c’è una tipa nuova in città

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Se fantasticate ancora al ricordo alla storia della cameriera che a trent’anni suonati e con un figlio dodicenne fa armi e bagagli dal New Jersey e si trasferisce a Phoenix, Arizona, cambiando radicalmente vita, ma poi non comprendete la scelta della maestra di vostra figlia che dalla Basilicata si è spostata per lavoro nella peggiore delle periferie nord di Milano senza nemmeno il tempo di imparare la lingua, c’è qualcosa che non va. Il sogno americano in salsa di pomodoro e mozzarella non vi piace? Saranno forse le strade che non sono certo quelle del coast to coast ma si pagano a suon di soldoni in tangenziale per poi rimanere imbottigliati alla barriera, con la gente comune che non sa di essere ripresa per la sigla di un telefilm di successo e cerca di fottervi il posto in coda e si sa, di questi tempi è meglio lasciare correre i soprusi automobilistici, non si sa mai chi ci sia alla guida. Per dire, qualche settimana fa ho assistito a una rissa qui sotto tra due contendenti alla pole position del traffico locale e, avvertendo le sirene della Polizia in arrivo, uno dei più cattivi si è premurato di darsela a gambe portando con sé un cannone da non so quanti millimetri che gli teneva compagnia nel cruscotto. La gente non sta bene. Ma non saranno nemmeno i TIR da superare in colonna uno via l’altro, più concilianti rispetto ai truck americani per l’effigie di Padre Pio che ostentano sulle aperture posteriori del rimorchio ma, anche qui, è tutta una questione di punti di vista. Se siete rimasti impressionati dagli inseguimenti di Duel, una certa iconografia dell’aldilà montata su colossi stradali (potenziali armi di distruzione di massa) non è altrettanto rassicurante. O sarà lo specifico delle autostrade italiane che vietano l’autostop e che ci mettono al riparo dal Rutger Hauer di turno che rovina la giornata a noi o, al contrario, è la nostra pazienza che va in tilt e che rovina la giornata degli altri in una kermesse di ordinaria follia per gli ingorghi, il caldo, il divorzio, il lavoro che non c’è più, le cavallette. Ma, a parte gli inconvenienti del viaggio, a partire dalla Reggio Calabria – Salerno, cambiare vita così come si fa negli Stati Uniti è una pratica piuttosto diffusa dalle nostre parti da almeno 70 anni e si chiama emigrazione interna, forse il fatto di spostarsi orizzontalmente anziché da nord a sud ha tutto un altro fascino e impone ben altra tipologia di narrazione. Strapparsi dalle radici per un posto da insegnante, come il caso che vi ho sottoposto prima, dividere un appartamento in affitto con qualche collega e trascorrere il tempo a cercare occasioni di viaggio per pagare il meno possibile il rientro al paesello di origine nei giorni di festa ha una prospettiva piuttosto differente, e raccontare una storia così al cinema probabilmente non interessa a nessuno.

l’invidia del Fallon

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Il Post, che è una gran bella invenzione soprattutto per l’intelligenza dei suoi commentatori, ha due grossi limiti: il marito renziano della presentatrice renziana del Grande Fratello che lo dirige e, talvolta, un certo modo un po’ provincialotto di presentare le cose degli altri, all’interno di articoli senza capo né coda su tematiche lasciate allo sbando ad autori un po’ meh. Non che io lo sappia far meglio, eh. Però, insomma, per scrivere sul Post secondo me occorre avere i numeri. Ieri per esempio ho letto questo articolo qui su Jimmy Fallon, e se gli avete dato un’occhiata possiamo permetterci un paio di riflessioni.

Delle tonnellate di entertainment televisivo in salsa talk e rotti che viene prodotto e trasmesso dalle reti USA, a noi che resistiamo solo con la tv pubblica e digitale ci arriva ben poco. Il Letterman in differita su RAI5 e una marea di link grazie al web, ai feed dell’informazione americana a cui siamo registrati, e ai rilanci dei nostri siti di news. Grazie a uno di questi canali ho conosciuto tempo fa Jimmy Fallon, presentatore comico attore ballerino cantante tuttofare di una serie di programmi della NBC che portano il suo nome e che fanno il pieno di spettatori da un bel po’ di anni. L’ho conosciuto per la forte connotazione musicale del suo show. Ci sono ottime esibizioni dal vivo, un po’ come da Letterman, ci sono i Roots in pianta stabile come orchestrina “resident”, ci sono intelligenti trovate di buon gusto come le cover eseguite con i veri interpreti del brano accompagnati da “classroom instruments”, gli strumenti musicali suonati dai Roots che si usano a scuola o, meglio, nelle scuole americane durante l’ora di musica, e considerate che qui da noi ci sarebbe solo un’orchestra di flauti dolci.

Ora, l’articolo in questione prende di mira lo showbiz a stelle e strisce che fa showbiz su se stesso partendo da Madonna che, in uno di questi siparietti di Fallon, canta “Holiday” nella riduzione per melodica, kazoo, glockenspiel e via dicendo. Non entro nel merito del senso dell’articolo perché – è un mio limite – non c’ho capito un cazzo. Ma, se posso permettermi, “la celebrazione della celebrità” e “la reiterazione di un meccanismo promozionale in cui l’oggetto della promozione sparisce” temo siano lo specifico della narrazione televisiva di programmi come questo, e il successo che ha sul pubblico – e non dobbiamo sottovalutare gli americani perché gli americani sono molti di più di quelli che possiamo immaginare – lo si deve proprio a un indotto che è costituito dalla fama delle star fuori contesto, applicata a ogni tematica specifica dei vari programmi. Quindi Madonna, ma anche Meghan Trainor o Mariah Carey o la cantante di Call Me Maybe messe a nudo su una base acustica e infantile. O Justin Timberlake coinvolto da Fallon a cantare e ballare la storia del rap in più puntate.

La morale della storia è che, in USA, con le mezze calzette non si va da nessuna parte, non è possibile attirare pubblicità, fare ascolti, guadagnare soldi e ricapitalizzare il capitale dell’industria musicale. Lo so che a noi sembra strano, se pensiamo che qui a tentare di mettere un po’ alla berlina i famosi ci sono solo i reality sulle isole esotiche, i balletti con le stelle, i programmi di Fiorello o le interviste un po’ azzimate di Fabio Fazio. Che poi sappiamo tutti quanto si faccia a gara a farli stare comodi, a non suscitare dubbi sulla lobby cui appartengono, a non rischiare di assottigliare il loro marketshare che, come sappiamo, in Italia è già risibile di per sé. Quindi accontentiamoci delle differite di Letterman e Fallon, di quello che purtroppo a noi non ci è toccato in sorteggio, qui dove gira che ti rigira vedi sempre le stesse facce – in tv alla radio al cinema e su Internet e anche su Il Post – celebrità di provincia nel consolidato ruolo di se stesse, e guai a metterlo in discussione.

fatti l’uno per l’altro

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Molti di noi non si pongono il problema che l’approccio debba essere paritario sottovalutando una legge naturale che, come per lo sport, vale anche per i flirt. Ci sono gli outsider, può essere una giornata storta, ma nella maggior parte dei casi se sei una squadra scarsa e incontri la capolista perdi, corretto? Invece i luoghi pubblici che incoraggiano l’indole sociale del genere umano e la sottocategoria comportamentale del “provarci” pullulano di involontari tentativi di mancato riconoscimento dell’autorità estetico/contenutistica altrui, generando negli astanti il desiderio di seguire fino in fondo approcci e conversazioni per comprendere fino a dove riesca a spingersi, talvolta, l’ardimento delle persone comuni.

A chi non verrebbe voglia di stroncare sul nascere queste inutili esercitazioni di stile sentimentale e rimettere le cose a posto? Ciascuno con un avversario della sua categoria, al massimo si può definire una forbice di scarto, e questo vale sia per l’oggettiva avvenenza di chi si cimenta nell’abbordaggio che per l’effettiva capacità di condurre confronti sugli argomenti scelti al momento dell’azione. Chiaro che nel primo caso, per chi lancia la sfida, è palese l’eventuale gap prestazionale, ma spesso non ci rendiamo conto dei nostri limiti oppure anni di esposizione mediatica indiscriminata hanno falsato la percezione della realtà distorcendola verso un illusorio senso di onnipotenza.

Al contrario, riguardo il modo in cui pensiamo di colpire l’attenzione di colui/colei che vorremmo diventasse un futuro partner (di corta, media o anche lunga durata) non sempre è facile un pronostico fino a quando l’interlocutore non rilascia una risposta. Gradevoli persone che si esprimono come il peggiore dei portuali o, al contrario, personalità eclettiche nascoste dietro comportamenti ordinari. Cose di cui, senza provarci, non ne verremmo mai a conoscenza. Sta a noi sfruttare ogni spunto “in chiaro” per raggiungere i nostri obiettivi, altrimenti, come spesso accade, si va alla cieca con risultati disarmanti.

Per questo occorre una nuova figura di facilitatore di avance, una sorta di mediatore relazionale che dall’alto della sua approfondita conoscenza maturata in anni di frequentazioni sociali (e assolutamente disinteressato e imparziale) sia in grado di intervenire per evitare match sconvenienti se non impossibili e alleviare le frustrazioni a buoni o poco adeguati partiti di ogni sesso, razza, religione ed estrazione sociale. Un arbitro, ecco, un direttore di gioco che munito di fischietto e cartellini di ammonimento si muova lungo locali di intrattenimento, luoghi di vacanza, mezzi pubblici e quant’altro impedendo lo spreco di tempo ed energie nell’approccio indiscutibilmente fallimentare. Che ciascuno scelga un partner alla sua altezza, per il bene dell’umanità.

i 10 motivi più urgenti per i quali dovreste chiedere perdono al vostro papà

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Vado subito al sodo, non è il caso di scrivere un pistolotto iniziale come introduzione a ciò per cui gli chiedo scusa, sperando che lassù ci sia una connessione Internet, sappiano usare i pc, leggano i blog, frequentino i social network eccetera eccetera. Quindi caro papà scusami:

1 per aver usato il piatto a cinghia dell’hi fi di famiglia per provare a fare lo scratch, ma l’avevo visto fare alla tv e non sapevo che ci fossero dei vincoli tecnici
2 per aver lasciato che una ragazza di cui ero follemente innamorato vomitasse sulla portiera della tua macchina da dentro con la testa appoggiata sul finestrino giù
3 per aver tentato di accordare il pianoforte usando le pinze
4 per essermi voltato a osservare la camminata di una rossa mentre guidavo mezzo ubriaco per poi schiantarmi – ancora con la tua macchina – contro una Golf causando nove milioni di lire di danni che per fortuna che non sono riuscito nemmeno a frenare tanto che la Polizia mi ha dato ragione sul fatto che la Golf mi avesse tagliato la strada e non ne avessi colpa (già che ci sono chiedo scusa anche alla Golf)
5 per aver indossato per anni a tua insaputa la giacca nera del tuo vestito del matrimonio come capo di abbigliamento fondamentale per il mio look post punk
6 per aver fornicato nella tua casa di campagna più volte considerandolo un valido ed efficace pied a terre
7 per aver pisciato nel vano dietro l’ascensore sulla porta della nostra cantina una sera in cui non sarei mai riuscito a tenerla fino a casa, tanta birra avevo bevuto, dando poi la colpa a qualche barbone
8 per averti sottratto almeno una trentina tra CD e vinili di musica classica quando eri già in Alzheimer avanzato
9 per non aver mai capito la questione dell’IVA da anticipare quando mi facevi da commercialista
10 per non averti difeso da quel discografico che avevi preso a male parole perché, lungimirante come sempre, avevi previsto che ci avrebbe truffato ma, a nemmeno sedici anni, era tale la smania di successo che eravamo disposti a mettere da parte qualunque cosa

Ciao papà, scrivimi pure qui sotto nei commenti se ti sei arrabbiato.
Un abbraccio.

il mercatino dell’usato di Cormano, ogni sabato mattina

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Se siete qui per cercare notizie sul mercatino dell’usato di Cormano, ecco qualche info base: si svolge qui e invece qui c’è la pagina dell’ente organizzatore per avere maggiori dettagli. Da quello che so, il mercatino si tiene sempre, in ogni stagione, ogni sabato mattina. Quella che trovate sotto è una specie di recensione, non me la prendo se non la leggete.

Lo stato dell’arte della civiltà dei consumi ha più di un risvolto, a partire dal consumo del pianeta stesso fino agli scarti dovuti al nostro tenore di vita. Mi riferisco ai rifiuti più o meno convertibili, ma di questo aspetto noi non abbiamo una percezione rispondente al vero perché, a meno che non mi leggiate da qualche favela suburbana seduti su una montagna di fuffa, il nostro immaginario circa quello che succede dopo la raccolta differenziata si esaurisce in un buco nero di sentito dire.

Esiste però una vita dopo la morte delle cose parallela alla discarica, una visione escatologica del paradiso del riuso con tanto di sacerdoti, adepti e rito periodico a celebrazione di questa filosofia. Ogni sabato mattina a Cormano, periferia nord di Milano, ha luogo un mercatino che definire dell’usato è quantomeno riduttivo. Ma il termine stesso mercatino non dà l’idea della vastità dell’evento, della quantità di offerta e di domanda, della mole di roba ammassata su bancarelle di risulta e sull’asfalto e dello spirito dell’iniziativa, e se non vi è mai capitato di visitarlo è un’esperienza che consiglio caldamente. Da una parte è istruttiva, infatti, perché può darci l’idea di quante cose acquistiamo, scartiamo, rompiamo, perdiamo o anche ci vengono sottratte che poi finiscono in questa economia parallela della seconda mano. Dall’altra ci permette di capire quante persone la alimentano e, credetemi, non ne faccio una questione etica perché i motivi del successo del mercatino di Cormano e della quantità di persone che lo visitano – io stesso ne ho considerato l’utilità per la ricerca di una bici usata per mia figlia, che poi non ho trovato – sono molteplici a partire probabilmente dalla povertà sia di chi vuole acquistare cose non nuove per risparmiare e di chi vuole venderle per guadagnarci qualcosa.

Ci sono poi quelli in cerca di un’occasione, chi ha bisogno di un pezzo di ricambio, i collezionisti di ogni genere di bene, i veri seguaci della religione del riuso con il loro intento di salvare il pianeta evitando l’immissione nel mercato di prodotti in surplus. A me però ha colpito la tipologia di prodotti disponibili e chi, davvero, ha bisogno di cose come ciabatte di plastica da piscina usate che, oggettivamente, si trovano nuove a pochissimi euro in qualunque negozio cinese, oppure telefonini di primissima generazione evidentemente fuori uso, scarpe spaiate in uno stato che non vi dico, elettronica di ogni genere ma troppo recente per un’accezione vintage, oggettini e soprammobili in quantità industriale e qualunque componente di qualunque cosa in tutta la gamma delle condizioni dal semi-nuovo all’arrugginito irrecuperabile, il tutto lungo un’area vastissima, provare per credere.

Questo, insieme alla tipologia di merce in vendita e all’underground umano sia dalla parte dei venditori che degli acquirenti, fa del mercatino di Cormano un’esperienza irrinunciabile per avere uno spaccato della società dei margini, della periferia geografica e umana a cui apparteniamo e dei bisogni indotti a cui dobbiamo rispondere anche quando non ci possiamo permettere di esaudirli. Se qualcuno di voi si appresta a scrivere una guida dell’Expo 2015 o anche di Milano, suggerite ai vostri lettori una visita al mercatino dell’usato di Cormano, periferia nord, un sabato mattina, per tornare a casa e osservare quello che si possiede da un nuovo punto di vista.

benvenuti al circolo dei viaggiatori del tempo

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Non è il caso di scomodare precedenti letterari o cinematografici né fare appello a trame di fantascienza perché, da un certo punto di vista, i veri viaggiatori del tempo siamo noi e in carne ed ossa, altro che attori di Hollywood. So bene che a chiunque piacerebbe muoversi come il buon Marty McFly e con la massima disinvoltura cenare con una famiglia etrusca, assistere quindi a un concerto dei Clash con Joe Strummer vivo e vegeto per poi finire la serata quattromila anni nel futuro a fare non si sa bene cosa e qui, lo ammetto, siamo in piena sci-fi che come sapete non è proprio il mio paio di maniche. Pensate invece alle epoche storiche in cui grazie alla vita media del genere cui apparteniamo siamo stati, siamo e saremo in grado di attraversare. Nel nostro caso ammetterete infatti che, da quando spingevamo biglie con le effigie dei ciclisti sulla spiaggia ad oggi, le cose sono cambiate di brutto. E allora siamo o non siamo anche noi, nel nostro piccolo, dei veri viaggiatori del tempo? A me questa è una cosa che quando ne parlo o anche solo a pensarla mi spinge a respirare a pieni polmoni, come quando cerchi di immagazzinare più aria possibile perché quello che ti appresti a fare ti induce a caricarti al massimo, non so se avete presente. Siamo quelli che leggevano in camera dei fratelli maggiori i manifestini con il palinsesto di una radio libera dai contenuti impegnatissimi politicamente ma siamo anche quelli che ci troviamo tra centinaia di sconosciuti a chiamarci per nick e a cercare di collegare l’avatar a un rapporto di amicizia al 100% virtuale per riprodurre dal vivo tutta una serie di relazioni nate e sviluppatesi sul web. Siamo quelli che si spaventavano solo a sentire la colonna sonora di “Dov’è Anna?” con cadenza mono-settimanale ma anche quelli che si incollano davanti alla tv per otto puntate di Fargo viste di fila. Pensavamo che la democrazia fosse in un modo e invece no, ora ci sembrano credibili ben altri parametri. Siamo quelli che venivano accompagnati dai genitori degli amici sulla 800 coupé e quelli che guidano gigantoni neri da sessantamila euro (io no, eh). E siamo anche quelli che avevano una stufa a carbone in cucina per scaldare tutta la casa e che ora sfiorano con un touch screen gli applicativi di controllo in un tourbillon di domotica made in China.

Il punto è che io, quando ci penso, mi meraviglio di essere la stessa persona di allora e di oggi, che ci sia un vettore che in qualche modo sta trasportando la nostra vita lungo una serie di scenari storici in continua evoluzione che ci fanno guardare indietro allibiti tanto che non ci sembra vero di essere gli stessi di quelli là. Ci vediamo nelle foto con quei vestiti fuori moda davanti a insegne di negozi chiusi da tempo, con colori che probabilmente non esistono nemmeno più in natura e non c’è filtro di Instagram in grado di invecchiare così tanto dei ricordi. Ci sono solo poche cose che non mutano. La curiosità, quel modo di storcere il sorriso e la fronte quando si ha il sole negli occhi, la postura per sembrare più statuari di quanto un fisico asimmetrico ce lo permetta, il desiderio di anticipare il domani anche se, è inutile ricordarlo, c’è un rovescio della medaglia che è meglio far finta che riguardi qualcun altro.

il problema del suono è che non si vede

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La teoria dominante è quella dei fantasmi in casa, ma attenzione perché se ci credete questo è solo il livello 1 di un processo irreversibile di paranoia. Se non trovate le chiavi anche se sono lì sulla mensola dove le avete lasciate la sera prima ma comunque siete talmente convinti di non vederle che poi davvero non le vedete e chiamate qualcuno in aiuto, la colpa è solo del vostro essere uomini, nel senso di individui di sesso maschile. Quindi nessuna presenza ultraterrena o spiritello che vi fa i dispetti approfittando della vostra distrazione cronica. Un tema già trattato nel film The Others, ovvero siamo noi quelli morti e trasparenti che stanno con la testa da un’altra parte e i fantasmi, quelli veri, hanno già il loro daffare. Le cose stanno saldamente al loro posto e se non ci credete fate finta di assentarvi e poi provate a osservare la stanza dal buco della serratura, o se avete le possibilità fatevi installare uno di quegli specchi che si usano per gli interrogatori oppure un impianto di video-sorveglianza fai da te, con qualche webcam da due lire. In casa da sola si muove solo la polvere, quello sì un vero mistero di cui non si conoscono origine, dinamiche e scopo.

Discorso diverso con i rumori. Le case, come sapete, scricchiolano, borbottano, si stiracchiano facendo gemere infissi e strutture portanti complice la terra su cui poggiano, il vento e altri elementi atmosferici meno invadenti ma che alla lunga si fanno sentire. Se poi vivete in un condominio è facile capire la natura di tutto quel casino anche quando apparentemente al piano di sopra sono tutti in vacanza. Ma ci sono cose che mi stupiscono ancora, sapete che nell’era di Internet dove tutto è possibile sono ancora i cari vecchi fenomeni fisici gli eventi che ci fanno rimanere a bocca aperta. Le voci della famiglia pugliese che vive al primo piano che escono distinte e perfettamente riconoscibili dallo scarico del bidet è un buon esempio. Oppure la filodiffusione che si sentiva nell’abat-jour della mia cameretta da ragazzo, non chiedetemi come fosse possibile ma era così, e non si trattava di uno di quei modelli di radio-lampada piuttosto diffusi negli anni 70. Un enigma che faceva il paio con l’audio dei programmi tv percepibile nell’intercapedine tra le perline e le pareti proveniente da chissà quale appartamento del vicinato. Insomma, non potete certo lamentarvi di solitudine: il vero silenzio non esiste, nessuno si prende gioco di voi o cerca di spaventarvi in qualche modo. Siete autorizzati, in casi estremi, a far buon uso anche del vostro amico immaginario preferito.

educatori per passione

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Non so dirvi perché ci siamo messi in testa che siamo il miglior esempio che dei figli possano avere, da quando è nata la storia. Certo è un po’ presuntuoso da pensare, ma il punto è un altro. Secondo me gioca un ruolo decisivo il fattore invidia verso i nostri genitori. I nostri nel senso proprio delle madri e dei padri di ciascuno di noi di questa generazione qui, me compreso. Voglio dire, probabilmente il loro metodo educativo è stato efficace a tal punto che ci siamo messi in testa che seguire pedissequamente la crescita dei figli sia la mission del genere umano. Il problema, e ne abbiamo già parlato altrove, è che allo stesso tempo siamo anche la prima generazione che ha dilatato la propria giovinezza per tutta una serie di motivi fino all’impossibile, e su questo spero siate d’accordo tutti. Un bel casino, insomma. Immaginate di essere adolescenti con due che a tutti i costi vogliono confrontarsi con voi ma anche spianarvi la strada ma anche guidarvi lungo le vie più efficaci ma anche punirvi se fate qualcosa di sbagliato ma anche essere i migliori amici ma anche i maître à penser migliori sulla piazza ma anche quelli a cui ispirarsi in fatto di gusti letterari cinematografici musicali abbigliamento cibo vacanze ma anche quelli a cui rivelare se vi fate le canne ma anche quelli con cui aprirsi per chiedere se in amore è meglio fare così o fare cosà ma anche quelli che ti spiegano geometria meglio dei professori. Il tutto per la prima volta da sempre, quindi senza nessun termine di paragone, senza sapere se questo può generare dei mostri che magari non ne vorranno sapere mai più di riprodursi vista la loro esperienza da piccoli, nel bel mezzo della più dirompente rivoluzione socio-culturale da quando esistiamo che si chiama Internet. Non so davvero che cosa stiamo cercando di dimostrare. Tornavamo da scuola e non c’era nessuno a imporci tutto questo e così la nostra è una specie di rivalsa? Siamo sicuri che avremmo preferito crescere così? No? Ok, va bene, scusate. Allora parlo solo per me.

la migliori app per capire chi siamo dove andiamo cosa facciamo

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Ha superato i 100 milioni di download IndovinaunpoTM, la app tutta made in Italy che da un semplice selfie in primo piano è in grado di elaborare un tracciato di quello che ci frulla per la testa in quell’istante dall’espressione del viso, quindi setacciare l’Internet e trovare a quale foto di personaggio più o meno famoso i nostri istinti possono essere collegati. Una specie di specchio delle mie brame della matrigna di Biancaneve che ritorna in tempo reale la verità su di noi in quel momento senza tanti compromessi con quello che vorremmo essere, la differenza tra aspettativa e realtà messa a nudo da un algoritmo che non va tanto per il sottile. Ci sentiamo un senso di colpa e con un clic scopriamo che invece siamo tali e quali a Hitler, per esempio, e che il nostro inconscio non corrisponde per nulla all’aria da santerellini che ci diamo. O anche una smorfia con la boccuccia più simile alla velina del momento ed ecco che IndovinaunpoTM rievoca dal passato la peggio megera della TV anni 80 con una di quelle pettinature con cui oggi mettiamo alla berlina le nostre radici. Ma è stato soprattutto il suo risvolto social a decretare il successo globale del’app, grazie alla possibilità di accoppiare persone che al momento dell’invio della richiesta sembrano essere allineate proprio su tutto o tutto il contrario, a seconda del tipo di abbinamento impostato che consente di essere messi in contatto anche con i propri opposti. Quindi non solo compulsivo ossessivi che si cercano reciprocamente, ma anche sadici con masochisti o arroganti con remissivi a seconda delle singole preferenze di ciascuno. IndovinaunpoTM sembra aver soppiantato tutti gli strumenti di comunicazione per i dispositivi mobili e ha creato un vero e proprio caso social. Tutti sono curiosi di sapere che cosa hanno realmente dentro amici e parenti e perché siamo così propensi a ostentare personalità diverse da quelle di cui siamo dotati. InsidePeople, la startup italiana che ha immesso sul mercato IndovinaunpoTM ora sta lavorando allo sviluppo di LineDown, un’app basata sulla stessa tecnologia che permetterà di ottenere la verità con la v maiuscola analizzando il contrasto estetico tra scarpe e pantaloni. Sarà sufficiente scattare una foto e il sistema restituirà la risposta corretta a un jeans con la scarpa elegante, un pantalone classico con una Geox con il tacco, o nei mille risvoltini attraverso cui donne e uomini di ogni età ed estrazione sociale manifestano la loro attitudine a stare al mondo.

da noi si chiama il merendino, forse è per questo che ci vergogniamo ad ammettere che tutto sommato è divertente

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Quali gesta potremo mai raccontare un domani per fare colpo con il nostro ardimento? Una volta sono riuscito a farmi inviare la password di Gmail pur non ricordandomi le domande di riserva. Mi è stata verificata l’identità sul mio profilo Facebook pur usando un nome e cognome di fantasia. Ho piazzato una foto porno gay sulla homepage del sito di Casa Pound. Un mio tweet è stato inserito nella top 10 di Gazebo. Ecco, tutte le sceneggiature di uomo e donna davanti a un falò con sfondo di natura incontaminata se non dalla casa che presto li accoglierà per una consumazione sentimentale lunga il tempo di un taglio sul più bello – i tempi cinematografici sono tiranni – saranno dure da arricchire con dialoghi che mettono in mostra la dote del coraggio se non ci decidiamo a spegnere il pc e farci una vita anche fuori dall’Internet. D’altronde uscire di casa è un passatempo che sembra non fare più gola a nessuno, complice il fatto che di soldi da spendere non ce ne sono più molti. Perché vedersi per un aperitivo al bar quando a casa posso accompagnarlo con tutte le porcherie che voglio e non devo subire la vergogna di riempirmi il piattino fino allo sfinimento? Cosa e chi ci sarà di così interessante da vedere là fuori? Il problema è se sappiamo ancora parlare a quattrocchi, o se invece continuiamo ad aver bisogno di qualcosa che si interponga e rallenti i botta e risposta della conversazione il giusto. Comunque tranquilli, don’t panic, come si dice da queste parti. Il problema non è solamente nostro ma, essendo generalizzato, riguarda anche i nostri interlocutori. Sono loro a non essere più interessanti come una volta? Non lo so. Ma, di questo passo, passeremo alla storia come la generazione che ha trascorso più tempo in casa. Oggi, per esempio, è pasquetta, e lo sapete che non dovreste essere qui davanti a un monitor a leggere cose sui blog. Mettetevi una tuta o qualsiasi roba comoda da tempo libero, inforcate la macchina o la moto e fate una bella gita fuori porta con pic nic e non fa niente se avete il frigo vuoto. Nei paesini con i prati e le aree attrezzate in campagna qualche negozio di alimentari aperto che vende pane, prosciutto e lattine di birra si trova sempre. Non fatelo per me, ma fatelo per voi, che oggi non vale nemmeno più la scusa del brutto tempo. Tanto alla peggio comunque uno smartcoso tra tutti salta fuori, se proprio proprio non riuscite a stare lontano dai social network. Ricordatevi la chitarra, un plaid per sdraiarvi sull’erba, prendete il pallone e andate a giocare fuori, che è una bella giornata.