camera mai vista

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Il tempo che perdiamo a spiare quello che fanno gli altri su Facebook – e a pensare come interagire per non essere da meno – potrebbe portare alla rovina la nostra civiltà se non fosse che il tempo stesso di Facebook va esaurendosi. Dai ragazzi delle superiori in giù – e sto approssimando per difetto – Facebook sta cadendo in disuso sotto i colpi di social network dai contenuti dal ciclo di vita inferiore, e se è pur vero che Facebook ha soppiantato i rapporti in carne e ossa dei quaranta-cinquantenni, quando un giorno i nostri profili altro non saranno che un paradossale epitaffio stampato in qualche modo sulla scatola delle nostre ceneri probabilmente le quotazioni in borsa dei giganti del web saranno molto diverse da quelle attuali.

Un dato che però non deve farci prendere un sospiro di sollievo perché le sorti del genere umano non è che si risolleveranno, visto come vanno le cose. Oggi per esempio la perdita di contatto con i luoghi fisici è ancora più evidente mettendo in confronto il rapporto tra i ragazzini e le loro camerette. La dimensione virtuale sposta il tempo libero destrutturato dei nostri figli lontano dagli spazi fisici domestici, tanto che l’essere a proprio agio non dipende più dall’ambiente in cui l’ozio si esercita ma dalle prestazioni consentite dal dispositivo utilizzato. La vita parallela su Internet può essere vissuta ovunque, in qualunque momento, e in casa non necessariamente in una stanza sgombra degli adulti e dei loro orpelli educativi.

La cameretta era il nostro mondo, per dire, con i poster di Bowie e i segreti e le confezioni di cartine lunghe custodite nei cassetti al riparo da occhi indiscreti. Oggi i ragazzi preferiscono personalizzare le loro pagine sul web, le foto da ammirare le appiccicano su Instagram e tutto questo non importa dove lo si fa, basta che ci sia la connettività adeguata. Tutto ciò a meno che oggi in cui la realtà aumentata è tornata prepotentemente alla ribalta con Pokemon Go non si metta ulteriormente in discussione questo trend.

Conviene quindi sbrigarci e approfittare della situazione. Noi genitori che le camere in più degli appartamenti in cui abbiamo dato riparo ai nostri ragazzi le abbiamo pagate a suon di ennemila euro al metro quadro possiamo sentirci autorizzati a riappropriarci degli ambienti fisici che l’Internet ha reso desueti, per sfruttare finalmente le stanze che i figli non abitano più (per vivere sul loro web) ristrutturandole in ambienti più utili, per esempio una bella e funzionale sala prove.

le 10 cose più spiacevoli che dimostrano che non sei più un ragazzino

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C’è una leggenda metropolitana dell’informatica che dice che ci sono poteri occulti che attivano attraverso un virus da remoto la webcam di cui i laptop sono provvisti e registrano a tua insaputa quello che fai al pc e poi ti ricattano. Bene, cari poteri occulti, ricattate pure un povero vecchio che scrive al suo blog con gli occhiali perché altrimenti le lettere sul foglio elettronico bianco sfarfallano e non a causa di un effetto programmato in html5 o un javascript ma perché la vista, dopo venticinque anni di lavori al computer, ha avviato la sua speranzosa procedura per andare in pensione. Questo solo per iniziare, perché da qualche altra parte in questi nostri corpi cinquantenni tutta la smania di fare e disfare, accelerare per arrivare, salire metaforicamente i gradini due a due, cambiare arbitrariamente alla ricerca del meglio, sfidare le leggi della natura con notti in bianco, aglio olio e peperoncino all’una di notte, abbigliamento indossato in base all’estetica e non alla comodità o alle condizioni atmosferiche, senza contare gli effetti collaterali di pressione circolazione digestione e altri ameni sconvolgimenti fisici, insomma giustamente certe cose di questo mondo non sono più alla nostra portata e sarebbe giunta ora di fare spazio alla nuove leve, se non fosse che le nuove leve ancora sono lì che arrancano per emanciparsi emotivamente, professionalmente ed economicamente. Ci viene richiesta la stessa freschezza di un tempo ma qui un certo entusiasmo che avevamo già messo via con l’ultimo cambio degli armadi delle stagioni della nostra vita ormai è tutto tarmato che sembra un colabrodo. Che figura ci facciamo se ci dimentichiamo cose importanti nello svolgimento del nostro lavoro? È colpa nostra se gli standard della concentrazione oggi si sono evoluti come la velocità dei microprocessori o le capacità degli hard disk, e la nostra è a rischio obsolescenza come uno di quei vecchi sistemi operativi che la modernità non tiene nemmeno più in considerazione nella compatibilità delle nuove tecnologie? E per fortuna che lavoriamo nei servizi e le conseguenze di quello che facciamo non mettono a repentaglio l’incolumità fisica nostra e degli altri. Al massimo ci dimentichiamo di rispondere con prontezza a una mail perché arriviamo in ufficio cotti dopo una notte agitata dagli incubi professionali generati dalle incombenze alle quali sicuramente non siamo più adeguati. E la cosa paradossale è che il mercato richiederebbe sempre più carne giovane e invece si deve accontentare di vecchietti sempre più rincoglioniti dai social network. Forse è questo il motivo per cui l’economia non si riprende.

diamo i numeri?

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Un pensiero all’attuale proprietario del mio vecchio numero di cellulare che ho portato dal 1998 al 2013 lungo diverse compagnie telefoniche del calibro di Omnitel poi Vodafone quindi Coopvoce (giuro) e TIM. Per dirvi quanto fossi redditizio per tutte queste, nessuna, al momento dell’addio, mi ha mai contattato per convincermi a restare a botte di offerte come invece sento che fanno tutti. Anzi minacciare la recessione di un contratto sembra essere una delle fonti di reddito principali della gente oltre a un vero e proprio mestiere, perché cambiare compagnia implica una fatica che, davvero, non so come facciate. Ho amici che dicono si a tutti e poi riescono ad accumulare promozioni e smartcosi da centinaia di euro da un mese all’altro ma senza rimetterci una lira anzi. Veramente ho il massimo rispetto per il modo in cui vi prendete gioco delle multinazionali, io almeno non ce la farei.

Poi è accaduto che mi è stato concesso il telefono aziendale con un contratto flat, quindi non ho acquistato più ricariche per il mio vecchio numero ed è finita che – cosa che ignoravo del tutto – la mia prima gloriosa scheda telefonica, sulla quale sono passate conversazioni e sms che non vi dico, è stata spenta per inutilizzo. Quando c’erano solo i numeri fissi potevi verificare un eventuale aggiornamento di numero altrui sull’elenco o sulle pagina gialle, ricordate? Pensate al concetto della privacy ai tempi dei telefoni pubblici nei bar, con quelle mensole sovraccariche di volumi con i dati e gli indirizzi di tutti gli abitanti dell’Italia.

Oggi invece se cambi numero di cellulare è un casino perché non sei registrato da nessuna parte. La convenzione prevede di avvisare la propria rubrica. Io invece avevo solo aggiornato i contatti più stretti, tanto che a tre anni di distanza c’è ancora qualcuno che ha entrambi i numeri e mi chiama o mi scrive di là. Non so se sia ancora in vigore la prassi per cui i numeri vengono in seguito affibbiati ad altri. Di sicuro un tempo però era così.

Proprio il mio primo numero aveva avuto un precedente proprietario, uno che doveva andare in giro a spezzare cuori femminili perché più di una volta ho ricevuto messaggi piuttosto pesanti. “Sarà contenta la troia che ti scopi ora”. “Una sempre pronta a scopare come me non la troverai mai più”, questi sono i più hot che mi ricordo e vi giuro che io non c’entravo niente. Avevo addirittura prestato il mio telefono a mia mamma durante una sua degenza in ospedale, e quella donna ancora scottata dall’ex (e ex possessore del mio numero) si era fatta viva con un tempismo da manuale proprio in quel frangente, tanto che riuscii a convincere mia madre a fatica che tali porcherie non erano rivolte a me. Fino a quando decisi di chiamare la donna spiegandole l’equivoco e chiedendole la cortesia di interrompere le comunicazioni di quel registro. Se il mio vecchio numero è ancora attivo immagino invece gli sms noiosi che gli arriveranno, robe barbosissime di lavoro e qualche messaggio promozionale, anche questo un segno dei tempi e dell’età.

vogliamo l'uguaglianza dei diritti per gli upload

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Che cos’è questa discriminazione? Perché gli upload non hanno gli stessi diritti dei download che quando uno (non io eh) vuole vedere un film in quattro e quattr’otto ce l’ha bello e pronto sul PC mentre provate da casa a mandare con un sistema cloud le foto a un amico. Con tutto quello che pago possibile che nel duemila e sedici gli upload subiscano ancora queste angherie dai service provider? Sarà forse considerato contro natura caricare le cose da qui verso la rete che ci vengono imposti questi tempi biblici? Non si tratta dello stesso bocchettone da cui scarichiamo ogni porcheria con la massima scioltezza? Persino i mostrilli di Wetransfer ti guardano con compassione mentre dopo mezz’ora sei ancora lì al quattordici per cento e pensano che sfigati questi umani che le trovano tutte per spremere soldi ai loro clienti. Ora mi metto seduto e qualcuno di voi capiscioni dell’Internet mi spiega per filo e per segno il motivo per cui ci sono trasferimenti di serie A e trasferimenti di serie B.

la recensione dell'ultimo disco di windows 10

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L’informatica ha soppiantato completamente la musica nelle conversazioni dei ragazzi. Probabilmente hanno avuto un destino simile le passioni, di certo i passatempi e da quando ci sono cose come la Wii anche lo sport e l’attività fisica, e questo è una cosa che si sa. Ma se vi capita di ascoltare le nuove generazioni chiacchierare del più e del meno, i vecchi cavalli di battaglia che alimentavano le discussioni di un tempo sui generi musicali sono stati soppiantati da tutto ciò che orbita intorno al digitale. Questo perché l’informatica oggi è un grande contenitore che comprende anche la musica, insieme alla fotografia, al cinema, alla tv, e quello che è nato come un elemento trasversale in grado di potenziare l’accesso a tali discipline e a contribuire alla loro diffusione, in realtà le ha ghermite, fagocitate e trasformate in materia vivente per tessuti e organi propri, dando vita a una sostanza indistinta a cui però nessuno ha opposto resistenza. In cambio, voglio dire, abbiamo ricevuto moltissimo, quindi ci siamo ben guardati dall’evidenziarne la pericolosità, sotto questo punto di vista, e nessuno di noi vorrebbe certo tirarsene indietro ora. Soprattutto perché in questo contenitore digitale qualcuno ci ha fatto credere che sono le relazioni e gli affetti a giocare un ruolo decisivo, peccato che solo tra qualche decennio potremo osservare i risultati di questa trasformazione epocale, quindi sarete voi a raccontarci come è andata a finire. Voi che ritenete l’informatica un argomento molto più divertente di cui parlare rispetto anche alla politica e alla società e non solo più appagante degli AC/DC o dei Kiss, voi abituati al fatto che su Internet si può discutere sia del contenitore che del contenuto. Ed eccoci qui: a dispositivo intelligente disconnesso, l’illusione del digitale è tale che ne percepiamo lo stesso la sua presenza. Emozioni, gesti, parole: dal vivo con la gente il nostro comportamento si è evoluto (o involuto, a seconda di come la pensiamo) e in questa incommensurabile realtà non-digitale quello che ci tiene vivi è sempre legato alla rete. Per questo è facile comprendere il perché un’esperienza totalizzante come la musica sia stata spazzata via non solo nella pratica o nella vita sociale ma nelle conversazioni stesse dei ragazzi. Senza contare che l’informatica è talmente pervasiva perché è anche al centro anche del nostro lavoro. Non si era mai visto un elemento in grado di seguirci dalla culla alla bara con la stessa continuità di presenza. Ma non voglio fare della filosofia da tanto al mucchio, a me spiace solo perché tra i ragazzi oggi non suona più nessuno e nessuno discute di musica. Ma pensate a che palle potrebbero farsi i giovani ‘d’oggi assistendo alle conversazioni dei giovani di ieri, le discussioni mie e vostre con i miei e vostri amici. In nostra presenza tirerebbero subito fuori lo smartphone, nel migliore dei casi per mettersi a fare qualcosa di più coinvolgente, nel peggiore per farci foto di nascosto e poi deriderci sui loro social.

ognuno perso in una lingua tutta sua

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Il motivo per cui la gente scrive, dice, pubblica, registra e monta, immortala, dipinge, compone arrangia ed esegue, plasma, scolpisce, muove il corpo, costruisce anzi prima progetta, inventa, scala, infrange record, supera se stessa, filtra con Photoshop, ricama e in generale si esprime a cazzo – un trend in crescita negli ultimi dieci anni – è perché la stessa gente non capisce più. Non comprende il senso. Fateci caso. Il fenomeno è grave, se pensate che fino ad oggi ce la siamo cavata soprattutto perché comprendendo le cose riuscivamo a elaborare processi, dare risposte, risolvere problemi, migliorare condizioni, progredire ed evolverci, persino. Ci stiamo immedesimando troppo nell’intelligenza artificiale a cui stiamo demandando troppi aspetti della nostra dimensione cerebrale, quella che ci aiutava a imparare, sapere e saper fare. Il problema è che siamo di quella roba lì, invece, e a parte qualche caso al mondo e nella storia difficilmente battiamo in bravura un microprocessore. Avere come esempio dei pc (o dei Mac, non c’entra il sistema operativo) non ci aiuta. Leggiamo e pensiamo di aver capito il senso solo perché lo abbiamo lì davanti, come quando a scuola di sembrava di possedere la materia guardandola stampata e sottolineata sui libri di testo. Oggi ci mettiamo davanti ai testi stringati del web e pensiamo di sapere tutto ma mica è così. Perdiamo l’allenamento tanto che non solo siamo sempre meno atletici ma ci ritroviamo a vivere sempre più come delle capre. A me capita sempre più spesso di non essere capito, di essere equivocato fino a casi incredibile in cui a fronte di una mia spiegazione anche scritta viene inteso l’esatto contrario. Ho scritto a una cliente una mail per accordarmi sul giorno in cui organizzare un lavoro, indicando le date in cui non sarei stato disponibile, addirittura sottolineando il non. Per tutta risposta mi è stata proposta una delle date in questione, così ho rilanciato pensando a una sua svista e approfittandone per aggiungere altre date di indisponibilità che nel frattempo avevo pianificato, sapete, ci sono periodi in cui lavoro di brutto e questo è uno di quelli. La cliente, manco a farlo apposta, ha scelto una delle nuove date. Mi è venuta così in mente Alessia, una signora ucraina che supportava nei lavori domestici una zia novantenne e che era analfabeta, e anzi ora che ci penso c’è pure un bel film su una storia simile di cui mi sfugge il titolo. Invece no. La mia cliente sa leggere, ci mancherebbe, ma non lo fa con attenzione. Poi magari il problema è mio ed è perché scrivo a cazzo più di tutti gli altri. Mi viene voglia di fare una prova: senza leggere qui sopra provate a scrivere un riassunto di questo post nei commenti sotto così vedo se avete capito bene.

sapete cantare quattro battute del Gran Vals di Francisco Tárrega?

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Una delle dicerie più buffe che giravano una quindicina di anni fa, quando erano stati commercializzati i primi cellulari con la suoneria personalizzabile, era che la questione della diffusione in posti pubblici di musica protetta da diritti – anche tramite l’approssimativo sistema di amplificazione dei cellulari che giravano allora e anche nella riduzione a suoneria telefonica – avrebbe dovuto in qualche modo essere regolamentata. Il che, in soldoni, significava far pagare la SIAE a chi impostava un pezzo dei Queen come squillo associato ai contatti appartenenti al gruppo “colleghi di lavoro”, un gruppo di contatti per i quali se fossi uno da suonerie personalizzate utilizzerei la marcia funebre di Chopin oppure un qualsiasi brano di uno dei gruppi che meno sopporto e che odio a morte. Ecco, i Queen per esempio. Per chi ama alla follia la musica come il sottoscritto, far identificare a terzi i propri gusti musicali o qualcosa di associabile al proprio universo sonoro tramite un qualsiasi canale di comunicazione, una maglietta (giusta o sbagliata che sia ) con il logo del gruppo del cuore o una suoneria potrebbe risultare comunque uno dei biglietti da visita più efficaci. Invece mi spiace deludervi ma oggi ostento un banalissimo ringtone 1 anche un po’ da suonini retro dei videogiochi a 8 bit, a dirla tutta. Ma ai tempi del Nokia 7110 avevo persino trovato un composer per personalizzare le suonerie con il quale avevo preparato una versione dell’Internazionale che quando mi squillava in treno si giravano tutti e a me veniva sempre da alzare il pugno della giustizia proletaria. Il mio amico Stefano invece, che era molto più snob di me, con lo stesso software aveva composto una melodia caccofonicissima o, come diceva lui, free jazz che gli invidiavo ogni volta che qualcuno lo chiamava. Ma il punto è che oggi delle suonerie fighe a nessuno non gli interessa più niente. Il che è pazzesco se pensate che c’è gente che con lo smartcoso ci ascolta pure la musica senza badare a chi ha vicino e che ci sono certi modelli che hanno una buona fedeltà. Nessuno della generazione di mia figlia, per dire, si sbatterebbe con i programmi di audio editing a tagliare il ritornello della propria canzone preferita in modo che cominci proprio da quel punto lì, quando squilla il telefono. Addirittura mia figlia tiene costantemente il telefono nemmeno sulla vibrazione ma proprio sul silenzio totale, e ogni volta che devo chiamarla la discussione che ne deriva è sempre a stessa perché io mi incazzo perché lei non risponde mai e non c’è verso di farle capire che il telefono, principalmente, serve a parlarsi.

chi vi ha visto

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Anziché preoccuparci per tutte le persone che sono sui social network dovremmo farlo per chi non lascia traccia di sé. Il giochino della caccia ai compagni di classe delle elementari o delle medie, di quelli che facevano basket con noi o della prima persona con cui abbiamo limonato dovrebbe essere un segnale da non sottovalutare: la percentuale dei contatti ritrovati è infatti bassissima rispetto a quelli che restano sommersi, e l’età anagrafica è inversamente proporzionale a questo dato. Conta sicuramente il fattore per cui non tutti i cinquantenni come me si sono rincoglioniti qui sopra, ma non è una giustificazione plausibile. Possibile che di certa gente non ci sia nessuna traccia sul web? Mettere qualche dato proprio dovrebbe essere obbligatorio in questa società in cui ovunque e in qualsiasi momento devi essere rintracciabile. Potrei iniziare oggi qui e scrivere nome e cognome delle persone che sono svanite nel nulla in barba alla loro privacy, così Google inizia a mettere in moto anche la loro condanna all’eternità digitale. Chissà se si tratta di una pratica illegale o passibile di rimostranza dai diretti interessati. Proviamo? Dai, facciamo un tentativo e vediamo cosa succede. Ma no, scherzavo. Se poi la persona che cerco è morta, sai che figuraccia.

festeggiamo l'Internet Day ogni giorno

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Da ieri l’Internet italiana ha trent’anni, anche se le rete democratica come la conosciamo noi – e non solo quindi il club privé per smanettoni che nei primi anni novanta aveva la parvenza di una carboneria i cui militanti si incontravano a SMAU – ne ha almeno dieci di meno. Ma adeguiamoci lo stesso alla ricorrenza e, come direbbe Facebook, spero che tutti voi abbiate contribuito a rendere la giornata di ieri ancora più speciale, facendo sapere all’Internet che stavate pensando a lei. All’Internet devo molto sia nella sfera degli affetti che in quella professionale, per non parlare dello svago e delle passioni, a partire da questo blog. Mi trovate invece nella fazione degli apocalittici per quanto riguarda i social network che, rispetto alla rete, sono ben altra cosa. Se non riusciamo più a contenerci è proprio a causa loro e del simulacro di onnipotenza che ha disintegrato i nostri freni inibitori. In confronto, l’abbondanza di pornografia e di materiale protetto da copyright a portata di mano ha fatto meno danni anche se, sia chiaro, la colpa non è certo della fibra ottica ma dell’uso che il genere umano, già fiaccato da decenni di canali televisivi, ne ha fatto. L’Internet non ne può nulla e non date a lei la colpa quando si compierà il giro di boa in cui i bambini saranno più adulti degli adulti e toccherà a loro indicare la strada a generazioni di quarantenni che si danno il buongiorno con jpeg piene di pupazzetti e scritte in comic sans. Trent’anni di informazioni digitali per ridursi a queste bassezze? Ma la conseguenza più importante dell’avvento di Internet è stata che alla fine è bastata una cosa così per dimostrare la vera attitudine dell’uomo, e cioè che scriversi è molto meglio che parlarsi.

il genio delle cuffie

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Avete presente quello spot strafigo che gira alla tv e tutta quella pubblicità che si vede per strada, in Internet e nelle stazioni della metro degli auricolari Genius? Beati voi perché io me ne sono accorto appena due settimane fa e solo perché ho prestato conforto a un’anziana signora – anziana veramente, mica come me – a cui usciva il sangue dal naso. Volevo farle presente che non è una cosa grave anche se certi sintomi non bisogna sottovalutarli, la sorreggevo per il braccio per non risultare troppo invadente e dare adito a dubbi sul mio operato, c’era persino un cane che abbaiava forte probabilmente infastidito dal sangue, ma poi si è appoggiata con la mano con cui si tamponava il naso con il fazzoletto al muro e ha (se siete deboli di stomaco smettete di leggere qui) vomitato roba rossa. Comunque sul muro tutto impiastrato c’era appunto affisso il manifesto di questo prodotto che ha catturato come immagino a voi l’attenzione ma non per l’efficacia del messaggio quanto perché avevo bisogno di un nuovo paio di auricolari. Ne faccio fuori a iosa e non chiedetemi il perché. Poi ho avuto l’idea di contattare l’azienda e spacciarmi per uno di quei blogger che fanno le prove prodotto, questo prima di controllare su Amazon il costo (gli auricolari Genius con le spese di spedizione costano poco meno di venti euro) quindi facendoci una figura da barbone perché è finita che me ne hanno spedite veramente un paio. Tra l’altro bordeaux, bellissime. Ora devo ingegnarmi a scriverne le recensione ma non ho dubbi sul fatto che siano davvero superlative, soprattutto nell’enfatizzare i toni bassi. Ma la vera chicca è che con una combinazione di canzoni che è segreta e che non vi posso rivelare (mi hanno fatto firmare un vero e proprio vincolo) si attiva l’effetto per cui diventano gigantesche, si sprigiona questa specie di vapore tutto sgargiante e a quel momento puoi esprimere tre desideri. Per dire, il mio collega, quello che ha provato il Bungee Jumping qualche domenica fa e da allora non fa altro che parlarne a tutti, ha acquistato un modello di cuffie Genius ancora più costoso ma a lui non si è ancora manifestato nessun segno, probabilmente qualcuno da qualche parte nel mondo che ha comprato le cuffie Genius ha già espresso il desiderio di bloccare la magia degli auricolari a quelli che non capiscono quando di certi argomenti ai colleghi non gliene frega un cazzo.