diversamente umani

Standard

L’anno solare si divide in una giornata contro l’omofobia e 364 giorni di uomofobia (senza contare i bisestili), una lunghissima stagione nel corso della quale è il genere a cui appartengo anche io a incutere il terrore a tutto il mondo e a diffondere la convinzione che, a causa della manifesta inferiorità, purtroppo il conseguimento di un’evoluzione sociale e culturale è utopia pura. No future. Tanto che nel 2112 noi uomini italiani saremo qui ancora a nausearci delle coppie di maschi che si baciano e a eccitarci invece per le coppie di donne che fanno altrettanto, i quotidiani online a riempire le colonnine infami di gossip (proprio nel giorno a tema) sulle effusioni tra femmine mentre tra maschi strano che non accada mai, chiaramente i paparazzi non sono interessati. Due pesi e due misure, quindi, gay pervertiti e lesbiche tutto sommato ammissibili perché parte dell’immaginario da cui il potere maschile trae il suo godimento? Eh bravo, ti dicono, tanto lo sappiamo che fa parte della natura del tuo sesso. Però. Pensare una cosa e non manifestarla è ipocrisia, ma se si evita una figura di merda ben venga la disonestà intellettuale. Starsene zitti a vantaggio del progresso comune è un’occasione colta. Sottrarre al prossimo il proprio punto di vista in questo caso è una mossa vincente. E chissà, prima o poi ci sarà una giornata mondiale a favore delle convenzioni sociali, ovvero l’intelligenza umana che vince la bestia dentro e, con un po’ di sforzo, conquista una tacca di civiltà.

è tutta una questione di spessore

Standard

E vogliamo parlare dell’importanza che riveste il rullante nella cultura occidentale e nella nostra vita? Sticazzi, penseranno i miei venticinque lettori, vuoi dire che plus1gmt ha intenzione di scrivere una delle sue dissertazioni addirittura sul rullante nel senso del rullante della batteria? Ma è così a corto di argomenti? No, non è certo quello il punto. E non sono mai a corto di argomenti. Però se la nostra vita si muove a ritmo di musica, quanto è vero che la musica deve essere palesemente ritmata. Quindi – anche se non è detto – che sia supportata da un buona base di batteria sotto! E, insieme alla cassa, il rullante è altro che fondamentale. Dietro a un grande bum c’è sempre un grande cha, non dimenticatelo mai.

Ora, non sono certo un batterista pur avendo uno sviluppato senso del ritmo, ma trovo che sia interessante il fatto che il suono di rullante sia soggetto a mode e correnti di pensiero generazionali, che ci sia una sorta di estetica nel timbro dello snare drum e che si trovi sempre uno standard che poi tutti gli altri batteristi seguono fino a quando c’è un cartello di produttori che decide che non va più bene. L’esempio più eclatante è quello del rullante che negli anni 90 utilizzava Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers, con quel suono particolarmente acuto che poi è stato adottato da numerosi altri gruppi dell’epoca ed è diventato quasi un must. La peculiarità di quel timbro era determinata dallo spessore dello strumento in questione: il rullante più è sottile e meno il suono è grave. Per farvi capire cosa intendo, provate a sentire la rullata che introduce Two Princes degli Spin Doctors, oppure la geniale Jerry was a race car driver dei Primus. Un rullante spesso come una scatoletta di tonno. E provate a immaginare cosa c’era prima e cosa c’è stato subito dopo. Più o meno l’opposto, ovvero rullantoni alti come fustini del Dixan che facevano certi tonfi come passi di elefante, che negli anni 70 e 80 – prima dell’avvento delle drum machine e della house music – erano all’ordine del giorno e che, manco a dirlo, sono tornati di moda. Quello che però nessuno è mai riuscito a imitare è il rullante di Ringo Starr nel ritornello di questo pezzo. Chissà di che marca era.

documenti

Standard

Ci sono nuove complessità e nuove sfide, la posta in gioco è sempre più alta e catastrofi come l’11 settembre, avvenimenti che fino al giorno prima erano impensabili, si sono abbattute sull’occidente e hanno spostato conflitti e paure su un piano senza precedenti. Ecco perché è passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui mi è stato richiesto di rilasciare le mie generalità da un rappresentante delle forze dell’ordine. Perché fino a quando c’è stato il terrorismo de noantri e il fronte comune della lotta alla criminalità era principalmente lo spaccio di droga, era facile vedersi fermare da agenti in borghese e non per le verifiche di routine. E, nel mio caso, dai sedici ai trent’anni circa si è trattato di un appuntamento quotidiano a cui non sono mai riuscito a sottrarmi. Nei viaggi in macchina, nelle stazioni ferroviarie e nei luoghi pubblici, da solo o con altri, nella mia città o altrove, arrivava il punto in cui sentivo avvicinarsi quel momento, l’istante in cui una voce del sud mi avrebbe chiesto di favorire la carta di identità. La mia faccia e il mio abbigliamento accuratamente disordinato potevano anche trasmettere attività losche, ma il fatto di suscitare un così diffuso interesse tra poliziotti e finanzieri mi ha sempre lasciato sbalordito. Addirittura potevo essere fermato anche più volte nella stessa giornata da pattuglie diverse. Poi, ripeto, a un certo punto questo appeal è svanito nel nulla. Forse la vecchiaia o forse, come dicevo prima, là fuori è diventato è tutto diverso. O magari non si usa nemmeno più.

perché mi hai abbandonato

Standard

Quello che mi succede più spesso è che rimango talmente allibito dalle argomentazioni altrui su questioni che io do per scontato che poi davvero non so da dove partire con l’esposizione del mio punto di vista, perché dovrei cominciare prendendola dall’inizio, come quando alle interrogazioni si contestualizzava la lezione da ripetere iniziando dagli uomini primitivi. Un po’ perché non tutti avevano già acquisito il dono dell’arrivare al punto con poche parole e un po’ perché si cercava di perdere tempo, ubriacando gli insegnanti con una presunta ars loquendi, con l’obiettivo di distrarli dalla nostra scarsa preparazione.

Ma la confutazione di punti di vista diametralmente opposti non fa proprio per me, cioé se sento dire cose a cui non sono abituato, ed è talmente ampio lo sforzo che dovrei fare per raccogliere le idee, organizzare i contenuti e farli confluire in un discorso efficace che, al terzo o quarto secondo di scena muta, mi rendo conto che è meglio finirla lì e lasciare perdere, quando l’interlocutore non ha ancora colto la mia intenzione di intervenire e quindi confonde la mia esitazione con una manifestazione di silenzio assenso, il che va a a mio favore. Perché in certi casi partire con una testata dritta sul naso di chi hai di fronte e che è convinto della propria verità sarebbe la soluzione, ma non sempre si tratta di una strada percorribile.

Poco fa sentivo una specie di microfono aperto su Radio Maria, non chiedetemi il motivo di questo masochismo innato, ma stavo guidando da più di quattro ore e di fare zapping tra le stazioni commerciali non ne potevo proprio più. Così mi sono soffermato su un dibattito telefonico incentrato sui diritti alle coppie di fatto, gay e no, e mentre si susseguivano le telefonate – allucinanti – ho pensato che effetto mi farebbe intavolare una discussione con persone che sono così all’opposto dei miei valori e della mia etica. Perché stare sempre tra quelli come te non fa bene, o meglio, fa bene alla salute perché così tieni al slcuro il tuo sistema nervoso, ma poi magari ti fai un’idea della società che non è quella giusta. Pensi che il mondo sia abitato da esseri umani come quel pugno di amici che frequenti, e invece no. Innanzitutto perché ci sono quelle decine di semplici conoscenze più o meno simili a te, con le quali il confronto è già più difficile perché la pensano grosso modo analogamente ma con tutte quelle sottili sfumature che un po’ ricordano il variegato universo della sinistra italiana, con quella pletora di partitini tutti con la bandiera rossa, quelli che mettono sempre in discussione tutto solo per il gusto di farlo o perché devono seguire la propria coscienza. Ecco, chissà se invece una bella litigata con uno di Militia Christi sarebbe più producente, sempre che se ne esca vivi.

opposizioni di troppo

Standard

Ma è così conveniente riciclare i rifiuti? A partire da un no secco, che è indifferenziato, mentre una rinuncia sofferta può anche spingere alle lacrime ed ecco che il no è umido. E anche se fa parte di un sistema coerente e quindi è un rifiuto organico, tenerselo dentro non è salutare. Quanto è meglio liberarsene appena si può, anche se a furia di rifiuti gli altri potrebbero contrariarsi. Perché ce lo insegnano sin da bambini che i rifiuti non sono tutti uguali, compresi i no che aiutano a crescere. Essendo categorici ci sono giorni specifici per ogni tipologia, e occorre porre la giusta attenzione perché corriamo un rischio non solo in prima persona, purtroppo rendiamo perseguibile anche chi ci sta vicino. Un rifiuto è gettare via una parte della propria vita e, anche quando ne abbiamo un sacco, quasi mai ci si ripensa. Ci sono poi quelli ingombranti che mica si possono dare a tutti. È sempre meglio gestirseli da sé, considerando che anche se faticosi da smaltire hanno anch’essi un loro posto. Un rifiuto è sempre uno spreco, perché negarlo?

quest’onda che viene e che va

Standard

Non c’è come l’esortazione a pensare positivo che mi irrita, anche se comprendo lo spirito e la buona fede con cui viene espressa che poi è il desiderio che il destinatario del suggerimento possa rientrare nei binari della serenità partendo da dentro di sé. Pensare positivo significa trovare al proprio interno in autonomia il bandolo nella matassa annodata alla rinfusa delle cose che ci fiaccano, il capo di un filo che dall’altra parte è in mano a un salvatore o una salvatrice e in mezzo si dipana lungo un labirinto all inclusive, mostri compresi. Ma desiderare fortemente affinché una cosa accada (spero che la costruzione grammaticale sia corretta) ha le stesse potenzialità di successo di piegare un cucchiaino con la forza del pensiero (e non con il calore delle mani come Uri Geller) o di far squillare il telefono al nostro 3, e anche se la vita è piena zeppa di coincidenze e botte di culo i poteri soprannaturali ce li hanno solo i protagonisti dei film. E io che sono un pessimista nato – anche se poi il mio è realismo che è il movimento artistico dell’appurare che le cose vanno come vanno, ma poi tutti lo intendono nella sua versione degenerativa – però non ho la controprova. A meno che non si tratti di un meccanismo di azione-reazione di quelli sulla lunga distanza, cioè pensare ardentemente di trovare una valigetta di contanti oggi non funziona, ma non è detto che magari tra qualche mese ci si possa inciampare dentro, e visto che mi capita di sovente ma su transenne o stipiti, che almeno una volta la distrazione sia utile. Io so che le cose accadono e basta, possiamo lavorare per evitarne alcune, ma vivere con il sorriso sulle labbra non necessariamente migliora nulla, è controindicato in caso di elevata densità di moscerini e, per di più, fa venire le rughe.

in un batter d’occhio

Standard

Forse eravamo solo un po’ tristi perché c’era una settimana che stava finendo e un’altra alle porte con tutti quegli annessi e connessi che a un certo punto devi indossare di nuovo per esser pronto la mattina dopo perché è un attimo a chiudere gli occhi e a cadere nel sonno. Poi tutti questi gradi in meno, nessuno era preparato a una tale regressione. Altro che un’ora in anticipo, sembrava di essere ancora nel mezzo della battaglia, con parka e cappellino, a lottare per un raggio di sole e uno squarcio nel cielo grigio stabilimento. Così non siamo andati tanto per il sottile e abbiamo messo in pratica la soluzione finale, l’extrema ratio, il punto di non ritorno, il colpo che se lo sbagli implode tutta la materia dell’universo che non mi ricordo chi lo diceva, non vorrei confondermi ma era proprio Ken. Il guerriero, non l’amico di Barbie. Comunque prima di spegnere la luce ci siamo fatti reciprocamente il solletico sulla faccia con le ciglia®, che è una cosa semplicissima ma che metterebbe di buon umore anche uno che ha appena visto l’ultimo di film di Gus Van Sant “L’amore che resta”, che è una delle cose più struggenti e delicate allo stesso tempo mai viste ma se sei uno di quelli facili a commuoversi (come avevo giusto qualche ora prima letto qui) insomma, è meglio cambiare canale. E nemmeno a farlo apposta il film era appena finito e ci guardavamo così, come se era chiaro che ci volesse qualcosa. E a quel punto non c’è stata scelta. Il solletico sulla faccia con le ciglia® è un mio brevetto ma che lascio utilizzare in esclusiva ai lettori di questo blog, e consiste proprio nello sbattere le palpebre velocemente in prossimità del viso di qualcuno a cui volete bene, diciamo molto bene. Il sollievo e il buonumore sono assicurati, è quasi meglio del bacio della buonanotte, genera una sensazione di rinfresco sulla pelle del viso e mette in pace con il mondo chiunque. Provate anche voi il solletico sulla faccia con le ciglia®. È un’idea a impatto zero per il benessere comune e per una migliore qualità della vita.

una bloggata

Standard

I neologismi terminanti con la desinenza in -ata dalle mie parti vanno per la maggiore, su tutti la pizza di fine anno scolastico che finisce per chiamarsi pizzata e così via. C’è stata pure la panettonata di Natale, giuro. E oggi ho partecipato a una biciclettata, niente male vero? Cioè ci si ritrova tutti in un punto in bici, ovviamente, e si parte tutti insieme lungo un tracciato organizzato e comunicato alle autorità competenti perché per bloccare il traffico e attraversare indenni vie e circonvallazioni devi avere i vigili dalla tua, che ti precedono e si appostano negli incroci chiave per fermare gli automobilisti, in questo caso del sabato. E poi tutti insieme si imbocca sani e salvi la pista ciclabile che da me è tutta verde, hanno messo anche i segnali stradali con le distanze dei percorsi per fare sistema, che fa sorridere perché qui c’è davvero poco da sistematizzare da questo punto di vista ma comunque apprezzo la buona volontà, e il primo collegamento che ti viene in mente è un altro punto di vista, di quelli che vedono quei segnali superflui e dicono che non servono a nulla. Eppure la trasformazione dell’hinterland in un qualcosa a misura d’uomo dovrà pur cominciare da qualche parte, no? Quindi tutti in volata sotto questi trenta gradi anomali di metà maggio, padri e madri e figli su due ruote consapevoli che il sostantivo che riassume tutta l’energia dinamica generata prima o poi farà parte del Devoto Oli. Potremmo così organizzare una bloggata, tutti insieme a postare cose dallo stesso luogo anzi no perché l’Internet è già di per sé un luogo. Tutti insieme da casa propria a postare ciascuno i fatti suoi, pensando che ci sia gente che ha voglia di leggerli e meravigliandoci quando invece no.

ascoltare Mozart fa diventare intelligenti

Standard

Se provate a ricostruire il vostro universo sonoro e la vostra identità musicale attraverso il percorso degli ascolti – e per chi suona anche delle composizioni – lungo il quale siete cresciuti, è interessante rintracciare uno o più archetipi, i punti da cui tutto ha avuto inizio. Mi riferisco a quei modelli armonici, melodici e ritmici che si usano come elemento di paragone ogni volta che si scopre qualcosa di nuovo e che consentono di esercitare un giudizio tale per cui una canzone o un qualunque stralcio di brano entra a far parte del novero della propria musica di riferimento.

Sono numerosi i fattori in gioco: quelli che identifichiamo come i nostri gusti, influenze esterne come il giudizio delle persone con cui siamo in contatto e il cui parere per qualche motivo è importante per noi, i trend estetici e culturali che ci permettono di vivere più o meno perfettamente inseriti nel nostro tempo e di riconoscerci nella società che abitiamo e così via. Ma se provate a regredire verso le vostre radici, se la memoria ve lo permette, riuscite a ricordare i momenti in cui un ascolto ha fatto breccia dentro di voi? E attenzione, mi riferisco a quando eravate ancora non autonomi e prima che rivendicaste una vostra personalità culturale, perché sapete meglio di me che già dalla pubertà per non parlare dell’adolescenza spesso la musica è anche motivo di appartenenza e di emancipazione individuale, oggi magari di ribellione un po’ meno.

E, a proposito di generazioni, mentre i nostri figli hanno a disposizione un bacino audio infinito di riferimento soprattutto perché hanno dalla loro parte genitori già cresciuti con la musica di consumo, per alcuni di noi invece non è detto. Per esempio nella mia famiglia di origine non ci sono canzonette che ci sono state tramandate dai genitori, mentre ora mia figlia accanto a cose tipiche della sua età e che vanno di moda ora – le varie Katy Perry – ascolta di sua iniziativa generi e canzoni a cui l’ho introdotta io e che in qualche modo le assomigliano. Il che è un fenomeno stranissimo, perché poi scremando rimangono solo alcuni brani che mai avresti detto e altri, oggettivamente fondamentali, lasciano il tempo che trovano: mentre non riesco a farle piacere quelle che ritengo pietre miliari della storia del rock, tra i suoi preferiti trovano posto cose tipo Ca Plane Pour Moi di Plastic Bertrand, Pass the Dutchie dei Musical Youth o la più recente Bizness di Tuneyards, voglio dire brani più che godibili ma tutt’altro che epocali. Noi invece non abbiamo avuto influencer musicali del nostro calibro, genitori che ci hanno trasmesso le basi di musica pop-rock (e in alcuni casi reggae) da cui partire. Mia figlia ha addirittura assistito a un concerto dei Sigur Ros quando ancora era nella pancia di sua madre, che a dirla tutta si è pure addormentata malgrado la mia disapprovazione.

Ma senza andare così indietro, ci dev’essere stato per forza un evento che dentro di voi ha scatenato tutto, un punto di non ritorno malgrado a casa vostra, come in casa mia, si ascoltava principalmente musica classica o, nei giorni di festa, il liscio-folk, ancor prima che i vostri fratelli maggiori introducessero intra moenia strumenti di rottura con il passato, cavalli di Troia pregni di sfide e di modernità, sesso droga e rock’n’roll. Così, se devo identificare la prima reminiscenza, la prima successione di accordi che ho trovato congeniale con il mio modo di sentire, la ritrovo nel brano qui sotto. E sì, lo so, fa un po’ ridere.

due cuori e un cardiologo

Standard

Sto per estrarre la ricetta del mio medico dalla borsa e affidarla all’anziana farmacista che mi sta servendo quando il suo collega altrettanto anziano, che probabilmente è suo marito, sbuca dal retro con in mano due confezioni di pastiglie per l’ipertensione e le poggia sul bancone per incartarle, proprio in corrispondenza del borsellino aperto della giovane donna al mio fianco che fino a pochi istanti fa mi precedeva nella fila in attesa, il tutto in barba alla privacy ma la bottega è oltremodo old fashioned, in linea con i gestori, ma a una farmacia non si richiede di essere sempre trendy e rinnovare il proprio arredamento. Anzi, quando entro in esercizi in cui il tempo sembra essersi fermato mi sento più propenso all’acquisto. Questo per dire che il bancone è piuttosto stretto, e quando sono in due a servire come ora è inevitabile essere coinvolti nei problemi di salute altrui. Ma non è questo il punto.

La donna al mio fianco sta acquistando lo stesso medicinale nella stessa quantità indicata dalla prescrizione che ho appena sottoposto alla farmacista. E infatti quando la farmacista rientra e mi consegna le confezioni, io e la cliente ci guardiamo un po’ imbarazzati dalla coincidenza e da una sensazione che mascheriamo reciprocamente con il sollievo del soffrire di un problema di salute piuttosto comune come la pressione alta, avrete presente la massima sul mezzo gaudio, insomma gli acciacchi ce li abbiamo tutti.

La coppia dietro il bancone si sente autorizzata così a infrangere con zelo quei pochi cocci di riservatezza rimasti chiedendo a entrambi se non preferiamo il generico al farmaco richiesto, e il caso vuole che da questa parte rispondiamo allo stesso modo, probabilmente i rispettivi medici ci hanno detto la stessa cosa e cioè che trattandosi di agenti per la pressione non è detto che i medicinali abbiano la stessa intensità dei generici, e dicendolo ci convinciamo a vicenda.

E a quel punto lei che ha già pagato si avvia e io per fortuna sono ancora in attesa del resto, dico per fortuna perché altrimenti ci saremmo dovuti accompagnare insieme all’uscita e sarebbe stato troppo. Perché, in aggiunta a tutto ciò, c’è il fatto che oggi sia il mio compleanno, quel giorno in cui ci si sente un anno più vecchi e blablabla, e così ho pensato subito a come è cinica la vita se a sedici anni gli incontri fortuiti accadono perché tu e lei state scegliendo lo stesso disco dei Cure e alla mia età, che non vi rivelo quale sia, ci si incontra a causa della pressione alta e la cura è ancora la stessa per entrambi.