera gente e si riconoscono dall’abbigliamento. Cioè, ed entrano nell’argomento, li vedi per strada e vedi come sono vestiti e capisci subito che non possono essere cittadini statunitensi, turisti, studenti o manager di multinazionali in trasferta o giocatori di basket perché possono essere solo giocatori di basket, o ballerini o rapper o al massimo esponenti di quell’altra categoria, l’unico luogo comune mancante a questa lista meno appariscente senza una osservazione più approfondita. Cioè se vedi un senegalese in tuta che corre non fa jogging, non può farlo con quelle scarpe tarocche, sta semplicemente rischiando di perdere l’autobus.

L’altra, che segue fintamente interessata la dimostrazione della discutibile teoria perché muore dalla voglia di intervenire e dire la sua, sta lì con la bocca semi-aperta per fornire il suo fondamentale contributo. Lo stesso criterio vale per le altre nazionalità, dice. Prendi cinesi e giapponesi. Le cinesi si vestono con le loro cose da cinesi. Le giapponesi sono qui per fare le loro vacanze shopping, possiedono tutte l’iphone e le vedi fare le turiste messe giù in modo provocante, così sostiene il mio ragazzo, aggiunge come inciso, con le mani piene di borse di marche di moda.

I sudamericani no, con quelli non si corre questo rischio, continua la prima. prendi per esempio quelli del San Isidro Volley Club. L’altra la interrompe con un fare interrogativo, evidentemente non capisce di cosa sta parlando l’amica. Il San Isidro Volley Club è un gruppo di famiglie di sudamericani, potrebbero essere del Perù o dell’Ecuador, non li distinguo, che si riunisce ogni domenica in cui c’è bel tempo in un parco vicino a casa mia. Pranzano lì tutti insieme, saranno almeno una cinquantina tra adulti e bambini che ogni domenica di sole fanno un picnic. Poi montano due reti da pallavolo e trascorrono la giornata a giocare, finché non fa buio. Tutto il tempo. E anche loro sono persone semplici, dice proprio così. Non hanno proprio l’indole, ci sono solo loro che vogliono trascorrere i giorni di festa così, come se fosse la cosa più divertente che possono fare.

L’altra vorrebbe giungere a una conclusione, il dehors è pieno e qualcuno potrebbe ascoltare inavvertitamente la conversazione. La tua tesi però non regge, anzi non è proprio una tesi, dice. Anche gli italiani, voglio dire anche gli italiani riconosci a che ceto appartengono dalla qualiltà degli abiti che portano e dalle cose che fanno. Lo sguardo di entrambe si posa sul tavolo da due posti di fronte al loro, dove un tizio tutto trasandato, almeno per i loro standard, riporta velocemente gli occhi giù sulla sua cotoletta, visibilmente in imbarazzo.

mercato quasi palindromo

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Sembra di essere tornati agli albori dei new media quando si faceva tutto con quel poco che era a disposizione, risorse scarse e materiale umano capace e assai motivato, prima che le aziende del settore diventassero miliardarie e comprassero il meglio della tecnologia e i professionisti più competenti per lavorare. Con il tempo le aziende del settore sono state fiaccate dai ripetuti collassi economici e hanno gettato la spugna e lasciato a casa i professionisti più competenti così sembra di essere tornati agli albori dei new media perché si fa tutto con quel poco che c’è a disposizione, risorse scarse e materiale umano scarsamente capace e assai demotivato.

metà e metà

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Non capisco perché sostieni che lo si poteva capire subito che nella vita non sarebbe stato tanto fortunato, anzi tu hai appena usato la parola perdente che non voglio nemmeno ripetere o scrivere qui. Perché non significa nulla e te lo voglio dimostrare. Cosa c’era che non andava? Aveva solo un ritorno dal modo in cui approcciava le cose molto particolare che ne elevava a potenza il grado di complessità, tutto qui, in poche parole gli era tutto difficile. Ma non sono convinto che la responsabilità fosse tutta sua, cioè lui ci metteva tutta la buona volontà ma era lui nel suo insieme che suscitava probabilmente reazioni poco neutrali dall’altra parte, che lo riteneva o troppo stupido o intelligente ai limiti della beatificazione ma ottenendone in cambio un feedback di fastidio analogo. Una banale richiesta di approfondimento dava origine a un battibecco. Nulla di deflagrante, che però se reiterato in un ambiente a frequentazione reciproca assidua come la scuola ledeva i rapporti e il piacere dello scambio di pareri tra esseri viventi. Ecco, forse era quella specie di eccesso in ogni cosa che faceva, preparata al meglio ma che per un motivo o per l’altro al via lievitava come a causa di agenti esterni, un batterio che si insinuava triplicando il volume di un atteggiamento qualsiasi per cui l’entusiasmo era follia, la tristezza era disperazione, la riflessione era trance, ogni cosa il suo estremo, effetti collaterali inclusi.

Ma la tua teoria è comunque interessante quando sostieni che si trattava di una sorta di fenomeno lombrosiano, il fatto cioè che avesse lineamenti così asimmetrici da mettere a disagio chi gli stava intorno, quando poi hai letto da qualche parte che in natura solo chi ha tratti somatici simmetrici ispira fiducia negli altri perché la simmetria è sinonimo sia di equilibrio che di buona salute e quindi di forza, in effetti completava il quadro di un progetto umano difficile perché ostacolato da barriere prossemiche oggettive. Se non ricordo male aveva anche una gamba lievemente più lunga dell’altra. Sembrava proprio che vivesse scomodamente e che questo gli provocasse disagio, come quelli che hanno sempre mal di testa, lui soffriva qualche fastidio di continuo e questo non gli permetteva di avere mai la mente libera completamente e ogni decisione, pensiero e conseguenti parole uscivano sempre con qualche orpello di malessere evidente.

Sei tu che hai mantenuto i contatti e che sai che ora non se la passa per niente bene, la sua vita è stata un lunga serie di episodi tutti dal finale di dubbia interpretabilità, tanto che ciascuna puntata iniziava sempre con qualche strascico di quella precedente non completamente risolta. Ora, intorno ai cinquanta, il bagaglio di insoluti non passa più da nessuna porta, è impossibile da trasportare con qualsiasi mezzo – e se anche ne esistesse uno abbastanza capiente scommetto che non sarebbe in possesso della patente regolamentare per guidarlo – e tu sei giunto alla conclusione che per lui non ci sia altra soluzione che rimanere seduto, immobile senza fare nulla, e aspettare che la realtà da una parte si allinei correttamente con quel lato di sé lievemente non in bolla.

un piano terra-terra

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Alla fine scopri che quelli che fanno lavori pazzeschi e che possono correre rischi non hanno una famiglia da mantenere, non tutti eh ma nella scala sociale mi guardo sopra metaforicamente parlando e trovo, dall’alto verso il piano terra in cui abito, sempre metaforicamente parlando, chi non ha problemi economici e non ha figli, chi non ha problemi economici e ha figli, e chi si mette in gioco perché non vuole avere problemi economici ma ha responsabilità larghe quanto il suo giro vita e intorno non c’è nulla da mettere a repentaglio. Poi c’è anche il seminterrato e le catacombe ma questo è un altro discorso. Perché io ci andrei anche all’arrembaggio ma poi vedo chi ne potrebbe subire le conseguenze in caso di sconfitta e di pareggio, che comunque sarebbe già un successo, perché il corretto flusso delle azioni da intraprendere è mettersi al sicuro e poi fare la famiglia, che è l’impresa più coraggiosa dei tempi che corrono e che cambierà il tessuto sociale nei prossimi decenni con un decremento demografico, perché la prole sarà sempre più un lusso e nei casi in cui la sequenza giusta darà i suoi frutti ci sarà un scarto di almeno tre decenni tra genitori e figli. Quindi incontro gente che entra e che esce – ancora metaforicamente parlando – davvero figa anche sulla quarantina dal profilo professionale mai sentito che se lo può permettere perché a casa non c’è nessuno e nemmeno a scuola o al parchetto con i nonni o con la baby sitter, gli alfieri del personal branding e gli imprenditori di sé e i guru autodiretti. Qui, al livello della strada, guardiamo già con speranza a un domani da custodi dello stabile. Buongiorno dotto’, ha visto che tempo dotto’.

è d’accordo con il gallo quando torna il sole giallo

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Scusate, un’informazione: a che età i bambini iniziano a svegliarsi da soli per prepararsi e andare a scuola? No perché mia figlia la sveglia non la sente affatto, forse dovremmo provare con un altro tipo di suoneria più d’impatto ma non ci sembra nemmeno giusto utilizzare sistemi drastici e invasivi col rischio di provocare ansia già di prima mattina. Così la procedura per muoverla dal letto al tavolo della colazione dura parecchio e consta di una serie di artifizi che ogni volta in casa ci meravigliamo di quanta attenzione ci sia verso i figli, chissà, magari stiamo sbagliando tutto perché otto anni sono già troppi per un comportamento del genere. Le paroline dolci, le canzoncine inventate, fino al solletico nelle parti interne delle braccia, sul collo, sulla schiena. E il solletico è proprio l’arma decisiva perché suscita reazione fisica e la bocca si apre in un sorriso, a quel punto la strada è spianata e basta attirare la sua attenzione con un argomento qualunque – quali biscotti preferisci a colazione, oggi hai ginnastica e dobbiamo mettere la tuta, vieni a vedere i gatti che stanno abbaiando alla cimice sul balcone – e il gioco è fatto. Nel frattempo si è fatto tardi come al solito ma non è che il bagaglio dell’esperienza nel frattempo è cresciuto, domani sarà ancora così e prima del quotidiano rito ci chiederemo di nuovo se non sarebbe sufficiente una sveglia con il classico scampanellio. Ma perché poi negarci il piacere di farle il solletico? Anzi, se sapete a che età i bambini iniziano a svegliarsi da soli per prepararsi e andare a scuola, non ditemelo, grazie.