che crea falsi miti di progresso

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I Subsonica hanno pubblicato una nuova edizione del loro ultimo lavoro, Eden, in cui hanno incluso anche la loro rivisitazione di “Up patriots to arms”, un pezzo che non ha bisogno di presentazione alcuna e che fa parte di una delle migliori produzioni musicali italiane del secolo scorso che è l’album Patriots di Franco Battiato. La band torinese ne propone la cover da un po’ di tempo, recentemente era compresa in un medley con “L’ultima risposta” ed oggi, finalmente, è stata registrata in studio con tutti i crismi, voce di Battiato compresa. Chiaro che stiamo parlando di una di quelle canzoni così intense e belle che è quasi impossibile eseguirla male, puoi anche rivoltarla come un calzino ma conserva comunque il suo fascino. Quindi grazie a Rael che mi ha dato l’ispirazione, e qui sotto trovate riunite l’originale, la prima cover che io ricordi che risale addirittura ai Disciplinatha, una versione rockettara dei Negrita e la più recente di Samuel e soci (in qualità meno che disdicevole, ma è quanto passa per ora il convento).

vita da star

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Ci siede intorno a un tavolo, si occupano divani e sedie, e poi ci si guarda negli occhi mentre ognuno si guarda dentro e cerca di immaginarsi quando sarà il proprio turno. Il rumore della trivella della riflessione si attenua solo quando uno di noi fa una domanda, quell’altro risponde. Si sdrammatizza, scappa il sorriso, la battuta. Poi l’ansia riparte e va più a fondo, oltre al dolore ci saranno tutti gli aspetti tecnici, nessuno è esperto, per fortuna, solo chi ha avuto un lutto di un parente stretto da poco sa dirti cosa ci vuole e cosa è bene evitare. Viene fuori addirittura che ci sono quelli che ti fanno tutto, non devi pensare a nulla, la mattina dopo hai già i manifesti per le vie, ti vestono la salma, ti organizzano le esequie. E domani tutti ad accompagnare un pezzo della storia di qualcun altro che va ad aggiungere anni a un film lungo più di quanto riusciamo a immaginare, alcune scene ancora impresse nella memoria di qualcuno, altre perse per sempre quando anche l’ultimo spettatore sopravvissuto è passato dietro le quinte. Così ti viene voglia di chiederlo a quelli che incontri, che poi è una domanda che oramai tutti collegano a una celebre gag di un comico napoletano, anche lui già nel cast di quell’altro lungometraggio. Lo sai, vero, che anche tu…? Ti viene da chiedere. E lo sai che anche questa tizia che è seduta qui a fianco e legge Vanity Fair, anche lei…? Lo sai, eh, che tutti, proprio tutti…? Ma poi esci, cammini, ti siedi tra sconosciuti e li guardi bene e in molti non vedi alcun segno di tutto ciò, oddio magari a quello che ha Libero in mano glielo augureresti, ma poi pensi chissenefrega, diamine, se si continua a produrre nuove serie, tutte di successo, a ingaggiare sempre nuovi protagonisti e nuove comparse, un motivo ci sarà.

new york new york

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Non capitava da ventuno anni: Don DeLillo e Paul Auster, gli scrittori simbolo di New York, seduti insieme sul palco a ragionare di letteratura, crisi, disorientamento di una società che sembra accartocciarsi sui propri guai economici e non solo. Ci è riuscita la rivista Granta a riunirli, dentro una libreria, e subito è tornata l’intesa di sempre. L’intesa di due uomini che solo nella scrittura trovano qualche spiraglio di redenzione, per un mondo che altrimenti pare sempre più alienato, incomprensibile, e incapace di far comunicare i suoi abitanti.

Il resto su La Stampa.

nelle vesti

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Quello che gli piaceva di più era il suo stile, quel modo di vestirsi così alternativo agli stili alternativi che non potevi nemmeno avvicinarlo a una categoria. Tenete conto che i negozi di abbigliamento dell’usato erano appena stati inventati ed erano frequentati da chi davvero non aveva soldi da spendere e da chi aveva gusti molto molto particolari. Ma bisognava anche potersi permettere di indossarli, per dire una volta lui, il suo amico Frank e la sua fidanzata avevano rischiato il linciaggio per come si erano conciati, certa gente l’ironia proprio non sa nemmeno da che parte si apre, figuriamoci se sull’etichetta non c’è indicata la marca. Comunque lo stile era originalissimo. Per fare un esempio: cappello a caciotta, giacca plasticosissima con sciarpa piumata, pantaloni da uomo anni 40 e scarpa anti-infortunistica. E il tutto le stava divinamente. Adorava quel look e portarsene appresso un campione mobile lo faceva anche sentire fortunato perché molti gli dicevano che era fortunato e lui ci credeva, davvero. La tua tipa è originalissima, si complimentavano. Trovi?, rispondeva con una domanda, facendo finta di niente. Capitava che dovessero recarsi in città insieme, per esempio, e lui era contento perché laggiù poteva sfoggiare quel soggetto all’avanguardia che portava a braccetto, e che risultava innovativo anche lì. Poi un giorno lei doveva andare in città da sola per restituire i libri a quel suo amico che tutti chiamavano con il soprannome, e un motivo ci sarà chissà, ma aveva pensato di farle una sorpresa e per caso l’ha intravista in coda alla biglietteria in stazione. Era piuttosto difficile riconoscerla. La giacca alla moda, la gonna da boutique corta sopra il ginocchio, collant velati e i tacchi, non altissimi ma comunque più delle pedule gialle che le aveva visto la sera prima sotto la salopette da operaio. Sembrava un’altra, un look talmente ordinario da essere persino provocante, ma quella era una parola bandita dal comune vocabolario. Ha pensato bene che la sorpresa fosse fuori luogo, probabilmente vestita in modo così strano per i suoi standard avrebbe potuto sentirsi in imbarazzo, così l’ha lasciata lì senza farsi vedere, certo che non le avrebbe mai chiesto nulla.

la televisione di apple

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La melevisione, già mia figlia ne va pazza.

cinque centesimi, al giorno d’oggi

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Il messaggio ricevuto dice proprio così: la mamma mi aveva regalato una mantellina rossa, tutti mi prendevano in giro ma a me piaceva tanto. È stato necessario un minimo di editing, il testo in realtà è un po’ più sgrammaticato e privo di punteggiatura. E puzza ancora di naftalina come quella stessa mantellina che è rimasta chiusa in un armadio per quanto? Quarant’anni? Sì, più o meno. Ma è stata sufficiente la prima seduta dallo psicologo per scardinare l’anta del mobile e far luce su quello e chissà quanti altri aneddoti. La situazione era grave, anche se non si capiva se ci fosse o ci facesse. Difficoltà arcane nell’ammettere responsabilità applicate a un danno di entità cosmiche che inciderà sulla sua vita, innanzitutto, e su quella dei parenti più prossimi, quindi o è stata sopraffatta sul serio oppure ha finto il tracollo per delegare un po’ di colpa a una terza parte ignota, la testa che va un po’ per i fatti suoi e che è sempre un valido capro espiatorio invisibile. Ma nel dubbio tutti spingono affinché si rivolga a uno specialista, uno strizzacervelli, come li chiamano nei film. C’è da chiedersi come faccia a mantenerselo, però, il supporto di uno psicologo. Dopo la botta che ha ricevuto ora è praticamente nullatenente, il reddito a malapena le consente l’abbonamento del bus per recarsi al lavoro. E, appena fuori dallo studio dopo la prima seduta, subito mette mano al cellulare e si sfoga con la migliore amica. Probabilmente lo psicologo ha iniziato alla grande con il ruolo dei genitori, ma è stato come scoperchiare un contenitore per alimenti dimenticato in eccesso nel frigo. Chi non ha una pietanza andata a male dentro. Un intero menu. Una dieta alimentare completa, compri tutto il necessario poi al terzo giorno ti stufi e riprendi con il cibo a cui sei intollerante, quando ti ricordi degli hamburger di soia ormai sono da gettare. Mio fratello aveva avuto subito la bicicletta, io mai. Dovevo sempre rimanere a casa ad accudire il cane mentre tutti andavano in vacanza. Poi, fiera della sua mantellina rossa, ha deciso di non tornare più dal dottore. Sono tutte cose che sa già, quelle, tanto vale tenersi i soldi e sperare in una storia senza finale.

carlotta qualchevolta

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No, i Cure non c’entrano. Carlotta sì: è solo che gli amici si burlano per la mia smodata e a detta loro ingiustificata passione per Charlotte Gainsbourg. Per non parlare di chi la conosce poco e me la confonde con Charlotte Rampling che comunque se ne può parlare. A proposito invece della figlia di Jane Birkin, madre di bellezza indiscutibile, come sapete è anche una valente cantante e interprete. E vi avverto che non ammetto commenti qui sotto irrispettosi. Per farla breve, è uscito un nuovo brano frutto della collaborazione con Beck, con cui aveva già lavorato nel precedente album. Peccato che il titolo sia così così, almeno in italiano. Siate clementi, ognuno ha le proprie perversioni.

andate a lavorare, capelloni

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The Smiths, ovvero gente comune, quella che incontri in ufficio. Via Rael.

rifare i letti

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Dovrei convincerti che non si tratta di sonnambulismo, farlo però in modo deciso già a partire da domattina, quando ti sveglierai e ti ritroverai in un letto matrimoniale, tra due genitori e due gatti, e ti chiederai che ci faccio qui? Una domanda ricorrente, dato che qui “ci fai” ogni notte. Quando ti drizzi fuori dalla tua tana di là e ti chiedi perché sia buio, come mai c’è tutto questo silenzio, dove sono tutti quanti e qual è il motivo per cui nessuno ti ha avvertito. Sappi che è una delle poche certezze, davvero. Al giorno segue la notte, alla fatica segue il riposo, allo stare in piedi segue il materasso. Uno per ciascuno, a due piazze se si è una coppia, un po’ più piccolo se si è sotto il metro e mezzo, come una bambina di quasi otto anni. Ma a quel punto della notte l’unica certezza è l’istinto, il richiamo che proviene dalla stanza di là dove c’è tutto quello di cui senti di aver bisogno. E non si capisce quale possa essere la causa. Così ti siedi incredula sul lettino, ti liberi dalla morsa del piumone, salti giù e con i piedi nudi percorri quella breve distanza dal buco nero in cui ti sei ritrovata alla calda sicurezza dei respiri conosciuti. A volte senza che nemmeno se ne accorgano. Poche mosse e sali a bordo, nel mezzo, scavalchi piedi braccia altre componenti umane e feline e ti cali nel tuo naturale ruolo, la rotella che si incastra in più o meno tutto quello che c’è lì intorno. Ma il più delle volte sono i gomiti o i piedi roventi ad anticiparci la consueta novità del mattino dopo. Dovete scusarmi, dici, ma lo sapete, sono sonnambula. Mi addormento di là e poi mi risveglio qui. Davvero, non mi ricordo come ho fatto. Mi sembra di volare. Si, se è per questo anche a noi. Ma non è quello il punto.

l’insicurezza dei soggetti

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Ma che musica e musica. Dalla casa di Elaine e Paul arriva un casino assordante, o se vogliamo atteggiarci a persone acculturate, del buon free jazz d’altri tempi. Per prima cosa presentiamo i solisti, una famiglia che raccoglie tutto il meglio del peggio dell’iperrealismo di A. M. Homes. I suoi romanzi, chiaro. Un calcio al barbecue e la casa prende fuoco, l’incendio doloso e volontario delle proprie vite, marito e moglie che tra nevrosi e tradimenti pensano di fuggire da loro stessi. Una fuga parziale, visto che comunque si spostano di poco restando insieme, almeno con i corpi, e coinvolgono i due figli nella svolta esistenziale. Ma è domenica sera, si sa, sta per chiudersi un ciclo e se ne apre un altro; così inizia una settimana decisiva, sette giorni di tempo per destrutturare tutto. La casa si salva, almeno le mura e non certo il suo significato metaforico. Le serrature sono state divelte durante le operazioni di spegnimento, così resta aperta e diventa un porto di mare per tutta la fauna tipica da quartieri residenziali. Vicine auto-riscattatesi a consigliere fidate, poliziotti arrapati e squadre di demolizione costituite da zelanti operai vestiti da astronauti. Ognuno a suonare uno strumento a caso facendo finta di seguire la partitura di una colonna sonora a diro poco perfetta per un incendio e cacofonica, in senso lato. Gente che entra ed esce facendo baccano nelle vite di Elaine e Paul già sufficientemente disordinate e vuote nella loro insicurezza. Nel frattempo c’è posto per ogni tipo di esperienza. Qualche amante in più, etero e omo, pasticche rilassanti colorate alla fermata del treno. Ma da una casa senza serratura, e soprattutto da due genitori di gran lunga sotto la mediocrità, i figli non ci pensano due volte ad allontanarsi per cercare certezze e modelli in famiglie più consolidate, almeno in apparenza. Non dimentichiamoci che siamo sempre negli Stati Uniti  d’America.