lo stato dell’arte

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Mi sono indignato tanto quanto voi di fronte allo scempio perpetrato da alcuni militanti dell’Isis a Mosul. Il video è girato su vari siti di informazione ed è stato rilanciato da molti paladini della civiltà sui social network al grido di ignoranti, merde, che tristezza, basta con questo oscurantismo religioso. Pare anche che siano stati dati alle fiamme più di 100mila testi della biblioteca della città irachena nel corso di uno dei più gravi attacchi alla cultura mai lanciati nella storia dell’umanità, con danni che non si vedevano almeno dai tempi di Pompei quando versava in quello stato di incuria vergognosa, non vi ricordate?

quando non sai dirmi dove sei

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C’è un letto matrimoniale di formato xxll e non si spiega bene il perché una coppia di persone tutto sommato di dimensioni normali abbia in dotazione un talamo così. Nella parte destra del letto c’è un anziano che dorme con la bocca semi-aperta, gli occhiali legati a una catenella sul petto e la radio sintonizzata su un canale di musica classica, un programma della tarda mattinata che trasmette una programmazione piuttosto ordinaria. Compositori noti eseguiti da concertisti di fama mondiale diretti da autorità indiscusse. Nessuno che sperimenti qualcosa in controtendenza. A fianco del letto, posate sul pavimento di piastrelle esagonali in cotto rosso, quattro pile di documenti cartacei suddivisi in cartelline beige, articoli di cancelleria da ufficio che si vendevano negli anni ottanta, ciascuna delle quali legata da elastici. Ogni cartellina reca un nominativo e un anno. La pila più vicina all’uomo sdraiato, che probabilmente è quella in fase di consultazione perché facilmente accessibile dal letto, è composta da plichi relativi a Silvio – così c’è scritto sopra – contenenti documentazione fiscale, fatture e dichiarazioni dei redditi di dieci anni prima.

Poco distante, proprio sotto la rete, si intravede la padella piena di urina, ancora da svuotare solo perché la moglie deve ancora rientrare dalla spesa. Un particolare che non dovrebbe influenzarvi sulla scarsa igiene di quello scenario, è lì solo perché nessuno se n’è ancora occupato ed è un caso. Appena si sveglierà e si sentirà pronto ad alzarsi, l’uomo adempirà a quel compito come prima cosa. Questo per mettervi in guardia: non date alla scena un eccessivo carattere di deprivazione, almeno non su questo dettaglio. Sul comodino, qualche copia di riviste di enigmistica e un volume di un’enciclopedia tascabile edita e acquistata molto prima di Wikipedia, di Internet, dell’ADSL e dei pc portatili.

L’uomo ha un sussulto quando termina un brano orchestrale e alla beatitudine degli archi e degli ottoni si sostituisce un dozzinale jingle pubblicitario. La prima reazione è quella di accorgersi della bocca aperta con una specie di grugnito. La seconda di chiamare la moglie. La terza di comprendere che la donna non è ancora rientrata, altrimenti sarebbe già venuta a svegliarlo per la pastiglia. Così immediatamente recupera con un po’ di sforzo il telefono abbandonato sulla parte vuota del letto a fianco della gatta, inforca gli occhiali e preme il tasto della memoria corrispondente al numero del telefono cellulare della moglie, un’abitudine che gli è già costata un’impennata dei costi in bolletta ma a cui non pensa minimamente di rinunciare o non si ricorda mai di farlo perché nei momenti del bisogno prevale il senso di sicurezza che quella procedura gli infonde. Al quarto squillo senza risposta, mentre il seme dell’ansia sta per far germogliare un ulteriore frutto succoso, l’uomo si accorge del rumore delle chiavi nella porta d’ingresso, l’apertura della quale gli fa percepire la suoneria Nokia della moglie che accompagna il suo rientro nell’appartamento. L’uomo si affretta a interrompere quella chiamata con l’intento di limitare il danno che ormai è già stato compiuto, e in cuor suo si prepara lo stato d’animo giusto per le inevitabili conseguenze.

che tempi

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Ognuno di noi ha amato e segue tutt’ora i New Order per i motivi che vuole, a partire dai ridotti gradi di separazione che si interpongono grazie a loro tra noi e i Joy Division fino al modo discreto con cui hanno usato l’elettronica in tempi i cui con i suoni sintetizzati c’era chi ci andava giù pesante. Io trovo unico il timbro di voce di Bernard Sumner mentre non sono mai stato un sostenitore del loro modo di usare la drum machine. Troppo morbido per i miei gusti, tanto che un po’ provocatoriamente sono pronto a dichiarare che il mio brano preferito dei New Order sia “Out of control” che come sapete è dei Chemichal Brothers con solo la voce dei New Order, e quando lo dico poi i miei interlucotori sbigottiti mi chiedono se ne sono sicuro e cercano di farmi ragionare ricordandomi “Blue Monday” e allora tutte le mie convinzioni vacillano. Sono molto legato anche a “True faith” anche se, ascoltandola ora, la trovo ingiustificatamente troppo lenta – ai tempi si ballava con quel BPM lì medio – e mi chiedo che ne sarebbe se qualcuno provasse ad accelerarla un po’. Giusto un tentativo, eh, niente di serio.

le lingue morte

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Uno dei vantaggi dei dispositivi consumer dotati di strumenti di geolocalizzazione è che possiamo esimerci dal chiedere informazioni a giovanissimi sotto i vent’anni, per intenderci, anzi per non intenderci perché vi sarete accorti anche voi che i nostri ragazzi non sanno più parlare e che i biascicamenti e i cioè delle macchiette di Verdone in confronto è pura ars loquendi degna dei più logorroici oratori dell’antica Roma. Se da una parte stiamo parlando di persone cresciute ad essere scarrozzate a destra e a manca sui SUV di mamma e papà, quindi con una facoltà di controllo del territorio pari a zero e molto poco sul pezzo, dall’altra la crescente trascuratezza dei processi cognitivi volti alla sopravvivenza in ambienti diversi dalla propria postazione internet e dal sistema operativo del proprio smartcoso, il tutto in un sistema di relazioni in cui la parola è sempre meno veicolo di interazione sociale sostituita dalle croci sui test a risposta multipla e dalle faccine elettroniche, sta generando mostri dal punto di vista dell’utilità per automobilisti o pedoni smarriti, e sono certo che vorreste che aggiungessi il classico “e non solo”. Ma non voglio essere pedante, soprattutto più cialtrone di così, e preferisco limitarmi a farvi presente la difficoltà di esporre a chi chiede una qualunque informazione una cazzo di indicazione sensata con una cazzo di frase di senso compiuto. Quando poi li vedi in coppia o in gruppo c’è da chiedersi cosa si dicano tra di loro, perché di sicuro devono capirsi altrimenti che senso avrebbe vedersi e stare insieme. Abituarsi allo sforzo di farsi comprendere dal prossimo non è più faticoso di un qualunque esercizio fisico o di una prova di coraggio da esercitare su un videogioco. O l’italiano è davvero più difficile dell’inglese. O magari siamo noi anziani che pretendiamo troppo.

che adulti saranno?

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Se negli anni 80 a molti bambini gli si è rotta la fantasia con i cartoni dei Puffi, perché poi nell’osservazione empirica della natura a nessuno capitava di incontrare creature sconosciute più antropomorfe della rumenta abbandonata nelle discariche abusive, pensate un po’ oggi come vengono su le nuove generazioni con l’iper-realtà in HD. La differenza tra attori in carne e ossa e quelli che con consapevole volontà dispregiativa chiamiamo pupazzi animati malgrado dietro ci sia lo strenuo lavoro di migliaia di esperti in animazione tridimensionale su computer da millemila dollari è sempre più labile, a stento si percepisce il confine tra i due mondi e chissà se tutto questo fa bene a quelle testoline di cui i nostri figli sono attrezzati. Un aspetto della modernità che, a pensarci bene, costituisce un paradosso. Quante volte troviamo disarmanti le iniziative pensate per i nostri figli a partire dall’industria dell’entertainment e dello sport, e non certo per mancanza di fondi? Perché alimentare un immaginario così complesso fatto di dimensioni parallele ovunque, sulla terra, nello spazio, in parti misteriose dell’universo conosciuto e non, quando poi nel quotidiano, nelle società sportive, nell’offerta culturale siamo spesso rispediti indietro di decenni luce tanto è il contrasto tra fantasia e realtà? Pensate quando a otto anni già ci si spezzava la schiena in miniera o nei campi e i racconti dei nonni erano altro che l’iperuranio platonico. Oggi è così. C’è un sistema che carica di aspettative le nuove generazioni e poi pressapochismo, incompetenze e incuria fanno presto a riportarci con i piedi per terra e sono i genitori i primi a guardarsi sbigottiti. Ma come? Tutto qui? Ci chiediamo così dove finiscano tutti i sogni dei nostri figli, le domande, le storie e le loro proiezioni una volta che si infrangono su pareti scrostate di palestre, addetti al loro sviluppo fisico e intellettuale sottodimensionati, un’industria che trattiene le risorse per il proprio sostentamento erogando servizi di infima qualità. Per non parlare dei veri ambiti che contano sul serio come alimentazione e istruzione. Forse tocca a noi genitori abbassare l’asticella dello spirito critico e dell’ansia, probabilmente ci siamo auto-caricati di bisogni che i nostri figli sono i primi a non avere.

dolcemente complicate

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Mercoledì scorso, mentre sonnecchiavo sul treno del ritorno, ho deciso che mi sarei tagliato i capelli la sera stessa. Anche se il bisogno di darmi una sistemata era nell’aria, come i miei capelli del resto, ho deciso all’improvviso. Ho chiamato subito mia moglie per avvisarla che avrei tardato e lei mi ha risposto che non c’era problema, aveva appena ritirato il numero per la coda alle Poste e aveva davanti a sé più di venti persone. Il mio parrucchiere si trova a due passi dalla stazione, come l’ufficio postale del resto. A quell’ora di un giorno infrasettimanale sarebbe stato difficile trovarlo occupato (sono in due a gestire il negozio), e infatti in una ventina di minuti ho fatto tutto. Shampoo, taglio, rifiniture, phon e consueto mancato ritiro della ricevuta. Ho aggiornato mia moglie che, in perfetta sincronia, si stava accomiatando dall’impiegato che l’aveva servita, e di lì a poco ci siamo incontrati per rientrare insieme. Questo per dire che invece poi sabato mattina mia moglie ha deciso anche lei di andare dallo stylist. Ha prenotato riuscendo a trovare un posto malgrado fosse sabato, è entrata alle 10:45 ed è tornata a casa alle 15:15.

nuoce gravemente alla salute

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Dario ha ripreso a fumare la sera in cui ha scoperto che Silvia lo tradiva con l’istruttore di aerobica come nelle peggio storie di provincia e nel modo più banale, notando cioè la 500 di Silvia parcheggiata nei pressi della palestra ben oltre l’orario di chiusura. Poteva essere accaduto di tutto, cose come un aperitivo con qualche amica del corso dopo l’ora di allenamento o l’auto rimasta in panne e lasciata lì, certo. Ma Dario ha sempre avuto un sesto senso per queste cose. La mattina di quel giorno perfetto per perdere un amore aveva giusto notato una bellissima cinquantenne – quelle che oggi il web chiama cougar o MILF a seconda del sito porno di riferimento – uscire verso l’ora di pranzo da una lussuosa villa nel quartiere collinare, un posto da ricchi, seguita a ruota da un giovane ragazzo scuro come la pece e grosso quanto quelli che si vedono nei video dei cantanti rap. Dario mi aveva confessato di aver pensato subito male, i due che si congedavano con un bacio sulla guancia dopo un’estenuante matinée di sesso extraconiugale alla faccia del padrone di casa al lavoro a capo della sua fabbrichetta, un particolare che ricordo perché poi gli avevo raccontato della mia premonizione quando avevo avuto un brivido assistendo all’illusione ottica di un aereo di linea che trapassava il matitone di Sampierdarena la sera prima delle Torri Gemelle. Una cosa non vi ho detto: Dario in realtà era già stato scaricato da Silvia, e forse proprio a causa del confronto impari con il coach, ma sapete come sono gli uomini. Insomma, Dario riconosce la 500 e si precipita al bar degli amici, sempre come nelle peggio storie di provincia.

Gli amici – ovviamente comuni, se no come farei a sapere questa storia – vedono Dario palesemente alterato dalla scoperta mentre gli racconta quello che suppone, poi acquista un pacchetto di non so che marca di sigarette e ritorna in fretta in macchina. E questa storia mi è tornata in mente perché, proprio stamani, ho sentito uno di quei tipi che non perdono un’occasione per abbordare le sconosciute chiedere alla sua vicina di posto in metropolitana tutta assorta da “Pastorale americana” in lingua originale se non fosse impegnativa la lettura di Philip Roth in inglese, e lei rispondergli con una flemma e un accento inconfondibile che era di Boston, Massachusetts. Un vero e proprio latin lover di altri tempi che indossava le stesse scarpe di tela che Dario portava fino allo sfinimento, ma tenete conto che oggi qui nevica e non ho potuto fare a meno di attivare un link tra i due avvenimenti, anche se quello che vede Dario protagonista risale a un’età dell’uomo precedente al momento in cui le persone si rivelassero completamente scollegate dalla natura circostante e utilizzassero snickers in giornate meteorologicamente proibitive.

Abbiamo lasciato Dario salire sulla sua macchina e ora lo vediamo già sulla strada, anzi, sull’autostrada sfrecciare verso la sua ex prima di Silvia, che forse aveva addirittura lasciato per Silvia, sapete che per certi maschi (se non quasi tutti) il darsi da fare subito anche solo per trovare conforto è una prassi consolidata. Sfrecciare per modo dire, l’utilitaria di Dario non permette velocità rischiose, e la cosa buffa è che se anche avesse infranto la barriera del suono non avrebbe trovato la sua ex prima di Silvia in casa, quella sera, per pura coincidenza. Supponiamo però che si sia fatto fuori quasi tutto il pacchetto tra l’andata e il ritorno come forma di monito al resto del mondo della sua volontà auto-distruttriva, un sacrificio inutile perché nessuno, davvero, poi è venuto mai a saperlo.

con tanti inverni sul groppone

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Qualcuno dice senza peli sulla lingua che i vecchi non si addicono al nostro tenore di vita, altri lo pensano e basta e si limitano a farsi il meno ingombranti possibile quando gli si siedono vicini per evitare il contatto fisico nemmeno fossero degli appestati. Ritraggono i lembi del cappotto, le borse, persino i piedi. O forse è proprio così, quelli di una certa età che non si possono permettere la bella vita sono in grado di infettare del loro amaro presente noi che stiamo al di qua della linea della vita. Eravamo già abbastanza malati di eterna gioventù senza che ci si mettessero pure i socialcosi. Così è facile sorprendere le facce di disgusto che facciamo in loro prossimità, tratteniamo il respiro come si fa quando cambiamo la lettiera zozza dei gatti nemmeno se dal loro respiro perdessimo le scorte di modernità che abbiamo accumulato con così tanti sacrifici. Il giorno in cui si diventa vecchi, quando cioè non c’è più nessun appiglio valido per rimanere nel settore della società attiva, dovrebbe essere definito per legge un po’ come la pensione e lo so che tutti vanno dicendo che noi la pensione ce la possiamo scordare. E lasciate perdere sia quelli che hanno risorse in abbondanza e che tarellano da una parte all’altra del pianeta in un tour continuo di scoperta in extremis, e sia quelli al cui sostentamento contribuiamo noi con le nostre ritenute alla fonte, magari a casa già a nemmeno sessant’anni a far impazzire con la loro energia sprecata amici, parenti e, soprattutto, vicini di casa. Non dimenticatevi di quelli per i quali la vecchiaia è solo un dato anagrafico che non implica la perdita di certi diritti acquisiti come fare le code come tutti gli altri al supermercato, viaggiare su Fiat Punto o Ford Focus a velocità anzi a lentezze inaudite e al limite dell’incolumità comune, utilizzare i mezzi pubblici nelle ore che per convenzione sociale si pensano essere dominio di giovani impiegati tirati a lucido per competere al meglio nei meccanismi di sopravvivenza dell’occidente sviluppato. Io ne incontro alcuni, sapete, e nessuno potrà convincermi che qualcuno di questi anziani non prende la metro per recarsi quotidianamente alla propria porzione di orto dall’altra parte della città, vestito con gli abiti più adatti per esercitare l’attività di contadino semi-professionista nel migliore dei modi.

ce li laviamo in casa

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Possiamo considerare una specie di social network ante-litteram l’usanza di certe culture in cui si stende il bucato in pubblico senza nessun pudore. Mostrare a degli sconosciuti gli indumenti personali se non la biancheria intima ha lo stesso significato di sbandierare i cazzi propri a cani e porci in Internet. Chi si è mosso lungo diverse latitudini del nostro paese sa che ci sono aree geografiche in cui l’ostensione di mutande e calzini ai passanti è più frequente che in altre e probabilmente si tratta di un fenomeno la cui popolarità è inversamente proporzionale al tasso di umidità presente nell’aria, avete capito dove voglio andare a parare. O invece è solo una questione di anacronismo: quando ero ragazzino si badava meno ad alcuni aspetti di decoro pubblico e il fatto che vivessi in una regione – la Liguria – in cui la cura degli spazi comuni e l’estetica outdoor vengono all’ultimo posto rispetto ad altri discutibili fattori considerati principali è solo una coincidenza. A Milano forse bisogna recarsi in certi quartieri più naif, diciamo così, perché di questi tempi, almeno qui, non mi è mai capitato di notare panni messi ad asciugare fuori, anche perché non credo che con l’aria che tira e le polveri sottili ne guadagnerebbero in pulizia. Ma non voglio fare la solita morale da trombone sul senso civico, anzi secondo me è un peccato che si tratti di una pratica non più in auge. Senza il bucato esposto non si possono più individuare le famiglie orgogliosamente sportive in cui la sequenza di tute, abbigliamento tecnico, calzettoni da calciatore, ginocchiere, guanti da portiere e tenute da running messe al sole la diceva lunga su priorità e stile di vita dei componenti. Oppure certe curiosità che alcuni capi di underwear striminziti suscitavano negli osservatori più morbosi (non guardatemi così, sto solo inventando di sana piante eh) con la speranza che la proprietaria prima o poi si decidesse a ritirarli asciutti. In occasione di eventi particolari, addirittura capi di stato ed esponenti delle istituzioni si sono mobilitati per disincentivare la suddetta formula in contesti urbani in forma di rispetto per la visita di rappresentanti di altre civiltà. Comunque prima che inventassero gli stendini da interno da posizionare nella vasca da bagno o nelle stanze adibite a lavanderia, che in contesti più comuni non è raro trovare nelle camere da letto o in promiscuità con gli arredi del soggiorno, risultava molto facile capire la residenza di gente come noi proprio dai vestiti appesi fuori: pullover neri, camicie nere, pantaloni neri, calzettoni neri, magliette nere talvolta un po’ sbiadite come capita agli indumenti di cotone. La gente passava sotto le nostre case, osservava quella funerea esposizione monocolore e poteva affermare, con assoluta certezza che lì, a quel piano, viveva un vero dark.

fate un respiro profondo, chiudete gli occhi e provate a crescere

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Sono più che sicuro che Voltaire intendesse tutt’altra cosa quando si è dichiarato pronto alla strenua difesa fino alla morte delle opinioni altrui. Poi magari alla fine si scopre pure che è tutta una bufala inventata da qualche malato di mitomania di Facebook, avete presente quei fanatici delle virgolette che si riempiono la home di aforismi dalla provenienza difficilmente rintracciabile. Pertini ha detto davvero quelle cose lì di cui vi gonfiate gli status? E Jim Morrison ha davvero vissuto così a lungo per pubblicare tutta un’intera letteratura di stronzate? No, non me la raccontate giusta. Inventate di sana pianta le cose avvalendovi della copertura della diffusa ignoranza e dello scarso valore che oggi in generale si attribuisce alla parola e alla responsabilità. Ci vorrebbe un ufficio stampa a difesa degli opinionisti scomparsi pronto a smentire il vostro amico delle elementari che sull’onda di un condiviso sentimento di pancia ha ottenuto una primavera di attenzioni altrui, roba che se non ci fossero i social network avrebbe continuato a contrattare i prezzi dell’alto del suo banco di mutande al mercato. Vi sarete resi conto di tutto ciò nelle trascorse giornate decisive per l’elezione del Presidente della Repubblica. Non so come dirvelo, ma il fatto che la politica vi faccia schifo, a differenza di Dan Brown o di Xfactor o dell’Inter, non ha alcun valore rappresentativo ai fini della vita sociale. Capisco che il fatto di non pagare le tasse ogni volta in cui ve ne capita l’occasione vi faccia sentire su un altro pianeta, ma allora siete pregati di prendervi tutte le vostre citazioni populiste e di portare via i coglioni da questo paese. O, per lo meno, evitate di frequentare la scuola pubblica e andate a farvi curare dai vostri stregoni olistici privati senza pesare sulla sanità nazionale. In questo squallido quadro che sono pronto a giurare non ha pari in nessun altro stato occidentale – noi italiani con la nostra ignorante astensione sociale siamo davvero la feccia dell’umanità – ognuno di noi si prenda i propri antagonisti personali da perculare all’infinito per la loro ottusità. Dividiamoci tutto questo universo di analfabeti civili e combattiamolo con le armi della ragione, senza tregua. Io mi occuperò dei musicisti o ex-tali, il mio profilo di Facebook è pieno, tra i quali i simpatizzanti di quell’underground oscurantista che va dal movimento cinque stelle in giù sono purtroppo numerosi. Non mi so spiegare questa relazione tra suonare uno strumento e tentare la carriera artistica con il grillisimo, i forconi, le scie chimiche e gli aforismi attribuiti a cazzo. Dev’essere un rigurgito di presunzione antagonista, una sorta di sentimento di anarchismo corroso dalla birra e dalle canne, la ricevuta che la vita ha presentato loro a quarant’anni suonati – è proprio il caso di dirlo – insieme al conto con un’adolescenza mai risolta.