grazie per la camicia

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“C’è una rotonda, poco dopo l’uscita dell’autostrada alla porte del paese. Accosti con la macchina e ti avvicinano dei signori anziani”, mi racconta Robi, “che chiedono agli automobilisti se vogliono essere accompagnati dai mobilieri.”
Robi e il suo compagno sono appena andati a vivere da soli, dopo nemmeno due mesi in cui si sono messi insieme. Non c’è niente di cui stupirsi. Ai tempi l’ho fatto anch’io ed è abbastanza naturale se hai più di trent’anni e hai una certa esperienza di come vanno le cose, di chi sono le persone di cui vale la pena, se c’è una fregatura dietro l’angolo, se sai se è una cosa che non durerà o vedi tutti i presupposti per la storia della tua vita.
Robi e il suo compagno non sapevano di questa consuetudine dei pensionati che arrotondano con le percentuali dei produttori che lavorano nel distretto del mobile alle porte di Milano. Una specie di PR che anziché farti entrare in discoteca ti guidano con la loro macchina alla fabbrica per cui prestano quel curioso servizio. Ti indicano persino dove si entra, nel massimo del rispetto del cliente ti fanno passare prima dalla porta d’ingresso. Dentro, si fanno riconoscere dal proprietario o dal primo venditore libero, in modo che non ci siano dubbi su chi abbia condotto lì quel potenziale cliente.
“Ci hanno proposto una copia perfetta del divano di marca che volevamo per il nostro salotto ma a meno della metà del prezzo”.
Chissà se nell’arredamento funziona come per le borse di Luis Vuitton o i giubbotti Moncler, che quando li vedi addosso alle persone che si vede che non se li possono permettere te le immagini in estate sulla spiaggia, a provarsi senza nessun imbarazzo capi invernali malgrado i quaranta gradi all’ombra.
Poi vedo che la Robi indossa una camicia azzurra da uomo, fuori dai jeans e con le maniche ampiamente rimboccate. Dev’essere nella fase in cui ci si mette i vestiti del partner per tenersi addosso un po’ dell’odore della notte appena trascorsa insieme. La Robi prima stava con un altro, una relazione comunque su cui non avrebbe scommesso nessuno e destinata a chiudersi. Il suo nuovo compagno l’ha conosciuto al corso di cucina. Avevano amici comuni aspiranti masterchef con cui organizzavano le pizzate e qualche serata a bere fuori. Poi una domenica mattina una del gruppo ha chiamato prima lei e poi lui per invitarli a un brunch in centro, e non so come ha fatto ma ha intuito dai rumori di fondo simili che avevano dormito insieme. Con una po’ di invidia ha diffuso il pettegolezzo che è arrivato persino all’uomo di allora della Robi, che comunque aveva già i giorni contati nella sua vita anche senza quell’episodio.
Dovrei chiedere a questo punto della conversazione alla Robi, per pura convenzione, quale modello di divano hanno commissionato a quello che definirei un contraffattore, poi però mi viene in mente la mostra fotografica che ho visto ieri sera. Animali e loro dettagli fotogenici, esseri viventi della stessa specie tutti uguali, e mi chiedo come facciano per esempio i fenicotteri a distinguersi tra di loro. E ancora più giù nella catena evolutiva, le mosche, i rettili, i molluschi. Forse però non hanno bisogno di sapere chi sono le altre mosche o gli altri fenicotteri che incontrano, pensano a sopravvivere e riprodursi, e mi chiedo su cosa abbiamo puntato noi del genere umano – al momento della nostra autodeterminazione a esseri evoluti – per distinguerci così dal resto.

3 mesi di emozioni premium a soli €0,99. Goditi un’intera stagione di sensazioni offline e senza pubblicità

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Il vantaggio del sistema emotivo standard va quindi identificato nella possibilità di avere a disposizione una library condivisa alla quale attingere ogni volta in cui ne sentiamo il bisogno. Questo consente l’ottimizzazione delle risorse che, erogate via web, ci permettono di liberare spazio dentro di noi da dedicare a quello che ci pare. Per lo più ricordi e cose di tutti i giorni. Per i non addetti ai lavori, l’esempio da tenere in considerazione è quello della musica. Anziché occupare memoria di pc, tablet e smartphone con i file delle canzoni, è sufficiente richiamarli dal cloud ogni volta che vogliamo attraverso la nostra connessione wireless o telefonica di nuova generazione. La differenza è che, nel caso degli stati d’animo, al momento non è previsto un servizio a pagamento premium, pro o de luxe, quindi già nel contratto base c’è davvero ampia disponibilità di materiali. Ma i meno ottimisti – o quelli più soggetti al fascino dei complotti – già hanno fiutato l’ennesima truffa ai danni dei consumatori. Perché sprecare energie e tempo a gestire anche le emozioni più rare, quelle di nicchia, quelle meno commerciali, quelle che riguardano la minoranza ad alta sensibilità? Perché non lavorare solo sugli aggiornamenti delle emozioni mainstream, magari facendole anche più ampie in modo da accontentare una massa di individui sempre più corposa e da favorire il riconoscimento a questo o quel modo di sentire generalizzato con più facilità? Si finirà con avere un monopolio anche in questo settore così delicato? Facciamo un esempio. Riflettere su cosa saremo tra dieci anni, nel caso di un utente finale quasi cinquantenne, comporta vibrazioni abbastanza similari al ricordo di quello che si provava a distanza di uno stesso lasso di tempo in precedenza, trascorrendo un pomeriggio estivo sotto le frasche di ferragosto. In un futuro prossimo, l’emozione provata sarà la stessa, priva delle sfumature accessorie: l’abbandonare le membra a una proiezione futura del sé sempre più ridotta per ragioni anagrafiche, da una parte, la stessa cosa ma con l’errata consapevolezza che le cose non hanno una fine né uno scopo dall’altra.

hanno licenziato Francesca di Infojobs?

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Mi spiace rovinarvi la festa nel pieno del dibattito sul Jobs Act e proprio oggi in cui i primi due decreti attuativi della riforma del lavoro voluta dal governo Renzi entrano in vigore. Vi sarete accorti anche voi che, come me, siete iscritti alle ennemila newsletter dedicate alle offerte professionali, che le comunicazioni da Infojobs da qualche settimana non arrivano più a nome della nostra cara Francesca, la specialista in risorse umane che selezionava apposta per noi gli annunci più in linea con il nostro expertise. Il suo è stato un addio sottovoce in linea con il suo stile sobrio, io non me ne ero nemmeno accorto tale era il suo modo discreto di ricordarci con una cadenza ben precisa che là fuori c’è tutto un mondo di opportunità che sta solo a noi cogliere. Ora è evidente tutta la freddezza e l’acriticità di un sistema automatico che raccoglie manciate di segnalazioni e le getta a pioggia sulle tonnellate di iscritti che ogni giorno spera che sia la volta buona. Quando c’era Francesca invece, lo sapete meglio di me, era tutto diverso. Francesca di Infojobs per noi era un vero e proprio personal trainer per affrontare la solitudine della precarietà nell’ambiente virtuale dell’Internet, sordo e di gomma in risposta alle nostre preghiere di trovare uno straccio di occupazione più di una divinità qualunque. Francesca di Infojobs era la coscienza duepuntozero che ci ricordava, ogni giorno, ogni settimana, che è un nostro dovere migliorarci, non accontentarci, cambiare le nostre vite, dare il massimo. Mi sono anche chiesto se sia un problema solo mio, magari Francesca è ancora nel team di Infojobs ma ha smesso di scrivere solo a me, c’è un motivo personale che in questo momento mi sfugge. Ho cliccato su troppi annunci di Monster? Mi sono fatto ammaliare da qualcuno di CVEngine? Sono ormai entrato nel loop del sistema delle raccomandazioni a cazzo di Linkedin che danno l’illusione che basta che tizio dica che sai scrivere dei testi per spalancarti le porte del successo? No. Se è così, cara Francesca, ti prego di perdonarmi. E anche se è stata una tua decisione, quella di abbandonare Infojobs, ti prego di farci avere tue notizie. Qui dentro hai davvero decine di migliaia di sostenitori che sono pronti a seguirti ovunque. Anche se andassi su Experteer, che diciamocelo, è veramente un sito per ricerca lavoro di merda. Da questo blog, ancora una volta, lancio un appello solo per te, Francesca di Infojobs. Ti prego, Franci, ritorna.

qual è l’ultimo libro che hai letto

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“Qual è l’ultimo libro che hai letto” è una domanda che non dovete più porre ai candidati che si presentano ai colloqui per non rovinare tutto, avere brutte sorprese e diminuire ulteriormente la possibilità di trovare figure adatte al profilo ricercato. Facile che vi sentiate rispondere cose come “da qualche anno leggo Facebook, ho alcuni contatti che scrivono status davvero illuminanti”. Non si spiegherebbe l’assiduità con cui passiamo il tempo con gli occhi puntati sui nostri cosi intelligenti, forse perché ne invidiamo la superiorità. Per lo meno la memoria, no? E come si fa a spiegare che no, tra un romanzo di Tizio Caio e una jpeg sull’amicizia con cuori, gattini e bimbi in fasce che nemmeno un incrocio tra Anne Geddes, Baricco, Jovanotti e i disegni di Love is… c’è un discreto gap culturale, e anche se non sono io a decidere cos’è bello e cos’è brutto l’evidenza è sotto gli occhi di tutti. E attenzione, che poi vi trovate a lavorare con gente che non capisci cosa dice ma non perché sono stranieri ma semplicemente sono semi-analfabeti. Sono giunto alla conclusione che questa sia una delle principali difficoltà dell’imprenditoria, e cioè trovare personale che non dev’essere per forza Umberto Eco ma almeno gente in grado di spiegarsi. Altro che stabilire se e come fare investimenti, quanto riservare per sé e quanto concentrare sulla propria azienda, quando e se è il momento di dividere gli utili o mollare il colpo, che non vuol dire necessariamente suicidarsi per la crisi. Cari dirigenti d’azienda (così ha scritto sulla carta d’identità quel poco di buono di mio cognato) sappiate che io non farei mai il vostro mestiere, di contro voi cominciate a prendere un po’ di dimestichezza con la letteratura, così vi sarà anche più semplice familiarizzare con lo storytelling di cui vi riempite la bocca con i vostri clienti. Quando mi capita di vedere frasi sottolineate a cazzo nei libri che prendo in prestito in biblioteca, al di là del fatto che non bisognerebbe sottolineare testi che sono patrimonio comune ma vabbe’, dicevo che quando mi capita di leggere frasi sottolineate a cazzo nei libri che prendo in prestito in biblioteca penso che magari è uno di voi poco avvezzo con la narrativa che vede cose in certi passaggi che per noi sono del tutto ininfluenti ai fini della trama o dello stile dell’autore. Questo per dire che c’è sempre da imparare. Ma, amici miei, dai vostri contatti Facebook cosa pensate di apprendere? Che ne sarà del genere umano dopo un secolo di status e di tweet? Cosa penseranno i posteri di quelli che pubblicano le foto in cui sembra che reggano la torre di Pisa o stringano il sole tra le dita della mano? Quante cose mancano ancora all’appello prima che si esauriscano le citazioni e cali il silenzio sui nostri socialcosi? Ecco, per mettervi in pace con il mondo del duepuntozero provate solo a osservare le persone che usano i dispositivi portatili per scrivere mail che, sbirciandone il contenuto, sembrano incomprensibili perché magari invece sono semplici appunti e magari vi trovate a vostra insaputa proprio dietro a un blogger che, appena potrà, si burlerà di voi al mondo intero, o almeno ai suoi venticinque lettori, partendo da quella base rubata al vostro chiacchiericcio.

tutti gli indagati per violazione del segreto televisivo

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Finalmente anche noi abbiamo il nostro Julian Assange, il nostro Hervé Falciani, insomma il nostro delatore buono che dall’alto della sua indignazione infrange la legge e mette a repentaglio la propria incolumità lungo tortuosi sentieri illegali ma allo scopo di una giustizia altrimenti impossibile attraverso le vie ufficiali. Si chiama A. P., ha poco più di cinquant’anni ed è l’impiegata Mediaset che ha messo in rete il database con l’elenco di tutti gli italiani che, negli ultimi quindici anni, hanno inviato le riprese di loro stessi mentre, davanti a una telecamera consumer, annunciano “Italia 1” accompagnando il tutto con il celebre gesto del pollice alzato. Il file, contenente nomi, cognomi, indirizzi e recapiti telefonici, è rimasto on-line pochissimo ma giusto il tempo necessario per cadere nelle mani degli esponenti del “Fronte per la liberazione dal Protagonismo” che pare siano già all’opera per rintracciare uno ad uno gli audaci interpreti di quel celebre spot fai-da-te ormai diventato vero e proprio fenomeno di costume e bestia nera di qualunque operatore del settore video, costretto a ripetere scene registrate per strada, negli uffici, all’aperto a causa dell’emulo di turno che non sa resistere al fascino di apparire in qualche programma tv a tutti i costi. Le persone i cui nominativi sono presenti nell’elenco trafugato sono ora nel panico e temono soprattutto per la loro reputazione. Difficile valutare infatti quanti siano a conoscenza di questa pratica di terzi, considerando gli ascolti della rete e della programmazione random delle migliaia di videocassette – prima – e di video digitali – dopo. Magari non ne siete a conoscenza, ma il vostro collega di fronte, il vostro dirimpettaio, il commesso del panettiere che vi mette da parte la baguette ogni mattina è tra i protagonisti di maggior gradimento di quello che può essere identificato come il primo tormentone virale, l’antesignano dei meme di youtube. Non a caso, a parte una ristretta cerchia di intimi, nessuno sembra essere a conoscenza di questa perversione nel prossimo, e se non ci credete provate a chiedere in giro e se qualcuno ammette di essersi prestato buon per voi, tanto che proprio in queste ore sono in molti a tentarle tutte – vie legali comprese – per evitare un simile smacco. Non posso però darvi maggiori dettagli o link di approfondimento. Quello che so è perché ho sentito un gruppo di persone al bar qui sotto commentare la notizia stamattina. Una ragazza seduta con il giornale aperto sul tavolino leggeva a volce alta l’articolo con un livello di coinvolgimento che non ha lasciato dubbi sulla sua colpevolezza. Tre maschi le stavano dietro apparentemente interessati alla notizia, ma avvicinandomi ho capito che erano lì solo perché lei, chinata in avanti, lasciava ben poca immaginazione alla biancheria intima che aveva addosso. In questo anticipo di primavera le prime nudità femminili non passano inosservate. Io ho provato a chiedere qualche spiegazione, anche solo per documentarmi per un possibile post sull’argomento, ma uno dei tre guardoni – quello che avrebbe voluto rispondermi – non riusciva a trovare alcuni sostantivi appropriati, e alla terza o quarta indecisione ho fatto finta di aver capito e sono corso qui.

tutto ha avuto inizio da quel video tutorial su come piegare le magliette, ricordate?

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Mi piacerebbe avere dei trucchi da darvi, che poi sull’Internet sono gli argomenti che spopolano. Che cosa avete capito, non intendevo ciprie e eyeliner, ma trucchi nel senso di scorciatoie per risolvere problemi pratici con quei metodi casalinghi e fai da te che fanno risparmiare costose consulenze e manodopera specializzata. D’altronde sono persone in carne ed ossa che fanno certe cose, giusto? Quindi conoscendo i passaggi, potendo consultare punto per punto la ricetta di qualcosa, in teoria uno dovrebbe arrivare al risultato senza incidenti. A me capita di cercare questo genere di informazioni in rete. Ho sbruciacchiato la piastra di un ferro da stiro con caldaia nuovo di zecca, per esempio. Ho cercato in Internet e ho trovato un suggerimento in cui si consigliava di utilizzare una fetta di limone. Inutile dire che ci ho provato ma la piastra del ferro da stiro con caldaia nuovo di zecca è rimasta sbruciacchiata. Quella volta dell’i-Pod in lavatrice poi era finita con il lettore mp3 messo ad asciugare nel riso. Ce l’ho lasciato un paio di settimane e qualcosa è successo, nel senso che collegandolo al pc funziona anche se il display sembra bombardato. Ma la batteria è andata, e nemmeno i cinesi ne consigliano la sostituzione considerandone il valore. Ho cercato allora su youtube un tutorial per sostituire la batteria, ci ho provato ma senza saldatore non c’è verso. Potrei andare avanti all’infinito su come costruire in casa un saldatore fino a come generare un intero creato come una autentica divinità grazie all’aiuto spontaneo e volontario degli utenti dei socialcosi, ma se non riesco nemmeno a superare il primo livello la vedo dura. Eppure c’è gente che ne sa una più del diavolo, giusto per ristabilire la contrapposizione bene vs male. Come appiattire i vinili che hai lasciato sotto il sole, come mettere il copri-piumino senza sbatterti a far coincidere gli angoli uno per uno, per non parlare delle ricette perché c’è un vero e proprio boom. Un’amica cambia il percorso da casa all’ufficio con i mezzi pubblici ogni mattina per evitare il crollo psicologico da routine. Io sono più sul filone delle battutine ironiche di quell’ironia che capisco solo io e che non fa ridere nessuno. Cerco di passare per intelligente e arguto ma poi, sotto sotto, si vede che non è che sia un granché capace. Per esempio ieri ho scritto su Facebook “prima di valutare le pagliuzze nell’italiano degli stranieri a cui volete negare la cittadinanza provate a registrarvi e poi riascoltarvi per scoprire l’evidente trave che fa da diga ai vostri congiuntivi”. Un mio amico mi ha dato pure del demagogo. L’unico trucco che posso darvi è di non pensare mai a come potrebbe essere se aveste fatto questo anziché quest’altro. Oltre a essere pura speculazione emotiva correte il rischio di cadere in uno di quei stati d’animo che i più bollano e giustificano come cambi di stagione, soprattutto se avete un’età come la mia.

uaioming

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Domenica sera ho tirato davvero tardi perché su uno di quegli assurdi canali del digitale terrestre davano Ovosodo, un film per il quale io ero già un fuori quota quando è uscito – era il 97 e anche se allora mi sentivo ancora un ragazzino dentro, fuori si palesava il mio trentesimo anno d’età – e che visto ora che ne ho quasi cinquanta dimostra tutto il reale scarto come doveva essere allora tra il me alle prese con quel genere di cose di cui parla la trama e la trama stessa, per non parlare di come uno alle soglie della terza età ma con una spiccata sensibilità blog-oriented come il sottoscritto si possa sentire di fronte a cose che sembrano ancora fresche di vita vissuta e invece distano dal presente più o meno quanto l’anno di nascita distava dalla liberazione dal nazifascismo. L’ironia della sorte è proprio che in questi giorni il dibattito verte sugli ennesimi rigurgiti di croci celtiche e sulla ribalta di gente che è disposta a farsi tiranneggiare da intellettuali del calibro di Salvini e dei suoi sodali avvezzi al saluto romano pur di tenere fuori dalle brutture dell’occidente cristianizzato e soggiogato all’Euro le brutture di qualche mendicante in più proveniente da continenti più sfortunati del nostro. Ora non vorrei ridimensionare un allarme legittimo né banalizzare la questione, ma di rigurgiti nazifascisti della povera gente in Italia è una vita che ciclicamente se ne parla con maggiore o minor enfasi sulle pagine della cronaca nera (nel senso nazifascio del termine). C’erano i terroristi nazifasci tra i 70 e gli 80, e che dire dei tempi di Ovosodo in cui grazie alla vittoria di Berlusconi si erano aperte le fogne e tutto il liquame della destra italiana era tornato ad alzare la testa. Per non parlare di Livorno stessa, che oggi ha pure un sindaco pentastellare. Ma tornando al film di Virzì, permettetemi un encomio al personaggio di Lisa, la bella cuginetta alternativa e altolocata di Tommaso Paladini alias Marco Cocci, sul quale ci sarebbe tutta una letteratura personale in quanto perfetta riproduzione cinematografica di un modello femminile ricorsivamente presente nella mia giovinezza e potrei scommettere anche in quella di tutti voi. Alla fine del film resta soprattutto quel senso di inadeguatezza che induce a due fondamentali domande: perché sprecare la gioventù anelando al conseguimento della maturità quando poi si passa la maturità guardando alla gioventù come un’età dell’oro? E soprattutto perché tenendo duro fino all’una passata di notte per vedere un film come Ovosodo poi la mattina dopo ci si sveglia devastati e cappottati dalla stanchezza mentre quando si era come i protagonisti della storia ci voleva ben altro per arrestare il nostro vigore?

rubano di tutto

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Io prima ancora di credere ai politici che rubano, ancora prima di mani pulite e quindi di tutte le cattiverie che sono state perpetrate contro la cosa pubblica, già ero consapevole e un convinto assertore che il problema è che siamo noi che siamo poveracci e che rubiamo più di tutti. Noi cittadini, e non solo noi che viviamo clandestinamente da queste parti. Tutti noi. Nel senso che questi che diciamo che rubano, e che a volte li sorprendiamo con le mani nel sacco o i soldi in Svizzera, prima di essere eletti da noi erano addirittura gente come noi, pensate che stranezza.

E sapete meglio di me quali sono le nostre comuni radici. Se vi fate un giro in un supermercato provate a contare le confezioni aperte, le offerte tre per due in cui qualcuno ne ha fatta sparire una, le bottiglie già stappate, i dolciumi sbocconcellati, i calzini mancanti dalle coppie, i deodoranti e i profumi usati e rimessi a posto, i prodotti privi di qualche componente non vendibile separatamente, persino i bottoni dai vestiti riusciamo a far sparire. Senza parlare di quelli che trafugano cose intere senza pagarle, ma quelli sono ladri fatti e finiti ed è un altro paio di maniche.

Probabilmente i colossi della grande distribuzione hanno messo in conto questo genere di perdite quotidiane, e chissà se da qualche parte si trovano dei dati per capire l’impatto di tutto quello di cui riusciamo ad appropriarci illegalmente tra gli scaffali approfittando della calca dei consumatori nei giorni della spesa. E se non stiamo attenti ci rubiamo le cose persino tra noi. Il carrello con l’euro dentro è un classico, ed è per questo che io giro sempre con il mio appresso, non faccio come quelli un po’ sprovveduti che lo lasciano in un punto e poi si inoltrano tra le merci esposte per essere più comodi. Non immaginate cosa sarebbe in grado di fare certa gente per avere un euro gratis.

Che non è tanto perché poi devi ricominciare la spesa da capo. Magari qualcuno non si ricorda di aver appeso la propria giacca sul quel gancio che sporge sotto la maniglia, sapete quello che serve per mettere le borse, e visto che tra noi poveri ci si ruba di tutto basta un attimo che la giacca non la trovi più. Non tanto per il capo d’abbigliamento in sé, nove volte su dieci è un Oviesse della stagione passata, comprato ai saldi e del valore inferiore ai venti euro, ma perché magari nelle tasche della giacca porti qualcosa di valore ed è per questo che sparisce. Si volatilizza.

E se quel qualcosa di valore è la chiave dell’auto che hai nel parcheggio non custodito del supermercato, e la chiave dell’auto è l’unica perché quella di scorta te l’avevano già rubata quando ti hanno svaligiato la casa, la situazione è ancora più a rischio. Carro attrezzi, officina, serratura nuova. Una bella botta per colpa di qualche pezzente come te che si sfama con le merendine non commercializzabili separatamente sottratte di nascosto e tenta il colpaccio con una giacca incustodita.

Ma magari poi la storia finisce bene, perché la giacca qualcuno la abbandona in uno di quei contenitori che traboccano di calzini di qualità infima a prezzi insignificanti, forse in segno di disprezzo perché nelle tasche non ha rinvenuto nulla di valore e niente degno di essere rubato. Cose come queste ci devono insegnare a stare attenti, e prima di dire che i politici rubano dovremmo guardare dove vanno le nostre mani e guardarci bene da quelle degli altri. Nemmeno questa fosse una storia vera.

lo stato dell’arte

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Mi sono indignato tanto quanto voi di fronte allo scempio perpetrato da alcuni militanti dell’Isis a Mosul. Il video è girato su vari siti di informazione ed è stato rilanciato da molti paladini della civiltà sui social network al grido di ignoranti, merde, che tristezza, basta con questo oscurantismo religioso. Pare anche che siano stati dati alle fiamme più di 100mila testi della biblioteca della città irachena nel corso di uno dei più gravi attacchi alla cultura mai lanciati nella storia dell’umanità, con danni che non si vedevano almeno dai tempi di Pompei quando versava in quello stato di incuria vergognosa, non vi ricordate?

quando non sai dirmi dove sei

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C’è un letto matrimoniale di formato xxll e non si spiega bene il perché una coppia di persone tutto sommato di dimensioni normali abbia in dotazione un talamo così. Nella parte destra del letto c’è un anziano che dorme con la bocca semi-aperta, gli occhiali legati a una catenella sul petto e la radio sintonizzata su un canale di musica classica, un programma della tarda mattinata che trasmette una programmazione piuttosto ordinaria. Compositori noti eseguiti da concertisti di fama mondiale diretti da autorità indiscusse. Nessuno che sperimenti qualcosa in controtendenza. A fianco del letto, posate sul pavimento di piastrelle esagonali in cotto rosso, quattro pile di documenti cartacei suddivisi in cartelline beige, articoli di cancelleria da ufficio che si vendevano negli anni ottanta, ciascuna delle quali legata da elastici. Ogni cartellina reca un nominativo e un anno. La pila più vicina all’uomo sdraiato, che probabilmente è quella in fase di consultazione perché facilmente accessibile dal letto, è composta da plichi relativi a Silvio – così c’è scritto sopra – contenenti documentazione fiscale, fatture e dichiarazioni dei redditi di dieci anni prima.

Poco distante, proprio sotto la rete, si intravede la padella piena di urina, ancora da svuotare solo perché la moglie deve ancora rientrare dalla spesa. Un particolare che non dovrebbe influenzarvi sulla scarsa igiene di quello scenario, è lì solo perché nessuno se n’è ancora occupato ed è un caso. Appena si sveglierà e si sentirà pronto ad alzarsi, l’uomo adempirà a quel compito come prima cosa. Questo per mettervi in guardia: non date alla scena un eccessivo carattere di deprivazione, almeno non su questo dettaglio. Sul comodino, qualche copia di riviste di enigmistica e un volume di un’enciclopedia tascabile edita e acquistata molto prima di Wikipedia, di Internet, dell’ADSL e dei pc portatili.

L’uomo ha un sussulto quando termina un brano orchestrale e alla beatitudine degli archi e degli ottoni si sostituisce un dozzinale jingle pubblicitario. La prima reazione è quella di accorgersi della bocca aperta con una specie di grugnito. La seconda di chiamare la moglie. La terza di comprendere che la donna non è ancora rientrata, altrimenti sarebbe già venuta a svegliarlo per la pastiglia. Così immediatamente recupera con un po’ di sforzo il telefono abbandonato sulla parte vuota del letto a fianco della gatta, inforca gli occhiali e preme il tasto della memoria corrispondente al numero del telefono cellulare della moglie, un’abitudine che gli è già costata un’impennata dei costi in bolletta ma a cui non pensa minimamente di rinunciare o non si ricorda mai di farlo perché nei momenti del bisogno prevale il senso di sicurezza che quella procedura gli infonde. Al quarto squillo senza risposta, mentre il seme dell’ansia sta per far germogliare un ulteriore frutto succoso, l’uomo si accorge del rumore delle chiavi nella porta d’ingresso, l’apertura della quale gli fa percepire la suoneria Nokia della moglie che accompagna il suo rientro nell’appartamento. L’uomo si affretta a interrompere quella chiamata con l’intento di limitare il danno che ormai è già stato compiuto, e in cuor suo si prepara lo stato d’animo giusto per le inevitabili conseguenze.