foodblogger, fate uno sforzo

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Ho visto una foto dell’ennesima tizia con la faccia da duepuntozero che punta l’obiettivo del suo smartcoso al piatto che ha davanti tutto messo in ghingheri, quello che questa società ormai agli sgoccioli chiama porn food, che poi è lo stesso cibo che dopo essere passato dall’azione della ptialina attraverso esofago e tutto l’apparato digerente – nessun tratto escluso – per le dovute procedure del caso si trasforma in un quantitativo al momento dello scatto non ancora quantificabile di merda. Così ho pensato che alla moda di far la foto ai pasti prima, bisogna rispondere con la moda di fare la foto ai pasti dopo.

richieste di amicizia

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Ho le prove per cui il seguente processo:

– noto un conoscente su Facebook che non vedo da secoli
– dopo una lunga riflessione decido comunque di chiedere l’amicizia
– il conoscente che non vedo da secoli accetta immediatamente e avvia una conversazione privata
– al terzo scambio di convenevoli il conoscente mi chiede di vederci una sera per bere una birra
– lasco cadere nel nulla l’invito
– termino la conversazione privata con una scusa
– mi pento di avergli chiesto l’amicizia, malgrado la lunga riflessione

è piuttosto comune.

venti sconosciuti che si fanno un handjob per la prima volta, guarda subito il video

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La regola numero uno nell’Internet e nelle vostre attività di personal branding – chiamiamolo così – sui socialcosi dovrebbe essere quella di controllare bene per filo e per segno quello che state per condividere, verificando che non sia una cosa superata e già ampiamente discussa, non sia una bufala, non sia un trucco, o una notizia priva di fondamento, un articolo dal titolo roboante ma senza contenuti contestuali. Quindi contare fino a venti e a quel punto riconsiderare se ciò che state per postare rientra nei parametri dell’idea che volete che chi vi legge o vi frequenta virtualmente abbia di voi. Se seguite questa procedura chissà quante volte avrete ringraziato quegli attimi di riflessione e quella pastiglia di temperanza il cui effetto è vedere con l’occhio adulto – adulto dal punto di vista della vostra anagrafica sull’Internet – per avervi impedito una figura un po’ così. Ma se della vostra reputazione, come spesso accade e magari è anche giusto, non ve ne può fregare di meno, tanto vale lasciar prevalere la smania dell’arrivare primo, tanto la moltitudine non vi si fila di striscio, se lo fa non legge quello che pubblicate, se vi legge lo fa distrattamente, se lo fa con attenzione non capisce il senso dell’articolo, se lo capisce si ferma al titolo perché è roboante, se non si ferma al titolo e legge tutto con attenzione e voglia di approfondire non rischiate nulla perché si tratta dello zero virgola zero zero zero uno per cento ovvero di quei pochissimi contatti talmente affezionati a voi che si berranno qualunque cosa pubblicherete. Ma nel duemila e quattordici si verificano ancora episodi di clic a cazzo su contenuti costruiti apposta per screditarvi con il prossimo duepuntozero. Magari siete attirati da uno specchietto per le allodole che ha le sembianze di un banner e che riporta una procace quanto disinibita testimonial di non so quale fatto straordinario che stuzzica la vostra ehm diciamo curiosità. Dietro quell’annuncio ovviamente non c’è nulla, al massimo qualche sito che vi promette guadagni facili. Invece la traccia dell’azione che può risultarvi fatale – dal punto di vista della considerazione che gli altri hanno di voi – sarà immediatamente condivisa e visibile a tutti se l’errore che avete appena commesso ha come splendida cornice Facebook, che tutto sommato è il posto dove è più facile perdere il controllo, smarrire la morigeratezza, dare sfogo ai più bassi istinti e decidere del proprio destino. Il mio consiglio, ma sono certo che anche su questo siete sufficientemente responsabili, è quello di seguire la stessa procedura di cui sopra – pensarci bene, contare fino a venti e quindi valutare ancora una o due volte se ne vale davvero la pena – prima di schiacciare qualunque cosa sia visibile e interattiva in una pagina Internet, onde evitare di dover fornire imbarazzanti chiarimenti sulle vostre inclinazioni. E comunque quella del bacio tra gente che non si era mai vista prima era una pubblicità. Vi sta bene.

Internet spiegato a casa, meglio così

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Il caso dell’Internet spiegato ai ragazzi mi sembra più uno dei tanti episodi di scarsa attenzione alle cose che riguardano un’età e un periodo scolastico dei nostri figli molto particolare, che invece dovrebbe al vertice delle nostre priorità ancora prima dell’adolescenza, del cosa gli faccio fare da grande e dell’organizzazione del loro matrimonio. Gli sforzi che dedichiamo alla salute fisica dei bambini dovrebbero corrispondere a un impegno alla tutela della loro crescita intellettiva, emotiva e sentimentale. Non ricordo chi chiedeva provocatoriamente se qualcuno darebbe da mangiare del cibo avariato ai propri figli. Allo stesso modo, dareste loro strumenti di apprendimento scadenti o poco efficaci? Vi propongo però una riflessione. Il divario tecnologico e digitale tra scuola primaria e secondaria e vita privata non è mai stato così ampio, a meno che non abbiate i mezzi per mandare i vostri bambini alle scuole dei ricchi e dei preti. Per dire, qui da me siamo abbastanza messi male con pc di almeno un paio di generazioni prima, disponibilità di LIM per alunno con percentuali vergognosamente inopportune ma anche insegnanti decisamente inadeguati da questo punto di vista. E la descrizione dell’Internet sul libro del 99 proposta ai ragazzi del 2014 è estremamente esemplificativa. Resta il fatto di stabilire in che modo l’Internet deve entrare nelle scuole. Cosa devono fare i ragazzi con la connettività? A cosa serve a loro essere sempre on line anche a scuola, e non solo a casa durante il tempo libero? Internet, da un punto di vista didattico, dev’essere uno strumento e, come tale, dovrebbe essere erogato nel modo meno obsolescente possibile, almeno in un mondo ideale in cui la scuola pubblica ha i soldi per poterselo permettere. Però attenzione perché so già dove si andrà a finire, con tutto questo tecno-entusiasmo. Non dimenticate che le famiglie – quelle italiane, eh – sono pronte ad acquistare qualsiasi dispositivo di nuova generazione e a investire in tecnologia (Internet, telefonia, tv) a scapito di qualsiasi altro bene di necessità e soprattutto lamentandosi ogni anni del costo dei libri di testo dei figli. Ma di questo passo, in un futuro nemmeno troppo lontano, ci sarà solo una materia di studio a scuola, e cioè come utilizzare la rete o quello che ci sarà allora, per accedere all’archivio di dati e informazioni di tutte le materie, dove trovare con il minimo sforzo e il massimo dei risultati tutto quello che ci serve sapere senza imparare, tanto ogni concetto sarà disponibile in tempo reale lì, in quello che nel testo del 99 avevamo definito cyber-spazio. Oggi, e domani lo sara ancora di più, Internet è un bene come la luce e il gas e la benzina, lo diamo per scontato e rimaniamo allibiti quando non c’è, quando non va, quando qualcuno ce ne parla ancora come di una emanazione divina. E non ci sono ore dedicate, a scuola, per insegnare ai ragazzi luce, gas e benzina. Se Internet si riduce all’uso di uno smartcoso, i ragazzi possono tranquillamente impararne l’uso da sé e, in classe, tornare a dare spazio al congiuntivo e alle equazioni.

the great social media swindle

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Al via, tra qualche giorno, la Social Media Week di Milano, un’iniziativa utile a fare il punto sul grande circo social-mediatico e dedicata a tutti gli operatori del settore. Scorrendo il programma, non mancano gli appuntamenti di sicuro interesse per chi ci lavora, per chi vorrebbe lavorarci ma non trova nulla o contratti farlocchi, per chi cerca più elementi per spiegare il lavoro che fa ai propri genitori, per chi coltiva solo il suo brand personale qui sopra, e soprattutto per chi ci vuole far su un po’ di soldi. Io che passo on line un’altissima percentuale del mio tempo, un po’ per lavoro, un po’ per me stesso e un po’ perché comunque molte delle faccende quotidiane devono essere sbrigate passando da qui, non posso  certo dire di considerarmi un apocalittico. Anzi. Quindi non dovete, leggendo il titolo, pensare di trovarvi di fronte all’ennesimo Scalfari della situazione che sostiene che Internet ci rende ignoranti. No. Credo però che prima o poi qualcuno si accorgerà che un po’ la tendenza a suonarcela e a cantarcela in questo ambiente c’è, che a volte gli sforzi per creare l’indotto di un sistema economico sfiorano davvero il paradosso. Insomma, la domanda esiste, probabilmente l’abbiamo favorita di nascosto a scapito della scarsa cultura Internet di certi livelli decisionali, imprenditoriali e istituzionali, ma fino a che punto? Quanti sbocchi ci inventeremo ancora per giustificare una retribuzione? Certo, come abbiamo creato servizi da questa parte del monitor c’è tutto lo spazio per disegnarli di là, ma è solo una questione di spostare le nostre esigenze e la nostra stessa vita su una nuova piattaforma dove ora ci vengono le aziende per stanarci, e non sono sicuro che la dinamica di mia suocera che va a lamentarsi con il fruttivendolo perché gli ha messo una pera un po’ ammaccata al fondo della spesa sia traducibile sulla rete, con gli utenti e le multinazionali su canali social. Giusto comunque spremere finché ce n’è, soprattutto in tempi di catastrofe come questi, dove comunque lavorare seduti e al coperto, magari con una piccola dose di visibilità, è tutto grasso che cola.

chi ha detto che l’agilità dipende dal peso di una persona

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E non mi riferisco a quella bestia di Cappellacci e alla sua eleganza da nutria nell’apostrofare la sua rivale Michela Murgia, voglio dire, ridurre il confronto politico a battute che nemmeno i grillinOH WAIT! No, non volevo parlare di questo, ma del fatto che oggi si sta consumando la “Giornata del Lavoro Agile“, un’iniziativa del Comune di Milano volta a incentivare la filosofia del risparmio di tempo di chi si deve recare in ufficio ma potrebbe lavorare dove preferisce, come il Vostro. E il caso vuole che oggi, giornata del lavoro agile, io sia a casa per motivi meno green e smart. Ieri notte infatti la febbre è salita confermando una versione blanda dell’influenza che c’è in giro e così ho pensato di stare a riposo, ma per modo di dire. Lo sapete che in certi settori professionali mica ci si può permettere di ammalarsi sul serio. Si tratta del solito discorso: la compenetrazione tra privato e professionale è fantastica in ambio lavorativo, perché coltivare la mia presenza personale online anche in orari di ufficio può giovare alla mia professionalità. Il rovescio della medaglia è questo, che poi uno vorrebbe starsene nel letto con il bicchierone di latte e cognac e invece. Ma, considerando la media di volte in cui sono indisposto (per usare un termine di altri tempi) è un contro a cui facilmente ci si abitua. Il vero problema del lavorare da casa semmai è un altro. Le scorte di cibo che ho in casa sono tentacolari, e se vi devo dire la verità, io proprio non so resistere. Da stamattina avrò preso almeno un chilo a furia di snack e spuntini, e non è giusto. Il telelavoro in realtà serve a dimostrare solo l’inferiorità dell’uomo nei confronti della dispensa.

se il web ti dà del lei

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Oramai ci siamo abituati perché da quando c’è Internet la cosa a cui badiamo di meno è il rispetto delle convenzioni. Voglio dire, tra cyberbullismo, stalking sui social network, minacce web, pagine che grondano violenza e odio razziale – tanto quanto la vita reale, eh, è solo che vedere tutte queste nefandezze on demand comodamente seduti sul divano di casa fa ancora una certa impressione – notare il modo in cui l’Internet si rivolge a noi è un po’ una cosa d’altri tempi, quasi ottocentesca. A me piacerebbe per esempio che il web mi desse del lei. Clicchi qui. Accetti le condizioni. Trovi. Condivida. Si iscriva. Faccia log-in. Modifichi le sue informazioni. Si senta fortunato. Scelga le categorie. Oggetti che potrebbero piacerLe, con la elle maiuscola. Scopra l’offerta. Passi al mio contratto. Voi che scrivete i contenuti e progettate siti, guardate che la mia è una buona idea. Diamo una chance alla formalità. Ops, non vedo il tasto “Pubblichi pure il post”. Pazienza. Lasci comunque un commento, grazie.

i no che aiutano a crashare

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Quindi, tutto quello che vi posso offrire è qualche consiglio su come districarvi in questo pianeta tentacolare che è l’Internet a elevato tasso di democratizzazione, che poi il mio suggerimento è evitare di immischiarsi nei fatti degli altri, non cadere nelle tentazioni di discutere, rispettare il prossimo più di quanto già non facciate nella vita reale, ricordarsi di cancellare la cronologia quando visitate siti poco edificanti dal punto di vista della vostra brand reputation soprattutto con i vostri famigliari.

D’altronde, l’impareggiabile vantaggio di praticare la misantropia è che si evitano discussioni. Meno comune è lo schifare la gente su Internet, giacché l’anonimato mette la nostra faccia e i relativi connotati al riparo e ci consente di dismettere le nostre responsabilità in un paio di click. Così è molto più salubre tenersi lontano dai commenti sui siti di informazione compresi quelli che, almeno in teoria, dovrebbero essere meglio frequentati. Starsene alla larga nel senso di non leggerli nemmeno, addirittura fermarsi al titolo delle notizie se le notizie parlano di cose come i morti annegati, fenomeni migratori, primarie PD, manifestazioni di dissenso popolare e cronaca nera tout court.

E mi rivolgo soprattuto a voi a cui interessa il parere della gente. Perché? Perché leggete, elaborate, dissertate e cercate di rispondere e di convincere? Perché vi confrontate lungo i commenti dove vi si lascia spazio apposta per azzuffarvi? Quale interpretazione può esserci oltre il fatto in sé, in tutti questi casi di oggettiva evidenza delll’accaduto?

Non c’è muro di gomma più gommoso di tutto quello che i più fanno rientrare nella categoria dei socialcosi. Date retta ai dummies, quelli veri a forma di manichino, che ci hanno sbattuto la testa. Fermatevi prima di premere l’invio, dite di no alla vostra polemicità, farete del bene a voi stessi.

liturgia della prima domenica di avvento

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Qualche tempo fa, quando è mancato un noto guru della modernità come la intendiamo noi che trascorriamo molte ore qui dietro, ovvero quella fatta di tecnologia, reti intelligenti, socialini e gadgettistica sopraffina dal ciclo di vita illusorio quanto un ghiacciolo quando si ha sete, si è consumato un evento inusitato che ha impartito una lezione a questo mondo fatto di eterni community manager che, non finalizzando per carenza di spazi, risorse e materie prime, utilizzano questo inizio di millennio come un rimessaggio di civiltà in mancanza di meglio. Poi arriva la sciagura che colpisce il malcapitato di turno a ricordare a tutti che si muore anche se rinnega la corporeità, se si è ottimisti sul primato dell’ingegno umano sull’oscurantismo della minoranza scettica di quel terzo di popolazione che ancora non twitta seguendo i programmi tv, se ci si abitua al compiacimento di una fama quantitativa abilitata da strumenti di moda e dall’inclinazione generale a consumare da queste parti il proprio tempo libero.

L’equivoco è stato generato dal fatto che l’Internet è la cosa che assomiglia di più alla vita eterna, in fondo è un mistero molto più di altri portenti che il progresso ci ha regalato. Un’operazione chirurgica in biopsia ha successo solo se chi la esegue ha studiato. Qui no, ci sono cani e porci (annoveratemi pure tra le fila dei cani per incapacità di scrittura o tra i porci per dissolutezza estetica, come preferite) e il caso che muove tutto può essere effettivamente frainteso per un qualcosa di divino e mi sorprende che nessuno se ne sia ancora approfittato.

Quel tecnopensatore a cui ho fatto cenno all’inizio non era già più e ancora venivano pubblicati suoi tweet programmati in precedenza o diffusi inconsapevolmente dai suoi follower. Ditemi se non ha del miracoloso. Questo sistema non è a suo modo una falla per infiltrazioni di sostanza da una dimensione iperuranica? C’è andato vicino Grillo, per esempio, ma ha rovinato tutto perché nel riportare la sua visione sui terreni del reale ha causato per la stragrande maggioranza dei suoi potenziali elettori un corto circuito. Se avesse continuato sull’esoterico avrebbe avuto molto più successo e oggi non potremmo più aprire una qualsiasi pagina di un sito d’informazione senza essere accerchiati dai fanatici squadristi della sua setta. Gente che, morto il router o in un punto qualsiasi affetto da divario digitale, risulterebbe finita quanto frustrata dalla loro dipendenza da connessione continua insoddisfatta.

Probabilmente quello che aspetta gli individui del prossimo secolo sarà un infinito ambiente impalpabile infestato da epifanie di nuove dottrine monoteiste contro le quali nessun anti-virus sarà abbastanza resistente. Questa sarà una nuova chiesa dove ciascun fedele avrà il suo ruolo di raccogliere e divulgare, cosa che si fa già ora ma con evangelizzatori che poi, sorpresi in altri contesti più prosaici, perdono in credibilità. E poi non dimentichiamo che la società in carne e ossa ci deve ancora molto, anche se viviamo in una transizione che ci sta rendendo irriconoscibili ai nostri predecessori, se solo potessero assistere a tutto questo.

Quindi niente, mostrarci accondiscendenti verso strumenti che altro non faranno che accelerare la nostra scomparsa dal pianeta – oltre che la scomparsa del pianeta tout court – non ci rende degni di qualche sconto sul nostro destino. Il solo fatto di impegnarci così tanto in questa redenzione di non so bene cosa non ci dà diritto a nessun privilegio, nessun pass free drink compresi a qualche raduno del jet set duepuntozero, nessuna immunità da epidemie e batteri, tanto meno a una liberazione dal male. Qualunque esso sia.

tutti i limiti della social democrazia

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Se posso darvi un consiglio, fossi in voi farei a meno di ficcare il naso nella vita degli amici dei vostri amici sui socialcosi come Facebook. Correte il rischio che qualcuno della cerchia più stretta dei vostri contatti vi deluda e, come accade a me ogni volta, vi troviate impantanati nella realtà, nel mondo, nel come è la gente, quella stessa che voi avete chiuso fuori dalla porta di casa vostra e che però, malgrado teniate gli occhi ben stretti e tratteniate il naso nei rari momenti in cui siete fuori, esiste, esprime opinioni, opera scelte e soprattutto vota, contribuendo attivamente quindi al destino di voi e dei vostri figli. D’altronde non tutti adottano gli stessi criteri di gestione dei rapporti sui social. Il mio approccio è unicamente di tipo tecnologico, nel senso che ho a disposizione una piattaforma di condivisione contenuti. I rapporti con le persone più vicine sono molto superficiali, perché altrimenti sarebbero ridondanti e ci si ritroverebbe di persona a parlare “della cosa che mi hai postato su Facebook”, per intenderci. Poi ci sono gli amici lontani, con i quali si ha la possibilità di tenersi aggiornati sulla propria vita anche se ci si vede poco. Poi c’è tutto il resto: persone che segui, rapporti casuali, ex compagni dell’asilo, lontani parenti che sono quasi i più estranei di tutti. Ma non è solo questo calderone che può riservare brutte sorprese. Magari il genitore di un compagno di classe dei vostri figli può frequentare uno di quelli che vanno alla sagra degli arrosticini per compiere un attentato ai danni dei carnivori, oppure qualche sprovveduto che non sa che la satira di certi siti – che evito come la peste, eh – sia satira, appunto, e vuole coinvolgerci nell’indignazione popolare. Grazie a una di queste frequentazioni di rimando, in questa dinamica distorta di gradi di separazione, ho scoperto persino un portale che raccoglie solo articoli inerenti malefatte compiute da stranieri in Italia. In generale, a parte la prima cerchia, per dirla alla Google+, per il resto uno dovrebbe tenersi alla larga da nazifascisti, pentastellari, vegani, complottisti e chiunque usi aforismi stampati su jpeg come arma di distruzione di massa. Un approccio utile non tanto a non partecipare a discussioni con una categoria umana distante dal buon senso quanto una colata di magma, ma a non lasciarsi incuriosire dalle boutade di terzi, una conseguenza del mettere in piazza la propria rete di relazioni che, a dirla tutta, non è per nulla vantaggioso. Perché poi vai a curiosare tra i friends altrui e trovi gente che segue portali di ultradestra, militanti delle brigate antika$sta, fan di Gigi D’Alessio o neocatecumenali. Uno dei pochi vantaggi che offre Internet è infatti l’esercitare la misantropia in tutta rilassatezza, costruirsi il proprio mondo alternativo in cui i presuntuosi possano darsele di santa ragione nei recinti insonorizzati che ben ci guardiamo dal frequentare, lasciare fuori ogni scocciatura, altrimenti abbiamo costruito – con le nostre mani – una copia di quanto più negativo ci sta intorno. Internet e i social media costituiscono la vera e propria “seconda possibilità” rispetto alla prima, quella in carne e ossa che incontriamo nel quotidiano. Cerchiamo, tutti insieme, di non commettere gli stessi errori e di non sprecarla.