giudizi in acrilico

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Ho un collega che non si ferma ad auspicare buon lavoro e buona serata in calce alle email. Per i destinatari della sue missive si espone direttamente a favore di un ottimo lavoro e di un’ottima serata. D’altronde sognare non costa nulla, e allora perché non farlo in grande? Perché non sperare il massimo per quelli come me? Mi è venuto il dubbio che, in conseguenza dell’ennesimo palla al centro dell’ennesimo ministro dell’istruzione, la restaurazione dei giudizi sintetici sia stata recepita con eccesso di zelo da parte del personale scolastico. Così mi sono chiesto se l’andamento del giorno in arrivo possa essere augurato lungo una scala che comprenda anche i valori da distinto in giù fino a gravemente insufficiente, livello a causa del quale l’oggetto di tale conferimento si veda costretto a ripetere la giornata da capo. Una bocciatura che ti fa rimanere in una sorta di loop da giorno della marmotta, fino a un giudizio migliore.

Ma a essere retrogradi, nella scuola, non c’è proprio gusto. Il terreno è fertile per i reazionari. Penso ai docenti che, per il diritto alla disconnessione, chiedono che non si mandino email al di fuori dell’orario di servizio. Che poi, quando sei in classe, le email mica puoi leggerle, quindi a pensarci troppo a come risolvere la questione finisce che il cervello ti va in corto circuito. So di colleghi che hanno scritto al presidente della Repubblica, a Zuckerberg e persino a Dio in persona per chiedergli di spegnere l’Internet durante il weekend per non essere disturbati e mischiare lavoro e vita privata, quindi in caso di black out della rete a partire da venerdì sera prossimo sapete con chi dovete prendervela. E i genitori non sono da meno. Lo scorso anno una mamma ha provato a mobilitare altre famiglie per imporre alla scuola in cui insegno di rimuovere gli access point dagli edifici scolastici. Non c’è da stupirsi se ora gli esponenti del pensiero unico, votati dagli elettori del pensiero unico, sostengono che lo smartphone, a scuola, sia da vietare. Privi degli access point e senza smartphone, sfrutteremo la funzione hotspot della fotocopiatrice di plesso o dei crocifissi.

zucchero filato

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Io che sono medaglia d’oro in gentilezza, avrete sicuramente seguito la mia avvincente finale alle olimpiadi di Parigi lo scorso agosto – proprio oggi sono stato ricevuto dal Presidente insieme agli altri azzurri, dicevo che io che sono medaglia d’oro in gentilezza ogni tanto mi prendo tre o quattro giorni di fila di cattivo umore. Faccio lo sgarbato e mi viene da litigare con tutti per certi motivi che dopo, quando riprendo gli allenamenti in vista del nuovo torneo di cordialità, giusto per usare un sinonimo suggerito dalla Treccani, non ricordo nemmeno più. Tempo fa una persona che rispetto molto per la sua determinazione ha pubblicato su un social una foto di sé mentre beve un drink e, nella didascalia, scriveva che ogni tanto le piace prendersi una pausa da se stessa. Ecco, non mi viene una battuta che descriva meglio quello che mi succede in momenti come questo. Anche a me piace cambiare registro, per un po’, anche solo per vedere l’effetto che fa. Ho persino sbottato con mia mamma novantenne perché sostiene che Milano sia una città piena di pericoli. Il fatto è che mica ci vive. Piuttosto, con lei la narrazione mainstream dei tg della Rai di questo periodo di pensiero unicista funziona alla grande. Mi sono indispettito perché non riuscivo a convincerla del contrario. Le dicevo che deve fidarsi di me che sono suo figlio e ci abito, e non di quello che passano in tv. Alla fine ha fatto finta di essersi convinta, ma ho capito benissimo che lo faceva per fare la pace. Poi mi ha guardato mentre si preparava il necessario per l’iniezione di insulina e ha persino detto che non vorrebbe mai essere interrogata da me. Allora ho riflettuto se è mai capitato che quei tre o quattro giorni di fila di cattivo umore che mi prendo ogni tanto siano mai coincisi con dei giorni di scuola, perché in genere sono di cattivo umore quando vado a trovarla ma non perché è lei, piuttosto perché quel posto lì, quello in cui abita e dove sono nato, quella casa sommersa di cose vecchie, malfunzionanti e superflue mi rende intrattabile. Il punto è che quel posto lì lo percepisce e fa di tutto per farmi capire che si è offeso. Interrompe autostrade quando mi metto in viaggio per raggiungerlo, crea code al casello al di là di ogni immaginazione, chiude per lavori il mio panettiere preferito e addirittura, era la vigilia di pasqua, mi ha bucato una gomma contro un marciapiede. Giuro. Va be’, lo ammetto, sono giorni che sono scontroso anche con i miei bambini, per questo lo scrivo qui, sperando di risalire alla causa di questa irrequietezza e tornare al momento prima per evitarlo, come è bene comportarsi. Oggi a malapena ho trattenuto un’espressione di disgusto perché una mia alunna ha portato a scuola i libri appena ritirati dalla cartoleria con le copertine di plastica tutte appiccicose e dall’inconfondibile odore di zucchero filato. Non capisco come sia possibile: i volumi di prima primaria di matematica, stampato e corsivo, persino le letture, scienze e storia. Tutti con la stessa fortissima puzza di dolciumi da luna park, per di più senza le etichette che così ho dovuto metterle io e scrivere il suo nome perché non è ancora capace. Cos’hanno fatto, a casa? Li hanno disposti in fila sul tavolo e poi ci hanno fatto merenda sopra? Quell’odore di zucchero filato è passato sulle mie mani e anche i libri dei compagni, a contatto con il suo nell’armadio di classe, domani non saranno da meno. Ma poi è finita che ho pensato che è una bambina, che ha genitori un po’ disattenti, che non è certo colpa sua che ha sei anni e che, anzi, forse a lei che ha appena cominciato la scuola primaria è un profumo che dà sicurezza. A suo modo una madeleine. Ed è un peccato che non sappiano ancora scrivere, a quell’età, davvero, perché ne uscirebbero storie mica male.

glutine

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Ci sono due o tre cose che dovete sapere della scuola in cui insegno. La prima è che la nuova coordinatrice di plesso abita nella casa che ha l’ingresso di fronte al cancello principale, ride sempre quando le chiedo se ha trovato coda per recarsi al lavoro e sono certo che apprezzi la boutade da vecchio rincoglionito boomer anche se non fossi il vicepreside, non sono uno di quei tipi con la tempra del capo che bisogna ingraziarseli con il consenso. Semmai con il cibo. Oggi era il primo giorno di scuola e ci ha fatto trovare una torta spaziale in sala docenti, già tagliata a quadrotti e accompagnata da un augurio di buon inizio, scritto a mano. Sotto il messaggio si è premurata di aggiungere persino gli ingredienti e, se non ho letto male, ha seguito una ricetta inclusiva per i colleghi affetti dalle più comuni allergie alimentari.

Una nota di merito anche per il giovane maestro a cui scrocco le sigarette nei momenti di tensione ed è per questo che ho appena comprato due pacchetti per non sentirmi in colpa, di cui gli farò dono domattina. Non sono un fumatore, lo sono stato, ma ogni tanto sento il bisogno di fare due tiri perché mi rilassa. Questa mattina, per dire, ho accolto la mia nuova prima, un nuovo primo giorno di scuola che mi ha ispirato una considerazione. Converrete con me che la vita è un susseguirsi di momenti che affrontiamo da soli o accompagnati e/o circondati da persone che abbiamo o non abbiamo scelto noi. Avete capito cosa intendo. Non possiamo scegliere i genitori e le sorelle perché qualcuno o qualcosa, ad un certo punto dei miliardi di miliardi di anni lungo i quali si protrae la storia dell’universo, decide di proiettarci in un nucleo famigliare a cui, fino a una certa età, diamo per scontato di appartenere, fino a quando diventa lecito mettere in dubbio l’opportunità (che non è proprio il termine che intendo ma al momento è il più vicino al concetto che voglio passarvi) di sentirsene membro. Ci sono poi le situazioni di cui siamo responsabili a partire dalla propria, di famiglia, anche se per i figli vale in parte lo stesso discorso di prima, a cui si aggiungono una moltitudine di agglomerati umani provvisori, passatemi il termine, di cui in qualche modo e almeno in piccola parte costituiamo una componente strutturale, altrimenti ce ne saremmo già liberati senza pensarci tanto su. Infine, ecco la maggior parte dei casi in cui siamo costretti tra gente che non abbiamo potuto scegliere. Pensate al condominio, ai lunghi viaggi sui mezzi pubblici, ai colleghi in ufficio e, per chi lavora nella scuola primaria, alle classi a cui veniamo abbinati a ogni inizio di ciclo.

Le schede di raccordo che ci sottopongono le colleghe della scuola dell’infanzia non sono di aiuto. Io le ho lette e rilette decine di volte, nei pochi giorni di preparazione al nuovo inizio, ma oggi, al cospetto dei bambini che vi sono descritti e che vedrò quotidianamente per i prossimi cinque anni, tutte le informazioni puf, si sono volatilizzate come un control-c e un blackout prima di un control-v qualunque in un pc senza batteria, poco dopo il primo intervallo.

Le classi difficili costituiscono le vere sfide per gli insegnanti quelli veri, ed è forse per questo che la prima cosa che ho detto, quando all’uscita il mio collega mi ha offerto l’ennesima sigaretta, è stata “richiesta di trasferimento”. Ho trascorso la seconda metà della mattina a mettere in piedi un moccioso che ha continuato a manifestare il suo dissenso alla scuola borghese e gentiliana gettandosi sul pavimento per poi, una volta costretto alla posizione riconducibile a quella eretta, precipitarsi fuori dall’aula.

A un’altra, stiamo parlando di nanetti di sei anni, la mamma ha riempito lo zaino di tutto il materiale necessario per i prossimi mesi di tutte le materie – otto quaderni, due astucci, la cartelletta per i disegni – ma senza lasciarle la merenda. Fortunatamente nessuno della classe ha pianto ma, per esperienza, so che il vero choc da distacco si presenza dopo una decina giorni, quando risulta inconfutabile che la scuola, quella vera, quella in cui non si gioca e non si fa il pisolino dopo pranzo, è cominciata e si protrarrà fino a quando quello che si getta in terra e quella che è costretta a portare venti kg di materiale scolastico per disattenzione dei genitori sulla schiena, non prenderanno la patente di guida. Buon lavoro, lo auguro a me stesso e a tutti i colleghi che iniziano un nuovo ciclo. Buon lavoro.

la uno

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Ora ditemi se la sigla di Propaganda Live non sta meglio in 1/4.

la due

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Ora ditemi se la sigla di Propaganda Live non sta meglio in 2/4.

la tre

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Ora ditemi se la sigla di Propaganda Live non sta meglio in 3/4.

la quattro

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Ora ditemi se la sigla di Propaganda Live non sta meglio in 4/4, che poi è già in quattro ma insomma ci siamo capiti.

la cinque

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Ora ditemi se la sigla di Propaganda Live non sta meglio in 5/4.

la sei

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Ora ditemi se la sigla di Propaganda Live non sta meglio in 6/4.

p. s. è il sequel di quella in sette che trovate qui 

AD

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Il primo collegio docenti dell’anno scolastico ha lo stesso impatto di un concerto dei Sepultura. Non ho mai visto i Sepultura dal vivo – appartengo a un’altra parrocchia – ma credo che renda l’idea. Te ne stai seduto alla cattedra dell’aula magna, alla sinistra della Dirigente, in quanto collaboratore vicario, e esauriti tutti i punti all’odg ecco avvicinarsi un’orda di colleghi vecchi e nuovi a rompere la quarta parete delle assemblee di insegnanti pronti a farti domande e chiedere le informazioni più assurde dei generi più disparati. L’elasticità con cui cercare dati nell’archivio mnemonico, ogni anno, mi mette sempre più alla prova. Il punto è che l’entropia è il fattore specifico e caratterizzante della scuola italiana e chi si cura degli aspetti organizzativi e didattici state sicuri che non è mai pronto, in occasione dell’evento che sancisce l’avvio della nuova stagione, quello che nelle aziende fighe si chiama kick off. Puoi aver trascorso le più belle e più rilassanti e più lunghe e più solitarie vacanze del mondo ma stai tranquillo che è impossibile proteggersi dall’onda d’urto che consegue alle cosiddette varie ed eventuali. Che poi, arrivati a quel punto, uno pensa che il collegio sia finito. E invece.

Immaginate qualche decina di nuovi collaboratori catapultati in una realtà lavorativa simile a quelle in cui si è militato in precedenza ma con peculiarità uniche e, in quanto tali, paradossalmente opposte. Gente magari fresca di nomina come la collega partita dalla Sicilia in aereo la sera prima, non appena pubblicate le graduatorie, atterrata giusto in tempo per l’avvio dei lavori, quindi immediatamente dopo a bordo di un treno per rientrare a casa a più di mille km, fare armi, figli e bagagli, e tornare su ancora immediatamente dopo per non perdere il posto.

Fino a tutta una serie di richieste che, in qualunque altro tipo di organizzazione di qualunque altro settore e di qualunque altra dimensione, comporterebbero uffici e team e portali dedicati a temi che vanno dalle piattaforme digitali ai permessi per lutto, dalla distribuzione delle compresenze al codice della fotocopiatrice, dai dissapori con i colleghi all’acqua dei distributori automatici, o semplicemente solo la necessità di fare quattro chiacchiere. Come sono andate le vacanze. Le tappe ai distributori all’uscita dell’A1 per spendere di meno attraversando l’Italia, i figli che fanno alle superiori, la scoperta di un’allergia mai avvertita prima, e molto altro. Ma davvero molto e davvero altro.

E AD, se non siete del settore, non significa anno domini ma piuttosto animatore digitale, che è una carica che lo so che fa ridere, a chi non lavora nella scuola. Potete immaginarci come una sorta di Fiorello in grado di passare dal karaoke alla conduzione di Sanremo al mattatore di strada ma, tutto questo, nel settore dell’IT in ambito educational/scolastico con l’aggravante del rigore e della burocrazia tipici della PA italiana. Quest’anno la mia preside ha dedicato addirittura una slide, nella presentazione a supporto del collegio docenti, tutta dedicata a me. Ha spiegato le ragioni della mia riconferma e c’è stato pure un applauso. Sono diventato rosso, così mi sono voltato verso il proiettore cinese che abbiamo comprato con i soldi del PNRR, che prima di andare in stand-by si collega con una specie di Netflix altrettanto cinese e mostra, suddivise in riquadri di anteprima, tutte le novità ancora cinesi disponibili in streaming, film che nessuno, qui in Italia, vedrà mai.