i loop che aiutano a crescere

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Al prossimo che gli sento dire che ha l’impressione che se interrompe la routine poi muore e che usa troppi che in una frase qualsiasi come questa spengo tutto e me ne vado. Metaforicamente si intende. Sai, ho davvero bisogno di fare pilates tre volte alla settimana altrimenti mi si incricca la schiena, mi sembra di sentirvi mormorare. Ma poiché l’unica motivazione che vi fa schiodare il culo dal divano per buttare giù qualche caloria sono solo i settanta euro al mese di Virgin Active che vi nebulizzano direttamente dalla vostra carta di credito e che dovete ammortizzare o ammortare (come si dice?) è evidente che la vostra coscienza ha un iban al posto di un senso di responsabilità, che ormai pochi dispositivi elettronici riconoscono. Vogliamo parlare di tutte le vostre fissazioni alimentari, che al primo morso di formaggio fatto dal contadino che vive a impatto zero da un numero di generazioni che si perde nei tempi correte in bagno in preda alla sciolta? La vostra flora intestinale ormai è di pertinenza di alcune multinazionali di cui è meglio non fare i nomi a meno di non avere un padre nello studio di un avvocato di grido, vi hanno resi dipendenti da una serie di fattori segreti come quello della più celebre bevanda con le bolle al mondo, dopo la birra, e solo loro ne conoscono l’antidoto. E se siete vegani peggio per voi, io faccio uno strappo al mio animo compassionevole verso gli animali e non provo più pena per il maialino che mi si offre in sacrificio quando mi beo della natura nella terra che costituisce il tripudio della quarta declinazione latina, perché adattarsi al cambio di marcia in cui persino un panino al prosciutto – una ricetta così semplice che so prepararla anch’io – diventa un dramma tanto più che mica vi potete mettere a brucare l’erba come le capre. Per il resto, altre schiavitù sono appagate se non altro grazie al fatto che il wireless c’è più o meno dappertutto a cinque euro l’ora. Quindi al prossimo che mi dice che le vacanze fanno male davvero spengo tutto e me ne vado, sempre metaforicamente, perché se non siete capaci di inventarvi altri momenti di continuità relativa, di quelli che danno sicurezza e consentono di mantenere un buon equilibrio, davvero non saprei proprio come esservi d’aiuto.

il peso dell’IL

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Avete presente quegli assurdi desideri impossibili che i più sprecano con cose come la pace nel mondo, l’immortalità, accoppiamenti multipli con supermodelle, l’attribuzione arbitraria di ingenti ricchezze senza nessuna logica macroeconomica, l’incolumità eterna e altre baggianate da genio della lampada? Ecco, io sceglierei senza pensarci due volte di trovarmi ad ascoltare una conversazione tra due antichi romani nel periodo alto-imperiale per sentire com’era realmente il latino parlato nell’urbe. Che cosa ci volete fare. C’è gente come me che prima di ritrovarsi la testa atrofizzata dai social network (davvero non ricordo come facessi a trascorrere il tempo prima che ogni momento prevedesse l’utilizzo di un dispositivo connesso alla rete) e di plasmare la mia attitudine logica agli scambi di battute a sfondo ironico e dal numero di caratteri contati su qualunque argomento è stata appassionata di Latino e lo ha scelto pure come materia della tesi di laurea dopo aver dato con profitto tutti gli esami attinenti e con il massimo dei voti. Oggi, a ventuno anni dal giorno in cui ho portato a casa una lode e una stretta di mano della relatrice, non riesco più nemmeno a tradurre la più banale epigrafe sugli affreschi delle chiese. Ecco perché, come desiderio di riserva, vi chiedo di tenermi un posto negli accomppiamenti multipli con le supermodelle.

Mi scusi dove trovo le consulenze informatiche? Dietro lo scaffale dei sostituti del pane

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Il contatto me l’ha passato un mio amico che sapeva che per sbarcare il lunario mi arrangiavo a fare qualunque cosa. In barba agli studi di settore, nella consulenza informatica ci sta un po’ di tutto, questo però non autorizza cani e porci a chiamarti al telefono dopo mesi di silenzio solo perché hai cancellato dei file importanti per la tesi o perché non trovi le funzioni nel layout del nuovo Excel, e vi confesso che anche io la prima volta con la nuova edizione di Office ci ho messo un po’. Apro una parentesi e poi vado al dunque: questo mi è successo veramente, ero già a letto quando mi chiama un’amica che non sentivo da quando mi ero lasciato con la sua amica e senza nemmeno sfruttare la mia oggettiva sorpresa per intavolare un minimo di scuse per l’improvvisata, seppur telefonica, mi passa questo tizio di nome Sebastiano che tutti chiamano Seba, che non è certo un bel nomignolo se contate che Seba è romano. Io Seba l’ho visto una volta in tutta la mia vita ma quando lo sento all’altro capo del telefono mi viene spontaneo chiamarlo Seba. Ciao Seba, gli dico, come va? Come vuoi che vada a uno che ha appena cancellato l’unica copia della tesi di laurea. So di non aver fatto una bella figura, ma certe cose esulano dalla mia consulenza informatica e anche dal mio studio di settore. E guarda caso colei che occupa il grado di separazione da Seba è lo stesso che poi ha chiesto al mio amico, quello dell’incipit di questo post, se poteva dare lezioni di computer a Ferruccio. L’amico comune ha fiutato una perdita di tempo perché certe consulenze sono impossibili da quantificare se consideri la pazienza che ci vuole ad alfabetizzare informaticamente un analfabeta informatico o tecnoleso, come si dice oggi. Quanto costa al chilo configurare un client di posta? Quant’è una lezione per imparare a impaginare un volantino per l’associazione amici della biblioteca che organizza il concerto di Natale con un coro dilettantistico? Comunque con Ferruccio ha commesso un errore madornale, avrete capito che ho accettato di offrirmi al suo posto, anzi per me è una fortuna il fatto che il mio amico non se la sia sentita e non certo per il guadagno perché poi alla terza o quarta lezione smetto pure di chiedergli dei soldi. Ferruccio è un anziano pittore molto benestante che dipinge perché nella sua vita se lo è potuto permettere, anzi, un ex pittore benestante eccetera eccetera perché non ci vede quasi più e questo stato di semi-cecità oltre ad aver interrotto il suo lavoro – comunque da ignorante mi sembra che se la cavi molto meglio di quei paesaggisti che partecipano alle mostre collettive nelle piazze dei paesini di provincia alla domenica – dicevo che la semi-cecità lo ha anche emarginato dalla vita sociale e ha deciso di darsi alla rete. Sapete che esistono i software che ti consentono di cercare in Internet le cose come i normodotati con la vocina kratfwerkiana degli assistenti di navigazione. Quel poco di vista che gli rimane lo vuol dedicare alla rivoluzione del secolo. La stessa rivoluzione che è poi la causa per cui ci sono certe figure del volontariato che secondo me non esistono più se non in qualche romanzo di letteratura americana – ne ho trovato traccia qualche giorno fa in Rumore bianco di DeLillo – e sono le anime pie che andavano a leggere giornali, libri e riviste varie agli ipovedenti. Senza contare che poi non c’è più nessuno che legge bene, e anche tra le persone che ci vedono bene sono pochi quelli che ti propongono di leggerti qualcosa. Un articolo, un passaggio di un libro, un commento in un social network. Cose d’altri tempi. Quindi è per questo che preferisco dedicarmici come volontario. Spero che una volta spiegato il sistema operativo Apple, come aggiungere i preferiti e tutte quelle funzionalità che utilizzano solo i neofiti, senza contare che la generazione autodidatta come la nostra fa sì che ognuno usi il computer come vuole, ci sono mille modi per fare la stessa cosa, quindi la teoria è piuttosto aleatoria, dicevo che spero che compreso l’uso del suo Mac mi chieda di fargli da lettore. Posso offrirmi persino di comprare per lui Repubblica tutti i giorni con le tonnellate di inserti, o portargli romanzi come Rumore bianco di DeLillo dalla biblioteca e leggergli una trentina di pagine nelle due ore settimanali che passiamo insieme. Invece non succede nulla di tutto questo. Dopo il browser e la posta elettronica il suo programma prevede proprio la suite di Microsoft Office e persino Excel, ed è per questo che è meglio che ora mi studi bene dove si trova il pulsante per inserire una funzione in una cella, non posso certo fare brutte figure.

A imperitura memoria

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Della squadra di pattinaggio Claudia è quella che fa più tipo, la locuzione che si usa quando uno è un po’ bruttino. O meglio, fisicamente non ha nulla da invidiare delle sue compagne, con i muscoli frutto dell’attività sportiva e il seno come tutte le altre, che è il motivo per cui circola la credenza che sia una conseguenza della postura da osservare durante gli allenamenti e nelle gare anche se quelli più intelligenti sanno dimostrarci il contrario. Si dice della ginnastica artistica che fa rimanere tutti bassi, o del tennis che ti fa venire un braccio così e l’altro resta sfortunato. E se poi guardi da vicino in faccia Claudia non ha niente che non va, è solo che i lineamenti in divenire che sono tipici dell’età della crescita la fanno sembrare una specie di opera incompiuta. Ma a quindici o sedici anni si tende a preferire le cose già definite per anticipare i tempi degli adulti – che oscenità – e così tutti preferiscono le altre che sanno fare già le espressioni da donna o riescono a nascondere gli aspetti transitori con il trucco o con modi di fare sin troppo espliciti che vanno ad alimentare ancora di più la fama presso i coetanei. Claudia quindi si gioca la carta della simpatia, pur sapendo che non è un requisito contemplato dalle regole della seduzione compulsiva e ormonale. E se Tiziana e Adriana, le star, mettono un’opzione da subito sugli omologhi maschili della compagnia estiva, una di quelle imposte dai luoghi di villeggiatura, Claudia è destinata per una proprietà matematica che nessuno cita per non correre il rischio di apparire troppo intelligente e, di conseguenza, poco scaltro, a quello che fa più tipo dall’altra parte. Con tutti che gli ricordano che Claudia è molto simpatica e per questo non bisogna farla soffrire. Ma Federico non vuol essere ricordato come quello a cui si mettono da parte le terze o quarte scelte e con Claudia si limita a condividere la sua, di simpatia. In sintesi, Claudia vorrebbe, Federico fa finta di nulla – ma Claudia è intelligente e lo capisce – e la cosa finisce lì.

Poi succede che dieci anni dopo Federico diventa il mio inseparabile amico e una sera d’estate, nell’attesa di fare qualcosa di divertente di quelle che non si fanno mai, viene fermato in piazza dalla stessa Claudia che ora è una donna di una bellezza incredibile. Dopo una serie di ciao ma non ti ricordi di me e la squadra di pattinaggio e i quindici anni e io che penso a come intromettermi per presentarmi ma vivo il tutto con una sensazione spiacevole, Federico la invita a unirsi a noi, con il palese significato di unirsi a lui quella sera, l’indomani, i prossimi due mesi, i futuri dieci o vent’anni e i figli e i nipoti. Ed è fantastico il cerchio che si chiude proprio come Claudia voleva, con lei che si allontana ancora con quelle parole che restano ferme tra di noi e che più o meno suonano come un no grazie, non mi sembra il caso e poi volevo solo farti vedere come sono diventata. Ciao Federico, è tanto che non ci si vede, questa cosa so che volevi che io la dimenticassi invece ora è qui e la possono leggere tutti.

alla maniera di mamma e papà

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Nella fase in cui si indossano i vestiti dei propri genitori dovrebbero passarci tutti, secondo me, a meno di evidenti incongruenze di taglia e non necessariamente abbinandosi con il genere corrispondente. Perché è una specie di mettersi nei panni altrui anche se lo si fa con il senso della sfida: decontestualizzare un modello che abbiamo avuto come riferimento per dimostrare che nella nostra reinterpretazione funziona di più e si compie il riscatto con i giovani che fanno meglio degli adulti. In pieno periodo Joy Division sfoggiavo un paio di giacche di mio papà di un paio di taglie più grandi, non ero nemmeno maggiorenne e avere quell’aria gotica avvolto in indumenti extralarge conferiva l’effetto David Byrne in Stop making sense. Quella nera del suo abito da matrimonio, risalente al 1960 quindo con un taglio già vintage allora, per il look all black. Poi una grigia a righine verticali scure che poi mia mamma ha scelto come abito per la sepoltura, cosa che mi ha fatto sorridere perché di certo mio padre quel completo non deve averlo mai più indossato da quando lo portavo io, essendo aumentato di stazza per poi ridurre il peso negli ultimi mesi di vita, così ho immaginato che nelle tasche di quella giacca, destinata a vestirlo nel viaggio finale, ci potesse esser rimasto qualcosa della mia adolescenza, spero nulla di compromettente come qualche biglietto dell’autobus arrotolato. Nell’armadio dei miei era rimasto anche qualcosa della loro giovinezza, che in me suscitava curiosità. Come quella specie di polo bianca a rete fittissima da uomo, con il collo segnato da una v blu e il colletto ampio, un residuato degli anni 50 di mio padre che reinterpretavo in chiave psychobilly. A me sembrava un capo di tutto rispetto. Poi alla vigilia di uno dei miei primi concertini con la band di quegli anni lo proposi al mio batterista che non sapeva che cosa mettersi. Ma il bassista, che era quello più influente in fatto di look, con un’occhiata gli fece capire che non era il caso. E anch’io, dopo quel giudizio iniquo, mi ero però fatto convincere dell’eccessiva complessità derivante dall’uso di un indumento che i più non avrebbero capito. Troppo ironico? Poco in linea con la moda? Usare vestiti vecchi e del passato non era ancora in auge, in una fase storica in cui si dovevano ancora chiudere a tutti i costi i conti con la memoria. Quella polo a rete con il collo a v blu, che oggi ricordo molto simile a una maglietta da tennis di altri tempi, poi non so che fine abbia fatto. Di certo noi degli anni ottanta non ce la meritavamo, una cosa così particolare.

faremo di te una viaggiatrice

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Poco prima che abbia inizio il concerto, nella piazza piuttosto gremita transita un gruppo di Hare Khrisna in versione moderna, perché oltre ai tamburelli e le percussioni hanno anche una base chill out probabilmente a sua insaputa. Nel senso che la base musicale dell’inno religioso di sottofondo ha un andamento che non sfigurerebbe in una videolezione di yoga ma nemmeno a un aperibuddha. D’altronde tutto quel filone lì che sta bene su tutto, e che io da occidentale razzista chiamo “indianate”, è tutto facilmente catalogabile nel reparto new age da almeno vent’anni, comprendendo anche certe emanazioni trip hop che oggi suonano oltremodo superate eppure, vi assicuro, c’è chi ancora affronta il traffico della tangenziale con i Transglobal Underground e i Loop Guru come se in mezzo, tra loro e la fine di un’epoca, non fosse successo nulla.

L’impressione che ho di questo mini-corteo che nel bel mezzo della piazza si ferma dev’essere registrata in qualche modo. Il pubblico, forse equivocando che si tratti del gruppo spalla di quello per il quale stanno lì con il naso all’insù sperando che l’evento abbia inizio, lascia loro un ampio margine di manovra tale che possa compiersi la loro figura rituale del girare intorno a un centro, che probabilmente ha tutto un significato che non colgo ma d’altronde il marketing religioso vive anche di standard per consentire una certa riconoscibilità di brand. Questo per dire che potrei anche trovarmi nel mezzo delle riprese di uno spot di qualcosa.

Qualche civile si lascia coinvolgere nei saltelli dei miliziani della spiritualità, qualcuno si lascia mettere tra le mani i piattini allo stesso modo con cui i turisti si arrendono ai venditori africani di elefantini portafortuna. L’insieme però dimostra poca famigliarità con i ritmi da strada, addirittura a un certo punto il tempo raddoppia e davvero rasenta il drum’n’bass, questo mi fa persino venir voglia di mettermi lì in mezzo e remixare il tutto.

In realtà cerco di allontanare un pensiero che riguarda i ragazzi che hanno lasciato famiglie, lavori, amicizie e opportunità per questo tipo di vita. Una tragedia, dal mio punto di vista, la cui parodia è rappresentata egregiamente nel film “Un sacco bello”, con il personaggio interpretato da Verdone quando sfida il padre Mario Brega e il suo “so’ comunista cosììììììì”.

Diciamo che se sei mediamente intelligente e attento, il rischio che un figlio oggi prenda e parta con gli arancioni o con qualsiasi altra setta è piuttosto remoto. Ma non è certo l’idea che mia figlia un bel giorno prenda armi e bagagli e vada via che mi spaventa, anzi. Da sempre cerchiamo di inculcarle la curiosità di togliersi dall’Italia soprattutto per trovare il posto giusto in cui realizzarsi, sia personalmente che professionalmente. Di questi tempi, poi, mi sembra sacrosanto, visto come vanno le cose.

C’è stato il periodo delle bandiere, da piccolissima, libri e giochi e poster per farle conoscere tutti i colori che rappresentano paesi e continenti. Le carte geografiche per imparare a orientarsi e appassionarsi alla materia. Poi la saga del Giro del mondo in 80 giorni, il libro, il film e soprattutto la versione anime. Qualche viaggio nel limite delle nostre possibilità. Fino a quanto è tornata il mese scorso da una settimana di campeggio con l’oratorio con la fascia di “Miss mi piace scoprire il mondo”, e non vi dico come ci ha riempito di orgoglio. Ma lo sapete, le cose con i figli cambiano ennemila volte dai zero ai vent’anni, chissà cosa ci riserva nostra figlia che diventa grande. Inutile fare piani. Ma un po’ di subdola ingerenza con finalità di persuasione occulta, comunque, non guasta mai.

gossip a cinque stelle SVEGLIA!!!1!111!!

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Tra romanzi di letteratura erotica e letteratura erotica mascherata da tabloid o viceversa la gente continua a mantenere la consuetudine di guardare le figure anziché leggere. E come biasimarla. Di fronte a una prosperità di tette e culi maldestramente contenuti da risibili lembi di stoffa in splendide cornici estive, con qualche dettaglio di smagliature per umanizzare un po’ il tutto e che comunque fanno sembrare una qualsiasi rivista soft core, tipo Playqualcosa, un numero del Giornalino o le pagine del Corriere dei Piccoli con Valentina Mela Verde, anche a me viene da sbirciare mentre il mio casuale compagno di viaggio di oggi mi sbatte sotto il naso un sequenza di miss italie in bikini da mozzare il fiato. Mica sono fatto di legno, eh. Come lamentarsi di questa sete di informazione liquida. Anche se non fa caldo da aver voglia di farsi una doccia fredda, temporali ed esondazioni ci hanno reso l’ambiente acquatico molto più familiare. Comunque a me viene da soffermarmi sulla foto di una procacissima Marisa Allasio con un top che a stento le trattiene una generosa quinta d’altri tempi e che a confronto delle varie melisse satta nella pagina a fianco fa un po’ lo stesso effetto dello speciale che ho visto l’altra sera per caso alla tv (non guardo mai il calcio volontariamente, sono un intellettuale di sinistra) sullo scudetto della Roma dell’83, con Pertini che stringeva mani negli spogliatoi e il modo di giocare di allora rispetto ai guizzi e alla fisicità dei balotelli che ci sono oggi. Continuo a preferire Falcao, sia chiaro. Ma poi ecco che alla pagina successiva – che impiccione che sono – ecco alla pagina successiva che il tabloid lascia spazio alla politica. Il titolo e le foto parlano chiaro: sembra che Marisa Laurito stia per scendere in campo a fianco di Beppe Grillo. Ma ve la immaginate? La Laurito nei cinque stelle? Cosí mi chiedo che fine abbiano fatto quelle pendolari di una volta che, sul treno delle sette e qualcosa, ci davano dentro con tutte le varie sfumature del caso e uno non si metteva certo a spiare i passaggi più piccanti lì sopra.

con i fanti ma non con i santi

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Nella busta c’era una tua foto con la faccia tutta impiastrata di non so quale crema di bellezza e due fette di cetrioli sugli occhi, e davvero trovo sia stata una trovata fantastica se non fosse che ci metto un po’ capire le cose. Nel senso di discernere tutti i livelli di comprensione, quelli che certa gente ci ha pure lasciato la ragione. Sai che io so che è uno scherzo per non passare per una che ha inteso seriamente di inviare a uno che conosce solo via Internet una foto che uno si aspetta una foto un po’ audace ma poi che senso ha inviarsi una foto, audace o no, via posta per di più dalla Francia all’Italia quando c’è Internet e anche se siamo ancora ai tempi di Altavista e di Windows 98 comunque le immagini digitalizzate e compresse esistono già. Quindi i piani di lettura sono molteplici. Tutto lo sbattimento per mandare un ritratto volutamente poco rivelatorio e altamente ironico per di più stampato, imbustato e bollato senza che il destinatario abbia chiesto nulla ma di tua iniziativa quando tu avresti potuto farti un selfie, anche se non si chiamavano così, e mandarlo in una manciata di secondi. Troppo elaborato per un semplicione come me. Tra l’altro non sapevi il mio indirizzo e me l’avevi mandata al lavoro, un ufficio di almeno tre o quattro aziende fa. Poi infatti avevo trovato di meglio, professionalmente intendo, e la foto con la crema di bellezza e i cetrioli era rimasta nel cassetto ma non credo volutamente. Forse era un modo inconscio per restituire lo scherzo a qualche altro ignoto, che prendendo il mio posto avrà trovato la busta con il tuo ritratto lì dentro e chissà, davvero, che cosa avrà pensato. Magari era uno più sveglio e intelligente di me.

coca cola pepsi cola osso duro

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C’era il mostro della focaccia, tumidelabbra, darkene e la sua inseparabile amica metadone. Poi chiappette d’oro, la broccolona (per lo sfoggio di una vistosa maglia con illustrazioni floreali) e la sconvoltona, Trudy, la pompa dai capelli rossi e vulgo, o donna del popolo, facile immaginare perché. Soprannomi simpatici e divertenti ma avevamo nemmeno vent’anni, facevamo l’università, e li coniavamo in condizioni che non vi sto nemmeno a raccontare, a partire dalle incette di Martini a 150 lire al bar della mensa tra una lezione e l’altra. Che invece un popolo adulto e maturo si ostini a ricorrere ai vari psiconano, Gargamella, ebetino di Firenze, il mortadella e il cicogna per definire nei propri commenti di persona o sui social network i potenti, con l’obiettivo di reiterare un disprezzo verbale attraverso la convenzione di un nomignolo definito a priori da tizio o caio mi fa vergognare per tutti voi che vi sforzate ad adottare questi standard di comportamento come gli adolescenti che devono ostentare modelli preconfezionati per rendersi riconoscibili al gruppo. Inutile dire quanto la moda sia diffusa tra i ranghi a cinque stelle per compiacere gli stakeholder della casaleggio e associati e darsi di gomito su Facebook nel sottobosco militante dell’apparato cospiratore. Riesco a immaginare l’espressione compiaciuta con tanto di sorrisino idiota e occhietto di chi ha sgamato il complotto mentre si usa il riferimento metaforico tra la massa di sostenitori. L’ebetino di Firenze, roba da scompisciarsi, poi mi immagino il grillista del caso che ti si mette dietro, ti punta il ginocchio sul sedere e ti chiede “Ci credi ai giganti”?

interessi al tre per cento annuo

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No, non è propriamente così ed è bene fare un po’ di chiarezza. Nessuno ha una zia ricca, la sua ha quel regime di vita che si porta appresso da quando sua madre conservava i barattolini in plastica dello Yomo nella credenza, ed era il tempo in cui non c’era tutta la varietà di yogurt al supermercato. Rinuncia a questo, rinuncia a quello – ma sempre senza farsi mancare nulla – qualche lavoretto di qua e qualche lavoretto di là e in più con il marito piccolo imprenditore, ecco che sua zia si ritrova con un tesoretto di risparmi. Ma la non notizia è che non li ha investiti ma li tiene tutti probabilmente sul conto corrente giacché non ha battuto ciglio quando ha acconsentito a elargirle il prestito che le ha permesso di estinguere il mutuo del suo bilocale da single. Fare questo genere di dispetti alle banche è fonte di grande soddisfazione, ti senti come Davide con la fionda ancora fumante mentre posava fiero per la foto ricordo con il piede addosso al cadavere di Golia. Per non parlare di tutte le teorie complottare che vanno di moda oggi, e se non passaste il tempo tra i video della Pausini che la fa vedere in concerto e quello delle auto parcheggiate sulla calletta patrimonio dell’Unesco avreste tutto il tempo per informarvi dai vostri amici grillastri che tentano l’evangelizzazione su Facebook con maggiore tenacia di un Testimone di Geova. La zia le ha fatto quindi firmare una dichiarazione casereccia in cui riconosceva il gesto e la cifra corrisposta e in cui si impegnava a mantenere quel tasso di interesse di un punto maggiore rispetto a quello della banca ma in fondo riconoscerete che è meglio dare i soldi a tua zia che ai colossi della finanza che, si dice ma non ci ho mai creduto, sottobanco comprano le armi per bombardare le strisce di Gaza e altre lande storicamente sfortunate. Così non ho difficoltà a immaginare la faccia dell’impiegato mentre approva la revoca del mutuo, in questi i tempi in cui la gente non ha nemmeno gli occhi per piangere, e tutto il sistema dei poteri economici forti che accusa il colpo per quei sessantamila euro di bottino che di colpo sono svaniti nel nulla del sommerso incontrollabile, dentro a un materasso o forse murato dietro a una piastrella alla mercé dei muratori che tra un centinaio di anni ristruttureranno il suo appartamento di proprietà. Ma la cosa divertente è, pur non avendo diffuso la notizia, sapete che i soldi che uno ha sono da sempre un argomento tabù, uno tra i pochissimi con cui si è confidata le ha chiesto se fosse sicura di non essere caduta in una rete di strozzinaggio, sai di questi tempi se ne sentono di tutti i colori. Un po’ giustamente si è offesa, un po’ le veniva da ridere a pensare alla zia che, oltre alla fuffa che accumula da sempre perché è stata cresciuta così, ha spazio nella sua vita per gestire un racket di estorsioni. Ma anche lei, la nipote destinataria del prestito intendo, è molto brava a gestire i suoi guadagni e in quattro e quattr’otto, corrispondenti a metà degli anni in cui ha pianificato di restituire il gruzzolo, estingue la somma. Ecco, stasera festeggiamo questo con un spritz in cui, anziché il prosecco come vorrebbe la ricetta originale, è stato usato lo champagne. Buono, vero?