lo dice la rete

Standard

Il meteoterrorismo (da non confondersi con il meteorismo) è quel fenomeno per cui operatori del turismo e associazioni di categoria si lagnano perché la gente si informa sul tempo che farà, manco a dirlo ma solo per quel che concerne vacanze e weekend. Uno dei tanti valori aggiunti della facilità con cui certi dati possono essere reperiti con semplicità dagli utenti mentre dall’altra parte è la rete stessa – ma come altri canali di informazione – che non perde occasione per farsi sentire al suo pubblico. Nel senso che non conta se una notizia è fondata, provata o riguarda un’opinione. L’importante è spararla grossa e attirare clic, pubblicità, lettori e ascoltatori. Un gioco vecchio come l’uomo prestato alla vendita, o no?

Ma sono anche i consumatori ad approfittare della visibilità del web per imbrattare pagine .php dei loro punti vista che ci mancherebbe, il nostro ingegno crea e ricava spazi fisici o virtuali e poi li riempie di sé. Il dilemma è se crederci, alle cose che la gente scrive in rete. La saggezza popolare, quella dei modi di dire, oggi ha il suo equivalente nei tweet e i pareri che una volta uno raccoglieva al bar oggi si rintracciano con Google. Pensate alla portata e al valore economico dei Trip Advisor e delle omologhe piattaforme di opinion leading a stellette che fanno la fortuna e la sfortuna di esercenti e imprenditori. Siamo liberi di ritenerle affidabili o no. Se tutti vanno verso una direzione ci sarà un motivo, fare di testa propria molto spesso si rivela fruttuoso, altre volte mica tanto. Vedi centinaia di automobili intruppate in un unico casello, pensi che idiozia e ti dirigi verso un altro libero. Può capitare che nessuno sappia che si possa usare la carta di credito senza commissione e quindi tutti hanno scelto quello cash, può capitare invece che siano tutti rotti e quello con la fila sia l’unico funzionante. Difficile da prevedersi.

Tutto questo pippotto è perché mia moglie ed io ci siamo lasciati prendere da un’offerta in un megastore di elettrodomestici: acquistando due prodotti, quello meno caro lo paghi la metà. A complicare le cose c’era il fatto che l’offerta scadeva di lì a due ore, quindi c’era poco tempo per prendere una decisione. Da qualche giorno avevamo iniziato a valutare la rottamazione della lavatrice ma era più urgente un frigo no-frost. La storia dei due piccioni con una fava. Va da sé che ci siamo invaghiti di una LG tutta cromata, come la motocicletta poteva essere tua dicendo di sì. Il confronto con le altre, leggendo le caratteristiche e a detta dell’inserviente, era più che vantaggioso. E poi a metà prezzo. Insomma, per farla breve abbiamo ceduto a frigo nuovo e lavatrice LG a metà prezzo.

Il giorno dopo l’acquisto mia moglie mi chiama disperata per numerose recensioni lette in rete riguardanti proprio quel modello di lavatrici LG con l’innovativo sistema di motore senza cinghia. Strappano gli abiti, a volte il bucato puzza più di prima del lavaggio, assistenza pessima. Ora mia moglie ed io siamo nel panico: la lavatrice LG tutta cromata ce la devono ancora consegnare e noi vorremmo già cambiarla. A volte è meglio rimanere nel dubbio, non conoscere la vera verità. Ma si può vivere così?

troppa passione in carrozza

Standard

Della gente che si slimona nei luoghi pubblici davanti a tutti ne parliamo spesso, potete anche dire che la mia è tutta invidia perché i cinquantenni che si strusciano per strada non fanno certo un bell’effetto e la puzza di ormone da scambio di saliva in orari in cui è già tanto se la mia lingua riesce a collaborare per trasformare in bolo una fetta biscottata con la marmellata di rabarbaro mi dà alla testa ma solo perché sono fuori tempo massimo.

Oggi invece voglio solo lasciare una nota di biasimo per tutti gli uomini sul treno che si sporgono verso il sedile di fronte per tentare di baciare l’amata salendo con le mani lungo l’esterno delle cosce, avvicinandosi con il corpo mentre lei fa la preziosa voltando il viso per rimirarsi nel finestrino e osservare il livello di dominio che è riuscita a instaurare ripassando un’espressione che ha provato tante volte a casa dopo averla copiata da qualche subdola protagonista di soap dalla sceneggiatura infinita, tipo Beautiful. L’uomo si piega con la schiena in avanti un po’ per mirare alla bocca di lei e un po’ per placare l’entusiasmo inguinale ma la ragazza, ostentando un fastidio artefatto ritraendosi contro lo schienale, con un fare come a dire schiacciami ancora di più, come se il treno anziché essere un passante ferroviario con funzioni di metropolitana fosse un’alta velocità a 350 all’ora lanciato a bomba contro i ritardi di tutto il resto del traffico su rotaia e i passeggeri costretti da quella potenza d’ingegneria dei trasporti, compressi contro il loro posto in classe smart non rimborsabile. Lei dicevo sguscia ancora via come una saponetta insaponata, siamo ancora troppo distanti dalla stazione di arrivo per concedersi, così rintuzza l’assedio amoroso facendo valere il proprio ruolo dominante, d’altronde, come è noto, tira di più il desiderio di accoppiamento – per non dire di peggio – che un carro di buoi. Anzi, un locomotore.

un post riuscito male

Standard

Prendo al solito la pizza con le acciughe e la media chiara che tanto anche se poi non la digerisco – l’acciuga sulla pizza, mica la birra – non mi causerà mai tanta sofferenza o sogni brutti come la coppia di commensali che condivide il tavolo con me e che fino a un paio di settimane fa condivideva anche l’uscita a quattro standard. Ora siamo in tre perché una coppia – la mia – si è scissa in due elementi di mesta singletudine e in questi casi è a caldo che bisogna contendersi il sostegno delle conoscenze comuni. Amici e comparse che ci si porta dietro e che nelle storie lunghe si mescolano nelle vite dei due partner e poi arrivi a un certo punto in cui non sai chi ha presentato chi. La pizzeria è quella nuova in cima a un vicolo dalle parti di San Donato ma l’odore dentro è lo stesso delle trattorie cinesi con cucina selvaggia come quella che c’è sotto casa di Raffaele, che quando stende la tuta ad asciugare poi puzza di involtino primavera fino al lavaggio successivo. Quando entro nei locali dove poi ti porti dietro il tanfo di quello che hai mangiato mi viene voglia di uscire subito, ma la coppia che fino a un paio di settimane fa condivideva l’uscita a quattro standard è lì che mi aspetta con il menu in mano. Non è nemmeno arrivato quello che ho ordinato che vado subito al punto, per rendere quella che risulterà poi essere l’ultima volta che ci vediamo meno dolorosa possibile. Non c’era futuro, siamo troppo grandi per fare i fidanzatini, vorrei trasferirmi nella città in cui lavoro ma lei vuoi stare qui, non voleva nemmeno venire a vivere con me, quindi mi viene da aggiungere che il verdetto è stato fin troppo scontato. Pensavo fosse amore e invece era un orologio rotto. Dopo il caffè vorrei rimanere di più a raccogliere notizie sullo stato di salute e l’equilibrio di lei che fino a un paio di settimane fa condivideva l’uscita a quattro standard con la coppia che il caffè non l’ha preso, ma inizio ad annusare con tutto il mio repertorio di scuse il golf buono che indosso e che uso soprattutto per l’ufficio. Nel tavolo dietro qualcuno ha preso la pizza con le cipolle e mi sembra che la situazione stia precipitando. Per quello mi precipito fuori con un giro di saluti veloce tanto quanto ho buttato giù quello che restava della seconda birra media, tanto ci si incontra in giro. Certo, certo. Poi, a casa, mi viene persino da chiudere in fretta le poche righe con cui cerco di ricordare come è andata e corro a vedere fuori, sul balcone, se il golf buono puzza ancora.

[EDIT] è un aneddoto che risale ad almeno 4 storie d’amore fa, ma grazie per esservi preoccupati 🙂

sai chi ti saluta tantissimo?

Standard

Potremmo davvero farlo un bel blog spin-off dei nostri e mettere insieme tutti gli aneddoti che conosciamo per averli vissuti in diretta con personaggi famosi. Noi italiani poi siamo bravissimi perché il potere e la fama ci piacciono a tal punto che ne abbiamo fatto un modello di vita, subiamo talmente il fascino delle star e degli evasori arricchiti che li aspettiamo fuori dagli studi televisivi, a Milano Marittima o, peggio, con il teleobiettivo davanti ai ferri da stiro ormeggiati nei luoghi dei vip della Sardegna. Ma questa non prendetela come alterigia o superiorità morale da lunedì qualunque, uno dei tanti in cui ho realizzato che nemmeno questa mattina mi sono svegliato con otto milioni di euro in banca e mi è toccato di conseguenza un altro giorno in ufficio. Pensate alla zona grigia delle mezze calzette, o senza offesa per nessuno quelli che sì hanno annusato un po’ di successo ma poi meh. Come quella che racconta di quando gli ha aperto la porta in camicia da notte il tizio di colore che si vede ballare hip hop nel video di “Aspettando il sole” di Neffa, o la storiella della comparsa del film con Gianluca Grignani che durante le riprese tracanna birra e rutta come se non ci fosse un domani. Certo, si possono inventare anche delle storielle mica male, magari non troppo pesanti per non correre il rischio di una querela, sapete che questi posti – come il mio – mica sono testate giornalistiche o c’è qualcuno pagato per aggiornare le pagine quotidianamente. La rete poi ha riempito di ciarpame il fossato che ci separava dal jet set tanto che si può raggiungere tranquillamente arrangiandosi un po’ a piedi sempre che non faccia schifo calpestare le cretinate che la gente scrive ai propri beniamini e che finiscono appunto in questa discarica che prima o poi ci sommergerà. Certo che però i famosi di cazzate ne scrivono forse di più. Pensate a uno come Gasparri. O Massimo Boldi su Twitter. Pensate invece a Gianni Morandi che sta vivendo una nuova stagione di successi su Facebook, ammetterete che uno che a settant’anni dopo aver attraversato il beat, poi la vetta delle classifiche, quindi il declino, poi “Sei forte papà”, poi il ritorno, i duetti, i Sanremo e tutto quello che ha fatto è più che da ammirare. Ma non conosco nessuno che ha qualche aneddoto su di lui, anzi se lo seguite online talvolta è lui a raccontare storielle su qualche fan. Anzi adesso gli scrivo se ha voglia di cantarla solo per me, quella canzone lì del gufo con gli occhiali che effetto che fa. Se mi esaudisce torno qui e me la potrò tirare con tutti voi che al massimo rimediate qualche insulto strampalato da Flavia Vento.

in base dieci

Standard

La maestra ha insegnato a mia figlia un modo veloce per aggiungere e sottrarre i numeri più alti della prima decina e cioè aggiungi dieci e togli uno, due, tre o quattro a seconda della cifra. Comodo, forse, ma mi dà l’idea di una versione facilitata delle cose, molto regolare secondo la nostra visione pari e in base dieci del mondo, che non posso non collegare a quel modo di insegnare il piano usando i tasti bianchi e la scala di do maggiore, o ad allenarci ai ritmi in quattro quarti eccetera. Peccato, ci si perde un’occasione per acuminare un po’ l’intelletto, renderlo più pronto alle asimmetrie, alle diversità, alle cose che vanno storte. E il dieci, lo stesso che è il voto più alto – io l’ho preso una volta sola nella mia vita, in un compito in classe di inglese, facevo la seconda liceo – o il momento parziale di una conta, il punto da cui si riparte da capo, il numero sulla schiena di gente del calibro di Maradona, Platini e Zidane. I dieci decimi della vista perfetta e i dieci piani di morbidezza. Addirittura il giorno del mio compleanno. Addirittura le tavole di Mosè. Ma da qualche tempo il numero dieci è sulla bocca e nei crucci di tutti. La gente si lambicca per mettere insieme liste in un rincorrersi di nomination, si dice così. I dieci libri, i dieci film, i dieci sportivi, i dieci momenti, i dieci qui e i dieci di là. Cerco di trattenermi dal commentare che le liste di dieci hanno rotto il cazzo non perché non è bello fare le liste ma perché la sovraesposizione, alla lunga, sminuisce la portata di un’idea. Stufa. Io da tempo vado sfidando i miei contatti sui socialcosi a smascherarsi e a pubblicare liste di un elemento solo. Un’impresa impossibile? No perché con l’uno non operereste una semplificazione ma brandireste la vera preferenza di una vita, la prima cosa che salvereste da una catastrofe, una scelta di Sophie reiterata all’infinito. Un film: Smoke. Un disco: Nursery Crime. Un libro: I promessi sposi. Un momento: la pressione del tasto enter.

è più facile che il cammello passi nella cruna

Standard

Io e una vita che prendo le misure sbagliate, mi ha detto mentre provava a tener sollevata una busta di carta tra le ginocchia, con la sinistra reggeva tre scatole di scarpe della moglie e con la destra tentava di infilare la chiave nel lucchetto della cantina, operazione impossibile se qualcuno non te lo tiene fermo. Sì, è ovvio che l’ho aiutato, ma la busta di carta che conteneva documentazione familiare di vario tipo, quella che uno vorrebbe buttare ma deve conservarla almeno per cinque anni e che non si sa chi va in giro a diffondere questo tipo di normative la cui provenienza e veridicità è dubbia ormai solo per i più curiosi, gli altri obbediscono ciecamente, un po’ come la simbologia segreta degli zingari e quel bizzarro alfabeto che circola sui socialcosi, dicevo che la busta di carta ha versato tutta quella risma di carta stampata sul pavimento. Comunque l’ho consolato perché anche io sono così. L’ultima è che avevo messo in equilibrio tre panini con la salamella e una porzione di patate fritte ricoperte da una tonnellata di senape ma, ricordatevi, se non ci vedete più dalla fame e siete rimasti in coda per mezz’ora in quelle situazioni-tipo estive con caldo, sete e zanzare a una festa alla buona, non affrettatevi a raggiungere la tavolata che si sta spazientendo. La fase finale della vostra prestazione potrebbe rovinare la serata e, in alcuni casi, l’armonia familiare intera. Io ho imbrattato un metro quadro di un campo da pallavolo, per dire, senza contare che non è che le patate fritte con la senape me l’hanno restituite. In più mi hanno visto tutti, ma non è questo il punto. C’era un calcolo matematico da fare su quelle forze in stabilità precaria a cui ho dato un risultato troppo approssimativo. D’altronde certe recidività come la mia risalgono ai tempi dei monumenti allo Sputnik da riprodurre in assonometria per il compito in classe di disegno, tutta una parabola che non vi dico la complessità per me che prendevo le misure sbagliate e andavo a occhio in una disciplina che contempla persino l’esistenza di uno strumento di lavoro che si chiama carta millimetrata. Possiamo così trarre un insegnamento da tutto ciò, come se qualcuno pretendesse di passare con l’auto con le bici sul tetto sotto un passaggio che porta ai garage di casa sua senza aver pensato che la materia solida non è proprio così accondiscendente con altra materia solida, quando esse vengono a contatto tra di loro. Chissà a chi potrebbe capitare una cosa del genere.

orsi, torri cadute e altri incidenti

Standard

No, non credo che acquisterò l’iPhone 6, quello con il display da settordici pollici e che costa due milioni di lire, che più o meno è lo stesso prezzo che mio papà aveva pagato per la mia prima auto, una Ritmo 60CL bianca super-usata. Non credo che comprerò nemmeno quello più piccolo perché ho  già speso ventun euro per il nuovo disco degli Interpol e in questo momento ho esaurito il budget dedicato ai vizi. Nemmeno inizierò a boicottare il Trentino e tanto meno l’Alto Adige per la storia dell’orsa. Orsù, siamo seri. Le Dolomiti valgono bene un mammifero. Ma questo non è niente, se pensate che cerco persino di lasciar cadere nel nulla nomination in catene dei dieci libri e dieci dischi su Facebook e persino in quella dell’auto-gavettone gelato in testa. Sono stanco, tutto qui. Sono anche vecchio per le trasferte di lavoro, per anteporre un undici settembre a un altro come si faceva da piccoli, per difese strenue di presìdi ideologici o anche solo per mettermi in posa davanti alla camera anteriore da 13 megapixel di uno smartcoso. I tempi cambiano. A mia figlia sta simpaticissima la prof di matematica che è dichiaratamente di CL e mi immagino già come potrà spiegare certe cose di scienze. Ve lo immaginate? Di certo se una specie non si è evoluta a tal punto da dominare il pianeta come facciamo noi, chi siamo per imporre comunque le nostre regole? Gli integralisti dalla parte degli animali invece sono pronti a farsene una religione, di quelle che ti fanno ammattire fino a schiantarti contro i grattacieli. E mamma orsa non me ne vorrà se ho controllato se la mia guida di New York, quella che conservo perché ha in copertina le torri gemelle, è ancora lì insieme alle altre Lonely Planet ad aspettare di diventare un pezzo da collezione. Non ci ero nemmeno voluto salire sopra, avevo preferito la vista dall’Empire State, sapete, sono un tradizionalista. Spero non vi siano sfuggiti, per chiudere, tutti questi dettagli degli ultimi giorni facilmente collegabili con un unico denominatore comune, e se davvero non fossi così stanco, sarebbe interessante rifletterci tutti insieme. Almeno finché mia figlia non si dichiarerà apertamente laica e, con la prof di CL, terminerà irrimediabilmente l’idillio.

abituati al dialogo

Standard

E chi lo sa se stanno a sentire oppure no. Sta di fatto che tutti, specialisti, seguaci dell’empirismo, neofiti e gente che non sa fare altro che dare fiato alla bocca pur non sapendo nulla dell’argomento, tutti sostengono che è fondamentale parlare ai figli fin da quando sono nella pancia. Quindi la teoria più comune è di farlo con assiduità soprattutto finché si prestano, perché poi quando gli si accende l’ormone della ribellione rimbalzano ogni tentativo di dialogo a colpi di spallucce. E anche io, nel mio piccolo, ci ho dato dentro. Durante la gestazione era tutto un rivolgermi a lei mentre le si formavano tutte le sue cosine a modo per questo e per quello, convinto che così si abituasse al timbro della voce. Non vi dico poi quando mia figlia ha visto la luce. Loro ti guardano con quegli occhioni sbarrati, rispondono con sillabe e, nel massimo dell’interazione, ti vomitano il latte in macchina che poi l’odore ti rimane per tutta la vita. Ma noi genitori, sentendoci protagonisti di un film dove mamma e papà sono fighi pazzeschi che stanno tirando su un candidato alla casa bianca, facciamo ai neonati tutte le nostre confidenze, li convinciamo a buttare giù le pappine, li abituiamo a partecipare alle decisioni famigliari con il loro silenzio assenso.

Così quando vedete una giovane mamma a testa alta parlare da sola senza auricolare, potete stare tranquilli che sotto sta spingendo un passeggino e dentro c’è un marmocchio che si gode il panorama rasoterra e che a malapena ascolta quella tiritera descrittiva sulle foglie e gli alberi e i cani che passano e il cielo e il vento. Stesso discorso per chi scarrozza i figli in bici sul seggiolino dietro la schiena. Li vedi avanzare tutti intenti in un soliloquio perché con la loro stazza non si vede chi portano sul portapacchi e tu ti illudi che si stiano rivolgendo a te e ti prepari una risposta, un cenno accondiscendente o pensi che siano matti da legare e cambi strada. Io facevo così, montavo in bici e dietro legavo la mia piccola per farle prendere un po’ d’aria finché il tempo lo permetteva. E le parlavo, le parlavo, le parlavo, poi sentivo un colpo in mezzo alla schiena che mi avvisava che la bambina, tutta protetta dal suo casco e assicurata saldamente al sellino, si era arresa alla mia voce monocorde e crollava addormentata. Ci rimanevo un po’ male, che dialogo è se io parlo e tu dormi, e pensavo chissà come sarà quando, come dicevo prima, poi i figli non ti ascoltano più. Ecco, forse ho lavorato bene e mia figlia tutt’ora sembra stare a sentire cosa le dico, o almeno se fa finta, finge bene. Per lo meno non si addormenta più, questa è comunque una conquista.

regia occulta per protagonisti in differita

Standard

Quando una cosa ci piace ma non troppo e non possiamo o non vogliamo sostenere il contrario possiamo sempre dire che ci piace l’idea, ovvero una sorta di astrazione platonica della cosa in sé che però se ne sta lassù, su un pianeta lontano in una dimensione che non si incontrerà mai con la nostra. L’equivalente di aiutiamoli a casa loro, una forma di ipocrisia bella e buona. Mi si nota di più se non vengo, anche se, perdonate la battuta, uno si fa notare di più se viene ma dopo un po’. Ma io mi riferivo invece a quando ci piace l’idea ma non la sua messa in pratica altrimenti ci butteremmo a pesce su un’iniziativa, un posto in cui vivere, una persona che invece lasciamo a qualche bifolco dai gusti di merda e alle sue mire, e tacendo l’assenso acconsentiamo silenti alla sua ammissibilità ma solo per darci un velato tono di dissenso. L’eccezione a conferma di questa regola è testimoniata dagli estimatori del progetto, ovvero coloro i quali fanno proprio un pacchetto onnicomprensivo di optional – spesso inutili orpelli – e solo perché sentono la necessità di una sua componente a tal punto da esser disponibili ad accollarsi il resto. Non sposereste la donna amata solo perché ha quattro figli da una precedente relazione? Non acquistereste un prodotto fenomenale che costa il doppio del prezzo di mercato perché fornito di adattatore, custodia, cuffie, lenti, liquido pulente, spazzolini per la manutenzione ordinaria, carica-qualcosa di riserva, kit di riparazione, ganci e tasselli per un suo posizionamento su superfici a inclinazione superiore ai 45 gradi, buono sconto per un massaggio cinese e chi più ne ha ne metta? A chi non piacerebbe, d’altronde, vivere comodamente sdraiato sul divano di casa sua, non sporcarsi le mani, evitare coinvolgimenti, suggerire le battute, fare il direttore di palco, operare dal backstage e, malgrado il posizionamento nelle retrovie, guadagnare un pacco di soldi? Controllare le cose a distanza e beneficiare dei vantaggi senza rischiarne il contatto è, d’altronde, l’anticamera del capitalismo, la cucina della ricchezza, il salotto dei potenti e la stanza dei bottoni. Insomma, con me sfondate porte aperte e, una volta dentro, fate pure come se foste a casa vostra.

maskros, nel senso del lampadario Ikea

Standard

Se un giorno, figlia mia, ti verrà il dubbio se tuo papà sia stato inadeguato, poco presente, disattento, troppo severo o, al contrario, poco autorevole, egoriferito e poco propenso all’abnegazione genitoriale, quel giorno ricordati, figlia mia, che tuo padre ha trascorso un’intera mattina di settembre del tuo limitare di gioventù ad attaccare ottantaquattro (otto – quattro) cazzo di fiori di carta su un cazzo di lampadario Ikea che tu hai scelto per la tua cameretta.

10467922_335626829951480_985352015_n