tu sei sempre mia anche quando vado via

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Tormentoni estivi ce ne sono stati tanti, almeno uno o due per ogni stagione. A memoria d’uomo potremmo ricordare insieme “Self control” di Raf o “Ti amo” di Umberto Tozzi o ancora “Vamos a la playa” dei Righeira fino a “Waka waka” di Shakira. Benché il concetto stesso di tormentone sia un tormentone in sé, tutta questa foga nel trovare un capro espiatorio assegnabile al delitto di allineare esistenze in stand-by sul lettino di uno stabilimento balneare vittime di mesi di stenti io non l’ho mai capita. L’ozio obnubila la mente e costituisce in realtà il principale deterrente alla tintarella, questo per dire che se ti metti a raccogliere pomodori sotto la canicola, anche con la radiolina accesa, ti abbronzi di più. Ma se per ovvie ragioni di influencing – come si usa dire oggi – debbo esprimermi per l’uno o per l’altro disco per l’estate, la mia preferenza va a un motivetto che cantavo a squarciagola inseguendo una dodicenne come me, lei su una Graziella verde, io sulla mia Olmo Forestal, il modello con il cambio a tre velocità. Eravamo un po’ innamorati, forse, e quel motivetto rimase in testa alle classifiche per tutta l’estate vincendo pure il Festivalbar. Anche grazie al nostro amore più che acerbo (e mai consumato).

l’anticiclone

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Oggi fa caldissimo. Così dicono tutti i giornali e la tv, arriva una massa di aria calda da sud e fa caldissimo e non ricordo però se era oggi o domani, ma se ne parlano tutti probabilmente ho ragione io. E i ragazzi seduti intorno ai tavolini fuori dal bar che chissà perché è noto come un ritrovo gay, sarà per il nome del locale che in effetti richiama l’idea che gli eterosessuali hanno del tempo libero dei gay, confermano tra loro che fa caldissimo durante una conversazione divertita. Un pour parler accompagnato da copie di riviste sventolate sotto il mento. E le loro bermuda dai colori vistosi unite a infradito discutibili sono la conferma che non si tratta di un’opinione dettata dall’informazione ufficiale. Quella sul tempo che fa, intendo. Tanto che anche le signore dai capelli bianchi che hanno la stireria di fronte si lamentano con un loro cliente, uno di quelli che si cambiano camicia con le iniziali tutti i giorni e le portano lì a farle lavare e stirare per dieci euro a capo. Ma è evidente che la temperatura lì dentro non fa testo, mentre stiri fa sempre caldo con tutto il vapore misto al profumo dell’ammorbidente che ti sale verso il naso. Ma va così, arriva l’aria calda dall’Africa ed è il caso di ricordarselo qualora ci si sentisse sprovveduti. Il cliente si allontana impugnando un mazzo di appendiabiti con altrettante camicie tutte uguali reggendole dal gancio senza pagare, lascia la porta aperta perché fa caldo, probabilmente salderà il conto a fine mese staccando un assegno con una cifra considerevole. Uno dei clienti migliori.

E che fa caldissimo lo dici anche tu mentre attraversi il cortile con la tua amica, quella che sembra anoressica tanto è smunta e quando indossa i jeans stretti come vanno di moda ora tra una gamba e l’altra c’è abbastanza spazio da vedere chi c’è dall’altra parte. Le dici che stamattina fa caldissimo con un tono di voce che si sente fino qui prima di separarti da lei e salire in ufficio, dove come prima cosa chiedi al collega che ha un’evidente cotta per te se ha finito di prepararti il tuo portfolio su dvd fatto con un programmino per slide show interattive che ha sviluppato ad hoc di sua iniziativa. E certo, la risposta non può che essere affermativa. Lui estrae dalla borsa Eastpak il dvd master rosa comprato appositamente senza la serigrafia della marca e tu noti subito che il tuo galoppino abituato ad archiviare dati asettici su supporti materiali ha marcato la conclusione di quel progetto imbrattando la superficie del dvd scrivendo il tuo nome sopra con un pennarello di quelli che si usano per scrivere indelebilmente sulle superfici difficili come la plastica dei dvd e tu, malgrado poi quello che c’è masterizzato sopra sia frutto di fatica gratis e notturna svolta solo con l’evidente scopo di compiacerti, ti incazzi perché quella superficie di plastica rosa doveva restare immacolata per essere ospitata dentro un booklet in nuance con il resto della confezione. Lui si giustifica imbarazzatissimo per la gaffe fatta inavvertitamente e con tutte le buone intenzioni e ha la fronte imperlata di sudore, perché fa caldissimo e la massa d’aria dal sud doveva arrivare domani e siamo tutti vittima di un errore di stima dei meteorologi. E comunque io tutto questo caldo mica lo sento.

death disco – the Beginning of everything

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cento di questi giorni

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La fontana dista qualche erta più in alto, nel prato dietro la cascina disabitata che è l’ultima prima dell’inizio del bosco. L’acqua è freddissima anche in estate, nasce chissà dove sul monte, quasi tutte le case hanno la propria sorgente destinata anche all’irrigazione degli orti mentre dentro gli impianti domestici sono riforniti dall’acquedotto comunale. Abbiamo bevuto fino a non poterne più, poi ci siamo sciacquati la faccia con le mani a coppa e senza asciugarci ci siamo lanciati di corsa giù per la collina per godere del vento di quel mattino di fine agosto sulla pelle, mentre il sole è ancora quello della stessa estate e ti scalda la testa fino a farti profumare il cuoio capelluto in quel modo che succede solo ai bambini. La nostra casa da lassù sembra chiamarci con la finestra del fienile che dà verso noi, entro un paio di settimane le chiuderemo gli occhi e la bocca con gli scuri e torneremo in città dove l’effetto benefico delle vacanze in campagna si sarà stemperato tra l’odore dei libri scolastici e della cancelleria nuova, tutto disposto sul tavolo e pronto per essere messo in cartella. L’inchiostro delle pagine stampate, la plastica delle copertine colorate per i quaderni e le gomme perfettamente squadrate che fanno venire voglia di prenderle a morsi. Tutto ancora così distante. Ma questa mattina ci ha svegliato il rumore di una motocicletta da cross lanciata a tutta velocità lungo la salita sterrata che passa proprio dietro casa, una sorta di anticipazione di quello a cui saremo esposti da lì a poco al rientro nelle nostre camere sulle vie del centro. E ce lo siamo confessato, come se si trattasse di una paura. Che spavento. Stamattina stavo sognando che l’estate era già finita.

simple m

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Ti voglio dedicare un pezzo a dimostrazione del fatto che come vedi non sei stato solo di passaggio nelle nostre vite ma hai rappresentato qualcosa di importante per tutti noi, e non ti meravigliare se considero questo comitato virtuale di attribuzione di onorificenze come un insieme coeso di amici anche se in realtà poi a scrivere è uno solo e chissà dove saranno tutti gli altri, i membri fondatori come me o i soci onorari e quelle persone ex ragazzi e ragazze con cui ci accompagnavamo nella delicata fase in cui abbiamo assistito al reciproco transito. E se voglio dedicarti una delle canzoni che più ci siamo divertiti a interpretare con le nostre azioni quotidiane è perché desidero che tu riceva un premio in prima istanza per come eri – e come immagino tu sia ora -, per la tua sorprendente sensibilità e complessità malgrado fossi stato indirizzato al lavoro dopo la terza media a causa probabilmente della visione di te che avevano i tuoi genitori e chissà cosa e come saresti diventato se avessi avuto l’opportunità come tutti noi di studiare e frequentare un liceo anziché chiuderti adolescente in una officina con uomini adulti e calendari di pin up a seno nudo, la stessa in cui ripari automobili ancora oggi a distanza di trent’anni. Non che tu non svolga una professione nobile, anzi. E a dirla tutta, il fatto che a differenza di tutti noi per te sia stato possibile emanciparti e renderti indipendente con largo anticipo rispetto al resto del gruppo parcheggiato lustri fuori corso all’università è stato fonte di ammirazione e amichevole invidia soprattutto per la collezione di rarità e bootleg che ti potevi permettere.

Una differenza nei percorsi di vita individuali che però tu mettevi sempre alla casella di partenza di ogni confronto in caso di discussione fino a utilizzarla come tasto di trasferimento nell’iperspazio nei momenti più difficili, quelli in cui scomparire dalla vista degli altri si prospettava come la soluzione più adeguata a non dover ammettere una inadeguatezza. E la prima volta in cui avrei voluto dedicarti questo pezzo è stato quando ti ho trovato in lacrime a casa mia, eri corso disperato da me e pur non avendomi trovato avevi atteso ore il mio rientro senza vergognarti di piangere ininterrottamente di fronte a mia madre per un motivo che magari è meglio non ricordare qui, dato che con il metro di giudizio che abbiamo ora che siamo di mezza età cose così sminuirebbero la portata della sofferenza che avevi provato. Ma non solo.

Ripenso a tutto quello che hai scelto di imparare da autodidatta come hai deciso in autonomia di crescere a tuo modo e le manifestazioni concrete della tua verve artistica, quello che scrivevi, quello che dipingevi fino alla passione per la fotografia, non sai quanto stridevano con il congelatore dei tuoi genitori pieno fino all’orlo delle peggiori abitudini alimentari e con le superfici della parte di camera che condividevi con tua sorella colme all’inverosimile e con una precisione maniacale di sopresine degli ovetti Kinder, puffi di tutte le fogge e di impolverati trudy pegni d’amore. E ti chiamavamo Simple Max solo perché possedevi tutto ma proprio tutto dei Simple Minds, non certo perché ti ritenevamo una persona semplice e poco adeguata ai nostri turbamenti emotivi. Così ho pensato di dedicarti un pezzo come si faceva al nostro programma radiofonico preferito, ci si salutava così un tempo e ci si mandava a dire che si era l’uno importante per l’altro.

Fantarock: libera la musica che c’è in te

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Dopo anni di Fantacalcio, dopo decenni di Fanta e basta – sapevate che è stata inventata in Germania e poi acquisita dalla Coca Cola americana dopo la Seconda Guerra Mondiale? – ecco il passatempo per chi al pallone virtuale preferisce cuffie, volume a manetta e tanta immaginazione, oltre al fondamentale tempo da buttare via: il Fantarock. Come si gioca? È semplicissimo. Analogamente al giochino preferito da tifosi e amanti del calcio e che riunisce intorno a community on line e in carne e ossa, collettive o limitate a contesti definiti, uomini e donne di ogni dove, questa versione più nobile e intellettualmente evoluta consiste nell’acquistare per finta musicisti di gruppi o session man di ogni tempo e paese per dare vita a formazioni rock immaginarie. Si possono formare band inventate di sana pianta o più agevolmente, partendo da un gruppo a propria scelta, costruire la line up che più ci soddisfa a seconda delle propria inclinazione. Qualche esempio?

I Clash sono il mio gruppo preferito“, sostiene Claudio P., 42 anni, geometra di Lucca e fantarocker incallito dal 2008, “ma nelle registrazioni dal vivo ho sempre avuto l’impressione che con una sezione ritmica più incalzante il sound dei miei beniamini sarebbe potuto essere più grintoso“. Nel suo dream team del Fantarock, i Clash annoverano alla batteria nientepopodimeno che Dave Grohl, agguerritissimo batterista dei Nirvana poi chitarrista e cantante dei Foo Fighters. “Con Dave dietro i tamburi i Clash hanno ottenuto una marcia in più, perché spinge al massimo il resto della band e permette a Joe Strummer e soci un approccio punk rock più moderno“. Certo, musicisti come Dave Grohl non costano poco nei tornei di Fantarock organizzati. “I polistrumentisti come lui sono i più richiesti, ma sono riuscito ad aggiudicarmi l’asta on line battendo sul tempo i migliaia di partecipanti che volevano accaparrarsi Dave per gruppi molto meno importanti del mio e in cui l’ex spalla di Cobain sarebbe stata di certo sottoutilizzata“.

Ruggero S., uno studente romano che ha dichiarato di trascorrere sul Fantarock la maggior parte del suo tempo libero, è invece partito da zero per mettere insieme un ensemble di tutto rispetto. “Adoro il timbro vocale di Michael Stipe ma a malapena sopportavo le schitarrate e i mandolini con cui veniva sommerso nei REM“, ci confessa Ruggero, “così ho scambiato Peter Buck con Tom Rowlands e Ed Simons dei Chemical Brothers – uno strumentista d’altronde vale molto di più di gente che sta dietro ai computer e fa finta di suonare – e ho ottenuto un risultato davvero originale, roba da non credere“.

Insomma, le possibilità e le combinazioni messe a disposizione dal Fantarock sono davvero illimitate grazie al bacino di strumentisti e cantanti conosciuti e non a disposizione, e critici e operatori del settore sono convinti che sarà la novità che consentirà all’industria musicale di rialzare la testa. Non sono poche infatti le major e le etichette indipendenti che si stanno ristrutturando per mettere a disposizione dei fanatici del Fantarock piattaforme e infrastrutture di rete adatte a supportare traffico dati per quantità di giocatori elevate e tutta una serie di servizi che recheranno valore aggiunto a uno dei passatempi nati dal popolo del web ma che si sta diffondendo sempre di più grazie al passaparola. Stanno per nascere anche Social Network costruiti ad hoc e interoperabili con video games come Guitar Hero in cui sarà possibile anche assistere ai concerti virtuali delle band che riscontreranno maggior successo tra i power user del Fantarock. E tu, cosa aspetti a fare la tua band immaginaria e a partecipare a un torneo di Fantarock?

nemmeno un prete per chiacchierar

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Non ricordo dove l’ho letto, però pensate quanto è vero. Non sceglieremmo mai per i nostri figli cibo scadente tantomeno dannoso, giusto? Allo stesso modo dovremmo mettere a loro disposizione risorse e oggetti di qualità e di buona fattura, a partire dalla proposta culturale fino a generi materiali come giocattoli e vestiti. La prima volta in cui ci ho pensato è stato dopo l’acquisto di una tastiera elettronica a tasti piccoli con cui pensavo di avvicinare mia figlia alla musica suonata che a conferma del prezzo irrisorio e della pessima fabbricazione – suoni e funzionalità terrificanti malgrado la marca storica – è stata da lei utilizzata pochissimo e ogni volta in modo piuttosto improprio. Chiaro che prima di investire qualche migliaia di euro in uno strumento acustico come un pianoforte, per esempio, uno ci pensa due volte visti i tempi, voglio dire le cose di qualità talvolta hanno costi proibitivi, ma con un po’ di astuzia e di ingegno si riesce ad arginare il problema. Da allora cerco di valutare appieno ogni acquisto, non vi dico mia moglie che passa ore in rete per documentarsi su qualsiasi tipo di articolo si renda necessario prima di decidere quale comprare.

Una analoga accuratezza andrebbe esercitata anche in ambiti più complessi come la gestione familiare in rapporto ai mesi di vacanza dei bambini. Ma mai come in questo caso il benchmarking è superfluo. In una società basata praticamente solo sulla disponibilità dei nonni, nel momento in cui si è costretti a rinunciare al loro supporto si apre una voragine organizzativa. Le proposte alternative non mancano, ma la sostenibilità economica è a dir poco proibitiva. Ed è il nostro caso. Se piazzare nonni e nipoti in una casa in montagna per uno o due mesi prima delle ferie ufficiali di agosto era tutto sommato accessibile e di facile ammortamento, le iniziative settimanali per bambini nelle strutture private sono fuori portata e non convenienti, benché estremamente valide. La scelta così alla fine si riduce all’offerta pubblica e agli oratori, un servizio che è poco più di un parcheggio erogato in modalità discutibile su cui mi sono già espresso più volte.

Questo per dire che ci sforziamo di ottenere il meglio da tutto ma siamo disposti a chiudere un occhio sulla qualità del tempo che i bambini trascorrono quando sono in nostra assenza (poi c’è anche la questione di come passiamo il nostro tempo con loro, ma questo è un altro discorso). Insomma, da lunedì mia figlia è iscritta all’oratorio estivo della parrocchia nei pressi di casa mia, noi non siamo credenti né praticanti ma a malincuore abbiamo confermato la scelta delle ultime due estati per i costi irrisori (il personale è tutto volontario) e perché l’alternativa comunale sfrutta le strutture scolastiche che i bambini frequentano già tutto l’anno, non ci sembrava giusto costringerla ancora negli stessi ambienti in cui è rimasta tutto l’inverno. Una scelta un po’ ipocrita di cui farei a meno, ma non sapremmo come comportarci altrimenti, e come noi tante altre famiglie come a dire mal comune mezzo gaudio. Così, quando accompagno mia figlia in oratorio e la lascio in quel cortile, tra centinaia di coetanei in quel momento di anarchia totale che precede la chiusura dei cancelli e l’inizio delle attività, penso che non è giusto, che una società che trascura in questo modo suoi membri più vulnerabili e importanti non è poi così evoluta anche se cerchiamo di convincerci, quando li vediamo raggiungere gli amichetti mentre ci allontaniamo per recarci al lavoro, che per loro, per i bambini, un posto vale l’altro.

assenteismo

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Nella rete che conta e nei socialcosi di quelli in cui si leggono solo le imperdibili conversazioni tra i minivip che animano il jetset a 140 battute e rotti è tutto un pullulare di gente che non fa. Quelli che non seguono il calcio e tantomeno guardano le partite alla tv e tantotantomeno gli incontri dell’Italia. Ah ma nemmeno sapevo ci fossero gli Europei, ti scrivono tra un chiocciolaqualcosa e un cancelletto, e quell’altro che fa il digei Francesco dei poveri e lo fa da almeno trent’anni che risponde ah nemmeno io, alla tv guardo solo i telefilm più in vogah. E poi quell’altra che ha pubblicato il libro che cerca di vincere su tutti, ah io non guardo la tv scrivo solo per i programmi fino al decisivo io la tv non ce l’ho nemmeno, ho solo un display LCD sul quale vedo i film scaricati che vince su tutti (ma il canone dovresti pagarlo ugualmente). Che poi, permettetemi la citazione pop, tutto questo is the ultimate “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Ah ma io non li vedo i film di Moretti.

manifesta incompatibilità

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Quante volte avrei voluto fermarvi in tempo e dirvi che quella di mettervi insieme non mi sembra una buona idea, non siete per nulla compatibili anche se l’entusiasmo del momento vi fa interpretare come amore e passione tutta una serie di sensazioni che tra un mese o dieci o un anno vi faranno soffrire. Si vede lontano un miglio che non siete fatti per stare insieme e se è plausibile che ci siano contingenze tali da riposizionare le priorità per cui ci si fa scegliere da un partner – solitudine, attitudine alla condivisione, curiosità o casualità – sarebbe più opportuno interpellare gente come il sottoscritto e fare un sondaggio e quindi rimettersi al senso comune. Chi dei due metterà a tacere le proprie necessità prima o poi non troverà più il rapporto soddisfacente abbastanza da giustificare l’impeto di remissività e un giorno vi sveglierete pensando che la buona causa che vi ha fatto mettere insieme non vi sembra più così buona. Ripensateci, slegate il vostro abbraccio che vi cinge inopportunamente sui sedili di questo treno. Vorrei che tutti gli estranei qui con me e voi interrompessero ciascuno i propri pensieri e si spendessero in un dibattito sul vostro caso, sono certo che l’esito confermerebbe le mie turbe e vorrei altresì che il più convincente di questo tribunale popolare trovasse le parole migliori a persuadervi che c’è troppa differenza di tutto, età e letture e modalità espressive e a dirla tutta anche posizione politica. E secondo me non siete nemmeno gratificati vicendevolmente sotto le lenzuola perché appartenete a due modelli che nella dimensione della quotidianità sono inclini ad allontanarsi. Guardatevi dentro, parlatevi, e poi fatemi avere un feedback circa la vostra decisione. Un giorno mi ringrazierete.

il danno

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Non so se si tratti di un modo di dire comune, ma dalle mie parti – almeno quando ero ragazzo io – si usava il termine “rovinarsi” nel senso di trovare ogni modo lecito e non per distanziarsi il più possibile dalla realtà. C’erano quelli che si rovinavano di alcolici, quelli che si rovinavano di canne, ci si rovinava di più mescolando le sostanze. Una volta ho chiamato al telefono un amico a casa sua, i cellulari non esistevano ancora, e mi ha risposto dicendomi che era in acido ed era rovinatissimo. Io me lo immaginavo in casa, abitava ovviamente con i genitori vista l’età, al telefono nel corridoio come me che lo avevo chiamato per una questione qualsiasi, forse per chiedergli di fare qualcosa insieme, un film o un salto in birreria, e mi guardavo allo specchio mentre gli parlavo e mi immaginavo lui che faceva la stessa cosa ma rovinatissimo e in acido e mi chiedevo come si poteva vedere in quell’altro specchio a casa sua. Qualche giorno fa mi è tornata in mente quella conversazione strampalata tra me e quell’amico in acido, e ho pensato che si usa il verbo rovinarsi in un senso azzeccatissimo, perché a bombardarsi di quelle cose lì poi alla fine ci si rovina davvero. Si rovinano parti del corpo, magari i polmoni o il fegato, si rovina la testa, a volte addirittura capita che qualcosa si guasta e non si può più aggiustare.