love is a banquet on which we feed

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Molto tempo prima dei lucchetti di Ponte Milvio e degli auricolari dei dispositivi portatili per l’ascolto della musica condivisi tra le giovani coppie in barba alle principali leggi della stereofonia, era tutt’altro che raro che ragazze e ragazzi innamorati a vicenda, alla domanda “qual è la vostra canzone” – intesa non certo come quale pezzo presentate al prossimo Festival di Sanremo bensì come quale brano considerereste colonna sonora della vostra storia se la vostra storia fosse un film – in almeno nove casi su dieci (stima puramente inventata dal sottoscritto), rispondessero senza indugio alcuno “Because the night”. Come biasimarli, d’altronde. Si tratta di una delle canzoni d’amore e struggimento più note della letteratura musicale di tutti i tempi, che in molti (in Italia) legano al suo utilizzo come sigla di Fuori orario su Rai 3 dalla notte dei tempi, e che ve lo dico a fare. Insomma, ci siamo capiti. Ma la moltitudine di persone che non riesce a non inserire il suddetto brano in una qualsiasi compilation a sottofondo di turbamenti di ogni sorta è suddivisa in due macrocategorie: quelli che amano la versione di Patti Smith, e i supporter della versione originale di Bruce Springsteen, altrettanto arcinota ma pubblicata solo recentemente nell’album The Promise, uscito lo scorso anno. E non me ne vogliano i fan dei 10,000 Maniacs, la loro cover è stata solo esercizio di stile. (Ah, io voto per Springsteen).

le danze popolari

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Il Duo di Piadena feat. Gigliola Cinquetti: Meglio sarebbe.

occupy top 10: musica standard nell’anno dei ribelli

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Non è stato un anno di quelli che passeranno alla storia della musica, questo ventiundici, forse perché ne sono successe di ogni in altri settori degne di essere ricordate, e gli adolescenziali sforzi di sublimare nell’arte musicale le proprie pene sono passati in secondo piano, alla voce “ragazzino lasciaci lavorare in pace, c’è da risolvere prima una crisi globale”. Per dire, sarebbe davvero da mettere al primo posto di una top ten di qualsiasi natura le dimissioni di Berlusconi come elemento più eclatante di rottura apparente o no, come si usa mettere in copertina delle riviste musicali lo stesso B. come rockstar dell’anno o su quelle di tecnologia da benestanti Napolitano. O, se vogliamo proprio eleggere una canzone a regina dell’anno, l’unico titolo che viene in mente è “This must be the place” ma, si sa, non si tratta certo di una novità, almeno non per me. Non che non ci siano stati album e pezzi interessanti, ma nell’insieme viene difficile attribuire punteggi e prendere posizioni diverse dall’andare in piazza o farlo tuittandone l’incondizionata solidarietà.

Passa sicuramente la selezione per i posteri Nine Types of Light dei Tv on the Radio, nello stesso anno della scomparsa del loro bassista Gerard Smith. Un album forse meno graffiante dei loro precedenti ma con diversi elementi degni di nota, nel complesso una più che soddisfacente (diciamo un dal sette all’otto, per ragionare in termini da liceale) raccolta di suggestioni sonore valorizzata dall’ottimo omonimo lungometraggio. Unica pecca, non per colpa loro suppongo, il non essere transitati dalle nostre parti con il tour. Ma non demordiamo e li aspettiamo pazientemente. Ancora nella categoria delle band deluxe rientra Angles degli Strokes, nove tracce su dieci godibilissime eccetto l’unica da dimenticare, quella che sembra scopiazzata da quelle lagne dei Muse, incartate in una copertina d’altri tempi. Una facile e spensierata mezz’ora di pop fresco ricco di citazioni da Is this it. Un disco degli Strokes, insomma, per nostalgici e neofiti, sconsigliato a chi non regge le autocelebrazioni. Chiude questo primo paragrafo The whole love dei Wilco, tutt’altro che fuori tempo regolamentare per la band di Chicago, non è detto che i musicisti che transitano attraverso la maturità non abbiano voglia di sperimentare. Anzi, se la cavano piuttosto bene e dimostrano di essere perfettamente a loro agio.

Nella categoria “scommetto che sai muoverti bene in pista” vanno una serie di album appena oltre la sufficienza, che ho ascoltato appena pubblicati e dei quali a malapena ricordo una manciata di brani. Comunque, giusto per arrivare al numero legale per stilare una classifica, le mie preferenza per l’anno chiusura vanno a The English riviera dei Metronomy, comunque ben al di sotto del loro album d’esordio, Skying degli Horrors che invece si mantiene in linea con la qualità dei loro due lavori precedenti, How deep is your love dei The Rapture, sopravvalutato, e Show me light dei Friendly Fires. Ma, a conti fatti, ammetto che il genere synth-rock-funk-punk con ciuffi a destra come se fosse new wave inizia a stufarmi, anzi mi impegno da qui in avanti a snobbare le band che non fanno nulla per mettersi in discussione. Ci riuscirò? Comunque, discorso in parte a parte (?) per gli inglesissimi Bombay Bycicle Club, che trovo intrinsecamente più originali, e A Different Kind Of Fix non è niente male.

Un paio di titoli nella categoria “esordienti, aka mai sentiti prima”, quelli scoperti per caso da altre fonti, per lo più Ondarock. Un disco geniale è stato W h o k i l l di tUnE-yArDs (è meno faticoso ascoltarlo che scriverlo), strambo ed eclettico, pieno di riferimenti multiculturali in salsa creativa. Niente male anche Making mirrors di Gotye, un altro esempio di varietà stilistica, quella sana che consente di ascoltare un album per intero senza annoiarsi troppo.

Infine tre ottimi dischi da meditazione. Weather di Meshell Ndegeocello, raro esempio di vocalità versatile per una serie di canzoni da sera, l’alternative folk dei Low Anthem, che con Smart Flesh hanno dato vita a un piccolo capolavoro di essenzialità sonora e, per cambiare continente, Tassili dei Tinariwen, ma se ascoltate bene troverete lo zampino dei Tv on the Radio, e così il cerchio si chiude.

Poteva andare meglio, poteva andare peggio, poteva anche non andare del tutto. Buon 2012.

ecco il mio piano

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La scaletta ha previsto un aperitivo da gustare in piedi, il solito medley di antipasti, un piatto forte che già a fatica lo si poteva apprezzare in pieno, un secondo molto pesante tanto che poi uno proprio per il finale non ce la fa, quindi si tiene un po’ di spazio per il bis che però preferisce assaporare in solitudine. Ma,durante il Natale, il menu dolci non ammette variazioni sul tema, quindi meglio appartarsi e improvvisare qualcosa. Tanto il vecchio pianoforte, un po’ scordato, è sempre lì nella tua vecchia cameretta ora dequalificata a magazzino con oggetti sacri annessi.

foals – black gold

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prova con un po’ di tenerezza

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I bambini poveri, nelle favole di Natale, stanziano con gli occhi imploranti e le facce appiccicate alle vetrine delle botteghe di dolciumi e di giocattoli, osservando sognanti i vari Ebezener Scrooge (redenti) del caso acquistare questo e quello fino a quando il commesso più antipatico, infastiditosi, li caccia via. Poi i bimbi crescono e alcuni di essi, nel periodo natalizio, proprio quando aumenta un po’ ovunque – forse a causa di un meccanismo pseudo-pavloviano – la bramosia da acquisto, tengono un analogo comportamento fuori e dentro i negozi di libri, dischi e strumenti musicali. Ma in realtà questa sorta di “consumo interrotto” viene esercitata durante tutto l’anno, è che in prossimità delle feste il contesto rende tutto più drammatico e, per chi passa di lì, è più facile farci caso. Perché quei ragazzini già durante l’anno, a furia di stazionare nelle librerie e nei negozi di musica, sono riusciti a entrare nelle grazie di proprietari e lavoranti in un modo un po’ strumentale, tanto che a furia di vederseli lì, ogni pomeriggio a esplorare scaffali, tirare fuori volumi o vinili da copertine colorate, chiedere di provare questo o quell’altro synth senza poi acquistare nulla, sono diventati di casa, una forma di affido educativo parziale, solo per il tempo libero, che però mai favorisce i sentimenti più profondi tanto da indurre il proprietario o il commesso amico a fare un regalino come forma di ringraziamento per una così assidua presenza, anche perché la semplice presenza non consente affari di alcuna sorta e non aumenta gli introiti dell’esercizio nemmeno di un centesimo. Il mondo funziona così, purtroppo. Ma la passione di quei giovanissimi clienti solo in potenza, mai in atto, poi cresce e in loro si manifesta il desiderio di percorrere quella stessa strada professionale. Chissà, pensano, un giorno potrei avviare una libreria, rilevare questo negozio di dischi o vendere strumenti musicali. Per fortuna poi cambiano idea, altrimenti, visti i tempi che corrono, sarebbero già sul lastrico. Ma non mancano le testimonianze di come potrebbe essere stata, per esempio, una bottega di vinile di culto se uno di quei mocciosetti perditempo avesse testardamente perseguito il suo sogno nel cassetto.

ritorno al futuro

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L’aspetto che mi piace di meno dei ricordi delle storie d’amore – è già la seconda che mi capita a tiro nel giro di due giorni – o delle semplici avventure che sento narrare dalle persone che più o meno hanno la mia età, imprese ambientate ai tempi della loro gioventù e che era anche la mia, è che spesso hanno come colonna sonora o canzone di riferimento pezzi anni 80 ma di quelli che dovrebbero già essere morti e sepolti e che invece, vuoi per la mania del trash, vuoi per tutte le operazioni nostalgia che si sono ripetute in seguito, alla fine siamo ancora qui a parlarne e non è così raro accendere la radio, in qualunque momento della giornata, fare un po’ di zapping tra i canali e sbatterci il muso. La tesi di fondo, come ho avuto più volte modo di argomentare in questo spazio, è che a furia di vagare nel nulla oramai siamo spinti a considerare tutto quello composto all’epoca delle giacche spencer vere chicche artistiche, e allo stesso tempo si giunge a una sintesi in cui Simon Le Bon appartiene a una stessa categoria di Adrian Borland, per esempio, quando invece erano celebrità di riferimento di target agli antipodi e la sola idea mi fa rabbrividire. Quindi vengo a sapere di feste in cui lui nota i capelli vaporosi di lei sulle note di Broken wings dei Mr. Mister, o che gente del calibro dei Cock Robin ha unito coppie sopravvissute fino ad ora, malgrado abbiano danzato la prima volta l’una di fronte all’altro guardandosi negli occhi e mormorando insieme “remember the promise you made”. Fossi in loro non andrei a raccontarlo così in giro.

how soon is Christmas?

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I gradi di separazione tra me e Johnny Marr sono solo due, c’è Fabio De Luca a farci da intermediario, pensate un po’. E via Polaroid, ecco una deliziosa strenna natalizia da parte del nostro ex chitarrista degli Smiths (e degli Electronic, non dimentichiamolo) preferito, un pezzo per le festività in free download. Jingle all the way!

ferdinand soundsystem

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Sapete, vero, la storia dell’album di cover dell’LP Tonight dei Franz Ferdinand e dello scioglimento degli LCD Soundsystem, quindi mi limito a segnalarvi il video della cover di Live Alone dei primi eseguita dai secondi e dell’ottimo video realizzato con amene riprese urbane e tanto footage dal futuro.

essere sul pezzo

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Tanto tempo fa, un tizio che mi faceva da impresario mi propose di mettere i dischi a una festa di gente che compiva quarant’anni, quei party di leva in cui non si capisce bene quale sia l’evento da celebrare. Un compleanno di massa. Io che mi prestavo a qualsiasi tipo di attività remunerata lecita accettai con entusiasmo l’ingaggio, già allora avevo maturato la convinzione che fare il deejay desse molte più soddisfazioni che essere un musicista mediocre. Un mestiere in cui puoi far sentire la musica che ti piace ma il pubblico non è costretto a guardarti mentre la esegui. La mia comprovata serietà in ambito musicale, forse l’unico in cui ero davvero pignolo, mi spinse a mettere insieme una playlist di cose che secondo me i neoquarantenni avrebbero potuto apprezzare. Pensai cioé che i festeggiati avrebbero senz’altro gradito ascoltare una selezione di musica considerata di moda ai loro vent’anni, ovvero quand’erano giovani. Io ero molto più piccolo di loro, molto più giovane di adesso, e per me un quarantenne era un adulto. Così mi misi a cercare materiale adatto, chiedendo in prestito supporti ad amici e colleghi. Il mio pubblico era stato ventenne a metà anni settanta o giù di lì, cercai così di unire originalità a ricerca filologica e mi presentai con una borsa a tracolla piena di chicche a 33 giri davvero degne di nota.

Ma l’esito della serata fu disastroso, un vero flop. Le persone in pista si inalberarono offese lamentando di essere ancora assidui frequentatori di locali notturni e di non volerne sapere di musica che ricordava loro un periodo ormai lontano, la giovinezza anagrafica. Il culto del revival come lo intendiamo noi non era ancora di dominio pubblico, non era stato nemmeno inventato probabilmente, e me ne accorsi quando uno dei più combattivi mi disse che non avrebbe voluto sentire più nulla di prodotto prima dell’anno in corso. E pensare che mi ero proprio preparato basandomi su quello che avrei voluto ascoltare io se avessi avuto quarant’anni, pensando che a quaranta uno non ha tempo di frequentare le discoteche ma sta a casa con i figli e se esce con gli amici un po’ di nostalgia è quello che ci vuole, anziché doversi misurare con chi con diritto si può fregiare dell’epiteto di giovane d’oggi. Non solo. Ero convinto che chi aveva avuto vent’anni o giù di lì nei 70 fosse oltremodo orgoglioso di essere stato protagonista di un decennio così importante, e che celebrarlo in un’occasione di quel tipo fosse un’idea vincente. Macché.

L’impresario se la prese con il mio metro intellettuale applicato al divertimento di massa, oddio non disse proprio così ma il senso era quello, ma comunque ricevetti il cachet ugualmente, quindi la cosa fini lì.

Dieci anni dopo, giorno più giorno meno, esplose il più grande fenomeno di revival mai visto negli ultimi anni, un trend che si è protratto ininterrottamente fino a oggi e che ha coinvolto i 60, i 70, gli 80 e i 90, ne ha fatto un minestrone, e ha sfornato un’idea del passato piuttosto grossolana, molto commerciale e spendibile su canali diversi, tanto che ad oggi non trovi uno che non vi abbia aderito o che non ne segua tutt’ora il culto. Ed è indubbio che questo sistema approssimativo di modernariato culturale abbia consolidato un terreno adatto a un tipo di operazione come quella che avrei voluto fare io allora. Ma ho perso le tracce di quell’impresario, non faccio più il selezionatore musicale, non so se le feste di leva siano ancora in auge e tutto sommato non mi sembra nemmeno più una buona idea.