nella stessa barca

Standard

Per quel che mi ricordo della Liguria, diciamo che me la ricordo piuttosto bene perché sono nato e cresciuto laggiù, e soprattutto di Genova in cui ho abitato per un po’, c’è quella sensazione di equilibrio precario che non ti abbandona mai. Poi se ti abitui ad avere sempre i due piedi allo stesso livello e a comodità come la raccolta differenziata all’interno dei cortili, passare in autostrada a ridosso degli edifici costruiti in salita ti sembra l’ennesimo film in 3D al multisala. Li guardi e ti gira un po’ la testa e pensi ai capogiri di chi ci abita dentro. Ma non è solo quello. Prova a salire a monte, arrivi in cima e ti senti in una vignetta di Mordillo, c’era persino una canzone di Max Manfredi che raccontava di chi fa la pipì sulle alture e in mezzo minuto si inquina il mare. Ti cade il pallone giù e non lo trovi più. Arrivi in costa sull’appennino e ti coglie l’effetto da montagne russe. Si tratta di una città, e non è l’unica, costruita per altre epoche, quelle in cui esistevano ancora le mezze stagioni e il clima era un altro, e anche sufficientemente consolidato. Oggi passare sotto quell’enorme ziqqurat urbanistico mi dà l’impressione che crolli da un momento all’altro. E comunque non c’è più lo spazio per nulla, in Liguria, figuriamoci per le piogge copiose che oramai da dieci anni fiaccano con regolarità l’autunno rivierasco, ma ogni volta è sempre come la prima volta e che ci volete fare. Non si può ricostruire Genova, non si possono radere al suolo i quartieri appesi sulla cima. Si può cambiare la Liguria, si devono cambiare i Liguri? No, non ce n’è bisogno. Vedendo una delle strade sommerse di fango delle Cinque Terre, notando l’insegna di un albergo che sembra non esserci più, mi sono chiesto quanto costasse lì la pensione completa in alta stagione e il livello del servizio fornito.

critica della ragion sociale

Standard

Un giorno siamo un’agenzia di comunicazione, quello successivo un’agenzia di supporto marketing, quello dopo ancora il dipartimento interno dell’azienda cliente. Siamo un’agenzia di comunicazione quando il lavoro serve per la mattina successiva e occorre ingegnarsi per trovare l’idea creativa – almeno tre proposte – quindi aspettare l’ok che arriva nel tardo pomeriggio, poco prima della deadline, e inevitabilmente si fa sera. I creativi siete voi, ci dicono, sbizzarritevi pure con le idee folli, stupiteci. Il problema, come potete immaginare, è che un brief  alle 11 del mattino per una pagina pubblicitaria da preparare entro le 18 non è che consenta chissà quale processo creativo. Diciamo che ce la caviamo sempre, anche se sul filo del rasoio, il rischio è il nostro mestiere. Siamo invece un’agenzia di supporto marketing quando c’è tutto il tempo per pensare alla campagna di comunicazione figa, quella che va anche sui social media, quella con i video virali, peccato che in quel caso di tutta la parte a monte spesso non siamo incaricati. Ci rimangono le briciole, che ne so il video da comprimere nel formato adatto da fare subito, la traduzione da fare per il giorno stesso, l’e-messaging da preparare asap. Ma il bello viene quando siamo indicati come il dipartimento interno, partecipiamo alle riunioni con i vertici, coordiniamo fornitori e agenzie concorrenti in quanto profondamente esperti delle linee guida marketing dei clienti. I progetti che scaturiscono con la nostra fondamentale esperienza vengono poi assegnati ad altri, quelli che svilupperanno le campagne fighe per le quali faremo supporto marketing. Fino a quando mancherà un qualcosa di cui ci si accorgerà il giorno prima della deadline e che ci verrà richiesto con urgenza entro la sera stessa. D’altronde, quel giorno, saremo un’agenzia di comunicazione.

gotye – smoke and mirrors

Standard

punto, set e partita

Standard

– Eh.
– Prego?
– No dico, eh…
– Scusi ma non capisco…
– Eh, certo che è stato un bel match.
– Ah… sa non seguo granché il calcio, a quale partita si riferisce? Ne parlano lì sul giornale che sta leggendo?
– Eh, ha tenuto in scacco un avversario così per tutto il tempo.
– Ma chi?
– Poi quando ha fatto roteare la racchetta, sembrava un cartone animato, uno di Tom e Jerry.
– Racchetta? Scusi, pensavo si riferisse a…
– Vedi, lo scrivono anche qui. Se ti prendi gioco così di un avversario molto più forte di te, fai vedere che non lo temi, quello poi si innervosisce e va a finire che sbaglia.
– Si ma…
– Poi quando ha battuto da sotto, come i ragazzini che prendono le lezioni di tennis, lì ho capito che ce l’avrebbe fatta.
– Tennis? Sarà una vita che non vedo un incontro di tennis in tv, non so nemmeno se i canali pubblici li trasmettono ancora, un tempo…
– Io ho inteso che si è innervosito e a quel punto non c’è stata più partita. Vedi, Lendl sarà anche un grande campione, ma quel Chang lì lo ha messo in ridicolo davanti a tutti.
– Lendl? Chang? Ma sta parlando del Roland Garros? Quella finale di non so quanti anni fa, almeno venti se non ricordo male? L’avevo vista anche io, ma come mai ne parlano…
– Scusi, sono arrivato, arrivederci, scendo qui.
– Ehi ma…
– Grande match, non c’è dubbio, grande match. La saluto.

oscuro sarcasmo anche fuori dalla classe

Standard

Camminare con la musica in cuffia è un’azione che un tempo si faceva esclusivamente con un dispositivo chiamato appunto walkman, oggi bla bla bla e non è il caso che stia qui a elencare i riproduttori audio in commercio né a perdermi in un elogio di questo o quest’altro e la poesia delle cassette che ho già trattato altrove e così via. Comunque converrete con me che, anche se si è grandicelli, considerarsi all’interno di un videoclip, con la colonna sonora in linea con quanto si vede intorno, è un gioco piuttosto divertente. Al contrario, non vi è mai successo di assistere a momenti molto simili a scene di video musicali famosi, ma non avete con voi il pezzo in questione o siete sprovvisti del tutto di un lettore mp3 portatile? Non che questo sia un grave problema, voglio dire, c’è ben altro di cui rammaricarsi di questi tempi. Ma, per farla breve, c’è un liceo proprio qui di fronte, quando esco per il pranzo suona la campanella e centinaia di ragazzi si riversano fuori al termine delle lezioni. Mi ritrovo a passare in mezzo a una fiumana di entusiasmo giovanile in fuga verso le rispettive abitazioni, io sono in senso contrario quindi mi capita di fronteggiare gruppetti che non ne vogliono sapere di essere separati da un impiegato di mezza età, così mi faccio da parte senza problemi. Ma non è questo il punto. Ogni volta in cui mi accorgo di essere lì in mezzo, mi viene in mente un video celeberrimo verso il termine del quale, proprio sotto un indimenticabile solo di chitarra di David Gilmour, il cameraman riprende un gruppo di studenti scorrere verso si sé. Due ragazze camminano con passo spedito e chiacchierano, una di esse si accorge della telecamera e avvisa la sua amica afferrandole il braccio e facendo un’espressione di sorpresa e un sorriso. Giovani di un’altra nazione e di altri tempi. Chissà che ne è stato di quelle due amiche. Ecco, io mi aspetto una reazione simile, io che mi avvio verso il bar nella folla, due ragazze che camminano in senso opposto colgono la citazione a cui sto pensando e ripetono gli stessi gesti di quei pochi secondi di Another brick in the wall. Rendendomi felice.

a rigor di logica

Standard

Gli sms a volte sono uno scambio di colpi a tennis, quelli fatti per riscaldamento prima della partita. Una specie di legge di Newton, e a essere precisi mi riferisco a quella che stabilisce che per ogni azione esista una reazione uguale e contraria. Per questo a me piace interrompere la sequenza di risposte per primo con frasi amichevoli e gioviali che comunque lasciano intendere il commiato, uno se è intelligente ne approfitta e non risponde più, perché gli ho appena offerto su un piatto d’argento la scusa per interrompere i singulti di conversazione, lo lascio libero di intendere che può anche chiudere qui, glielo scrivo tra le righe. E a chi non coglie l’opportunità di sfruttare le mie smanie autosacrificali ma rilancia, poi a me viene da salire di livello, mi sembra poco cortese troncare sul primo tempo supplementare, preferisco dare l’assist per il golden gol, si dice così vero? Anzi, faccio il portiere e lascio la porta sguarnita. Segna, portati a casa questo trofeo e finiamola qui, che il tennis tutto sommato lo reggo, ma di calcio purtroppo non me ne intendo.

un altro posto

Standard

I colleghi che poi diventano ex, per loro o altrui volontà, quando li incontri sanno di fresco e non di stantio come quelli che ancora lavorano con te, che hanno il sedere e la schiena a forma degli arredi del tuo ufficio, i riflessi dei colori della intranet sulla faccia e sui capelli, persino il puzzo delle lavorazioni che seguite insieme sulle dita e sugli abiti invernali. I colleghi che sono diventati ex li baci sulla guancia che è bella fresca e non perché fuori fa freddo, ma perché nei mesi in cui non li hai più visti sono rinati in un’altra agenzia, si sono ricostruiti una vita. L’entusiasmo – che può essere di facciata, sia chiaro, ho preso una decisione importante e me la sto facendo piacere – sembra fatto di goccioline vaporizzate sulla pelle.

O meglio, i colleghi che poi diventano ex sembrano automobili appena uscite da una riverniciatura, fuori sono proprio belle e scintillanti, chissà se c’è stato bisogno anche di qualche intervento di manutenzione, una controllatina ai freni, o la cinghia addirittura per chi è oltre i centoventimila chilometri. Hanno a loro volta nuovi colleghi, si incazzano con nuovi responsabili, ma si sa che dall’altra parte, quella che oggi l’ex-collega rappresenta, è tutto diverso, è la novità, è lui/lei a stare sotto il riflettore. L’argomento di cui parlare. La vetrina.

Perché io cosa potrei dirti se non cose che sai già. C’è quella che ha preso il tuo posto, sì è simpatica ma devo dirti per forza mai come te, altrimenti che ex collega sarei. Se ci rivediamo a pranzo è perché sono stato tuo complice dei tuoi piani di fuga, l’evasione premeditata con la notizia di sottobanco sugli annunci visti in giro, qualcuno te l’ho anche inoltrato io quando ho saputo che eri stufa. Poi il segreto del colloquio, le ore di permesso e l’esito che hai condiviso prima con me e poi con tutti. E mentre mi racconti capisco perché i colleghi non sono amici, o meglio lo sono ma è un po’ diverso perché quello che ci accomuna è la busta paga o i suoi surrogati, non ci siamo scelti, non ci siamo conosciuti volontariamente. Ciò non significa che non fossimo legati, le pause pranzo e la macchinetta del caffè, le lacrime nei momenti difficili, sì ci sono state anche quelle.

Ma non parliamo più del passato dai. Sicuramente lì è tutto diverso, ci sono le scrivanie e il tavolo della sala riunioni in tinta con i colori dei muri che sono in tinta con il brand aziendale, tutto sa di anguria. Così quando entri la mattina è come tuffarsi in un frappè di lavoro, sputi qualche nocciolo e ti rimbocchi le maniche, e forse è questo il profumo nuovo che hai. Sai di quel brand lì, quello che ti ha fatto un bel contratto a progetto, spero per te sia un profumo di quelli che non vanno più via.

riconoscimento

Standard

L’idea che ho io di intelligenza è la capacità di fare la sintesi. Leggere molto è amore per la lettura, al massimo ti foraggia il lessico, ti permette di vedere luoghi e volti nell’immaginario, ti fa fare bella figura con gli amici quando gli scrivi o gli dici le citazioni, ma non necessariamente diventi intelligente. Cogliere i collegamenti tra le cose è un’altra bella virtù, vedi un film e lo fai rientrare nella categoria di un altro, vedi un quadro e riconosci il tributo che l’artista ha voluto espressamente pagare alla corrente del passato, annusi un fiore e racconti del profumo che hai sentito addosso a tizio o a caio, ogni città che te ne ricorda una vista in precedenza. Qui c’è un po’ di tutto, elasticità, uso sapiente della metafora e spirito di osservazione, anche memoria e capacità di organizzare i contenuti, ma non è proprio quello che intendo io. C’è poi l’essere informati, l’intasarsi il reader di feed altrui, scorrere la home page dei quotidiani in un eterno F5 per il refresh della pagina con quello che accade, seguire Ballarò leggendo i Twitter su Ballarò e postando commenti su Ballarò insieme ad altri che seguono Ballarò. Questo è essere aggiornati e pronti alle conversazioni con i conoscenti il giorno successivo, ma nemmeno in questo caso si tratta di intelligenza. L’idea che ho io di intelligenza, invece, è la capacità di fare la sintesi. Metti cioè tutto questo insieme – saggezza, ragionamento, informazione – con una spruzzata di curiosità e fai una persona che ho sposato (questa era una sintesi, non per questo sono intelligente, però.)

sovradimensionato

Standard

Il primo di novembre, inteso anche come il primo pensiero di novembre che si traduce in post, va a  Tin Tin in 3D, un film da pomeriggio di festa per il quale di certo Spielberg non ha lesinato con gli effetti speciali, già pronto per il sequel. Il secondo va ai 46 euro per quattro biglietti, due adulti e due ridotti, 11 e 12 euro a cranio, novantamila lire circa per entrare al cinema che se me lo avessero detto quando ne spendevo quattromila per vedere i film d’essai al Filmstudio non ci avrei creduto. E il terzo pensiero non va a chi ha sostituito la lira con l’euro, ma con chi ha sbagliato i calcoli nel cambio.

errare umano

Standard

E comunque quando li vedi da lontano, e sono una o due figure alte alte con una o due o tre più piccole in mezzo, e non pensi a chi sono e a come sono e a tutto quello che poi da vicino si vede, a quello che si dicono, a come prestano attenzione l’uno all’altro, se sono in linea o qualcuno in disparte, se si inseguono o se si trascinano, se si parlano con rispetto o si dicono cattiverie anche perché è il solo loro modo di volersi bene, se il padre ha lo smartphone in mano (una volta era la radiolina all’orecchio) o la madre è al telefono e i figli che reclamano l’attenzione che non avranno mai, o se invece stanno inventando una storia corale, un pezzo per uno, con un lieto fine. Ecco, se non pensi a tutto quello che poi si scopre conoscendoli, da lontano mi fanno sempre tenerezza.