in media un uomo salva un file ogni 1,5 minuti

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Immaginate in quale tipo di archivio vi piacerebbe riporre tutte le cose e le persone che non vedrete mai più, e non mi riferisco necessariamente agli oggetti gettati in discarica e a congiunti e amici che sono mancati, ma nemmeno alle persone che abbiamo gettato nella discarica dei nostri trascorsi da dimenticare o alle cose che abbiamo mancato per un soffio. Mio papà, per dire, non potrà mai più commentare uno di questi miei post – anche se non l’ha mai fatto nemmeno quando era in vita – anche se ho sognato la settimana scorsa che mi avvisava delle sue intenzioni, “guarda che non ti commenterò più sul tuo blog”, mi diceva, come se avessi scritto qualcosa che non gli piacesse. Il sogno continuava con degli assurdi 33 giri che avevo utilizzato come dispositivi di storage in cui avevo masterizzato foto vecchissime, risalenti alla preistoria della mia passione per l’informatica. Inutile dire che li mettevo sul piatto e al posto della musica vedevo proiettata contro il muro bianco di fronte allo stereo quella istantanea che mi aveva scattato la mia collega Roberta verso la fine degli anni novanta con una delle prime macchine digitali consumer. Avevo una testata di capelli neri e folti che non vi sto a dire e mi aveva ripreso alla mia postazione in ufficio mentre mi dilettavo con la programmazione software. La foto l’avevo poi condivisa con una delle prime comunità on line a cui mi avevano invitato nerd più nerd di me e grazie a quell’espressione a detta di tutti simpaticissima avevo colto nel segno. D’altronde anche quella fa parte delle cose che non vedrò più: il cd su cui avevo registrato il back up di quella fase della mia vita chissà poi che fine avrà fatto. Quindi, tornando a noi, io andrei sul sicuro e mi procurerei uno di quei vecchi schedari da segreteria, quelli grigi con i divisori e le cartelline con le linguette. Poi riempirei l’archivio e ne avrei di materiale da riordinare, nel dubbio stamperei tutto ciò che è digitale e trascriverei tutti i contenuti da associare alle vecchie conoscenze, nel bene o nel male. Un po’ quello che mi diletto a fare qui, per questo ogni tanto salvo tutto sul mio pc, non si sa mai. Meglio non perdere pezzi di vita.

non è un serpente ma un pensiero frequente

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Ci sono almeno due principali effetti collaterali nell’ascolto della celebre Ave Maria di Charles Gounod, che come sapete è una sorta di mash-up ante litteram, in quanto consiste nella sovrapposizione di un’aria composta dall’autore al Preludio No. 1 in do maggiore dal I Libro del Clavicembalo ben temperato di Bach, un po’ come ha fatto Puff Daddy con in pezzi dei Police e dei Led Zeppelin. In ordine puramente strumentale al mio scopo narrativo è doveroso citare la sovraesposizione in periodo pre-natalizio, quell’effetto Libertango di Astor Piazzolla che a causa dell’abuso in ambito pubblicitario causa assuefazione anche verso le cose che, in teoria, non dovrebbero mai smettere di stupirci. Ma il vero link per quello che mi riguarda è l’organista della messa delle 10 con il suo cappello alla Nino Taranto e a quella volta che mi ha permesso di sostituire la sua esecuzione di quel rodato brano durante l’offertorio con un meno canonico secondo tempo di un concerto di Vivaldi remixato (secondo la metafora di cui sopra) da Bach per organo, che poi è l’unica testimonianza live della mia attività di esecutore di musica più o meno sacra, suonata a due mani e due piedi. Ero giovanissimo, per non dire bambino, e portavo con me in quel periodo un animale giocattolo, una lunga biscia verdastra di plastica parzialmente flessibile che ostentavo nelle foto nemmeno si trattasse di un orsacchiotto di pelo. La tenevo in bocca come una preda o in equilibrio sulla vistosa visiera del cappellino da baseball da cui non mi separavo mai nonostante non sapessi nulla a riguardo. Ma il vero problema era portare la biscia finta in chiesa, e non so spiegare il motivo per cui i miei permettessero che io girassi con quel coso assurdo in mano e non me lo facessero nascondere almeno per le foto ricordo durante i viaggi e le gite. Ieri all’alba hanno trasmesso invece l’Ave Maria di Gounod sotto i portici di Via Pisani, attraverso i diffusori del bar più mattiniero che allestiva i primi tavolini fuori malgrado i numerosi clochard che dormivano ancora della grossa nei loro rifugi improvvisati. Clochard dinanzi alla KPMG, clochard dinanzi allo sportello Unicredit, clochard sotto le insegne dell’Aeroflot e di Mama Burger. Nel dehors encomiabile anche lo sforzo di aver posizionato, insieme alle sedie e ai tavolini, un calcetto con il brand della Birra Moretti di quelli che vanno di moda adesso, senza scopo di lucro ovvero ci sono le palline, non costa nulla e puoi giocarci all’infinito. Infatti, pensavo, oggi la gente è abituata ad avere le cose gratis, figuriamoci il calcio balilla nell’era delle console. L’Ave Maria poi è sfumata in una delle solite radio commerciali, probabilmente era una vera e propria sigla d’inizio giornata, una preghiera per i commercianti che oggi sia meglio di ieri.

inizia il secondo tempo

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Osservare le cose camminando, mettendo a fuoco un punto senza perdere di vista lo sfondo, dà più o meno lo stesso effetto di quelle tecniche di ripresa che vanno molto di moda oggi, in cui c’è una cosa o un volto al centro del quadro e il resto dietro che si muove svelando il background. Quello che altri hanno definito il sistema dello slider, che è appunto lo strumento che consente di usare una telecamera con movimenti lenti e regolari. Edifici che scoprono altri palazzi dietro più alti, i quali a loro volta lasciano subito dopo spazio alle nuvole prima parzialmente coperte e così via. Scorci di città possono essere visti differentemente anche se si passa di lì ogni giorno, questo non l’ho detto certo io ma trovo sia un buon deterrente agli alti e bassi ma non quelli dei livelli prospettici dei palazzi che dicevo prima. Mi chiedo come possa essere la vita in presenza di soli alti, tutti i santi giorni grandi notizie, gente che ti dedica attenzioni, apprezzamenti sul lavoro, voti sopra il nove dei figli, essere a proprio agio. Con il sistema dello slider si può cogliere però la bellezza pur non vivendo a Roma, e ve lo dice uno che sta alla periferia di Milano. La bellezza più o meno ovunque e la musica che si sprigiona dai tacchi che camminano a ritmo, dai campanelle dei tram, dalle sigarette accese negli spazi angusti e dal serrare i denti per ostentare la grinta. Vedete, è da vecchi che si gioca la vera partita, altro che tutte quelle cose sopravvalutate che si fanno da giovani. Probabilmente si concentra molto negli occhi per poi pervadere tutte le membra perché davvero, ci sono certe sensazioni di benessere che non avevo mai provato prima e non so spiegare se è perché, da un certo punto in poi, inizia una specie di restituzione di non so bene cosa al resto del mondo.

posso provare che non si tratta di stalking

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In tutte queste case in cui rapido c’è qualcuno che si serra dentro per passare una notte al sicuro, immaginate un nodo di una rete invisibile che pulsa dentro e fuori tutti i pensieri che vanno a depositarsi in un archivio più grande dei data center di Google. Ecco, io che potrei essere tuo nonno con un po’ di sforzo ma di sicuro tuo padre già bello avanti con l’età, io l’intelligenza artificiale me la immagino così. Un infinito sistema operativo che riconosce le cose che uno si immagina perché cifrate secondo standard aperti e che vanno ad alimentare una sorta di Content Management System universale a cui anche io che sono vecchio e che alle cinque dell’alba già mi è passata la voglia di stare a letto posso accedere con un qualsiasi motore di ricerca e trovare le informazioni giuste. Ecco perché non ti devi stupire se ti aspetto sotto casa con gli stivali di gomma, la camicia a quadri rossa e senza dentiera. L’hai pensato tutta la notte, l’anziano che esce ogni mattina per una sorta di ricognizione. Ma ti fermo subito: sei fuori strada, cara mia, fa parte del mio percorso quotidiano per sgranchire le ossa. Al massimo posso approfittare di questo potenziale di conoscenza totale per prendere ispirazione dalla tua freschezza e valutare, nel caso ci fossero davvero altre possibilità di ripartire da capo in un secondo o terzo o ennesimo momento, come mi piacerebbe essere da giovane. Posso dirti che cerco qualche aiuto per favorire la casualità degli eventi. Se sono in anticipo o sei tu quella in ritardo mi soffermo a leggere i volantini gettati per terra e inzuppati di questa pioggia che sembra non finire mai, e interpretare i prezzi dei dispositivi a risoluzione così perfetta e adatta a farci vedere come dovrebbero essere le cose. Mi chiedo se i colori degli sfondi delle home e dei desktop di tablet e smartphone esistano davvero in natura o ci sia una componente soprannaturale in certi algoritmi. Ma voglio essere sincero con te. Mi ritengo fortunato di aver conosciuto felicità diverse dalle esperienze sintetiche condotte in stanze ricostruite su linee guida di cataloghi Ikea, ambienti privati in cui viene da passare e guardare e andare oltre mentre bambini saltano sui divani e genitori e figli grandi si sforzano in astrazioni che sempre più sono distanti dalla nostra natura. Io almeno me la sono evitata e sono orgoglioso di aver abboccato al mito dei mobilieri brianzoli, del distretto degli artigiani e di tutto il suo indotto. Avere giovinezze sfasate ma solitudini sincroniche è uno dei mali della società che consente il rimescolamento generazionale, voi dovreste essere altrove a conquistare il mondo e noi vecchi qui, chiusi da qualche parte, a contare i giorni che ci separano dai ricordi che in avanti è meglio non pensarci più.

non me la raccontate giusta

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Inutilmente affaticati, d’altronde nessuno si sognerebbe mai di ammettere che il lavoro può essere annoverato tra i sistemi dell’annullamento individuale alla pari dell’alcol, del colesterolo e delle droghe pesanti, troviamo modalità light per illuderci dell’esistenza di realtà parallele di trasgressione, proprio oggi in cui qualunque novità esercitata compulsivamente alla lunga rompe i maroni e quindi uno stimolo verso un’evasione definitiva dev’essere proprio una roba che ci lascia senza parole. Abbiamo visto tutto, no? La frequentazione estrema con i sodali nei social network, l’accessibilità interdisciplinare dei contenuti in rete e persino la pornografia gratis anche all’ora di pranzo, per dire. Credo sia per questo che comunque ci viene voglia di raccontare i sogni, anche se è un po’ la morte dello storytelling. Una dimensione in cui tutto è possibile e ci condiziona a tal punto da credere alle teorie più assurde. Ho sentito persino dire che chi leggiamo essersi suicidato prima di compiere il gesto desse l’impressione ai parenti più vicini di essere morto già altre volte e di sapere quello che faceva. Io mi sfogavo con cose più banali, per esempio, come scorrere il cursore delle onde medie per captare le voci dall’oltretomba o pensare intensamente che mi asciugassero i brufoli sulla fronte in modo da tornare a scuola con una faccia meno soggetta all’ilarità dei pari. Nulla si verificava, manco a dirlo. Ci sono desideri a raggio più corto e chi ha la mentalità imprenditoriale riesce persino a tirarci su un bel gruzzoletto. Sentite qui: una mia amica vorrebbe mettere su un ristorantino in cui servire solo piatti che si intonano con i colori dei vestiti degli avventori. Mica male, vero? Ti presenti con una camicetta bordò e ti fai servire un risotto al radicchio, il pullover marron per un primo con i funghi o il gulash, io ne vado matto. Arriva il cameriere e mette in tavola persino il pane bianco o di segale a seconda degli abiti che indossi e poi ti consiglia. Un posto in cui i nude look sono vietatissimi, ovviamente. Ma alla fine nessuno ci prova veramente, tutte queste velleità sono post it appiccicati con lo sputo, come si dice dalle mie parti per indicare un qualcosa destinato a cadere nell’oblio con una metafora che fa un po’ schifo. Ci restano convinzioni quotidiane più alla nostra portata, come l’illusione che gli alimenti industriali possano essere conservati fuori dalla loro confezione in contenitori generici alla pari di quelli che preparavano le nonne. Ma quanto cazzo si cucinava un tempo? Eliminare ogni traccia di modernità dalla nostra cucina, uniformando la disposizione dei prodotti acquistati al 30% di sconto per tipologia e non per brand, ci trasporta in una dimensione alla quale non apparteniamo più e in cui la soddisfazione del riciclo preventivo di involucri e packaging appaga la coscienza al massimo fino al successivo ritiro programmato dell’immondizia.

e voi non ditelo a nessuno

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Ci sono età nella vita in cui la cospirazione si può esercitare singolarmente, e detta così è palese il paradosso considerando l’etimologia del termine che trasmette l’intesa tra individui e il concerto di intenti per uno scopo unanime di carattere sovversivo. Ma questo non significa nulla se ci sono amici invisibili a disposizione o se siete costretti a trascorrere molto del vostro tempo libero da soli. Casi tipici di ragazzini di città con genitori molto impegnati, figli unici o con fratelli troppo grandi o troppo piccoli. O anche adulti e anziani annullati dalla misantropia, vittime da uso compulsivo dei social network che poi alla fine se ne stanno chiusi in casa tanto fuori non c’è di meglio. Anarchici isolazionisti folli in grado di esercitare velleità sanguinarie fai-da-te, quelli che si scaricano il toolkit per la costruzione dei cacciabombardieri con la stampante 3D da Internet, per intenderci. Iniziamo presto, però, con queste cose e secondo me è meglio perché così invece uno si sfoga da piccolo e poi, quando è grande, ci ride su. Oddio, qualcuno invece peggiora con l’età e spesso ha genitori troppo distratti per capire che certi capricci o gesti ripetuti sono il preludio di una latente sidrome depressivo compulsiva.

Per il resto sono certo che se ci prendiamo la briga di smontare i giochi preferiti dei ragazzini qualche sorpresa ce la possono riservare. Il bello dei segreti è proprio quello di non dirli a nessuno ma di scriverli su bigliettini segreti e di nasconderli in posti segreti come l’interno dei settori di cui si compone il cubo di Rubik. Il piacere di tramare in autonomia mette le farfalle nella pancia prima della maturazione che poi lega tale reazione a ben altre eccitazioni. Ci avete mai provato? Se lo smontate, e dovreste riuscirci con la versione originale, i settori hanno degli sportellini e dentro sono vuoti, c’è lo spazio per un foglietto di carta ripiegato con il nome della vostra amata oppure anche qualche microdose di sostanza illegale, e scusate se ho rotto la poesia ma questa è la dimostrazione che non dovreste liberarvi dei giocattoli appena crescete e vi vergognate di essere stati infantili. Perché lì dentro nessuno troverà mai nulla. Stesso discorso per certi vani di contenimento delle batterie, pensate a cose come una sveglia elettronica, io ne avevo una gialla che faceva un segnale fastidiosissimo che mi spaventava ogni volta. Erano i tempi della prima media e non avevo ancora capito come ci si organizzasse per i compiti così la puntavo alle cinque per finirli in tempo. Ma poi le sveglie cadono dal comodino quando è buio e i foglietti nascosti, se uno non ci sta attento, sono destinati alle attenzioni di occhi indiscreti. Certo, mi direte, dipende che piani cospiratori c’erano scritti su. Ma questo non lo dirò mai, perché la validità di certi segreti mica è soggetta a scadenza.

il peso della narrativa e la leggerezza dell’essere

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A differenza dei nativi digitali e degli invecchiati analogici, io che sono uno zoticone ignorante degno rappresentante dei cresciuti catodici ho avuto poca dimestichezza da ragazzo con la lettura, trascurata rispetto a media tiepidi come i fumetti, più caldi come dischi e musicassette, se non roventi come, appunto, la tv. Quindi almeno fino ai venti anni abbondanti mi sono dedicato più che altro alla narrativa che il palinsesto educativo imponeva, mi riferisco doveri scolastici che portavo a compimento solo per meri fini valutativi. Così uno dei primi libri che ho letto di mia volontà è stato “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, ma solo perché era un best seller, una moda molto anni ottanta, insomma. L’antesignano di tanti successi letterari paragonabili alle code per l’iPhone 6 e, come sovente accade, ampiamente sopravvalutato e obbrobriosamente commerciale.

Ma, giudizi sommari a parte, lego solo al libro di Milan Kundera la prima sensazione provata di una sterile trama che si consuma muovendo il peso del supporto cartaceo non rilegato dalla parte destra, pagina dopo pagina, verso la parte sinistra. Gli spessori dell’una e dell’altra che variano in misura inversamente proporzionale man mano che si avvicina la fine e la lettura, in tutto questo, come una cosa a sé, un ambiente in cui uno abituato a ben altre più pigre esperienze – come ero io ai tempi – riesce a muoversi solo tenendosi ben stretto a una balaustra a ridosso della narrazione, un supporto utile a darsi lo slancio per fuggire, alla minima distrazione, da questa parte del libro.

Ma la cosa sorprendente consiste nella sorpresa finale, la quarta di copertina che mi ha indotto a una riflessione a grandi linee riassumibile in una sola domanda: e ora che me ne faccio? Perché la finalità dei Pavese, dei Pirandello e di un Manzoni stesso appresi perché parte di un programma di studi fornivano comunque una serie di crediti fittizi per ottenere il pass finale al futuro, una sorta di raccolta di bollini per un’offerta speciale di opportunità professionali successive. Ma quell’Adelphi azzurro acquistato e passato in rassegna perché “usava”, che cosa ha lasciato a parte lo sforzo di portarlo a termine e l’illustrazione della nudità femminile in copertina? E voi, qual è stato il primo libro – narrativa per ragazzi a parte, perché ha avuto più influenza “I ragazzi della via Pal” nella mia vita che qualsiasi altra opera letteraria – che avete scelto di leggere in autonomia, al di fuori dalla lista dei suggerimenti della prof. di Italiano? E che cosa vi ha lasciato?

certe cose non possono che migliorare

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Non eri la prima né poi sei stata l’ultima a dire a Silvio che avrebbe dovuto farsi crescere i capelli anche nel tratto sopra le orecchie e uniformarne la lunghezza con quelli dietro e sopra. Erano finiti da un pezzo i tempi di Nik Kershaw e Howard Jones e certe linee non si potevano proprio più vedere. Correvano i novanta, bello, e i doppi o tripli tagli erano fuori produzione come i giradischi e i telefoni a rotella. I capelli lunghi sono lunghi e basta, omogenei di lato e sulla nuca a meno di complicazioni tricologiche. Silvio ha commesso l’errore di aspettare che fossero certe ragazze con le camicie di flanella a quadri a ricordargli come stare al mondo. Ma ora, in questo presente che capire non sappiamo, che ce ne facciamo di questo tipo di valutazioni sulla simmetria delle chiome trasandate? Siamo travestiti da impiegati e intorno ci sono donne e uomini di una vecchiaia che ha dell’osceno, immobilizzati su panchine a fianco di badanti che non badano per nulla ai nonni e ai genitori dei loro datori di lavoro. Uno sbraita improperi nel suo idioma dell’est a qualcuno al telefono, dall’altra parte del mondo. L’altro ascolta a un volume dannoso con gli auricolari musica da ballo latino-americana, socchiude gli occhi già a fessura e pensa ai passi giusti da fare che non può eseguire lì. Tanto i due infermi che se non sono centenari poco ci manca, dai quali sono a servizio, nemmeno sanno protestare, ma non credo che gli sfuggano indifferenza e lingue ostiche malgrado il pasticcio che hanno in testa. Nella testa dentro però, non certo nella capigliatura nascosta da berretti calcati fin troppo pesanti per la stagione in corso, ma prendere freddo può portare catarro, complicazioni, bronchiti e la tosse che è letale per il cuore a quell’età. Quella della vita che si esaurisce così in questa linea a zero dignità è invece un trend che non passa mai, quando ci si distruggeva sui Soundgarden tanto quanto ora, nei giorni della crisi senza ritorno, e onestamente non credo che inservienti stranieri peggiorino la situazione, ma vorrei solo che si sforzassero a tentare una conversazione, potrebbe essere l’ultima. Mi accorgo così all’improvviso di quanto mi piace prendere appunti con Moleskine e Tratto Pen blu e come mi piacerebbe poterli usare per segnarmi queste cose mentre cammino, approfittando della chiamata di tua sorella l’alcolizzata che ti chiede un prestito da mille euro per pagare l’avvocato che la segue per un’accusa di pirateria informatica, un paio di licenze farlocche di CAD trovate dalla Finanza mentre cercava tutt’altro, e che si impegna a restituirti i soldi in due rate da cinquecento al mese.

pianisti su marte

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Chi è o è stato studente di quel meraviglioso strumento che è il pianoforte va automaticamente a collocarsi in uno dei due macro-insiemi che raccolgono, da una parte, quelli ce l’hanno fatta a diplomarsi al conservatorio e, dall’altra, tutti gli altri. Ora non dovete pensare che questa classificazione metta i salvati e i sommersi in antitesi, non c’è nessun giudizio verso nessuna delle due categorie e verso i loro rappresentanti. E come potrei? Di qua ci sono persone che hanno sacrificato chissà quanti pomeriggi della loro gioventù chini su ottantotto tasti mentre i loro amici si rovinavano di canne al parchetto. Di là c’è di tutto un po’ ma non solo musicisti che, come me, stremati dall’adolescenza, a un certo punto hanno gettato la spugna. Si trova anche gente che ha semplicemente realizzato che lo studio classico non è la sua tazza di tè e si è dato al jazz, al rock, all’insegnamento dello strumento a chi è alle prime armi, alla musicoterapia, o tutte queste cose insieme, e perfino chi gli è venuta la nausea.

A entrambi i gruppi va comunque il mio attestato di solidarietà e vicinanza per quei primi anni di studio in cui i risultati hanno da venire e il presente è fatto solo di esercizi e scale. Scale ed esercizi. Studi e scale. Hanon. Czerny. Pozzoli. Pura ginnastica per le dita, su è giù per la tastiera, da sinistra verso destra e ritorno. Da destra verso sinistra e via con il successivo. Dalle note basse a quelle alte, dalle ottave acute giù verso quelle gravi. Do mi fa sol la sol fa mi re fa sol la si la sol fa e così via. Mani perfettamente allineate a distanza di dodici tasti, maratone eterne per scogliere le giunture, roba che ti manda le articolazioni a fuoco a furia di usarle. Lunghi mantra sonori preparatori all’esecuzione dei pezzi veri, quelli che si devono preparare per gli esami. E sopra il metronomo imperturbabile che sancisce il tempo, il ritmo, a ogni giro una tacca più veloce. L’oblio della meccanica musicale, una corsa verso la scioltezza, la leggerezza, l’alternarsi della pressione sui tasti, ma anche l’indipendenza, le mani che vanno da sole. Pura aerobica per gli arti superiori e niente più.

E come fondisti olimpionici, i pianisti in erba lasciano lungo il percorso che porta alla battuta conclusiva dell’esercizio, dello studio, della scala, i compagni più deboli, quelli meno determinati, quelli che si fanno domande, che cercano un senso. Il senso che nella pratica dello strumento, purtroppo, non c’è, non si vede, non si percepisce fino alla conclusione della tecnica. Mani e dita sciolte consentono di avere il pianoforte in pugno. Come mi ripeteva il mio maestro, solo dopo l’ultima pagina dell’Hanon, dello Czerny, degli studi di Pozzoli, si riesce a domare lo strumento. Fino ad allora, ogni pianista è in sua balia. Ed è sempre stato così.

senza nemmeno porsi il problema dell’arredamento

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Con una mossa da borseggiatore di metropolitana riesco a sfilare un pacchetto rigido di Marlboro Light dalla tasca posteriore dei pantaloni di una ragazza che scende le scale in legno su cui siamo seduti. Non fraintendetemi, non sono certo uno uso a questo genere di approvvigionamenti, semplicemente sono un po’ su di giri per la birra con il succo di non so cosa che servono lì al Mokambo e l’occasione fa l’uomo ladro. Il pacchetto è per tre quarti già fuori, devo solo sollecitarlo blandamente per farlo tutto mio. Per non parlare del fatto che poi, dentro, di sigarette ce ne solo soltanto cinque. Ale sembra molto soddisfatta da quel colpo di genio, anni di emancipazione non hanno soffocato l’attrattiva della rudezza tutta maschile di una bravata come quella e il fascino della trasgressione che suscita il delinquere in sé. Se il furto con destrezza finisce bene, il ranking dell’autore sale, soprattutto potenziato dall’alone romantico del contesto, una birreria nella tarda sera di un giorno feriale gremita di gioventù poco avvezza alle regole sociali. Al contrario, se si viene colti in fallo, la figura di merda è epocale, potenziata dallo squallore del contesto, una birreria di provincia in un giorno feriale, gremita di ex ragazzi votati al fallimento esistenziale.

Ma Ale e io no. Figuriamoci. In quel momento lì stiamo addirittura fantasticando di andare a vivere insieme anche se ci frequentiamo in quel senso che sapete anche voi da poco più di due mesi. Ma è in quella fase che si fanno i progetti più grandi di tutti, no? Andare a vivere insieme non si sa bene come, con i nostri due lavori di anticamera al futuro, barista notturna lei e musicista dove capita io. Ma l’argomento è di quelli su cui si può andare a parlare avanti per ore, seduti sulle scale di legno perché il posto è pieno così, a fumare sigarette rubate e a bere boccali di birra con il succo di non so cosa. Se c’è un’entità soprannaturale che viene in soccorso dei giovani innamorati dovrebbe privilegiare i candidati all’intimità come noi, mica come Chicco e Ricky che vedono topaie del centro storico e stanno valutando quella che costa meno in affitto ma per portarsi a casa le tipe come la Chiara e la Ste e fare le cose in gruppo, alla faccia del padrone di casa che nel suo dialetto di non so bene dove gli dice che in quei locali è vietato ficare. Un verbo che preclude un qualsiasi approccio maschile a un ménage omosessuale.

Comunque per dimostrare ad Ale che la cosa può funzionare il giorno dopo chiamo il papà di Massimo per chiedergli se quella specie di monolocale al primo piano che aveva affittato a suo figlio prima che partisse per l’Inghilterra è disponibile. Un posto buio dalle scale di ingresso impervie con l’accesso su un caratteristico cortile interno in cui si raccoglie l’acqua piovana. Il proprietario mi conferma quello che pensavo, un appartamentino così esclusivo non può rimanere sfitto per molto, infatti è già occupato. Il costo comunque è molto di più di quanto Ale e io ci possiamo permettere. Quando la metto al corrente della cosa, al telefono, la sento piacevolmente sorpresa del mio tentativo. Credeva che io la sera prima ne avessi parlato solo così, un argomento qualsiasi tra una birra e l’altra, e mi chiede se davvero ne sono convinto perché così si dà da fare anche lei per trovare una soluzione.