camera con vista

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Ora non vorrei sembrarvi monotematico, ma la chiave di lettura dell’affaire Malinconico e dei suoi soggiorni nelle strutture alberghiere è: avercene di dirigenti e figure apicali della Pubblica Amministrazione che hanno il potere, e la fermezza, di lasciare a casa o persuadere a dimissioni manager pubblici in odore di corruzione o che agiscono contro il bene dell’organizzazione cui appartengono. Come scrive Andrea Sarubbi, “Malinconico sta a Scajola come Monti sta a Berlusconi”.

amici di penna

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Che poi uno scrive in un posto così per i motivi più strani ma comunque quasi tutti riconducibili al fatto che è libero di scrivere quello che gli pare nella forma che preferisce. Oddio libero è una parola un po’ grossa, occorre anche tener conto del piacere di essere compreso e condiviso. Vi risparmio comunque quello che si dice ormai da più di dieci anni sui diari on line, sulla psicologia dei blogger e dei suoi lettori casuali, distratti, assidui o che altro, perché lo sapete già. Ma un giorno uno si accorge che qualcosa è cambiato solo perché riceve una e-mail in cui un lettore gli chiede di scrivere un post su questo o quell’argomento. Il che non può non far piacere, ma, caro mio, non vorrei che tu mi avessi sopravvalutato. Lasciamo le inchieste ai giornalisti professionisti. Qui, dove non c’è alcuna cassa e vige il dis-ordine, ci limitiamo a dare qualche parere, ogni tanto ci esponiamo, ma ben lungi dal fare informazione. Al massimo ti posso aggiornare sul fatto che a febbraio è prevista l’uscita del nuovo dei Cursive, la band guidata dal versatile quanto barbuto Tim Kasher che con il precedente “Mama, i’m swollen” del 2009 ha fatto più di una semplice breccia nei miei ascolti. E tu mi dici che vabbè, anche questa è informazione, no? Prima non lo sapevo, ora ho letto qui e lo so. D’accordo, però non mi sono inventato nulla, io a mia volta l’ho letto qui e me lo sono segnato, se la metti da questo punto di vista posso anche darti ragione. Anzi, per conferire un ulteriore valore aggiunto alla notizia, e magari non conosci i Cursive, eccoti un paio dei loro brani migliori. Grazie comunque per l’attenzione che mi hai dedicato.

il ritorno del secolo breve

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C’è un’analisi di Aldo Grasso oggi, sul Corriere, dedicata alla partecipazione di Mario Monti a “Che tempo che fa”, che oltre a ribadire i concetti già di dominio dell’opinione pubblica sui modi da preside, professore eccetera – che, voglio dire, io mi sento più rappresentato da un Presidente del Consiglio che si esprime come un preside rispetto a uno che si esprime come un bidello, senza offesa eh – è altresì ricca di spunti, uno fra tutti la demolizione dell’identità tra politica e tv nata e affermatasi nel corso dell’escalation brutale e volgare del ventennio appena messo da parte, alcuni dicono temporaneamente altri, come i più sperano, definitivamente. E chi parla di tono da prima repubblica non sbaglia affatto, soprattutto nel rimarcare che un conto è lo stile, un conto è la deriva che poi quella classe politica ha intrapreso, con i debiti distinguo. Ma per i fan più accaniti del secolo scorso, io mi metto in prima fila, è tutto Grasso che cola (pessimo gioco di parole). Comunque bentornato novecento, bentornato buon gusto.

rock’n’roll robot

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Avete presente quei ragazzini che smontavano le radioline rotte per vedere come funzionavano e le rimontavano e miracolosamente le radioline rotte funzionavano di nuovo, perché secondo me c’era il trucco. Tipo che le pile prima erano scariche, loro lo hanno capito, ne hanno comprate due nuove con la paghetta della settimana precedente e hanno riportato la radiolina sintonizzata su “Tutto il calcio minuto per minuto” al padre, che li ha guardati esterrefatto e ha chiamato apposta la moglie per dirgli “cara, nostro figlio sarà un ingegnere, me lo sento”. Ma al massimo sono diventati bravi meccanici, e beati loro perché guadagnano più di me e soprattutto hanno iniziato a collezionare contributi quando noi suonavano ancora gli Ultravox alle feste del Liceo. Per non parlare dei ragazzini un po’ più upper, figli di professionisti o medici, che snobbavano la radiolina perché già smanettavano sul Commodore 64 scrivendo i loro primi programmi in linguaggio macchina facendo terra bruciata intorno, perché intorno i supporti a nastro si usavano solo per risparmiare sull’acquisto dei long playing. Insomma, un’ampia componente di temperamenti transgenerazionali che ha fatto la gioia di mamma e papà aprendo lo cose per vedere che cosa c’era dentro e capirne il perché. Io lo so il perché. Gli esseri umani, gli altri, i compagni di classe di quei mini-scenziati non si potevano aprire, per ovvi motivi morfologici, e non mi riferisco solo agli aspiranti chirurghi. Nessuno avrebbe aperto un corpo umano vivo, a parte qualche giovane delinquente spinto da necessità di approvvigionamento. Ancora meno probabile sezionare una scatola cranica e capire che cosa passava per la testa dei propri simili, la percentuale di fattibilità di un approccio invasivo risultava praticamente pari a zero. Ma per riprodurre un diagramma di flusso dei sentimenti sarebbe stato sufficiente osservare, ascoltare, chiedere. Tutte funzioni impossibili da scrivere in codice e vincolate a un processore dai battiti troppo lenti e troppo rumorosi, difficili da coprire soltanto col silenzio della solitudine pomeridiana.

io?

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Che poi sono il primo a inarcare le sopracciglia facendo quella faccina perplessa con tutte le rughe a righe sulla fronte quando sento ripetere la stessa cosa alla stessa persona una seconda se non addirittura una terza volta perché non si ricorda di avermela già detta, probabilmente non rimango così impresso nel database relazionale, avete capito cosa intendo, o forse come me si va soggetti a quella forma di smemoria, mi si passi il termine, quella della query che ti dà risultati pari a zero. È che alla fine è questo mestiere che ti fa ricordare le cose solo quando lo vuole lui, e per fortuna che uno non cancella la posta, semina tracce, compila fogli di calcolo per tutte le password. Che esagerazione, un foglio di calcolo per le password quando basterebbe un file di testo, se non un comune taccuino che c’è ancora meno il rischio di perderlo. Perché è facile scrivere per lavoro e per diletto, ma poi salvi e basta qualche progetto più stressante o semplicemente più lungo e non solo ti dimentichi cosa hai scritto, ma anche a che proposito hai scritto una cosa che non ti ricordi di avere scritto. Che sembra un paradosso, ma mica tanto. Vi basti pensare che proprio questo tema, dimenticarsi le cose, non ricordo se ne l’ho già trattato o no, e se ne ho scritto l’avrò fatto qui?

atti scemi in luogo pubblico

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Una volta si diceva che sfigati voi che non uscite di casa, mentre rimanete lì chiusi a farvi le pippe mentali noi si va fuori a divertirci, a conoscere gente, a fare politica, a vedere posti, a fare shopping, a corteggiare ragazze interessanti (questo si diceva non proprio così), a sentire buona musica, a vedere film impegnati. Oggi è l’opposto, si dice che sfigati che siete voi che uscite e andate a farvi le pippe mentali in giro, noi si resta a casa a divertirci, a fare networking, a discutere sui blog di politica, a viaggiare con googleearth, a fare acquisti online, a corteggiare ragazze interessanti sui social network (questo si dice non proprio così), a condividere buona musica e a scaricare film impegnati. È cambiata la prospettiva, ci si è anche un po’ impigriti, e chi non si vuole sbilanciare sostiene con fermezza che ci sono i pro e i contro. Ma è la sintesi dei due punti di vista che genera mostri, perché trattandosi di due modelli così differenti è inevitabile che uno prevarichi sull’altro. Quindi tutta la potenza del più recente, il piano che i più chiamano erroneamente virtuale, si manifesta fuori di sé attraverso il primo, che i più chiamano reale, e assume varie forme grottesche, come l’affermarsi del popolo di Internet o, nel peggiore dei casi, cose così.

ti smontiamo subito

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E invece ho capito come ti saluteremo, quando il tuo mandato terminerà e noi saremo così scellerati da non prolungare il contratto a tempo indeterminato che ci lega a te per altri cinque, dieci, venti anni o almeno finché la tua post-politica non avrà risanato i fondamenti della vision di ognuno di quei gruppi organizzati che ora stanno seduti nell’emiciclo di fronte a te, alcuni dei quali composti da membri con serie difficoltà nel comprendere te e il team che hai scelto per farci risalire la china. Sappi che nessuno ci ha mai parlato così, e il tuo operare probabilmente sarà ricordato come il più rivoluzionario degli ultimi decenni. Stai sovvertendo un sistema, stai ripristinando dei valori, stai costruendo, almeno sul piano del senso comune. Ma noi non capiremo tutto questo, perché i simboli sono più appealing della sostanza, anche se si tratta di quella che non abbiamo mai visto perché ci hanno sempre e solo promesso nuove accezioni dei significati dei simboli stessi o, al massimo, qualche restyle grafico.

Così ho capito cosa ti diremo il giorno del commiato, e non sono stato il solo. Tutti noi abbiamo avuto l’illuminazione sentendoti parlare anche questa sera nel modo in cui avremmo voluto sentire parlare ognuna delle persone a cui è stata delegata, nel tempo, una qualsiasi risposta a una decisione comune. E quel giorno lì, quel momento che la componente pessimista e distruttiva (sempre la maggioranza) di noi purtroppo non riesce a non calendarizzare, avremo il coraggio di dirti che è finita, Mario. Devi rientrare sul tuo pianeta da quelli come te. Raccontagli di dove sei stato, racconta a loro di noi, digli che viviamo in un posto di merda e che abbiamo un modo di vedere le cose demenziale per la nostra ubicazione geografica, economica, storica. Puoi dirglielo pure, senza giri di parole, che siamo spacciati.

#scontrinoweek

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Preparatevi, perché la prossima sarà la settimana dello scontrino, la #scontrinoweek.

Sarà una settimana di sensibilizzazione, nella quale non sarà soltanto normale chiedere lo scontrino, ma si potrà lasciare in cambio un proprio scontrino personalizzato.

Con un messaggio che richiami al patto di cittadinanza, ricordi l’ammontare del debito o la percentuale di evasione sul Pil. Oppure con il messaggio del gatto con gli stivali: “insieme possiamo fare molto”.

Perché il dilemma di Kennedy va risolto così: chiediti cosa può fare il tuo Paese per te e anche cosa puoi fare tu per il tuo Paese.

Il cambiamento è individuale e collettivo insieme, altrimenti non è. E non c’è solo Cortina, ci sono più di altri ottomila comuni. E un lavoro culturale da fare, tutti insieme.

Da Civati.

master (e basta)

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C’è un’altra fondamentale (sempre nel grande calderone del wtf, o più elegantemente pour parler) suddivisione in due categorie di musicisti, ovvero chi sa stare sul palco e chi no, una capacità che in genere è valutata solo nei confronti dei cantanti ma che spesso si estende per forza di cose a tutti i componenti di un gruppo. Perché chi si muove in armonia con la musica che esegue conferisce valore aggiunto allo spettacolo e perché c’è chi anche solo a stare fermo immobile con una mano sul microfono e l’altra sull’asta fa venire la pelle d’oca dal carisma che eroga a litri sul pubblico. Diciamo che chi ha accesso al cosiddetto star system solitamente rientra nel sotto-genere degli animali da palcoscenico, la selezione naturale che li ha condotti fino lì non ha tenuto solo conto delle doti canore. E non si parla solo di bellezza, prestanza fisica, atleticità, ma quell’elemento invisibile separatamente da un corpo umano che lo rende speciale e che può essere composto da qualunque cosa. La postura, un cappello, il modo di ballare, l’interazione con gli altri musicisti, il sex appeal, insomma l’elenco è infinito. Tutto questo perché, discutendo su frontman davvero passati alla storia per la loro presenza scenica, è scaturita l’immancabile competizione tra chi sosteneva il proprio candidato più degno di conquistare una posizione al vertice considerando una serie di fattori: maturazione di personalità artistica dagli esordi all’età adulta se non oltre, qualità vocali, coolness, ascendente erotico, abilità nelle movenze, longevità di successo e, per limitare il campo, lontananza dagli stereotipi del rock’n’roll, per dire non uno alla Jim Morrison, entrato nel mito. Non me ne vogliate, ma ha vinto Dave Gahan, in questa versione comprensiva di piroette, anche se io lo preferivo in quella subito sotto.


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post Stravinsky

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Ma che fine ha fatto Stravinsky, invece? Gestiva una specie di trattoria in cui si mangiava una farinata così così, ma il bello di quel posto era il fatto di costituire una sorta di enclave anarchica, quei locali che ai tempi li vedevi solo all’estero, nelle grandi città in cui tutto è lecito, o al massimo a Bologna. C’erano i muri neri ricoperti di scritte e disegni, anche io avevo fatto la mia,”Durutti Column”. Poi a un certo punto della serata Stravinsky si metteva a fare i giochi di prestigio, che a vederlo sembrava un mix tra Jacques Tati e Ian Dury, più Ian Dury che il primo, se non altro per la filosofia di vita. Da Stravinsky c’era il calcetto e un televisore con il videoregistratore e un po’ di nastri di concerti che se non c’era musica te li potevi vedere, roba abbastanza fuori dai circuiti. D’altronde lì era tutto fuori dai circuiti se non tutto fuori tout court, entravi e non sapevi come ne saresti uscito, in che condizioni e con chi. Una sera ho trovato quindicimila lire a pochi metri dall’ingresso, sono entrato e ho offerto da bere persino agli sconosciuti. E alla fine Stravinsky ha chiuso ed è sparito nel nulla, voci informate lo davano addirittura rifugiato oltre cortina in un paese del Patto di Varsavia, che da lì a poco si sarebbe infranto (il patto) e tutto il resto. Ma forse è tornato e non lo so, e scusate l’uso di questo spazio privato per motivi privati, è solo che ripensando a Stravinsky mi viene ancora il mal di testa per la qualità del vino sfuso e dell’untuosità della farinata. Ma nessuno allora ci badava più di tanto.