Pensate se un giorno all’improvviso si avverassero tutti i modi di dire, per un sortilegio o magari perché ti svegli la mattina e ti trovi in un episodio di “Ai confini della realtà”, o “Black Mirror” se siete giovani d’oggi. Mandi affanculo qualcuno e costui si precipita a consumare una sessione di sodomia passiva con il primo che passa. Quelli che stanno sulle spine è perché sono adagiati su uno schieramento di istrici mentre i manipolatori offrono concreti momenti di piacere, mi accontenterei anche senza tante lusinghe. Per chi casca dalle nuvole meglio munirsi di un paracadute o, meglio, di una tuta alare, molto più di moda, mentre è difficile pagare un conto salato dal pasticciere, tantomeno che una borsa piaccia un sacco. Solo in prossimità delle Dolomiti ci si può lamentare della montagna di cose da fare in ufficio, e, per rimanere in tema, un cuore di pietra solo se si è membri dei Fantastici 4. Una lavata di capo te la può fare solo un parrucchiere incavolato, mentre se hai bisogno di supporto psicologico puoi rivolgerti a unobravo.
il budino senza la carne
StandardAnother Brick In The Wall è un po’ l’Attimo Fuggente della musica, un prodotto culturale pensato per scardinare i paradigmi della scuola borghese e gentiliana in favore di una didattica più moderna e inclusiva, per non dire meno bacchettona. Sarà per questo che il contact center telefonico dell’azienda tutta italiana (è bene specificarlo per allinearsi alla narrazione meloniana del nostro paese) che produce uno dei servizi di registro elettronico e scuola digitale più diffuso in Italia – di certo il meno caro e di sicuro quello sviluppato peggio – lo ha impostato come musichetta di attesa.
Se frequentate le segreterie scolastiche in questo periodo vi capiterà di sentire Another Brick In The Wall come sottofondo musicale agli sfoghi di rabbia, agli screzi, agli improperi e agli sbotti isterici del personale amministrativo spesso sottodimensionato che, in una manciata di giorni, si fa in quattro per rimettere in moto una delle macchine organizzative più complesse del mondo e che, a fronte di funzionalità dimenticate o bug nativi dei programmi utilizzati, necessita di supporto. Non c’è tempo per smanettare o andare per tentativi. Questo induce all’assistenza che, sotto il tiro simultaneo di migliaia di scuole, lascia in attesa senza tanti complimenti il personale bisognoso e Another Brick In The Wall, trasmesso in viva voce, va avanti per ore. Il perché della scelta di questo brano non ve lo sto nemmeno a dire. Il mondo va così: si parla di vittorie e mettiamo “We Are The Champions”, si parla di finanza e mettiamo “Money”, si parla di scuola e mettiamo “Another Brick In The Wall”.
Il punto è che i servizi di centralino spesso non prevedono la possibilità di impostare un brano musicale dall’inizio alla fine, e l’edit a cui siamo esposti, focalizzato sui versi più significativi del celebre concept dei Pink Floyd – non abbiamo bisogno di istruzione! Hei, maestro, lascia in pace i bambini! – ci sottrae a uno dei soli di chitarra più riconoscibili del mondo, restituendo un’esperienza parziale di ascolto attraverso un loop che non rende giustizia alla sua portata dirompente. La musichetta di attesa arriva a un punto, poco dopo il primo ritornello, e poi riparte da capo, “We don’t need no education” eccetera eccetera, con una vocina beffarda che avvisa che sarai il prossimo a essere servito secondo però una cognizione del tempo ampiamente arbitraria.
La qualità della vita della prima settimana di scuola dopo i cinque mesi di vacanza di cui beneficiamo potrebbe essere quindi soggetta a una maggiore cura, e non mi riferisco solo all’effetto audio da scatoletta dei telefoni fissi di una segreteria di una scuola nell’Italia meloniana. Gli uffici sono rigorosamente privi dell’aria condizionata, alla faccia della ripresa e della resilienza, e i docenti che danno una mano ai pochi amministrativi sopravvissuti alle nomine ancora da fare e ai colleghi che si danno malati per evitare l’onda d’urto dei primi giorni si spartiscono pizze consegnate a domicilio nel cartone unto (la mia rigorosamente salsiccia e friarielli) e lattine mignon di bevande gassate acquistate a pochi centesimi al distributore in sala docenti. Il tutto a scapito della didattica: configurare le piattaforme digitali, sistemare i danni che i precedenti impiegati hanno procurato prima di beneficiare del trasferimento a Pozzuoli o altri borghi meloniani del sud che ci invidia tutto il mondo, spostare monumentali armadi stipati di materiale obsoleto e aggiornare firmware a dispositivi digitali sottrae energie al nostro core business, che è l’educazione dei vostri figli.
Nonostante questo, il nostro continua a essere il lavoro più bello del mondo e, anzi, la varietà di attività – dai metodi innovativi per l’insegnamento della matematica alla sostituzione dei toner – lo rende ogni anno sempre più avvincente. Non dovreste infatti mai perdere di vista il fattore umano, della scuola. Il mio collega di sostegno che comunica in calabrese ai genitori cinesi del mio alunno ACD è stato assegnato ad altre vittime, quest’anno, ed è una bella notizia. Mi sono fatto fidelizzare dal parrucchiere che ha la bottega proprio di fronte alla primaria in cui sono in servizio, mi ha già tagliato i capelli tre volte, e mi capita spesso di incrociarlo, in questi giorni di preparazione, quando esco pezzato dal cancello della scuola per rientrare a casa. La mia è una scuola di paese, con la p minuscola ma comunque sempre nell’accezione meloniana, anzi di frazione di paese, che forse è ancora più meloniano. Se incontro qualcuno nei paraggi sorrido e saluto sempre perché è facile che abbiano figli o nipoti che studiano da me. Ieri mi sono imbattuto in una donna musulmana tutta imbacuccata con due figlie al seguito. La più grande mi ha sorriso, piena di riccioli e di vitalità, probabilmente mi ha riconosciuto ma io no, mica posso ricordarmi tutte le facce, e di rimando – per non sbagliare – ho ricambiato. La mamma si è voltata dall’altra parte, coprendosi immediatamente il viso con il velo, forse fraintendendo il mio interessamento.
per giove
StandardHo preso in biblioteca un dizionario della mitologia e dell’antichità classica ma non è proprio quello che cercavo. Avevo un bellissimo libro di epica alle medie che riportava nomi e avvenimenti ma in ordine di successione, sempre che sia possibile trattare la materia così. Il risultato era una vera e propria storia romanzata dell’immaginazione di greci e romani, con il valore aggiunto di testi letterari, come è facile immaginare. Invece l’ordine alfabetico viene in aiuto solo durante le parole crociate o poco più, ma un testo come piace a me non saprei come cercarlo. Tutto questo perché al bookstore del museo archeologico di Napoli ho notato un volume dal titolo “Infografica della Roma antica” il cui contenuto mi ha intrigato moltissimo. Ho ideato decine di infografiche nel lavoro che svolgevo prima ed è una passione che coltivo ancora a differenza della mitologia che adoro ma di cui, ormai, ricordo ben poco.
le dieci cose migliori da fare a partire da dopodomani
StandardSe ne riparla a settembre? Bene, allora tenetevi pronti perché è iniziato il conto alla rovescia. Il collegio docenti, che è il nostro vero e proprio kick off, quest’anno capita di lunedì 4 e, credetemi, non c’è inizio migliore di un inizio procrastinato, soprattutto in un ambiente come la scuola in cui si procrastina qualunque cosa. Se qualcuno dei vostri dirigenti l’ha piazzato venerdì 1 è chiaro che non gli hanno voluto bene da piccolo e, di conseguenza, non vuole certo bene a voi. La brutta novità, quest’anno, è che mi hanno proposto anche un accesso admin al registro elettronico, e chi sono io per dire di no. Ho ricevuto anche la richiesta di consultare l’oracolo di ChatGPT per tentare la divinazione dell’orario della secondaria. Ho interpellato un esperto che ha tenuto un corso di formazione a cui ho partecipato qualche giorno fa e l’ha messa giù facile. Compila un foglio Google con tutti i dati e prova a darglielo in pasto, mi ha suggerito. Ma c’è una novità ancora peggiore. Mi trovo in mezzo a riunioni organizzative in cui capisco sempre meno. Probabilmente è l’età o forse ho lasciato il cervello in macchina sotto il sole e c’è più poco da fare. In più rientra una collega amministrativa molto molto stressata che, quando va nel panico, quindi piuttosto spesso, mi chiama per chiedermi come fare ma parla solo lei e non riesco mai a fermarla per darle le risposte che potrebbero tranquillizzarla. Chiudo questa veloce lista di cose negative con quello a cui mi piacerebbe dedicarmi quest’anno, a partire quindi da lunedì, e che, come sempre, non inizierò nemmeno, smetterò alla seconda volta, rinuncerò alla terza, mi dimenticherò, rimanderò a più avanti tanto, ormai, se ne riparla dopo natale:
- registrare e pubblicare tanti podcast
- fare il DJ in qualche circolo di anziani
- leggere tanto
- andare a correre in posti diversi anziché farlo sempre sotto casa per la pigrizia di non prendere l’auto e non impestarla sudato come un maiale per tornare a casa a corsa finita
- andare più spesso a teatro
- andare più spesso al cinema
- sperimentare di più in classe
Tenete d’occhio la lista perché sarà in costante aggiornamento.
in toto
StandardNel frattempo ho capito due cose. La prima è che i lavori del 110 si chiamano così perché ci mettono 110 mesi per completarli. La seconda è che l’usanza di postare qualcosa inserendo il link nel primo commento su Facebook e specificando l’intenzione nel post principale non serve a nulla se non a far perdere tempo agli utenti. In realtà ce ne sarebbe una terza, la scrivo di seguito senza correggere il numero su perché fa troppo caldo: fa troppo caldo e non si finisce mai di sudare, questo dimostra l’elevata percentuale di acqua di cui è composto il nostro organismo, quindi il numero che spariamo per impressionare i nostri alunni non fa una grinza. Nella settimana che si avvia alla conclusione, e che verosimilmente decreta la fine di tutte le vacanze e delle vacanze di tutti, ho già ricevuto tre mail della mia dirigente, due di colleghi e altrettante dalla segreteria. Lunedì possiamo dare inizio ufficialmente alle danze. Parteciperò a una specie di meeting dedicato all’intelligenza artificiale per scopi didattici. Non vorrei sembrarvi il solito detrattore, ma tutte le cose che ho provato sull’impatto di ChatGPT , Dall-E e compagnia bella nella scuola non promettono niente di buono. Il punto è che in uno scenario in cui si fatica a usare Excel – uno strumento che risolverebbe almeno i tre quarti dei problemi organizzativi della scuola italiana – l’inserimento di una tecnologia di prossima generazione manderà un intero sistema in tilt. Anch’io mi sto dedicando alle creazioni artistiche sfruttando questa tecnologia. Quella che vedete qui sopra è “Toto Cutugno ma di spalle”. Quella che segue è una di quelle che preferisco e si intitola “una rock band che suona strumenti preistorici impugnati al contrario”.
incustodito
StandardI miei genitori ed io abbiamo condiviso lo stesso approccio cialtronesco alla musica suonata, che consiste nel fatto che nessuno dei tre è mai stato in grado di eseguire al piano un pezzo per intero, dall’inizio alla fine. Un approccio per cui al massimo ci riusciamo ma in svariati tentativi. Ci fermiamo e riprendiamo dal passaggio in cui ci siamo sbagliati, o che è venuto male – di solito ce n’è più di uno nello stesso brano – e molto spesso, per evitare di giungere penosamente alla fine, ricorriamo al primo modo che ci viene in mente per sottrarci all’esecuzione completa, sia in presenza di terzi – che è decisamente più facile, una scusa la si trova sempre senza grossi problemi – che da soli al cospetto della propria coscienza, operazione molto più complessa perché ci mette di fronte al fatto, ancora una volta, che siamo dei buoni a nulla davanti allo strumento, che non siamo stati costanti nello studio, che abbiamo buttato via degli anni, che la musica (classica, principalmente) non è alla nostra portata, insomma che siamo dei cazzoni. Io più di tutti, sia chiaro. Credo peraltro sia un’ottima metafora di qualcosa, ma è meglio evitare.
Comunque il paradosso è che dei tre mia mamma, che ha studiato solo qualche anno quando era bambina e si è dedicata – vittima del patriarcato – alla pratica pianistica molto di meno di mio papà e di me, era quella che ci andava più vicino. Sapeva suonare a memoria un solo pezzo – la struggente aria de “Le petit montagnard” di Francesco Paolo Frontini che, ogni volta che la sento nella pubblicità per la quale è stata scelta come jingle, mi viene da piangere – ma di riffa o di raffa lo trascinava fino all’ultima misura.
Io di brani ne sapevo tanti, tutti quelli che preparavo a fatica per il quinto di pianoforte mai sostenuto, ma sono certo di non essere mai riuscito in vita mia a suonarne uno senza interruzione e senza errori, e sempre rigorosamente con lo spartito aperto davanti.
Mio papà, invece, aveva un’ossessione per la celeberrima sonata per pianoforte n. 14 in Do diesis minore, più comunemente nota come “Sonata al Chiaro di Luna”, del Ludovico Van. Dopo cena, mentre in sala andavano in onda i programmi tv della fascia preserale, si piazzava al piano nella mia cameretta e, con la sordina premuta, ci provava con costanza, come una sorta di digestivo. E, malgrado le migliaia di dischi stipati nella sua collezione, c’era sempre la copertina di una registrazione del “Chiaro di Luna” in giro che indicava che o nel piatto o nel lettore cd aveva ascoltato da poco la sua musica preferita, quella che non sarebbe mai riuscito a imparare del tutto. Non abitavamo più insieme, ma non faccio fatica a immaginare che, travolto dalla demenza senile degli ultimi anni e dall’accelerata dell’Alzheimer che ha messo fine alla sua vita, chiedesse a mia mamma di ascoltare il “Chiaro di Luna” a ripetizione, come fanno gli anziani quando tornano bambini.
Poi è morto, sono già nove anni, e il suo impianto hi-fi è rimasto pressoché inutilizzato a casa dei miei da allora. La scorsa primavera ne ho cannibalizzato una parte perché l’ampli e il lettore cd del mio hanno iniziato a dare problemi, dopo aver ottenuto da mia mamma il permesso di servirmene. Una volta rientrato a casa mia ho allestito tutto. Ho provato un vinile prima, per verificare di aver collegato per bene i cavi e la terra, e poi sono passato lettore CD. Ho aperto il cassettino e dentro era rimasto un disco. Ho schiacciato play e indovinate che brano è partito.
mercurio
StandardL’effetto del vapore che sale dall’asfalto quando le temperature sono insopportabili ha un nome che non ricordo più. I vecchi da noi non sono adatti al caldo che fa e se fossero un po’ più giovani e un po’ più ricchi farebbero armi e bagagli e raggiungerebbero i paesi del nord dove vanno i detrattori dell’estate più recidivi, quelli che la menano con l’Irlanda e restano candidi per scelta, per intenderci. La narrazione dell’attuale governo impone però l’Italia a tutti i costi, con le sue bellezze, il suo cibo, i suoi litorali a pagamento e i suoi borghi tutti uguali. Persino i cani randagi non si vedono più, vittime della sostituzione etnica ordita da cinghiali, orsi e lupi. I telegiornali sono zeppi di cronaca nera e intrisi di violenza e morte. Il dibattito politico è ridotto alle provocazioni di sempre, insomma ci siamo capiti. Sono aumentati gli sbarchi, il patriarcato è fuori controllo malgrado Barbie e la benzina è un lusso. Oggi e domani saranno i giorni peggiori, così dicono, e chi ha anticipato le ferie ed è già rientrato si morde le mani e poi lo scrive sui social. Pensavamo di averla scampata, questa volta, ma il tempo, anche nel senso del tempo che fa, è tiranno.
Alla tele passa spesso lo spot dei libri in miniatura, avete visto? Come fai a leggerli mi chiedo, il prossimo step sarà quello dei romanzi in ceramica che non si possono nemmeno aprire ma fanno la loro figura nella vetrinetta in soggiorno. Il bello di fare l’insegnante non è tanto nei cinque mesi di ferie ma nel fatto che il rientro non è niente male. Massima solidarietà a chi torna in ufficio alla mercé di colleghi, fornitori, clienti. Poche ore dopo ferragosto sono arrivate le prime e-mail della dirigente, il collegio docenti di settembre – quello che voi chiamate il kick-off ma noi lo facciamo in aule magne senza aria condizionata mentre voi a Las Vegas o chissà dove – è dietro l’angolo con tutte le sue scartoffie. Per restare in tema con la scuola, ho visitato diversi musei e siti archeologici gratuitamente anche quest’estate, grazie alla mia professione. Ti presenti in biglietteria e mostri sul telefono un PDF che potrebbe avere una qualsiasi intestazione inventata tanto quanto la firma in calce del preside e che attesta che sei un docente. Non c’è nessun controllo. Pensate che bello, invece, se fossimo provvisti di un badge con un codice a barre o un QR code che riporta un numero di matricola univoco – che poi sul cedolino esiste, questo numero – collegato a un data base nazionale a disposizione di tutte le strutture culturali al cui ingresso a zero costi abbiamo diritto. Ho visto cose bellissime ma è inutile raccontarle. Sono partito presto, quest’anno, e già in giro non si vedeva nessuno. A dirla tutta, anche oggi non c’è anima viva. L’impressione è che si stiano squagliando tutti, altrimenti non si spiegherebbe questo vuoto di persone, di parole, di pensieri e di gesti.
a piedi nudi nel bagno
StandardDa ragazzino non stavo mai in casa. Ero sempre fuori e, quel poco tempo che trascorrevo in famiglia, tenevo addosso le scarpe per essere pronto a uscire di nuovo, non appena mi avesse telefonato qualcuno. Un comportamento che reputo imperdonabile e non capisco come i miei genitori non si siano mai imposti per farmi osservare quella che è la regola base della convivenza e dell’ospitalità, togliersi le scarpe prima di entrare. Riconduco questo mio atteggiamento incivile a diversi fattori, a partire dalla graniglia di colore scuro dei pavimenti alla genovese che non restituiva un adeguato senso di pulizia e non invogliava a camminare scalzi, per non parlare dell’attenzione al look: praticavo la new wave e non esisteva un abbigliamento casalingo corrispondente a quello ostentato in pubblico, a partire dalle pantofole nere dalla foggia Creeper. Oggi, però, è cambiato tutto. A casa mia, se mai vi inviterò, ricordatevi di lasciare le calzature nello sgabuzzino all’ingresso. A vostra discrezione la scelta se rimanere in calzini oppure indossare le pattine degli ospiti. Sono talmente ossessionato che controllo nei programmi tv come si comportano gli attori. Mi capita di notare gente che si sdraia sul letto, con le scarpe, che è una cosa che mi fa orrore. C’è uno spot che mi irrita particolarmente e che è quello del Viakal. La protagonista pulisce il bagno con le sneakers, e non se le toglie nemmeno per lavare la cabina della doccia. Immagino che il piatto sotto sarà bagnato e quindi, uscendo da lì, inevitabilmente sporcherà le piastrelle del pavimento con il sudiciume umidiccio delle suole. Fino alla danza finale con le scarpe sul tappetino, lo stesso su cui ci posiamo i piedi nudi dopo il bagno. Che orrore, non trovate?
divieto
StandardA ridosso degli ultimi tornanti della strada provinciale che conduce a Milo, il paesino alle pendici dell’Etna in cui ha vissuto Franco Battiato e dove aveva una casa persino Lucio Dalla, ci sono dei vistosi (quanto non ufficiali) cartelli “vietato suonare”. Pensate se i due – che non vi nascondo essere i miei cantautori italiani preferiti, ma immagino anche i vostri – avessero applicato la normativa alla lettera, di quanti capolavori ci avrebbero privato. Un divieto legittimo è invece quello che impedisce ai turisti più o meno sprovveduti di avvicinarsi alle zone più pericolose del nostro vulcanone nazionale, e sono tante. Crateri attivi, bocche che emettono suggestivi anelli di fumo e il costante rischio di esalazioni letali persino per chi calza scarpe da trekking old-fashioned come le mie. In una Taormina presa d’assalto da coppie che si sposavano e da turisti alla ricerca del resort di lusso impiegato come set di “The White Lotus”, ci sono cascato anch’io e ho scattato persino la foto che trovate qui sopra. In una viuzza del centro ho poi sostato al cospetto di una splendida vetrinetta stipata di teste in ceramica e altri manufatti tipici dell’artigianato locale. Anche lì dentro qualcuno aveva posizionato un cartello con un altro invito pensato per limitare la mia libertà di espressione. C’era scritto “vietato fotografare” e non vi nascondo che lo sforzo per trattenermi dalla trasgressione a quella sciocca regola è stato ciclopico. Mi sono anche trattenuto dal non capovolgere un libello sul mascellone giustamente appeso al contrario in una celeberrima piazza di Milano sfoggiato in bella vista nella sala colazioni di un b&b in cui ho soggiornato e non l’ho fatto solo perché il proprietario – nonché fan del più grande traditore del nostro popolo di tutti i tempi – fondamentalmente era una brava persona, un’idea che avrò di lui almeno fino a quando non me lo ritroverò armato di tutto punto a fare la guardia a me e a tutti gli altri elettori del PD raccolti in uno stadio dopo la definitiva sterzata nazifascista di cui il nostro paese si sta rendendo protagonista. Avete letto le minchiate sugli autori della strage di Bologna? Amici, sappiate che si tratta del solito trucco vecchio quando Walter Veltroni. A destra sparano provocazioni sulle quali noi democratici progressisti ci precipitiamo come belve affamate all’ora del pasto principale. E mentre facciamo a gara – dal vivo e sui social – a chi è più indignato (oggi per il 2 agosto, domani per i diritti civili, dopodomani per i migranti) gli artefici di questo regime, indisturbati, mettono a segno le peggio cose. Povera patria.
MCMLXVII
StandardLa #cultura non va in #vacanza. #Stasera siamo al #TeatroGreco a vedere #Odisseo di #PaoloRossi insieme ad altri #fighetti del #PD. Avrei coronato una giornata di mare estremo con un post su FB di questo tipo se mia moglie non me lo avesse impedito. Sosteneva che nessuno avrebbe colto l’ironia. Ma ne avevo un altro in canna da qualche giorno che forse era ancora peggio. Malgrado siano contemplati dal programma di terza e di quarta, non ho ancora insegnato ai miei bambini i numeri romani ma forse è meglio, così da grandi eviteranno di tatuarsi addosso le date importanti. Faremmo una figura meno tamarra con i numeri arabi, se non fossimo così intrinsecamente razzisti per marchiarci con qualcosa che non è made in Italy. Oltre a essere il popolo più illustrato del mondo – ho letto che abbiamo surclassato persino i Maori come percentuale di pelle impiastrata a cazzo – gli italiani comunque li riconosci anche per come ciucciano in modo forsennato le sigarette elettroniche, l’uso in viva voce in pubblico dello smartphone per le conversazioni, i messaggi vocali e l’ascolto di musica di merda, la narrazione della ricerca di radici e tradizioni e lo starsene imbambolati a guardare il nulla sulle spiaggine sotto l’ombrellone, a parte i #fighetti del #PD come me che leggono libri rigorosamente al profumo di carta. Avete notato che sono quasi spariti gli e-reader? Ci riflettevo in fila nell’attesa che aprissero i cancelli dello spettacolo di cui sopra fino a quando a una carampana palesemente di sinistra al mio fianco è partita la suoneria del telefono che era l’Internazionale. Anch’io l’avevo impostata sul mio Nokia 8110, era il millennio scorso, ma rispetto alla facilità di gestione degli audio dei dispositivi di ultima generazione, allora era uno sbattimento che non vi sto a raccontare. Anzi, ve lo racconto a chiusura di questo aggiornamento sulle mie vacanze estive. C’era un programmino online in cui era possibile comporre melodie alternando le note e le pause. La suoneria, una volta pronta, bisognava inviarla via SMS al proprio telefono e bastava un clic per installarla correttamente. Un’ultima cosa: in Sicilia hanno votato in massa Schifani e si vede.