malati di terminali

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Il panico in cassa con il nastro pieno di prodotti scelti soltanto perché soggetti a sconti per i possessori della tessera, e che senza tessera tali sconti appunto non sono applicabili quindi il cliente pagherebbe un botto prodotti che né lui tantomeno sua moglie avrebbero messo nel carrello se non fossero stati al 40%, e in quel momento la tessera in borsa non si trova e dietro c’è una coda agguerritissima perché è quasi ora di cena e nessuno vuole perdere tempo al supermercato. Non sono bei momenti, no davvero. Ma facciamo un passo indietro.

Ci troviamo nella periferia di Milano, in uno dei numerosi centri commerciali in cui si consuma il rito della spesa settimanale, quella che oltre allo stretto necessario annotato in lista prevede un po’ di margine su tutto quanto si trova in offerta e che a prezzo pieno mai e poi mai i consumatori più intelligenti acquisterebbero. Ma una coppia di clienti ha commesso un errore madornale. La moglie, che conserva tutte le tessere dei supermercati nei quali alterna la spesa in una pochette per non ingolfare inutilmente il portafoglio, si accorge proprio al suo turno di aver dimenticato la suddetta pochette e di conseguenza la carta di fidelizzazione dell’esercizio in questione nell’altra borsa, a casa. E solo per pura fortuna la signora prima di loro che ha appena pagato, di fronte a un dramma di tale entità, reagisce con prontezza di riflessi encomiabile passando di nascosto dalla cassiera la tessera di sua proprietà alla coppia di sbadati. La tessera passa sul lettore e tutti vissero felici e contenti godendo delle offerte e degli sconti ad esse associati.

Ma il punto è che senso abbia dover portare con sé decine di tessere quando si potrebbe utilizzare un unico dispositivo per avere tutti i codici a disposizione per ogni evenienza. Un sistema in grado di virtualizzare ogni operazione che necessita dell’uso di una carta a banda magnetica generando un pin o un qr code o un barcode o qualsiasi altro identificativo quando serve, e che te lo invia via mms sul cellulare. La cassiera lo acquisisce automaticamente o lo registra manualmente e il gioco è fatto. Stesso discorso per carte di credito, prelievo contanti, documenti di identità e tessere sanitarie, biglietti del cinema e abbonamenti per i trasporti. Certo occorrerà avere sempre con sé il proprio dispositivo acceso e carico, i sistemi centrali dovranno essere a prova di downtime, ci dovrà essere sempre connettività dati ovunque e alle persone sarà richiesto di avere un po’ di fiducia e di dimestichezza in più con tutto ciò che concerne la dematerializzazione. Ma avremo un solo “coso” da portare appresso e molto più facile da perdere o da dimenticare nell’altra borsa, vero cara?

scusi, scendo?

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Se sei uno che in treno non legge la cosa più sciocca che puoi fare è accompagnarti a uno che in treno legge perché chi vuole proseguire con il suo libro può anche sentirsi in colpa per trascurare il compagno di viaggio, e chi vorrebbe fare conversazione invece dà per scontato che la sua compagnia sia più avvincente della trama di un romanzo e finisce per essere sopportato a malapena. D’altronde la superiore sensibilità di un lettore rispetto a uno che invece no è risaputa. Che poi il libro in questione sia di Kathy Reichs non è rilevante anche se so benissimo che se fossi nella collega trascurata della mia dirimpettaia di posto farei di tutto per interromperla nella lettura di un libro così inutile con i miei punti di vista intrisi di presunzione dicendo cose tipo perché perdi tempo con quel genere di letteratura lì, solo io ti posso salvare, chiedimi come.

Invece i tentativi di attirare l’attenzione da parte della collega altrettanto pendolare della lettrice vertono su argomentazioni ancora più trascurabili, la ricetta provata la sera prima o i programmi per il prossimo weekend fino a quando, registrando le risposte monosillabiche di una esplicita e crescente irritazione, l’uditorio circostante sembra dividersi tra il partito di quelli che lanciano sguardi di commiserazione alla non lettrice e quelli che si sorridono compiaciuti tra di loro, quella lì non conosce l’ABC del comportamento sui mezzi pubblici e delle relazioni superficiali tra individui che rientrano nella categoria della semplice conoscenza. La non lettrice infine comprende che l’unico terreno valido per non far pesare alla collega lettrice il fatto che fare quattro chiacchiere è una perdita di tempo più nobile rispetto alla lettura di un best seller di letteratura molto di moda è dirigere il dialogo su ciò dal quale vorrebbe distrarla, chiedendo dettagli proprio sul libro in questione. Ma la lettrice ha capito l’antifona e si limita a un laconico “sì mi piace, è sullo stile Patricia Cornwell”. Il mio sospiro di sdegno risuona più forte dello stridore dei freni, vorrei intervenire ma non ho un Power Point di supporto e rischierei di risultare non abbastanza convincente.

La bocca della scocciatrice si chiude in una “o” di stupore che mette in risalto il contrasto tra la sottile peluria sopra il labbro e il colore demodé del rossetto, nel frattempo il treno si inabissa nella parte sottoterra del percorso e si diffonde la consapevolezza che presto ognuno sarà al proprio pc. Un attimo di tregua tra le conversazioni in corso lascia emergere il resoconto tra due pensionati sulla riunione condominiale della sera prima, e tutti noi esseri umani pendolari che facciamo ancora muovere con la nostra operosità l’economia nazionale ogni giorno ci rendiamo conto che solo chi non ha altro a cui pensare, come due pensionati, può sprecare risorse e tempo libero come il trasferimento da casa all’ufficio parlando di una cosa così poco interessante come una riunione di condominio. Decido che noioso come una riunione condominiale sarà un modo di dire che finirò per usare, prima o poi. La non lettrice vorrebbe aggiungere qualcosa ma ormai non c’è più margine, scendono gli studenti universitari e la popolazione del vagone si avvia alla sua estinzione quotidiana.

di prima scelta

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Non appena riconquisto con fatica la posizione eretta dopo aver estratto la bici da uno degli slot a terra della velostazione noto i tre cd originali di altrettanti giochi della Playstation che qualcuno ha dimenticato proprio sul binario superiore a quello occupato da me. Succede a tutti, no? Posi qualcosa per fare qualcos’altro e poi di quel qualcosa te ne dimentichi perché sei di fretta, ti squilla il cellulare, ti cadono le chiavi, vedi qualcuno che conosci, o semplicemente ti distrai e così una parte di te resta lì a disposizione del primo che passa, e starà a lui scegliere come comportarsi. Ma cosa si può fare con gli oggetti impersonali e privi di alcun dettaglio di riconoscimento? Comprendo di avere pochi secondi per trovare la soluzione più adatta all’imprevisto, e naturalmente non mi viene. Non sono uno che trova la risposta subito quando serve, devo pensarci su ma dopo il tempo minimo per capire che non sto facendo una cazzata non (mi) deludo mai, chiaro che un approccio di questo tipo ti preclude un sacco di occasioni vantaggiose, ma non è la fine del mondo. Avevo pochi secondi, dicevo, e così li ho lasciati lì, mosso dal fatto che non avendo né quello né nessun altro tipo di console e non essendo neppure un cultore dei videogiochi non avrei saputo nemmeno che cosa farne. Mi sono detto che il proprietario sarebbe potuto tornare di corsa nel giro di qualche minuto e non ho fatto nulla. E solo pedalando verso casa ho l’illuminazione: posso lasciare un biglietto con un messaggio tipo “li ho presi io tutti e tre” seguito dal numero di cellulare. Se avessi scritto a cosa mi stavo riferendo chiunque si sarebbe potuto arrogare la proprietà degli oggetti smarriti, facendo così invece solo il diretto interessato avrebbe capito quella sorta di codice. Giusto no? Convinto di avere in testa la formula per salvare il mondo torno alla velostazione di corsa, avevo con me carta e penna per mettere a segno la mia prima buona azione quotidiana. La storia sembra chiudersi come è giusto che sia, e cioè che giunto per la seconda volta lì nel giro di qualche minuto, i CD di videogame per la Playstation – ricordo pure il nome del gioco, Soccer e qualcosa, in tre differenti versioni – non ci sono già più. Mi guardo in giro e non c’è nessuno, non c’è nulla da fare se non avviarsi a casa e attendere la prossima volta in cui ci sarà bisogno di me e io dovrò chiedere un po’ di pazienza, fatemici pensare, ci aggiorniamo più tardi.

ma se la Francia ha un presidente che si chiama Hollande, l’Olanda no perché è una monarchia

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Io sono uno di quelli che dai francesi si farebbe colonizzare a partire da oggi stesso, anzi oggi a maggior ragione visti i risultati delle elezioni presidenziali. Se non altro perché li ho sempre avuti come esempio a quattro passi di cura del suolo pubblico, che è un po’ come avere un vicino di banco di quelli che studiano sempre la lezione e tengono in ordine i quaderni, quello di brutta dove fare le operazioni e le prove e quello di bella da mostrare alla maestra senza nemmeno un baffo di inchiostro (i quaderni, non la maestra). Questo per dire riconosco l’inferiorità, invadeteci pure, siete i benvenuti. E a tutti gli italiani che sì avrete pure i formaggi e i vini più buoni ma intanto ce l’avete anche voi il presidente fanfarone che gli piacciono le belle donne. Intanto le belle donne sono una ex modella che se l’è sposata e che, voglio dire, in quanto a classe una come la Minetti non potrebbe neppure limarle le unghie dei piedi. Secondariamente l’hanno eletto, non gli è piaciuto, e l’hanno mandato a casa al primo mandato. Noi quanto ce lo siamo tenuti Berlusconi? Diciassette anni?

conto terzi

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Se mi parlate di democrazia diretta a me viene un brivido perché la prima cosa che mi viene in mente è la folla che nel dopoguerra sequestra non ricordo quale fascista, lo lincia e lo getta nel fiume. Non che la cosa non mi abbia fatto piacere, ma gli istinti animali è meglio tenerseli per sé e così istituzionalizzare l’ipocrisia della mediazione tra il diritto naturale e quello giuridico o come si chiama, che raccoglie i desideri della collettività e li codifica con il filtro della ragione. Questo perché l’esercizio del potere senza interposta persona nel caso della   giustizia dimostra la sua inadeguatezza almeno nella versione ufficiale dei nostri sentimenti e una volta messo a bada l’impeto. E altrove non saprei, ma per non saper né leggere né scrivere mi fido e sostengo la stessa cosa. E ripenso a casi come l’occupazione dell’università a cavallo tra gli 80 e i primi 90, non ricordo esattamente quando, un movimento all’acqua di rosa – rosa come la pantera che li rappresentava – in cui il dibattito a cui non ho partecipato perché ero già quasi fuori con lode verteva proprio su quel concetto di prendersi i diritti in prima persona e in gruppo. Occupare l’università per farla a propria immagine. Ma anziché frequentare gli occupanti per capirne le ragioni io flirtavo con una della fazione contraria, quella che si chiamava ancora DC e non chiedetemi perché, e quindi avevo una versione del movimento più edulcorata, almeno fino a quando poi trovai al suo stesso tavolo di lavori un fascista del FUAN e ripensai alla democrazia diretta del tribunale del popolo e del volo nel fiume e il flirt finì così, d’altronde non si dice “mogli e buoi dei partiti tuoi”? Così quando leggo di allenatori che prendono a pugni i giocatori ribelli o di imprenditori che, come dice Gramellini, anziché vendere il proprio arsenale per pagare gli arretrati del canone RAI lo usano per mettere a ferro e fuoco uno sportello di Equitalia, ecco, penso a come sarebbe la nostra società in questo limbo tra far west e anarchia, in cui ognuno direttamente si prende la sua fetta di potere e la applica secondo i propri criteri. Il che non è distante da chi sostiene che, pagando le tasse, vuole che insegnanti, dirigenti scolastici, amministratori locali, vigili urbani, ministri e presidenti della repubblica debbano fare quello che vogliono loro. Ma per farlo è necessario accordarsi con tutti gli altri stakeholder della cosa pubblica che sono i milioni di cittadini che pretendono altrettanto ma allora occorre mettersi d’accordo e investire qualcuno della voce di tutti e fare un partito con un delegato che li rappresenta. Ops, ma allora si ritorna daccapo.

in soldoni

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E come se nulla fossa accaduto si continua a vedere in giro gente con mazzette di contanti in mano. Italiani alla cassa con il portafoglio pieno di biglietti verdi da cento o quelli più rari ocra e viola e commesse nel panico perché hanno appena aperto e non hanno resto da dare. Così chiamano il responsabile che rivolta i divisori nel registratore delle entrate come un calzino, sopra e sotto ma la realtà è quella, triste ma vero. Venti e venti sono quaranta, ma poi mancano i pezzi da cinque e da dieci per arrivare a sessantacinque. Sono i negozianti a essere sprovveduti e sperano che nessuno vada a far shopping con i bigliettoni in tasca, o lo sono tutti quelli che non credono ancora nei POS e nel pagamento elettronico e ritirano dagli sportelli prima di comprare? Dopo tutti questi anni? Così tra clienti in fila ci si guarda spazientiti mentre la coppia protagonista dell’anacronistico siparietto non sa come comportarsi, se devono preoccuparsi loro di uscire e cercare qualcuno che cambi i tagli a due zeri o se è il negoziante che è tenuto a provare al bar latteria a fianco, che ha aperto alle sei del mattino e avrà già un bel gruzzolo in cassa a furia di cappuccini e cornetti e caffè. Ma non hanno una carta o un bancomat, qualcuno insinua la domanda nella coda che unità dopo unità ora si accalca fino a metà negozio. Dai caro, paga con il bancomat, lo esorta la moglie. E la vicenda finisce così, sette minuti persi solo per sbarazzarsi di banconote che poi lo sanno tutti, tenersele addosso non è nemmeno così sicuro, sia che la perdi sia che qualcuno che nota il rigonfiamento e poi se ne approfitta. Senza parlare di chi si chiede quale sia la provenienza, perché oggi il contante è una prerogativa dell’evasore e di chi fa affari in nero, di nascosto, magari trame losche che non devono lasciare traccia. In ogni caso, vedere i soldi dal vero sarà un’abitudine dura a morire, finché saremo materiali anche noi come le nostre ricchezze. Viene il turno nel frattempo dell’acquirente successivo, la sua spesa è inferiore di chi lo ha preceduto ma per segnare la discontinuità estrae la sua American Express. La transazione si inceppa, il primo e il secondo tentativo pure, e ancora una volta tra clienti in fila ci si guarda meno spazientiti e più divertiti, forse semplicemente non è giornata.

non paga

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Avete mai visto un uomo che corre inseguito da un poliziotto in borghese? Che poi il fatto che sia in borghese, il fatto che ci sia differenza tra la divisa e gli abiti civili è una sfumatura che colgono solo gli spettatori, perché è facile prendere un abbaglio. Chi è il cattivo dei due, se nessuno veste da agente? Così se qualcuno vuole intervenire, e dubito che qualcuno voglia immischiarsi, almeno io me ne guardo bene, il dubbio è su chi fermare: occorre gettarsi su chi insegue o proteggere chi è inseguito? Gli occhi del ragazzo magrebino che corre davanti hanno una luce che non avevo mai visto, c’è un obiettivo su cui punta l’attenzione cha varia di istante in istante e se sapesse che sta guadagnando terreno, se si voltasse indietro potrebbe concentrarsi più lucidamente sulla via di fuga più efficace su cui puntare.

Il poliziotto – e che si tratta di un poliziotto a questo punto della storia non l’abbiamo ancora capito – è nettamente meno in forma del presunto delinquente, non ha certo il fisico della gazzella e non ha la propulsione della paura di chi ha davanti. Il tutto mi fa venire voglia di canticchiare “Police on my back” dei Clash, con quella sirena all’inizio allarmante che la senti e inizi subito a correre via. Ma qui non si scherza, non siamo in diretta su un canale musicale, e la gravità della situazione la si evince dalla pistola che il poliziotto – e nemmeno a questo punto l’ho capito ma la pistola diciamo che è un buon indizio – impugna senza puntare però, per furtuna, al ragazzo che scappa. Continua a leggere

prima cittadina

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So che non dovrei scriverlo qui, quindi fate gli gnorri se mi conoscete e non dite che ve l’ho detto, ma credo davvero che mia moglie dovrebbe candidarsi come Sindaco del paese in cui abito alle prossime elezioni, e i motivi per cui dovrebbe farlo sono molteplici. Potrei organizzarle una campagna elettorale a sorpresa ma dubito che sarebbe una vera e propria sorpresa, nel senso che ti possono comprare e ristrutturare case a tua insaputa ma dubito che ti possano candidare senza che tu dia il tuo consenso, e soprattutto è facile accorgersene dai manifesti appesi ovunque, prima o poi ne noti uno. Potrei anche curarle tutta la comunicazione politica sul web e sui socialcosi, come Obama. Scherzi a parte, trovo che sia un politico perfetto non perché sa fare il politico, ma perché ha una capacità di sintesi e di arrivare al nocciolo dei problemi che non ha eguali e perché tra le persone che conosco è quella che sa meglio relazionarsi al prossimo. E lo fa non da uomo politico tradizionale, anche perché è una donna politica, cioè non usando l’arte della mediazione bensì con la sua passione. Non lo dico solo perché mi ha sposato, certo sono un po’ di parte, ma non ha eguali, davvero. Ogni tanto glielo propongo, lei è già consigliere comunale e fa parte del direttivo della sezione locale di un partito, ma è fermamente contraria. Anzi, già patisce l’impegno e il tempo sottratto a sé stessa e alla sua famiglia, quindi non credo di avere speranza. Ma sono convinto che vincerebbe all’unanimità, altro che ballottaggio. E poi, come mi vedreste come first lady?

mettere in bolla il presente

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Ma quanto è cambiato, se è cambiato, il nostro lavoro da quando abbiamo iniziato? Ne parlo con un amico con cui ho condiviso gli albori per poi intraprendere carriere diverse, e senza considerare la naturale evoluzione del percorso compiuto – ci diciamo – ci sono numerosi segnali da tenere in considerazione. Che poi parlare di naturale evoluzione oggi non ha più senso, non si entra più al piano più basso e si scala la gerarchia fino ai vertici per andare in pensione da manager come si faceva un tempo, questo perché non ci sono piani bassi, spesso non c’è gerarchia e nella maggior parte dei casi non ci sono nemmeno più le aziende, che nel frattempo cambiano nome e ragione sociale fino a farsi acquisire o controllare e poi chissà. Sempre che non vengano smantellate prima. Ma se ti va di culo e sei in una realtà più o meno resistente non c’è più quella tendenza per cui cresci e sgomiti per raggiungere il top. Continua a leggere

su coraggio

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È facile per noi vecchi brontoloni piazzarci davanti a raitre, seguire il concerto del primo maggio e dichiarare con estrema facilità che, almeno nella prima parte della kermesse (sono le 19.20 circa), non se ne salvi nemmeno uno dei gruppi e artisti italiani che si sono alternati sul palco. Che tra i Sud Sound System, gli A classic education, Teatro degli orrori e tutto il resto di cui non ricordo nemmeno il nome, ah i Nobraino e Dente e quelli di Scampìa, insomma decretare il più imbarazzante di tutti è impresa ardua. Che si perpetua quel vuoto culturale per le nuove generazioni che ci ha messo tutti sotto tono, perché tra canzoni, musicisti, presentatori, messaggi e contenuti proprio non si salva nulla, ma probabilmente è perché i giovani migliori se ne vanno all’estero ma se potessi scegliere all’estero ci manderei tutti questi qui. Che siamo così piccoli e insignificanti che probabilmente non si giustifica nemmeno la nostra esistenza, tanto che una band italiana la riconosci dalla prima pennata sulla chitarra come un film italiano dal primo fotogramma e un autore italiano va be’ ci siamo capiti. E che, per fortuna, un certo tipo di musica al mondo ce l’abbiamo solo noi. Per fortuna per gli altri.